La casa è un diritto (anche per chi ce l’ha)
Anche se raramente arrivano all’onore delle cronache, storie come quella di via Frejus 83 – famiglie che non possono più pagare l’affitto della casa in cui abitano, ma resistono allo sfratto non sapendo dove andare – sono sempre più frequenti nella nostra città . Sono paradossali, in una città con decine di migliaia di alloggi vuoti, spesso nuovi di zecca e mai abitati. Sono storie che da sole non si risolvono, perché caratterizzate dal conflitto tra due esigenze primarie: quella di avere un tetto sulla testa e quella di poter usufruire del proprio patrimonio legittimamente acquisito. Proprio per questo, sono storie che evidenziano soprattutto un vuoto, il vuoto della politica e dell’amministrazione pubblica, che esiste appunto per gestire collettivamente situazioni singolarmente ingestibili.
La discussione di questi casi degenera di solito in diatribe ideologiche: nella nostra società è considerato prevalente il diritto di proprietà , dunque quasi tutti sono a favore dello sfratto, mentre una rumorosa minoranza – ben rappresentata dai centri sociali, che infatti si sono buttati a pesce a strumentalizzare il caso, ma che raccoglie molti insospettabili adepti anche nei salotti buoni e tra gli intellettuali alla moda – ritiene che sia prevalente il diritto alla casa. In realtà , esiste una soluzione che riconcilia entrambe le esigenze: lo sfratto s’ha da fare, ma il Comune deve trovare una sistemazione provvisoria a queste persone; una sistemazione che, come per i sussidi di disoccupazione nei sistemi sani, fornisca un aiuto temporaneo ma non diventi a tempo indeterminato.
Infatti, la realtà spesso è molto meno chiara di come la dipinge l’ideologia. Io nella mia vita ho assistito direttamente a situazioni molto varie; ricordo il dramma, da bambino, di quando pignorarono i mobili alla nostra vicina di casa; ricordo una visita da amici alle case popolari di corso Taranto, con persone che non compravano la carne perché costava troppo ma avevano, magari di terza mano, il macchinone e la TV gigante con l’abbonamento al calcio Sky; ricordo i miei parenti che affittarono il loro alloggio a una avvocatessa in carriera, certo non a corto di denaro, che smise di pagare l’affitto dopo i primi due mesi sfidandoli a farle causa, e ci sono voluti quattro anni per buttarla fuori; ricordo la casa popolare in cui vivono alcuni amici, dove la vicina di sotto si fingeva ragazza madre disoccupata, nascondendo il compagno fisso e i redditi, per mantenere la casa e l’affitto quasi nullo, truffando lo Stato e negando la casa a qualcuno più bisognoso di lei.
Come vedete, c’è una cosa che proprio non si può fare in questi casi: giudicare per categorie precostituite. Quando io sento parlare dell’ennesima “proroga del blocco degli sfratti”, mi vengono i brividi: perché accanto a situazioni che meritano sostegno, ci sono tantissimi furbi che stanno in una casa altrui a spese altrui. E’ pratica tutta italiana quella di scaricare i problemi su chi è così sfortunato da trovarseli in casa (vedi anche, su scala gigante, la vicenda della Clinica San Paolo, dove il problema dell’accoglienza dei profughi venne scaricato su chi ci abitava vicino senza tanti complimenti). Io non sono affatto contrario a un riutilizzo anche forzoso degli spazi inutilizzati in città : se ci sono strutture inutilizzate, anche private, le si metta a buon uso. Ma non si scarichi il costo dell’assistenza sullo sfortunato proprietario di turno, talvolta senza nemmeno andare a vedere se questa assistenza è veramente meritata.
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