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Archivio per il mese di Novembre 2008


martedì 4 Novembre 2008, 13:10

Bloggare in Egitto

È istruttivo notare come Internet cambi le cose in quei paesi ancora persi nel mezzo della Storia, che non sono nè compiutamente democratici nè totalmente dittatoriali. Da una parte è necessario rispettare le usanze e le culture delle varie parti del mondo, anche quando esse prevedono la disapprovazione sociale per chi sfida l’ordine costituito; dall’altra, non si può permettere che questa disapprovazione degeneri in imprigionamento, esilio, morte.

Per questo motivo trovo istruttivo riportarvi questo video sul bloggare in Egitto, sperando che tra qualche anno non se ne debba vedere uno analogo con la nostra faccia dentro.

[tags]egitto, internet, censura, blog, libertà di espressione, diritti umani[/tags]

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lunedì 3 Novembre 2008, 21:24

La maledizione del barone Montezuma

Se proprio vi interessa saperlo, in questo momento sono in bagno e festeggio un inatteso crossover tra l’Egitto e Montezuma. Gli è che stasera c’era il ricevimento del lunedì, che si è tenuto in un posto stranissimo nel quartiere elegante e novecentesco di Heliopolis: il Palazzo del Barone, ovvero una affascinante mostruosità costruita per un nobile belga negli anni Venti in “stile orientale”, cioè come un occidentale immaginerebbe un palazzo orientale.

Naturalmente è abbandonato e in decadenza da tempo, e anche piuttosto pericolante; solo che noi eravamo il primo gruppo ad arrivare e non ce l’hanno detto, così varie signore si sono infilate dentro, hanno preso la vecchia scala nel buio più pesto e hanno rischiato di ammazzarsi dal primo piano, prima di scoprire che il ricevimento era in realtà nello spiazzo antistante.

Comunque, a forza di mangiucchiare porcatine di ogni genere e di bere succhi e coca cola, ho avuto un incontro da vicino con i cessi chimici egiziani, trovandomi peraltro nell’insolita situazione in cui la coda era davanti a quelli degli uomini, a dimostrazione di come la governance di Internet sia ancora saldamente in mano al sesso forte (ma debole di stomaco).

Proprio questo mi fa sovvenire del racconto che ci ha fatto durante la cena una coppia del posto, lui italiano e lei egiziana: infatti, lui per poterla sposare ha dovuto non solo convertirsi, ma anche ottenere da un apposito ufficio statale un certificato di conversione all’Islam, a cui è potuto seguire il certificato di matrimonio.

Tale certificato va tenuto da conto: infatti, quando andarono in vacanza a Sharm, l’albergo si rifiutò di dare loro la stanza in quanto non avevano dietro la prova di essere sposati. L’unica via di uscita era quella di dormire in stanze separate, ma (oltre alla mancanza di intimità) si sarebbe dovuto raddoppiare il costo. Alla fine, però, la soluzione si è trovata quando, a forza di escalare la situazione, si è scoperto che il mega-manager dell’albergo era italiano; tra italiani ci si capisce, e quindi il manager dell’albergo ha offerto alla coppia una seconda stanza gratis tra quelle comunque invendute, dando disposizione agli inservienti di chiudere un occhio sulla sua effettiva occupazione…

[tags]viaggi, icann, egitto, cairo, islam, matrimonio[/tags]

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domenica 2 Novembre 2008, 16:29

Cairo di notte

Ieri sera mi sono un po’ rappacificato con Il Cairo: infatti, dopo aver trascorso praticamente tutto il giorno in camera a lavorare a varie cose, avevo voglia di uscire e ho combinato la serata con Roberto Gaetano e famiglia. Io e Roberto frequentiamo ICANN insieme ormai da sei anni, e abbiamo una lunga storia di riunioni e ristoranti in giro per il mondo; peraltro la prima volta che ci incontrammo in Italia fu al meeting ICANN di Roma 2004, ma prima di allora ci eravamo già incontrati in mezzo mondo, nell’ordine prendendo un orrido panino pieno di salse in un bar fighetto di Marina del Rey (Los Angeles, 2000), incontrandoci per completo caso all’uscita di un pub ristorante a Dublino (estate 2001) e poi ancora a Montevideo, Bucarest, Amsterdam, Rio de Janeiro, insomma ovunque ma non in Italia.

