Non si esce vivi dagli anni ’80
Gli anni ’80 erano quelli in cui tutto doveva essere grande, ricco, luccicante: forse perché eravamo bambini, o forse perché sono stati l’ultimo grande periodo di ottimismo planetario. Anno dopo anno, la Borsa cresceva, la pubblicità faceva salire le vendite, la televisione privata ingrandiva il sogno: il sogno americano. Anche noi saremmo stati l’America, pieni di oggetti inutili ma ottimi per soddisfare il nostro consumismo, agghindati e firmati per soddisfare l’edonismo, protetti da scudi spaziali e tecnologie mozzafiato contro il comunismo, e tutti lanciati verso una carriera da manager… o da rock star.
Delle rock star, ovviamente, la più grande era Michael Jackson: il simbolo vivente dell’altro mondo, quello con meno pizza e più hamburger, meno pastasciutta e più fast food, meno bagnini da spiaggia e più gang nere delle periferie urbane che si affrontavano a passo di coreografie impossibili. Le sue uscite erano rare ma epocali: ogni canzone, ogni partecipazione, ogni video erano un evento, e segnavano l’agenda del mondo. L’apparizione di Billie Jean su MTV (primo video di un nero ammesso sui televisori americani) fu un momento storico comparabile all’elezione di Obama; del disco-evento We Are The World siamo ancor qui a pagare le conseguenze oggi, un concertone benefico dietro l’altro.
Anche se qui in Italia molti storcevano il naso – non era di sinistra, era americano e anzi faceva la pubblicità alla Pepsi – la qualità musicale era indubbia; quella spettacolare ancor di più. Prigioniero del gigantismo degli anni ’80, MJ doveva ogni volta stupire con qualcosa di nuovo, qualcosa di meglio, qualcosa di mozzafiato. E ci riuscì ancora fino a Dangerous (1991); poi i tempi cambiarono. Madonna, persona di intelligenza rara, seppe reinventarsi più e più volte; Michael Jackson non poteva.
Persino se non considerassimo il fatto che Jackson non ha avuto né una adolescenza né una infanzia, una persona che a 23 anni scrive ed interpreta il disco più venduto della storia dell’umanità come può avere un’esistenza adulta all’altezza di se stesso? Non può: infatti dal mondo Michael Jackson ha avuto tutto, tranne una vita. La sua lunga e miserabile agonia ventennale è l’agonia ventennale del sogno di quegli anni, dell’idea che si potesse essere sempre più ricchi, sempre più moderni, sempre più luccicanti, sempre più grandi, proiettati verso una crescita infinita. E’ ironico che Michael Jackson muoia proprio in questo momento di crisi finale del nostro modello economico: perché, è chiaro, con lui muoiono definitivamente gli anni ’80.
P.S. In realtà però sappiamo che tutto questo è falso, perché Michael Jackson non faceva altro che plagiare Al Bano…
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