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venerdì 27 Febbraio 2009, 05:07

Arrivo in Messico

La prima cosa che ho scoperto del Messico è che lontanissimo. Lo so che non ci crederete ma, causa curvatura terrestre, è stato il volo più lungo che abbia fatto (dodici ore pulite da decollo ad atterraggio) ad esclusione del viaggio in Nuova Zelanda: persino la California, persino il Giappone, persino il Sudafrica sono più vicini… o almeno mi sono sembrati tali.

Il volo è stato un po’ così: non fanno più i film di una volta, e mi sono toccati una inesistente commedia al femminile con Meg Ryan (sì, è ancora viva) e un improbabile film di spionaggio con Rosario Dawson e Billy Bob Thornton (il protagonista era tal… aspe’ che me lo sono scritto… Shia LaBoeuf: vabbe’ che negli Stati Uniti qualsiasi stringa di caratteri è legale come nome o come cognome, ma questo si posiziona ben in alto nelle classifiche dei nomi assurdi).

Però il viaggio mi si è riscattato quando, nei venti minuti di coda all’immigrazione messicana, mi sono trovato dietro a due coppie di una certa età che, dall’accento, venivano da qualche parte tra Brescia e Verona. Quando il poliziotto messicano ha fatto tagliare la coda a una mamma con un bambino di sei mesi (persino in Messico ci arrivano…), loro hanno esordito commentando con garbo “uè, i soliti culattoni”; poi i due signori hanno cominciato a far casino perché secondo loro quelli in cima alla fila non erano abbastanza veloci nell’avvicinarsi agli sportelli man mano che si liberavano: e giù di “impedito!”, “deficiente!”, “baluba!” a voce altissima verso gente di tutte le nazionalità. Quindi se la sono presa con due ragazzi tedeschi che non avevano compilato i moduli sul volo, e appena possibile li hanno superati nella fila approfittando del loro rallentamento. Naturalmente, arrivati praticamente alla fine, al pre-controllo dei moduli gli hanno fatto notare che (nonostante fosse scritto e spiegato chiaramente sia in spagnolo che in inglese) non avevano compilato tutta la parte bassa dei moduli, e loro che fanno? Si fermano a compilare, ma nel contempo si allargano strategicamente a ventaglio in modo che nessuno possa superarli. Ah, la furbizia lombardo-veneta!

Comunque, ho scoperto ancora una volta che prepararsi vale: la prima regola per non farsi fregare da turista sperduto all’estero è scoprire in anticipo quanto devono costare le cose. Così sono arrivato allo sportello dei taxi prepagati (come si usa in tutto il Sudamerica, per evitare che il tassista possa ricattarti sul prezzo a corsa finita) e ho chiesto il taxi per il centro; e mi hanno chiesto 250 pesos (20 pesos = 1 euro). Io ho fatto tanto d’occhi e ho detto: scusate, mi hanno detto che ne costa 130! La risposta è stata: “Ah, ma lei signore vuole il biglietto singolo perché è da solo, poteva dirlo subito! Allora fanno 152 pesos.” Deciso che la contrattazione era soddisfacente, ho accettato e anzi ho dato pure altri 20 pesos di mancia al povero autista, che era gentile e d’aspetto simpatico.

Certo, ho capito molte cose già solo nel viaggio dall’aeroporto a qui: non solo che il posto forse non è poi così insicuro, visto che – a differenza del Brasile – i vetri del taxi non erano oscurati, l’autista non si è chiuso dentro con la sicura e la strada dall’aeroporto era a livello terra e non sopraelevata per evitare che dalla favela sottostante assaltino le auto dei turisti.

Per esempio, ho intuito che qui il tempo è irrilevante, tanto è vero che io ho lasciato l’aeroporto alle 19:30 ora locale sotto un tabellone luminoso che segnava le 21:13, e poco dopo in strada ne ho incrociato un altro che diceva “6:27”. Insomma, tutto è relativo, e si fa come si può: quando il tassista è arrivato e ha scoperto che per arrivare davanti alla porta dell’albergo doveva fare il giro dell’isolato, non ha avuto voglia: è andato avanti, poi ha messo la retro e ha percorso un centinaio di metri all’indietro a velocità folle perché così faceva prima.

Del resto, è la prima volta che arrivo in un business hotel e non solo non vengo inseguito dai fattorini che vogliono assolutamente portarmi la valigia, ma non trovo nemmeno nessuno alla reception; devi suonare un po’ di volte e poi compare qualcuno. Il collegamento inalambrico funziona, ma ti devono avvertire che nel modulo di login devi scrivere il cognome tutto maiuscolo e il numero di stanza con uno zero davanti, perché aggiungere una riga di codice al programma che lo faccia era faticoso. E poi vai a cena nel centro commerciale sottostante e in un invitante griglieria ci sono tre inservienti lì, ma chiedi se ti possono servire e ti rispondono di no, che in quel momento non hanno voglia di cucinare.

Però al gabbiotto di fianco mi hanno dato tacos del pastor e un misto di carne grigliata e jalapeños tritati con tortillas che era davvero buonissimo, il tutto per tre euro compresa la bibita. La parte culinaria promette bene; e adesso che qui sono le dieci, posso andare finalmente a dormire.

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2 commenti a “Arrivo in Messico”

  1. Alberto:

    Mi è capitato di sperimentare sulla mia pelle in Messico un trucco per aggirare il biglietto prepagato. Il tassista, al momento in cui gli consegni il biglietto, si dice certo che la tariffa del biglietto è quella sbagliata e che ovviamente la destinazione che gli chiedi costa di più. Nel caso mio il tassista truffaldino si è accontentato però di pochi pesos e, considerandolo una sorta di mancia, ho deciso di acconsentire alla truffa.
    In realtà la pratica di fare la cresta su quanto spendi sotto forma di resto sbagliato, tariffe errate o altro, è una cosa talmente comune in Messico che alla fine ci fai l’abitudine.

  2. D# AKA BlindWolf:

    “qualsiasi stringa di caratteri è legale come nome o come cognome, ma questo si posiziona ben in alto nelle classifiche dei nomi assurdi”. And the winner is…

 
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