Un movimento di cuore
Non mi piace molto parlare di questioni che esulano dal mio mandato comunale, ma è da giorni che vorrei dire qualcosa sulle vicende dello scorso weekend, sulla serie di post in cui Grillo attacca alcuni consiglieri emiliani e l’incontro di attivisti tenutosi a Rimini. Se ne potrebbe parlare per pagine, ma vorrei comunicare solo un paio di cose fondamentali.
La prima è che c’è in giro grande confusione tra il concetto di movimento e quello di partito. Un movimento non ha iscritti né regole, cambia continuamente percorso in modo anche contraddittorio, si basa sulla condivisione volontaria degli obiettivi e su forme di leadership dettate dall’autorevolezza, e in ultima analisi sui rapporti interpersonali tra singoli, che nessuno può obbligare a fare ciò che non vogliono. Un partito si basa sulle regole, sui diritti e sui doveri assunti da chi vi partecipa, sulla conta degli iscritti con le votazioni (online o per alzata di mano cambia poco), su gerarchie ben definite in cui qualcuno (un singolo o un’assemblea cambia poco) dà ordini a qualcun altro, e in ultima analisi si basa su rapporti di potere interno, spesso legati alla visibilità e al consenso dei singoli esponenti.
Mi è chiaro che Grillo intende se stesso come il punto di riferimento di un movimento, libero di fare e disfare a proprio piacimento riflettendo ciò che ritiene andare nello spirito e nell’interesse generale, a partire dall’impedire qualsiasi trasformazione in partito. Mi è chiaro che molti dei consiglieri eletti e degli attivisti più assidui del Movimento 5 Stelle, persino senza rendersene chiaramente conto, spingono per un passaggio al partito, con regole che garantiscano a ognuno di loro una fettina di potere sulla gestione del Movimento, e vincolino lo stesso Grillo. Mi è infine chiaro che alla maggior parte degli elettori interessa solo che noi manteniamo l’onestà e il programma su cui ci siamo impegnati; dell’organizzazione interna importa poco o niente, purchè non ci si ammazzi a litigare.
Di qui, invece di discutere animatamente su singoli fatti e singole persone, dovrebbe partire una riflessione collettiva su chi siamo e dove vogliamo andare; ne abbiamo urgente bisogno.
Però, secondo me, non sono le regole il punto più importante; e vorrei a questo proposito raccontare un aneddoto. Due anni fa, dopo le regionali in Piemonte, il clima di festa si trasformò presto in tempesta. Ci mettemmo a litigare tra noi in rete per le solite questioni di procedura e di principio, le stesse che si ripropongono oggi in Emilia. Io scrissi un post, partì un flame, decine di commenti. Verso la fine trovai un commento di un certo Alberto dei No Tav, che diceva innanzi tutto questo:
Un movimento, un gruppo, un’associazione vive, prospera, cresce se alla base di tutto c’è la stima reciproca e il profondo rispetto degli uni verso gli altri; ma non basta. Bisogna sforzarsi di cfedere veramente che: “Tante teste, tante idee e questo è un plusvaloreâ€. Noi del mvimento NO TAV siamo una forza perché ci stimiamo e ci vogliamo bene prima di tutto, poi perché abbiamo imparato ad essere tolleranti verso le idee degli altri (NO TAV).
Si possono dire tante cose giustissime, ma qualche volta è “come si dicono†che rovina la frittata. Comunque è bellissimo che a differenza degli altri partiti ci sia la capacità di discutere pubblicamente “in piazza†le proprie idee. Anche se si scandalizzano i benpensanti.
Alberto è una persona eccezionale; ha ragione su tutta la linea. Il Movimento, se morirà , non morirà per infiltrazioni o per carrierismi. Morirà perché avremo smesso di stimarci, rispettarci e volerci bene tra noi, nonostante le nostre differenze, e quindi di essere entusiasti ed energici e di divertirci in ciò che facciamo, e il degrado sarà solo una conseguenza di tutto questo. Le stesse persone che in un contesto positivo agiscono positivamente, in un contesto negativo diventano paranoiche, egoiste e cattive.
Da quasi un anno, mettendo la testa fuori dal proprio ambito locale, nel giro interno al Movimento si vedono paure, fantasmi, sfiducia reciproca. Questo avviene perché, di fronte alla normale ansia della compagnia esordiente che ha conquistato i teatri di periferia ma ora deve debuttare a Broadway, abbiamo smesso di parlarci di persona; ci conosciamo e ci capiamo sempre di meno, fino a che non ci fidiamo più. Dobbiamo parlarci senza paura col cuore in mano, anche criticarci reciprocamente dove c’è bisogno, per poi ricostruire fiducia e spirito di squadra; ma farlo anche a quattr’occhi, non solo tramite una tastiera e con tutti gli equivoci che la comunicazione in rete porta con sé.
Per questo spero che l’escalation di provocazioni e incomprensioni si fermi, che tutti ragionino su come capirsi, e che si apra un dialogo sincero. Trovate voi litiganti le forme e le sedi opportune (io in questi giorni non faccio altro che cercare di far ragionare tutti, spesso prendendomi insulti a prescindere… è il triste destino dei costruttori di ponti). Però facciamolo.
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