Lui, comunque, aveva lì una voglia di ristorante Falfela in centro al Cairo, rimasta dal meeting ICANN del 2000, e così ci siamo fatti chiamare una macchina dall’albergo e siamo andati lì. Il posto è carino, abbastanza tipico, anche se pieno di turisti; ti guardano comunque male, e persiste quella sensazione di non essere poi così benvenuti da queste parti, però il cibo era buono e abbiamo speso una cifra umana, tipo 13 euro a testa, contro i 40 abbondanti di cui ti pelano i ristoranti dell’albergo. Oggi a pranzo con la stessa cifra ho preso un panino e una coca cola!

Soprattutto, ciò che mi ha riconciliato con questa città è stato il giro a piedi per il centro – o meglio, per la parte mondana del centro, la zona novecentesca costruita in stile europeo-newyorchese – dopo cena, a notte avanzata. Quello stesso centro che visto di giorno è squallido e cadente la sera si trasforma in un magico fiume di luci: ci sono insegne ovunque, in latino e in arabo, di ogni colore.

Capisci così che Cairo è la New York del mondo arabo: l’unica vera metropoli del Medio Oriente (tenendone fuori la Turchia). Non che le abbia viste tutte, ma vi garantisco che Tunisi o Marrakech sono completamente diverse, perché non hanno questa dimensione; qui vivono venticinque milioni di persone, e lo si percepisce. In realtà vi sono molti centri, e mi è anche venuta voglia di scoprire come sono di notte i vicoletti del Cairo islamico e della zona della Cittadella (non temete, non la soddisferò). Ma anche solo il centro basso è affascinante: in mezzo a questo fiume di luce vi sono in giro migliaia di persone, che escono ed entrano da locali e caffé. Ci sono negozi di ogni tipo, e si può trovare in fila, spesso ancora aperti, un forno dove un bimbo guarda estasiato un enorme vassoio di biscotti; un venditore di meraviglioso antiquariato in stile orientale; un buco lurido dove riparano motociclette; l’ingresso di un vicolo misterioso che porta in casa di qualcuno, o forse a uno dei tanti mercatini.

Certo, i marciapiedi sono sconnessi e pieni di auto in ogni dove, e a ciascun attraversamento si rischia il game over: credo di aver già scritto l’altra volta che Cairo è un enorme Frogger dal vivo, dove ordinariamente le auto e persino i camion ti sfrecciano a cinque centimetri dalla faccia mentre attraversi, calcolando dinamicamente la tua e la loro posizione, indipendentemente dal colore del semaforo, dai segnali e dalle precedenze. Esitare è fatale, in senso assolutamente stretto: quando parti, vai e prega.

Però, girando a caso per il centro del Cairo, si scoprono angoli di vero mistero; e si finisce per esempio addentro a una lunga fila di taxi che occupa la strada, in coda per fare benzina (24 eurocent al litro) all’unico distributore; oppure in un mercato notturno pieno di gente che compra, dove una parete è occupata da scatole sbugnate e scrostate di monitor LCD da computer, mentre dall’altra un nuovissimo negozio di lampadari sfoggia delle composizioni vetrarie che sembrerebbero barocche e pesanti persino a uno spagnolo.

Certo, quando ti accorgi che è tardi e devi tornare indietro, ti rendi conto che non sai dove sei e che nessuno ha una cartina; ma non importa. Basta camminare un po’ per il mercato, fino a uno spiazzo dove due dei classici taxi bianchi e neri, tenuti insieme dallo scotch, aspettano clienti; il primo tassista non parla altro che dialetto cairota, ma va ad abbrancare il giovanotto che fa da interprete. Citystars – il nome del nuovissimo, periferico complesso dove stiamo noi; e periferico vuol dire una ventina di chilometri di case ininterrotte – è la parola d’ordine; il tassista non è sicuro di aver capito, ma il giovanotto lo istruisce. E così, per quasi un’ora giriamo a caso nella periferia nord del Cairo, pigiati in cinque in una 127 bianconera, in mezzo a dedali di vie e sopraelevate e svolte obbligate, pregando che lui trovi alfine una strada.

