Sky
Vittorio vb Bertola
Affacciato sul Web dal 1995

Sab 23 - 10:54
Ciao, essere umano non identificato!
Italiano English Piemonteis
home
home
home
chi sono
chi sono
guida al sito
guida al sito
novità nel sito
novità nel sito
licenza
licenza
contattami
contattami
blog
near a tree [it]
near a tree [it]
vecchi blog
vecchi blog
personale
documenti
documenti
foto
foto
video
video
musica
musica
attività
net governance
net governance
cons. comunale
cons. comunale
software
software
aiuto
howto
howto
guida a internet
guida a internet
usenet e faq
usenet e faq
il resto
il piemontese
il piemontese
conan
conan
mononoke hime
mononoke hime
software antico
software antico
lavoro
consulenze
consulenze
conferenze
conferenze
job placement
job placement
business angel
business angel
siti e software
siti e software
admin
login
login
your vb
your vb
registrazione
registrazione
venerdì 1 Febbraio 2008, 15:36

Un post antipatico

Ho capito dalle reazioni al post di ieri mattina che avete voglia di discutere del “problema dei salari”. Ho anche capito che alcuni di voi hanno già un’idea, che peraltro è quella che va per la maggiore: che in Italia ci sia una grande categoria, i lavoratori dipendenti, che si fa un mazzo tanto e manda avanti il Paese, ma in questi anni è diventata povera; e che deve poi subire le angherie di un’altra grande categoria – alle volte identificata con gli autonomi, alle volte con i padroni, alle volte con i commercianti, e più spesso come “tutti gli altri” – che sfrutta il lavoro dipendente per alzare i prezzi, fare i miliardi e andare alle Maldive.

Lo scopo del post non è tanto smentire la teoria di cui sopra, che così scritta è esagerata, ma per cui esistono comunque delle evidenti ragioni a supporto. E’ invece quello di affiancare alla spiegazione popolare altre spiegazioni più impopolari, ma che potrebbero essere altrettanto vere.

Come dicevamo ieri, innanzi tutto la sensazione di grande impoverimento dei lavoratori dipendenti non pare confermata dai fatti, che dicono – secondo Banca d’Italia – che il loro potere d’acquisto in termini reali è rimasto sostanzialmente lo stesso del 2000. Le cifre dicono se mai che i dipendenti non hanno partecipato all’arricchimento di cui invece hanno goduto i lavoratori autonomi; che è ugualmente un fenomeno spiacevole, ma ben diverso dal dire che i dipendenti sono al collasso.

La sensazione di star per finire in mezzo alla strada è appunto (con le dovute eccezioni) una sensazione, collegata al clima di sfiducia generale che è uno dei veri problemi dell’Italia, oltre che all’effetto ostentazione per cui l’aumento del numero di Cayenne per strada (dovuto all’aumento dei molto ricchi, che però è un fenomeno globale che definirei storico e sovranazionale) aumenta il bisogno percepito e insieme il desiderio di maggiore ricchezza.

Bisogna poi segnalare un’altra cosa, ossia che, trattandosi di medie, pare molto difficile generalizzare in questo modo. Sicuramente l’arricchimento degli autonomi è medio, nel senso che ci sono categorie che hanno speculato pesantemente e che probabilmente si sono arricchite non del 13%, ma del 130%; tuttavia la categoria degli autonomi contiene ormai tonnellate di giovani precari con contratto a progetto, e dubito molto che i loro salari siano cresciuti in tal modo. E tra i dipendenti, sarà veramente tutto uniforme?

A questo punto, inquadriamo il problema come “perché i dipendenti non partecipano all’arricchimento generale?”. C’è la teoria tradizionale di sinistra che sostiene che la risposta è “perché i padroni sono stronzi”, e che l’unico modo che i lavoratori hanno per ricevere una fetta di utile è la lotta di classe. In questi anni, tuttavia, abbiamo visto spuntare fenomeni fuori da queste regole; come imprenditori che al termine di una buona annata aumentano spontaneamente lo stipendio ai dipendenti (l’ultimo è Della Valle) o, più facilmente, aziende che utilizzano in misura sempre maggiore lo strumento del premio di produzione variabile legato agli utili. E’ peraltro significativo che, come successo a Della Valle, siano i sindacati i primi a contestare queste pratiche, perché – detto banalmente – privano i sindacati del loro ruolo e ne dimostrano (solo in queste situazioni, sia chiaro) l’inutilità.

C’è però una spiegazione più direttamente collegata all’economia di mercato, che sosterrebbe che gli aumenti di stipendio sarebbero direttamente proporzionali al valore della prestazione prestata. Si potrebbe quindi concludere che i dipendenti non ottengono aumenti (in termini reali) perché il valore di mercato delle loro prestazioni non aumenta, a differenza del valore di mercato delle prestazioni dei lavoratori autonomi.

