Anarchia o cazzi propri
Sabato sera, alla festa No Tav Valsangone di Rivoli, mi hanno portato a sentire il concerto di Daniele Sepe, e tramite un’amica comune ho avuto anche modo di scambiare alcune parole con lui. Per chi non lo conoscesse, Sepe è un gran musicista e il concerto, mescolando jazz, world music e canto popolare, è stato di livello musicale veramente elevato.
D’altra parte, Sepe è anche un artista dichiaratamente di sinistra, che pubblica i suoi dischi per il Manifesto e non sa se definirsi più anarchico o più comunista; e così, parlando dei partiti che espellono gente ogni minuto senza che nessuno si scandalizzi, il suo esempio è stato “come Rifondazione con Ferrando”, e alla fine si è un po’ lamentato di essere stato depennato da certe manifestazioni da quando ha dato spazio sul palco a Oreste Scalzone; e anche se concordiamo entrambi che il Movimento 5 Stelle ha evitato che la rabbia si riversasse in una insurrezione di piazza, per me questo è un fatto positivo mentre per lui non tanto.
Ora, è chiaro che la sua non è l’ideologia del Movimento, e personalmente quando sento tutti questi discorsi e tutte queste canzoni presi di peso dagli anni ’70, pieni di termini come “compagni” e “proletariato”, provo la stessa sensazione che ho visitando le rovine romane e leggendo le iscrizioni in latino scritte sul marmo: un interessante lascito di qualcosa di completamente morto, in primis non nei contenuti (perché alcune delle analisi possono anche essere ancora attuali) ma nel linguaggio e nel modo di porli. E se sento definire Scalzone “una persona che ha pagato quello che doveva alla giustizia” mi sento proprio poco d’accordo, dato che trent’anni di latitanza a Parigi in attesa della prescrizione non mi sembrano esattamente il pagamento che era dovuto.
D’altra parte, l’incontro fortuito è stato positivo; lui è stato fortunato a incontrare credo l’unico eletto del Movimento 5 Stelle nel raggio di cento chilometri che sapesse almeno a grandi linee chi è Oreste Scalzone, e io sono stato fortunato a sentire un punto di vista ragionato e diverso dal mio, visto che chiudersi in un gruppo di gente che la pensa tutta uguale e si dà sempre ragione a vicenda non fa bene alla salute, anzi dissecca il cervello.
Perché, indubbiamente, il passato ritorna ed è preoccupante che si affronti il presente senza conoscerlo. Sepe ha chiuso il concerto con la Ballata di Franco Serantini tracciando un paragone tra quest’ultimo e Stefano Cucchi, ed è vero che quarant’anni dopo in Italia si continua a morire di polizia, anche se negli anni ’70 la polizia ammazzava manifestanti e attivisti politici, e oggi ammazza ultrà e persone fragili. Il “né di destra né di sinistra” del Movimento 5 Stelle è dunque un passo avanti verso forme politiche nuove, oppure è un passo indietro verso l’ignoranza della storia?
La verità è che “né di destra né di sinistra” non vuol dire privo di idee, e forse nemmeno privo di ideologie. Ci sono molte ideologie non posizionabili sul tradizionale “arco costituzionale”, e quella che ci viene più spesso attribuita è il qualunquismo, il populismo. Secondo me è un errore; non ho mai avuto il piacere di chiacchierare con Grillo di queste cose, ma vedendo la sua casa piena di libri e leggendo la sua storia personale mi sembra chiaro che il suo retroterra culturale e politico non è il qualunquismo, ma è l’anarchia disillusa del suo grande amico Fabrizio De André; anarchia che peraltro è anche alla base concettuale dell’invenzione di Internet, e di qui il suo trovarsi con Casaleggio.
Il Movimento 5 Stelle è – magari inconsapevolmente – un movimento anarchico, ma ben lontano dall’anarco-insurrezionalismo dei centri sociali, che è “né di destra né di sinistra” perché si è spinto talmente avanti da uscire dal bordo sinistro dello schermo; se mai, viene dal libertarismo americano degli hacker e dei fondatori della rete e in parte anche dall’anarco-capitalismo alla Ron Paul, contemperati però con tradizioni anarchiche europee come il rifiuto della delega elettorale, l’antimilitarismo, l’autogestione dal basso, l’attenzione agli ultimi della società , la rivendicazione della comunità dei beni essenziali.
E’ un movimento che non aspira a distruggere il sistema insorgendo nelle piazze, ma abbracciando la democrazia per svuotarla della gerarchia. Per questo è così tremendamente pericoloso per il potere: perché per la prima volta lo potrebbe distruggere con i suoi stessi mezzi. E per questo è, effettivamente, una forma politica nuova e tutt’altro che priva di obiettivi di lungo termine e di coerenza ideale.
C’è, però, un problema: che un conto è provare a essere “né di destra né di sinistra” in un quadro concettuale chiaro come questo, e un conto è esserlo per (nessuno si offenda) ignoranza, perché in tal caso l’azione politica, oltre a perdere di efficacia, può diventare disastrosa. Un bell’esempio è quel che sta accadendo nei nostri gruppi parlamentari.
Nella politica tradizionale, difatti, le persone si riferivano a un ideale e spesso erano pronte persino a morire per esso. Più prosaicamente, nella politica piccina di questi anni, i politici di professione hanno comunque almeno la voglia di fare politica, il che li spinge a cercare perlomeno di farla il più a lungo possibile. L’impressione è che nel nostro gruppo parlamentare siano finite anche persone che non solo non hanno alcun ideale e alcuna cultura politica che gli permetta di averne a ragion veduta, ma non hanno nemmeno alcuna particolare voglia di fare politica; ci son finite per caso o perché hanno visto l’occasione di trovare un lavoro molto ben retribuito, indipendentemente da quale fosse.
E’ chiaro che se una persona non ha ideali, ma solo pragmatismo, e nemmeno tanta passione di fare politica, a quel punto prevale il pragmatismo supremo, quello degli interessi personali. E così, si farfugliano tre parole un po’ a caso sulla “democrazia interna” e sul “sistema feudale”, probabilmente senza nemmeno ben capire cosa vogliono dire, come scusa per andare a farsi i cazzi propri e per attirare l’occhio della televisione compiacente, da bravi protagonisti del “rotocalco cafone” di cui parlava De André.
Insomma, un movimento politico che non sappia promuovere nei propri militanti un ideale forte sarà sempre soggetto a continue fughe e problemi di personale, perché è proprio il credere in un ideale che porta le persone, almeno ogni tanto, a non fare il proprio interesse, e a metterlo in secondo piano rispetto all’obiettivo collettivo; e perderà di efficacia, perché il pragmatismo può dettare la tattica, ma è l’ideale a dettare la strategia.
Credo dunque che al Movimento 5 Stelle non manchino, come talvolta viene contestato, un progetto politico e un quadro ideale di riferimento. Manca, se mai, la capacità di trasmetterlo coerentemente ai propri attivisti e di assicurare che almeno chi viene scelto per le posizioni elettive di maggior responsabilità lo abbia approfondito, compreso e accettato nel profondo, distinguendo tra una visione anarchica della società della rete e il mero individualismo senza valori. E su questo, davvero, bisognerebbe lavorare.