Sì, viaggiare
Questo è quasi certamente l’ultimo post dell’anno: sto infatti per staccare qualche giorno in montagna, e (grazie a Vodafone, di cui a tempo debito scriverò per bene peste e corna) non avrò la connessione a Internet. Certo, c’è sempre la biblioteca di Brusson, ma vedrò di non andarci se non in caso di necessità …
Oggi era una bella giornata e fuori dalla mia finestra si vedeva tutto l’imbocco della Valsusa, col Musiné da un lato e la Sacra dall’altro. Era una di quelle giornate dal panorama magnifico e infinito che ti invogliano proprio ad andare, e dunque me lo sono chiesto: ma perché, oggi, sono a Torino e non in uno dei tanti altri posti che ho visitato? In questi ultimi anni ho un po’ ridotto il ritmo dei miei giri per il mondo; comunque nel 2010 sono stato due volte a Londra, ho fatto un giro tra Belgio e Germania, sono stato una settimana a Vilnius e un mese in Cina (sempre con qualche forma di sovvenzione da organizzazioni varie).
Negli ultimi dieci anni ho avuto la fortuna di venire spedito o invitato in mezzo mondo. Viaggiare spesso, specialmente quando non lo si fa per turismo, cambia la forma mentis; ti abitua a modi di vivere diversi dal tuo, ti fa scoprire il meglio e il peggio degli altri, ti dà idee e progetti. Ti spinge, anche, a ritrovare la tua cultura: non mi sarei mai interessato davvero al piemontese se non mi fossi trovato qua e là per mezzo mondo, perché è proprio quando ti trovi a confronto con l’altro che impari quanto sia importante essere se stessi.
Allo stesso tempo, impari che a Londra o a Shanghai (o in un villaggio della campagna lituana) si può vivere altrettanto bene che a Torino, con dei pro e dei contro diversi, e dunque che non c’è alcun vero motivo per stare in un posto preciso. Capisci, insomma, la bellezza del nomadismo; il sogno di viaggiare senza fermarsi mai, di scoprire sempre un posto nuovo, o di ritrovare, uguale e diverso, un posto dove sei già stato tanto tempo fa.
Capisci, anche, che la nostra società non incoraggia il viaggiare che non sia fuggevole consumo; che, specialmente in Italia (ma non solo), siamo ancora un branco di animali dove il fatto di essere fisso lì da tanto tempo è premiante, perché in una società piramidale il ruolo sociale è importante, e si acquista solo con una lunga interazione con gli abitanti del posto. Il nomade, dunque, ha il privilegio di saperne di più; e la condanna di essere sempre marginale ovunque si fermi.
Accanto al nomadismo tradizionale ed evidente, quello degli zingari, c’è ormai in gran misura un nomadismo sottile e poco notato, quello di chi gira il mondo da un lavoro all’altro, da una università all’altra, da una multinazionale all’altra. E’ questa, se c’è, la base di una possibile nazione mondiale, una classe di persone che non rinnegano le proprie origini, ma per cui il passaporto è essenzialmente una fidelity card e i confini degli Stati sono soltanto una coda in più all’aeroporto. Sono persone spesso viste con sospetto, anche perché sono in parte l’ossatura del potere globalizzato; eppure, sono di solito quelle che immaginano meglio il futuro.
[tags]viaggiare, nazionalità , nomadi, globalizzazione, patria, società [/tags]