Muoversi per l’immensa periferia del Cairo è complicato; i grumi di case sulle colline e sulle dune sono intercalati da enormi vialoni da sei corsie per senso di marcia, sui quali invece che a Frogger si gioca a Out Run. Si inchioda per arretrare e passare dall’altro lato il camion che sta sterzando a destra costringendo a frenare altre due auto che nel frattempo accostano verso un pedone che deve salire evitando l’albero di palme e il tombino rotto con un palo di ferro arrugginito piantato dentro, nel bel mezzo della carreggiata, a dire “qui non si passa”. Abbiamo anche fatto il livello del tunnel: un buco a due corsie lungo quasi quattro chilometri, dal percorso a serpentina, con auto che si sorpassano da entrambe le parti e moto che sorpassano in mezzo, nessun tipo di ventilazione forzata, e una atmosfera gassosa che implica morte certa per asfissia nel caso in cui ti si fermi la macchina lì sotto.

E poi c’è il livello tortuoso: infatti i vialoni non hanno incroci perché sarebbero troppo pericolosi, né semafori perché tanto sarebbero inutili. Se due vie si incrociano e non si può fare un mega-raccordo cementizio, la soluzione è che una delle due vie si scontri con lo spartitraffico dell’altra; quindi chi arriva di lì è costretto a girare a destra, andare avanti per qualche centinaio di metri, poi in mezzo c’è un buco nello spartitraffico che permette una inversione a U, in modo da tornare indietro e poi risvoltare nel proseguimento della via. Insomma, una rotonda schiacciata!

Notevole anche quando la passeggera alla mia sinistra voleva aprire il finestrino: il tassista, mentre con una mano tiene la sigaretta, con l’altra tiene il cellulare e con la terza tiene il volante, con la quarta mano estrae da sopra il parasole la manovella mancante, che infila a forza, girandosi per metà, nel buco del finestrino posteriore sinistro, girando per aprirlo mentre slalomeggia tra le auto per strada e scarica la cenere sull’asfalto.

A un certo punto abbiamo passato senza danno persino il difficilissimo livello “attraversamento dell’autostrada”, in cui due gruppi di pedoni, invisibili nel buio della notte, attraversano le sei corsie del vialone a distanza di esattamente un metro e ottanta l’uno dall’altro, e il tuo tassista lanciato a oltre cento all’ora ci si infila in mezzo, dieci centimetri dal culo dei primi e dieci dalla faccia dei secondi, mentre questi continuano a camminare a velocità regolare, e senza nemmeno rallentare un briciolo la corsa del veicolo. Lì è scoppiato spontaneo l’applauso!

Ma il vero momento magico è stato quando, trovata la strada principale sbarrata, il nostro autista ci ha portati in mezzo a una intera città abbandonata: centinaia di metri di casupole a uno o due piani, eleganti e decorate, apparentemente risalenti a secoli fa, completamente vuote e abbandonate. A un certo punto c’era persino quello che sembrava un caravanserraglio, anch’esso abbandonato; si stagliava contro il cielo illuminato dalla luna e faceva davvero un grande effetto.

E’ stata solo una visione di pochi secondi, presto sottrattaci da un nuovo livello di Out Run; ma è stata sufficiente a farmi pensare che il Cairo abbia dentro di sé molto più di quel che potrebbe sembrare a prima vista.

[tags]cairo, taxi, traffico, egitto, viaggi, icann[/tags]

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sabato 1 Novembre 2008, 11:02

Nuovo cinema Lufthansa (2)

Mi avranno fatto penare con le lounge, ma alla fine sono stato fortunato: visto che c’era un posto libero, ho vinto un upgrade gratuito in business class sul Francoforte-Cairo. (Il posto era libero per via di un americano che ha perso la coincidenza; solo che all’ultimissimo momento l’americano è arrivato, però io ero già spaparanzato e quindi hanno piazzato lui in economy facendogli un rimborso, e me gratis in business! Ho incontrato poi il tizio al Cairo e ha bestemmiato tutti i santi…)

Ho quindi potuto godere del programma di intrattenimento personalizzato, che consiste in una orrida interfaccia simil-web tramite la quale tuttavia è possibile godere in video on demand di qualche decina di film e programmi televisivi.

