L’era del baratto
Circola in questi giorni per la rete una parabola, riportata anche da Byoblu, che parla di economia. Sostiene che la crisi economica non esista, ma che sia indotta dall’esistenza degli intermediari, che in quanto speculatori e parassiti lucrano alle spalle dei lavoratori e che li affamano per guadagnare alle loro spalle, arricchendosi senza faticare; e che la soluzione della crisi sia eliminare le sovrastrutture – gli intermediari, il commercio, il mercato – e ritornare all’economia del baratto.
Indubbiamente la distanza tra finanza (moneta) ed economia (lavoro) è alla radice della crisi globale, con numerosi sotto-problemi: l’uso del debito per mantenere un livello di vita ingiustificato, la manipolazione dei prezzi di beni essenziali a fini speculativi, la gestione delle risorse e delle industrie con ottiche di breve anziché di lungo termine, l’accumularsi di rendite di posizione ingiustificate, la mancanza di democrazia e di garanzia del pubblico interesse nella finanza globale, compreso il tema della sovranità monetaria.
Tuttavia, io sono preoccupato dall’offerta di soluzioni semplici, stile “ci sono i cattivi, prendiamoli, cacciamoli, e tornerà l’età dell’oro”. L’odio per la finanza, equiparata per principio alla speculazione, non è nuovo e ritorna ciclicamente in ogni momento di crisi; fu per esempio la base per l’affermarsi del nazismo e dell’antisemitismo.
La parabola del baratto è seducente, perché prospetta una soluzione semplice e perché si riallaccia alla nostalgia per il passato, per la ricchezza di cui l’Italia godeva quando eravamo giovani e per una presunta età dell’oro in cui gli uomini vivevano liberi e felici in armonia con la natura – anche se, a ben vedere, l’Italia della dolce vita non era una civiltà agreste, ma una potenza industriale in pieno boom; nell’Italia agricola abbiamo trascorso secoli a scannarci e a morire di fame.
La verità è che la nostra è una società complessa e che può sopravvivere soltanto grazie a tale complessità , di cui la finanza è una componente imprescindibile. Fin che si parla di frutta, formaggio, mobili e indumenti si può pensare ad una economia fondata solo sul baratto, a patto naturalmente di vivere in una parte del pianeta dove coesistano naturalmente grano, frutta, pecore e legno, cosa che può essere vera per l’Italia ma non per tante altre parti del mondo. Ma io vorrei chiedere a Byoblu come ci si può procurare per baratto, ad esempio, una automobile, o un qualsiasi mezzo di trasporto più evoluto del cavallo; oppure un telefonino o il computer con cui ha scritto il suo post, o il pannello solare che dovrebbe rappresentare la nostra sorgente di energia rinnovabile per il futuro, o le grandi infrastrutture come ferrovie, autostrade e reti di telecomunicazione, o i farmaci di sintesi e le apparecchiature mediche avanzate che ci hanno permesso di raddoppiare la nostra aspettativa di vita.
La nostra società – prima ancora che la nostra economia – si basa infatti su oggetti estremamente complessi, che possono essere realizzati soltanto mettendo insieme risorse naturali sparse per il pianeta e competenze superspecializzate, e che spesso richiedono un investimento collettivo enorme, fuori della portata di qualsiasi singolo, che richiede a sua volta l’esistenza di strumenti per astrarre la ricchezza degli individui, metterla in comune e usarla per sostenere l’investimento, ripagandolo poi in qualche modo: appunto, la moneta e la finanza.
L’esistenza di storture e ingiustizie nella finanza mondiale è indubbia e va affrontata in modo nuovo, senza avere paura di cambiamenti anche profondi nelle regole della nostra economia. Strumenti (finanziari!) come la moneta complementare locale, ad esempio, possono ridurre il potere della finanza globale sulle nostre vite e sui nostri territori; dinsincentivi e limiti alle leve finanziarie, agli arbitraggi speculativi, alla delocalizzazione delle attività , all’arricchimento sul lavoro altrui, sono concepibili e opportuni. Lo stesso baratto è un’ottima cosa dove possibile, perché porta a riusare oggetti anziché produrne di nuovi e a ridurre le distanze percorse dai beni. Questo però non vuol dire che tutta l’economia possa funzionare così e che si possa tornare ad una società senza finanza, senza commercio e senza moneta – a meno che veramente non si voglia vivere in un mondo in cui un maglione di lana è l’oggetto più complesso di cui disponiamo.
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