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lunedì 14 Settembre 2009, 16:03

Storia di una ranocchia

[tags]cambiamento, ranocchia, olivier clerc, nuovo ordine mondiale[/tags]

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domenica 13 Settembre 2009, 23:54

Un bilancio culinario

Purtroppo la vecchiaia si sente, dato che oggi sono stati sufficienti due antipasti, due primi, due secondi e un dolce e mezzo (più sei bicchieri di vino) per stendermi e procurarmi la panza piena, l’allegria da vino rosso e cinque ore di sonno non appena rientrato in casa (ho fatto fatica a non addormentarmi sulla metro). Tutto ottimo come sempre, ma se sui primi siamo rimasti sul classico già sperimentato e selezionato negli anni – lasagnette della vigilia di Castello d’Annone e agnolotti d’asino di Calliano – per i secondi, data anche la coda per il fritto misto, abbiamo optato per l’affidabile polenta con merluzzo di Casabianca e per una new entry introdotta da pochi anni e che mi aveva incuriosito: il coniglio ai funghi con polenta di Montiglio Monferrato. Ecco, di questo coniglio bisogna parlare benissimo perché era davvero eccezionale: la carne era rosolata ai bordi e tenera dentro e il sugo ai funghi, con tanto di funghi interi, era eccellente. Sappiamo che il coniglio è roba da professionisti dell’area tra il basso Piemonte e la Liguria, e che mangiarlo richiede dedizione e tanto amore per via degli innumerevoli ossicini; ma questo piatto vale davvero la pena e diventerà certamente un appuntamento fisso.

Per quanto riguarda gli antipasti, che poi sono tipicamente dei piattazzi che potrebbero tranquillamente fungere da secondo, è stata la giornata del carpione: accanto a un classico rodato come la carpionata di cotoletta e frittatina con fagioli di Villa San Secondo, ho deciso di provare la tinca. Lo stand di Cellarengo era poco battuto, senza grande coda, perché anche la tinca in carpione è roba da professionisti, oltre che un piatto necessariamente non economico; eppure dietro a me c’erano addirittura dei turisti inglesi. E così ho scellato (come direbbe Faletti) un discreto sinchiuro e ho ottenuto questo:

IMAGE_036s.jpg

Anche la tinca in carpione era davvero ottima: una volta aperto il pesce, eliminate le spine e ignorati gli sguardi un po’ perplessi dei non professionisti che passeggiavano intorno, la carne era tenerissima e soda insieme e il gusto del carpione era perfetto; ce la siamo sbafata tutta mentre percorrevamo la lunga, infinita coda per il ritiro del fritto misto allo stand di Portacomaro, che infatti ci siamo fatti impacchettare da portar via e che costituirà la mia cena di domani (stasera ovviamente camomilla e al massimo una residua frittella di mele). Per i lettori internazionali aggiungo che per fritto misto si intende ovviamente quello piemontese, come descritto su Wikipedia, anche se vi avverto che se mai una volta dovessi trovare nel mio fritto, come sostiene Wikipedia, una “coppia di pavesini con all’interno marmellata o crema al cioccolato”, credo che verrei alle mani con chi lo ha prodotto.

Gira che si gira, comunque, un po’ di roba si porta via: i salamini d’asino, ma soprattutto i dolci – a parte l’obbligatorio zabaione con savoiardo di Revignano che va consumato caldo sul posto. Quest’anno la torta di mele e cioccolato di Corsione è più triste, dopo che poche settimane fa si è conclusa tragicamente la lotta di Michela Sesta – ma anche questo è un modo per ricordare.

Tornando alle sagre, quest’anno l’affluenza è stata incredibile, più ancora degli scorsi anni: addirittura verso l’una e mezza hanno finito i bicchieri di vetro… Pur arrivando presto, già a mezzogiorno allo stand di Calliano ci siamo trovati davanti a una coda epica; ci saranno state svariate centinaia di persone, e la coda iniziava ad almeno cinquanta metri dallo stand (questo anche per l’abitudine degli astigiani di presentarsi lì con pentole e gamelle per portare a casa cinque, dieci, venti porzioni di agnolotti e mangiarsele per i fatti propri; basterebbe che l’asporto venisse gestito con una coda separata e/o limitato al di fuori degli orari dei pasti, tanto se porti via devi comunque riscaldare la roba, ma l’organizzazione non è certo il forte delle sagre). Dopodiché, fatto il bigliettino, mi sono accorto che lo stand funzionava a sportelli; ce n’era uno per il ritiro dei salamini, con poche persone davanti, e due per quello degli agnolotti. La coda epica terminava davanti allo sportello più esterno, mentre davanti a quello più interno c’erano sì e no una ventina di persone, in una coda separata. Che fare? Naturalmente non ci sono transenne, indicazioni, numerini o altre forme di gestione di alcun tipo; funziona tutto ad ammucchiata. Alla fine ho deciso che se la gente si infila automaticamente in fondo a una coda senza guardare come funzionano veramente le cose non è colpa mia, dunque mi sono messo nella coda corta e ho avuto i miei agnolotti in due minuti, quando la maggior parte della gente ci ha messo almeno un’ora; e i ragazzi dello stand, mentre davano gli agnolotti, commentavano perplessi “ma perché la gente si mette tutta di là e nessuno di qua?”. Mentre mangiavamo, comunque, qualcuno dal fondo del piazzale ha cominciato a capire e ovviamente sono iniziate le discussioni; come è inevitabile quando le cose sono disorganizzate, ognuno si fa una propria idea di come debbano essere le regole e poi la difende urlando il più possibile. Non so come sia andata a finire perché, avendo gli agnolotti in mano, il mio istinto di cacciatore-raccoglitore mi ha detto di allontanarmi il più in fretta possibile; niente scatena gli istinti belluini e primordiali delle persone come la fame di agnolotto.

