Lasciando il Cairo
Sono nella lounge dell’aeroporto del Cairo, e mentre aspetto il mio volo posso finalmente postare qualche spigolatura di questo soggiorno egiziano.
Ieri il mio meeting si è concluso con una cena in crociera sul Nilo offertaci dal collega kuwaitiano Qusai Al-Shatti, che ci ha dimostrato come l’ospitalità , da queste parti, sia una cosa seria e davvero eccezionale. Abbiamo spazzolato il buffet, ignorando la pur procace danzatrice del ventre, e poi ci siamo spostati in coperta, dove l’ambiente era davvero piacevole: il Nilo al Cairo sembra un mare, con tanto di onde increspate e venticello, ma sulle due sponde e nelle isole svettano grattacieli e torri illuminate. E’ veramente uno spettacolo molto particolare, e davvero il paragone più immediato è con Manhattan; di notte, poi, il cemento e le brutture si vedono molto di meno.
La giornata è stata piena di episodi aneddotici che racconterò a parte; comunque, terminata la conferenza nella mattinata (anzi, non terminata, perché erano in ritardo; ma li ho mandati a stendere e ho inviato i miei commenti per iscritto) siamo andati nel pomeriggio al Museo Egizio, e poi a intravedere il Cairo copto. Il museo è davvero affascinante, perché sembra una specie di deposito di vecchi bagagli, solo che nelle teche di vetro ci sono tesori di ogni genere; proprio questo contrasto tra valore degli oggetti e squallore dell’esposizione ne accresce il fascino.
Ci sono reperti meravigliosi, partendo ovviamente dalla maschera di Tutankhamon, ma la maggiore impressione la fanno le mummie, e non solo perché ti chiedono un biglietto extra di quasi 15 euro solo per entrare in quella stanza. E’ incredibile come questi corpi siano contemporaneamente… vivi e morti, cioè chiaramente simili al corpo originale, eppure chiaramente morti, anneriti, con pezzi smozzicati e cadenti. La prima impressione, pertanto, è davvero di paura, come se da un momento all’altro dovessero alzarsi e improvvisare una replica de La notte dei morti viventi; poi subentrano il fascino e la soggezione per qualcosa di tanto antico eppure tanto reale; infine, però, la conclusione a cui si arriva è che restare chiusi per oltre tremila anni per poi venire esposti alle noccioline dei turisti è un destino che non augurerei nemmeno al mio peggior nemico, e che forse la cosa più rispettosa sarebbe lasciare queste persone riposare finalmente in pace.
In opposizione a tutto questo, stamattina ho fatto ancora un veloce giro nel centro commerciale annesso all’albergo. Vi ho detto infatti che il complesso che ospitava il meeting era enorme e centrato attorno a un mall all’americana. Bene, questo centro commerciale era davvero incredibile: stiamo parlando di qualcosa con un numero di piani da quattro a sette, arrangiati attorno a quattro o cinque vertiginose corti centrali; qualcosa come le Gru, ma con una superficie quattro volte maggiore e il triplo dei piani.
Dentro, ci sono circa 600 negozi (seicento!), oltre a un multisala da 21 schermi e a un enorme ipermercato; eppure, la cosa più incredibile è che non c’è anima. Ci sono solo negozi luccicanti che vendono esattamente le stesse identiche cose dei nostri centri commerciali, più una sezione “chincaglieria per turisti” di mezzo piano; sono entrato per cercare un regalo e sono uscito senza niente, perché non c’era assolutamente nulla di interessante, o che fosse diverso da ciò che si può trovare in Italia. In compenso, pensate a un qualsiasi marchio famoso in una qualsiasi parte del mondo, e lì c’è un negozio con quel marchio: che so, Adidas, Virgin, Radio Shack, Dockers, Nike, e ovviamente tutti i fast food del pianeta, con un Burger King di fronte a un McDonald’s.
Insomma, da lì si vede una grande, enorme voglia d’Occidente: e anche se solo una ragazza su dieci non ha i capelli velati, e anzi una su dieci ha il burka, vi è un chiarissimo desiderio di essere uguali ai benestanti del resto del pianeta, di far parte del mondo scintillante del consumismo globale. Ad esempio, tutti i giovani in giro per i corridoi erano vestiti comunque in modo elegante/tamarro, con scritte inglesi per ogni dove; l’unica differenza con noi sta nei centimetri di pelle esibita. I prezzi ovviamente erano obbrobriosi, anche se per la maggior parte non si potevano vedere: siamo pur sempre in Egitto, nessuno ti fa un prezzo senza prima averti valutato e impostato una negoziazione. Persino a Pizza Hut non erano esposti i prezzi!
Però, teniamo presente anche questo aspetto, quando pensiamo al mondo arabo chiuso nelle sue tradizioni e nelle sue prescrizioni religiose: in realtà c’è anche l’altra campana, e spesso – come ci hanno spiegato – chi in pubblico è socialmente limitato, in privato si scatena. Per esempio, le stesse autorità pubbliche la cui carriera politica o diplomatica sarebbe stroncata dall’organizzare un ricevimento governativo in cui venga servito del vino, a casa hanno cantine di centinaia di bottiglie costosissime…
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