In parte, ciò è facilmente verificabile: il prezzo di mercato di un idraulico, per dire, è oggettivamente aumentato di parecchio in questi anni. Probabilmente sarebbe aumentato di meno se ci fosse stata più concorrenza, e se fosse stato più facile, ad esempio, importare idraulici polacchi e turchi. Probabilmente avremmo tutti più soldi in tasca se, per esempio, si abolissero gli ordini professionali e la loro capacità di impedire la concorrenza su molti servizi magari infrequentemente utilizzati, ma che quando ti servono ti mandano il conto in banca in rosso. In generale, il fatto che l’economia sia piena di squali non è risolubile per decreto ad personam o ad pretium, ma solo tramite l’adozione di adeguati incentivi e disincentivi e di buone regole per il mercato; a meno naturalmente di non voler tornare a una economia nazionalizzata, con i prezzi fissati direttamente dallo Stato (il che però ha tutt’altri ordini di problemi).

In parte, c’è una ipotesi ancora più antipatica: che l’arricchimento riguardi principalmente i lavoratori autonomi perché la crescita stessa del PIL derivi principalmente dai lavoratori autonomi. Non so che esperienze abbiate voi, ma parlando con amici e conoscenti che lavorano da dipendenti in grandi aziende si ha la sensazione che spesso ci sia poco da fare, e anzi ce ne sia sempre di meno… con qualche solitaria eccezione di dipendenti in aziende di consulenza che lavorano 12 ore al giorno da anni, ma vi assicuro che il loro stipendio, in questi anni, è rimasto tutt’altro che fermo.

Quel po’ di crescita che ancora l’Italia mette insieme potrebbe insomma derivare prevalentemente dalla piccola impresa e dalla galassia delle partite IVA, e quindi arricchire sostanzialmente loro; mentre le nostre grandi aziende che, con poche eccezioni, paiono ferme, obsolete e preda designata di qualche acquisizione dall’estero, non crescono e di conseguenza non hanno i soldi per aumentare gli stipendi, né ne avrebbero motivo, a fronte di dipendenti il cui lavoro, anche se spesso non per colpa loro, genera sempre meno valore.

O, se preferite, se le nostre grandi aziende potessero licenziare un po’ di dipendenti improduttivi e meglio ancora un po’ di dirigenti raccomandati e incapaci, probabilmente avrebbero i capitali e il dinamismo sia per crescere che per aumentare gli stipendi.

E infine, resta sempre l’obiezione di base che, se il lavoro dipendente non è adeguatamente gratificato, nulla vieta di cambiare tipo di lavoro, specie al giorno d’oggi in cui per fondare una piccola impresa di servizi non servono capitali. In altre parole, la crisi storica di determinati modelli di rapporto di lavoro è aggravata dalla scarsa propensione degli italiani a mettersi in discussione.

Naturalmente, per mettere ordine in queste ipotesi ci vorrebbero studi statistici più approfonditi; per ora, non si può che andare a sensazione. Eppure tutto ciò, come ben vedete, non pare affatto risolubile regalando dei soldi ai dipendenti e nemmeno detassando i salari. Se il problema è che Telecom non cresce perché è gestita male, non è riducendo le tasse ai suoi dipendenti che la si farà ricominciare a crescere. Se il problema è che i distributori agroalimentari fanno cartello per alzare i prezzi, non è con cinquanta euro in più in busta paga che si eviterà il prossimo aumento del 20% della verdura e della pasta, o che se ne limiterà l’impatto.

Anzi, sono pronto a scommettere che ad un calo dell’1% delle tasse sulle buste paga, realizzato con enormi sacrifici in termini di conti pubblici, corrisponderebbe nel giro di sei mesi un aumento dei prezzi di almeno altrettanto, o probabilmente del doppio; perché, se i problemi derivano dalla struttura dell’economia, pompare soldi non sposta gli equilibri ma genera soltanto inflazione.

[tags]economia, salari, inflazione[/tags]

divider

5 commenti a “Un post antipatico”

  1. .mau.:

    scusa, ma perché Telecom dovrebbe crescere se tagliano le tasse ai suoi dipendenti?

  2. Bruno:

    VB, vai a trollare tua prozia! ;-)

  3. vb:

    Ma mica stavo trollando, è questa la cosa triste!

  4. raccoss:

    Beh, sono abbastanza d’accordo su questo pezzo tranne il finale “se il dipendente non è gratificato, vada a lavorare da solo.

    Per vari motivi che sarebbero lunghi da argomentare, ma uno è già insito nel post: per diventare autonomo, devono prima lasciarti entrare nel “cartello”.

  5. simonecaldana:

    Racoss: vuoi dirmi che gli ambulanti dei mercati e la vecchina della merceria sotto casa fanno parte di una cabala a noi sconosciuta?

 
Creative Commons License
Questo sito è (C) 1995-2024 di Vittorio Bertola - Informativa privacy e cookie
Alcuni diritti riservati secondo la licenza Creative Commons Attribuzione - Non Commerciale - Condividi allo stesso modo
Attribution Noncommercial Sharealike