[tags]sagre, asti, festival, cibo, coniglio, fritto misto, carpione, tinca, salame, agnolotti, code, disorganizzazione[/tags]

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sabato 12 Settembre 2009, 22:03

Il tour delle sagre

Se foste persone di buon senso, non dovrei ricordarvelo io; a scanso di equivoci, però, ricordo che è aperto in Piemonte il periodo delle sagre settembrine. Questo è il weekend del Festival delle Sagre, di cui ho già parlato diffusamente gli anni scorsi, e domani a pranzo ovviamente sarò lì. Tuttavia, data la policy di distribuire un bicchiere di vino insieme ad ogni primo e secondo, unita al fatto che devo bere il vino per due, non credo che sia il caso che io abbia rapporti interpersonali con chicchessia, almeno dopo i primi due o tre piatti; la cosa positiva è che dopo una certa ora anche l’eventuale pioggia non si sente più, così come il rumore, il freddo, il caldo e qualsiasi altra sensazione a parte il gusto dei piatti e quella piacevole sensazione di rilassatezza. Comunque, mi scriverò da qualche parte il mio indirizzo di casa, così sarò certo di ritornare in qualsiasi condizione (ovviamente si va in treno!): non per nulla il festival è stato definito anche “la più grande piomba collettiva d’Italia”.

Vi segnalo anche come riempire l’agenda per il resto del mese: il prossimo weekend (anzi, da venerdì a lunedì) a Bra c’è Cheese, l’appuntamento biennale organizzato da Slow Food. Non è all’altezza del Festival delle Sagre, in quanto i prezzi per mangiare sul posto sono alti, il cibo è estremamente fighetto e le code sono garantite; in compenso però troverete bancarelle di produttori di formaggio da tutto il mondo, il che vi permetterà di assaggiare e comprare formaggi di cui altrimenti non sapreste nemmeno l’esistenza. A parte il fatto che ogni volta io saccheggio l’intero stand dei formaggi svizzeri – lo Sbrinz ormai si trova abbastanza facilmente, ma l’Appenzeller continua ad essere rarissimo in Italia – ce n’è veramente per tutti i gusti; secondo me il Bitto non vale il prezzo a cui lo vendono, ma vediamo se quest’anno riesco a recuperare il Pannerone di Lodi di quattro anni fa.

Infine, per chi vuole provare una esperienza simile al Festival delle Sagre, con meno scelta e meno piatti eccezionali ma anche con meno confusione, anche quest’anno a Casale c’è la Festa del Vino e del Monferrato, che – sia il prossimo weekend che quello ancora dopo – contiene la sua brava raccolta di stand gastronomici delle Pro Loco. Il sito è un po’ carente di informazioni in merito, ma se è come in passato gli stand sono nel mercato di piazza Castello – impossibile non trovarli, e potrete anche farvi un giro per il centro storico di Casale, che merita attenzione.

[tags]sagre, asti, bra, casale, cheese, slow food, festival delle sagre, festa del vino, monferrato, formaggio, svizzera, ubriachezza non molesta[/tags]

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sabato 12 Settembre 2009, 09:49

Sapore

Ignorare il proprio compleanno è diventato molto più difficile da quando esiste Facebook. Una volta bisognava studiarsi le date a memoria o perlomeno avere una rubrica ben organizzata, dunque soltanto gli amici più intimi e qualche parente si ricordavano della ricorrenza. Adesso, già da un paio di giorni prima comincia un afflusso di auguri e celebrazioni da parte più o meno di chiunque tu conosca.

Non è male, comunque; anche se giunti a una certa età, nonostante Facebook, quei meccanismi adolescenziali per cui la tua autostima dipende dal numero di persone che si ricordano di te sono passati da un pezzo, fa sempre piacere avere una scusa per chiacchierare con gli altri. Cogliendo dunque l’occasione per ringraziare posticipatamente o anticipatamente tutti quelli che mi hanno fatto o mi faranno gli auguri, diventa doveroso passare alla seconda considerazione del post.

