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lunedì 1 Febbraio 2021, 13:57

Di regole e rischi di contagio

Vi chiedo perdono se questo post sarà un po’ lungo, ma spero che vi sarà anche utile a capire come funziona (o dovrebbe funzionare) la gestione di una pandemia. Nasce dal fatto che l’interessante discussione di ieri su Facebook sulla messa e sulle distanze in chiesa mi ha fatto accorgere di una cosa che non avevo ancora focalizzato.

Personalmente, durante questa pandemia, distinguo ciò che è pericoloso da ciò che non è pericoloso in base alla lettura regolare di report e articoli scientifici. Spesso, come è normale, i report si contraddicono un po’, ma ormai, dopo un anno, sappiamo con buona certezza diverse cose:

  • i contagi all’aria aperta sono molto improbabili, a meno che non ci si fermi a parlare con un positivo senza mascherina, o non si attraversi la nuvola di uno che ha appena tossito senza mascherina, o non si stia per mezz’ora tutti pigiati; del resto, nonostante i moralismi sui giornali, nessuno ha ancora mostrato legami statistici evidenti tra maxi assembramenti in piazza e forti ondate di contagi nella zona;
     
  • i contagi da superficie, toccando un oggetto su cui qualcuno ha lasciato del virus, sono altrettanto improbabili, anche se su questo i dati sono minori ed è comunque provato che il virus resiste per diversi giorni sulle superfici a temperatura ambiente, e ben di più a bassa temperatura (da qui i contagi nei mattatoi);
     
  • le situazioni di pericolo sono dunque principalmente quelle in cui si sta al chiuso per un periodo di tempo superiore a, diciamo, dieci minuti (c’è chi dice 5, c’è chi dice 15), e nella stanza c’è o c’è appena stato un infetto;
     
  • la probabilità di infettarsi dipende sia dall’efficacia della mascherina dell’infetto, sia dal tempo di permanenza, sia da quanto l’infetto è malato, in quanto alcune persone “super-spreader” emettono cariche infettive molto superiori alle altre, e pare che il 20% dei malati sia responsabile dell’80% dei contagi o giù di lì; dipende anche da cosa fa l’infetto, perché respirare normalmente emette relativamente poche particelle, mentre parlare (in particolare dicendo lettere tipo p e t), e ancora di più gridare o cantare, e ancora di più tossire, provoca una emissione di fiotti di particelle potenzialmente infette;
     
  • al chiuso, il fatto di mantenere le distanze è relativamente poco rilevante; la distanza minima di sicurezza, misurata sulla ricaduta di particelle sputate, sarebbe due metri (mentre noi, a differenza di altri paesi, ne abbiamo imposto uno, che è di suo insufficiente), ma va bene solo se non c’è circolazione d’aria; bastano una corrente d’aria o un condizionatore per trasportare le particelle anche a 5, 10, 20 metri di distanza attraverso una sala o un ufficio, come nel famoso diagramma del ristorante di Wuhan che vedete sotto, tanto che c’è anche chi dice che aerare le stanze con le persone dentro sia controproducente;
  • per questo, gli ambienti più pericolosi sono quelli chiusi in cui la gente “emette” particelle senza mascherina (ristoranti), in cui c’è tanta gente rispetto al volume, o in cui il ricambio d’aria è minimo (tipo un ascensore, se uno ci stesse dentro più di un minuto).

In base a tutto questo, io stimo il rischio di quello che sto per fare e mi comporto di conseguenza, decidendo se accettarlo o meno e come proteggermi.

Ieri ho invece scoperto un sacco di gente che applica un principio piuttosto diverso: se una cosa è permessa dalle regole è certamente sicura, altrimenti è molto pericolosa. Quindi, tu spieghi che c’è una situazione di pericolo e loro rispondono “quindi sono state violate le regole?”, tu dici che le regole erano rispettate e loro rispondono “allora certamente non c’è pericolo”.

Ora, non so bene come si faccia a essere ancora convinti di questo a fronte del fatto che le regole cambiano ogni settimana, e che cose indicate fino a un minuto prima come vietatissime sono d’incanto permesse o viceversa. Il punto delle regole restrittive infatti non è distinguere ciò che è sicuro da ciò che è pericoloso, ma gestire il rischio in maniera statistica.

Infatti, il numero di contagi ogni giorno è pari al numero di persone infette in circolazione moltiplicato per il rischio medio di contagio delle attività che fanno (rischio medio che si riflette direttamente sul famoso Rt). Immaginate di avere un tabellone in cui a ogni attività è associata una probabilità di contagio: sarà un insieme di valori sparsi per tutto il campo tra zero (nessun rischio) e uno (contagio sicuro). Permettendo o vietando una attività, in funzione anche di quanto tale attività è frequente, si altera il rischio medio complessivo delle attività di tutti.

Per questo motivo, se diminuisce il numero di persone infette in circolazione si possono permettere attività più rischiose, facendo risalire un po’ il rischio medio; viceversa, durante i momenti di picco bisogna ridurre il rischio medio vietando attività anche meno rischiose.

Naturalmente, un paese efficiente avrebbe un tracciamento efficiente e saprebbe stimare almeno un po’ il fattore di rischio di ciascuna attività. In Italia, invece, non si faceva bene il tracciamento nemmeno quando i casi erano dieci, figuriamoci oggi. Infatti, il governo non è mai stato in grado di produrre dati precisi su dove e come avvengono davvero i contagi; ogni tanto qualche ministro fa una sparata, citando vaghi numeri senza fonte purché utili alla sua propaganda. Ma i dati veri non sono mai stati pubblicati e non sono nemmeno emersi di straforo, segno che essenzialmente non ci sono proprio.

Per questo, le nostre scelte su cosa chiudere e cosa aprire vanno un po’ per imitazione di altri paesi più organizzati (vedi l’ansia di inseguire Merkel prima di Natale), parecchio per le fisime dei decisori e dei media, a cui “pare” che una cosa sia pericolosa e lo ripetono fin che non diventa ufficialmente tale, e molto per scelta politica, in base a chi accontentare e chi scontentare e ai costi in termini di consenso, prima ancora che economici.

In conclusione, non c’è dubbio che le regole siano utili e che vadano generalmente rispettate, e che nell’aggregato siano importanti per contenere la pandemia, ma riferirsi alle regole per capire cosa sia sicuro e cosa no non è una grande idea; men che meno la conclusione completamente errata a cui spesso arriva chi lo fa, cioè che la gestione della pandemia sia una questione di polizia, e che tutto si risolverebbe militarizzando le strade e le case in modo che tutte le regole siano rispettate alla lettera, cosa che secondo loro farebbe certamente scendere a zero i contagi.

Quando si discute invece di quanto un determinato comportamento sia davvero pericoloso, è bene invece lasciare stare le zone colorate del momento, e riferirsi soltanto alla meccanica di spostamento di piccole goccioline piene di virus; anche perché il virus non ha preferenze politiche né riguardi costituzionali, e si limita a spostarsi nell’aria e riprodursi più che può.

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