Scorrendo la lista ho visto qualcosa di vagamente interessante, tipo Hancock (interessante per vedere quanto riesca a rendersi ridicolo Will Smith) o l’ultimo Indiana Jones (interessante per vedere quanto riesca a rendersi ridicolo Harrison Ford). Alla fine, però, c’era The Forbidden Kingdom e così non ho avuto dubbi.

Premetto che anche questo film ha dei problemi: per esempio, una sceneggiatura con più buchi di una forma di Emmental. La trama infatti è la seguente: un bravo ragazzo americano viene coinvolto nella rapina più inspiegabile della storia, visto che gli amici che fa entrare nel negozio cinese improvvisamente e senza alcun motivo tirano fuori una pistola e cominciano a sparare, dopodiché lui scappa per un quartiere dove tutte le porte delle case e dei negozi sono aperte anche di notte. Comunque, alla fine si trova magicamente teletrasportato nell’antica Cina, dove una serie di strani personaggi lo aiuteranno ad attraversare foreste e deserti per raggiungere infine le Tle Cime di Lavaledo, su cui ha sede l’impero cattivo di turno. Naturalmente il bene trionfa, e il ragazzo riesce ad essere infine caricato su un Airbus A340 Lufthansa che lo riporta a Boston sano e salvo; nonostante una lunga coda al controllo passaporti, riuscirà a raggiungere gli amici cattivi e a dargliele finalmente di santa ragione al grido di “Adriana!”.

In tutto questo c’è un altro grosso problema: l’american boy è interpretato da tal Michael Angarano, un ventenne che per faccia ed espressioni riesce ad essere un clone altrettanto brutto, vecchio e antipatico di George W. Bush. Egli spara le sue battute con un pathos degno di un venditore di aspirapolveri, anzi, per essere precisi, di George W. Bush che tenta di vendere aspirapolveri. Per fortuna, nel film ci dà grandi soddisfazioni, visto che si prende mazzate dall’inizio alla fine; tuttavia, risulta costantemente fuori posto, improbabile quanto Mara Carfagna ministro della Repubblica.

Capite che non ci si può aspettare molto dalla trama e dalla parte americana del film, ma non è quello il punto. Per fortuna, infatti, la pellicola si trasforma presto in uno show personale di Jackie Chan, uno dei più grandi attori degli ultimi cinquant’anni: un vero fuoriclasse dei film d’azione. E’ raro trovare uno che contemporaneamente è capace di esibirsi in evoluzioni mozzafiato, coreografarle in modo che siano divertenti invece che noiose, riuscire regolarmente a farti ridere e comunque dipingere un personaggio interessante, con profondità e credibilità.

In più, qui gli affiancano il numero 2 tra i kung-fu master viventi, Jet Li (che spero ricorderete in Arma Letale 4 o nel suo esordio occidentale da protagonista, Romeo deve morire). Avevo il terrore che il film si rivelasse una insana ammucchiata in cui Li e Chan si pestavano i piedi a vicenda, tipo quelle squadre di calcio che comprano ventisette attaccanti di prima fascia e solo dopo si accorgono che possono andarne in campo massimo un paio alla volta. Invece, incredibilmente, c’è chimica: almeno in alcune occasioni, i due mettono insieme scenette alla Ciccio e Franco davvero spassose.

L’altra meraviglia del film sono i paesaggi cinesi, sicuramente aggiustati in digitale, ma davvero bellissimi: vale la pena di vedere il film solo per la fotografia. Aggiungeteci poi un paio di roditrici cinesi di altissimo livello, dedite ad abbondante fan service per tutti i gusti: maso quando una delle due pesta a sangue l’odioso americano; lesbo quando si menano tra loro; sado quando la mena Jackie Chan. Che volete di più?

[tags]cinema, lufthansa, forbidden kingdom, jackie chan, jet li, george w. bush[/tags]

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