Sembra facile
Come vi dicevo, sono a Los Angeles per due giorni di meeting del Board di ICANN, visto che nessuno è riuscito a convincere gli americani che a Ferragosto il pianeta deve chiudere per ferie. Il meeting finisce stasera (mentre scrivo, qui è sabato pomeriggio), e, avendo fatto tutto il viaggio fin quaggiù, mi sono preso la domenica libera prima di tornare… poi ho preso anche il lunedì, perchè martedì ci sono due conference call che farò da qui e che altrimenti avrei mancato. (Prima che maligniate, le due notti di Travelodge le pago io, e anche la macchina che tocca affittare per muoversi in codesta città .)
Dunque, essendo per due giorni in una delle città più famose, eleganti e brutte del pianeta, mi son detto: fosse che c’è qualche evento interessante? C’era: perchè domani sera, a cinquanta chilometri da qui (quindi sempre dentro la città ), suonano i Deep Purple; li ho mancati quando sono venuti in Italia in primavera, e non è male l’idea di vederli ancora una volta prima che vadano in pensione.
L’unico problema è stato comprare il biglietto.
Difatti, gli efficientissimi americani fanno tutto via Web: e così, ancora in Italia, vado sul sito di Ticketmaster e faccio tutta la trafila. Il sito di Ticketmaster è una buffa imitazione di una coda vera; in pieno delirio efficientista, ogni singola pagina del processo di vendita ha un tempo che scorre, partendo da uno o due minuti. Se non completi l’inserimento dei dati prima che scada il tempo, la prenotazione viene interrotta e ti tocca ricominciare da capo; questo anche se sono le due di notte e sei l’unico su tutto il pianeta che sta cercando di prendere un biglietto per quell’evento. In più, a seconda del momento, il sito ti dà disponibilità a caso: una volta trovi la quarta fila, tre minuti dopo c’è solo la trentesima, cinque minuti dopo ti dice che sono esauriti e poi ti rioffre la quarta fila.
Riuscito finalmente a digitare i dati abbastanza in fretta, arrivo in fondo e… il sito si pianta: scopro difatti che non è possibile vendere i biglietti a chi non ha una carta di credito con un indirizzo negli Stati Uniti o in Canada. Come ci si può fidare di carte di credito di paesi strani e misteriosi, tipo la Germania o l’Italia? E così, il sito comincia a rimbalzarmi all’infinito, finché mi arrendo.
Il posto dove si terrà il concerto, il Pacific Amphitheatre, non ha una propria biglietteria online; eppure, a forza di cercare, trovo un modulo di contatto per la Fiera di Orange County, che lo ospita. Poco prima di partire, senza troppa convinzione, lascio un messaggio spiegando il problema.
Capirete la mia sorpresa quando ieri mattina, arrivato qui, trovo una gentile mail che non solo risponde alla mia, ma non mi manda a stendere; e vi garantisco che per gli Stati Uniti, dove tutto è una procedura standardizzata, è davvero strano. La signorina Danielle mi invita a rispondere fornendo i miei dati, in modo che possa emettere un biglietto e lasciarmelo allo sportello del Will Call (nei paesi anglosassoni si usa tenere i biglietti in biglietteria, per farli ritirare il giorno dell’evento).
La mail è di giovedì mattina; sono passate ventiquattr’ore; io rispondo subito. Dopodiché, aspetto; e non arriva risposta. A pranzo, ancora niente. La sera, nulla di nulla. Sarà mica che Danielle ha preso il venerdì libero? Nella sua mail c’è un numero di telefono, e allora corro in camera per telefonare.
E qui, scopro che non posso: per qualche motivo, i due telefoni della mia camera d’albergo a cinque stelle non mi permettono di fare chiamate. Pigiato il 9 per uscire, pigiato l’1 per le interurbane, composta qualche cifra del numero, il telefono si mette a fare strani suoni. Paciocco un po’ con i tasti e la cosa peggiora ulteriormente, nel senso che il telefono addirittura si pianta. Arriva l’ora di cena (le 18) e devo andare.
Stamattina, ancora nessuna risposta; mando una gentile mail di sollecito, per sapere se il mio primo messaggio è arrivato; ancora nulla. Nella pausa pranzo, torno in camera e riprovo a telefonare; ancora casini telefonici. Pigio il pulsante della reception, parlo un po’ con l’impiegata, che alla fine resetta qualcosa: posso telefonare. Peccato che non risponda nessuno: Danielle sarà presumibilmente in vacanza, o addirittura ammalata, morta, traslocata su Marte. Vedo immagini di me aggrappato ai cancelli dell’arena che faccio gli occhioni come il gatto con gli stivali di Shrek, mentre tutti dentro si dimenano al ritmo di Highway Star.
Per fortuna, arriva il colpo di genio: scopro nelle pieghe del sito un altro numero di telefono. Chiamo, e risponde Ticketmaster; la vocina automatica mi chiede se voglio biglietti per Stevie Wonder. No, grazie, e allora mi metto in coda per l’operatore, subendomi una voce registrata che per vari minuti mi dice che “we will be with you in a moment”, e nel frattempo mi magnifica le varie cose che posso comprare da loro. Alla fine, risponde una signorina, che, fatidicamente, mi dice che al telefono (ma non dal web) accettano anche le carte di credito straniere. Alleluja: dopo dieci minuti di spelling (provate voi a far capire “Fenoglio” a un messicano che parla in inglese) mi confermano il biglietto. Rinfrancato e vincitore, torno nel meeting e, giusto per scrupolo, mando una terza mail a Danielle, che – se mai resuscita – non mi faccia il biglietto.
Trenta secondi dopo, mi arriva la risposta: “Ah, ok, allora non te lo faccio più!”. Ma porco cacchio! Ma allora sei stata un giorno e mezzo davanti alla mail senza rispondere! allora sei bastarda dentro!
Due ore dopo, arriva un’altra mail da Dave, sempre dello staff della fiera, che si offre di farmi un biglietto, e comunque mi dice che c’è ancora parecchio posto, certamente non faranno l’esaurito, e potrei fare senza problemi il biglietto la sera stessa. Ma non potevate dirmelo subito?
Bon, insomma: vediamo se riuscirò a vedere questo concerto; domani mattina prendo un’auto qui a Santa Monica, mi faccio il mio giretto del circondario – magari vado anche al Getty Museum, che sta in un posto impossibile lungo l’autostrada – poi faccio il check-in all’albergo e mi reco a Costa Mesa: incrociate le dita per me.