Da oggi sono più vicino agli anta che agli enta; ciò non cambia assolutamente nulla nella mia vita, eppure provoca la necessità di una riflessione. Io sono sempre stato molto bravo a fare le cose straordinarie (nel senso di statisticamente infrequenti) e molto meno a fare quelle ordinarie; tuttavia, anche al verificarsi delle infrequenze statistiche c’è un limite. Ogni tanto penso che, per proseguire sulla strada tracciata dai 25 ai 30 anni e dai 30 ai 35, dai 35 ai 40 dovrei andare sulla luna e scoprire il petrolio in città… In realtà, penso che il miglior risultato sarebbe fare meno cose straordinarie e più cose ordinarie; dunque mi riprometto, in una specie di sindrome di Lucio Battisti in sedicesimo, di sparire progressivamente dagli schermi.

[tags]compleanno, progetti, battisti[/tags]

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venerdì 11 Settembre 2009, 13:47

Lo sgombero della Clinica San Paolo

Questa mattina è infine cominciato lo sgombero della Clinica San Paolo, occupata da mesi da centinaia di immigrati profughi del Corno d’Africa; sono passato verso le 11 a vedere com’era la situazione e a fare qualche fotografia.

Prima, dunque, i fatti: la situazione era assolutamente tranquilla. I vigili hanno chiuso il controviale di corso Peschiera; un ampio spiegamento di mezzi “pacifici” (vigili, pompieri, Protezione Civile, GTT e addirittura la società Autostrade; presumo che i rappresentanti dei profughi, come già per via Asti, abbiano chiesto che non ci fosse alcun genere di polizia, nemmeno quella stradale) permette di gestire la situazione. Gli immigrati stanno in vari capannelli per strada, poi a gruppi si mettono in coda presso un tendone della Protezione Civile dove vengono controllati, schedati e indirizzati sui pullman, che sono normali bus GTT su cui per l’occasione hanno messo un cartello con scritto “VIA ASTI – TORINO” (giusto se a qualche profugo venisse il dubbio su dove lo portano… se ci fosse invece scritto “CORSO BRUNELLESCHI – TORINO” non salirebbero). C’è anche un camion del Gabrio, presidiato da due centrosocialisti di numero, con uno striscione “DIRITTI PER LE/I MIGRANTI” e un impianto sonoro da centanta watt che spara musica orrenda.

Tutto bene, dunque, anche se allo sguardo non abituato colpisce un contrasto: da una parte i balconi e quel poco che si riesce a sbirciare dell’interno sembrano rovinati, mezzi spaccati, pieni di masserizie e rifiuti di ogni genere; dall’altra gli immigrati sembrano quasi tutti dei piccoli lord. Sono vestiti bene, talvolta anche eleganti, con vestiti apparentemente nuovi o nuovissimi; non si muovono con borse sdrucite e valigie di cartone, ma con i trolley da aereo; non spostano povere cose, ma anzi ho visto due di loro uscire con in braccio un grosso televisore, come se stessero facendo un normalissimo trasloco, e alcuni ingannavano l’attesa ascoltando musica dal loro iPod. Insomma, non sembrano miliardari ma nemmeno poveracci, sembrano persone con un livello di vita comparabile al nostro.

Prevedibile la reazione degli abitanti delle case circostanti, che sono spaccati in due: le vecchiette piangono di gioia come se gli fosse nato un nuovo nipotino; i vecchietti osservano in silenzio, ma se gli vai vicino commentano a mezza voce “Migranti di merda” e “Finalmente fuori dalle balle”.

A questo punto è giunta l’ora delle foto, che nell’ordine rappresentano: 1) veduta d’insieme; 2) alcuni balconi pieni di masserizie abbandonate, alcuni con le tapparelle piegate o sradicate; 3) un altro po’ del parco mezzi dispiegato per l’occasione; 4) gli immigrati in coda al tendone della Protezione Civile; 5) il bus su cui vengono fatti salire gli immigrati; 6) un altro po’ del dispiegamento di mezzi; 7) la via laterale piena di capannelli di gente, da un lato gli immigrati e dall’altro gli abitanti del quartiere; 8) i bagagli degli immigrati, in attesa di essere caricati; 9) un immigrato in attesa con il suo iPod; 10) un altro po’ di mezzi e il furgone del Gabrio.

clinicasanpaolo.jpg

Ora, se mi permettete, un piccolo commento. In Italia è difficile avere una discussione razionale sull’immigrazione; se parli con una persona di sinistra ti dirà che agli immigrati tutto deve essere concesso e pagato da noi, se parli con una di destra tirerà fuori il razzismo più bieco e augurerà la morte ai bambini sui barconi. La via normale e adottata ovunque nel mondo, cioè quella di stabilire la quota massima di immigrati che una società può accogliere senza dar luogo alla guerra civile e farla poi rispettare, pretendendo e imponendo nel contempo un rispetto ferreo delle leggi del posto da parte di chi vi si stabilisce, in Italia sembra fantascienza; è “razzismo” per quelli di sinistra e “lassismo” per quelli di destra. Eppure, un principio base dello stato di diritto è che le persone non si giudicano in massa, per il gruppo sociale a cui appartengono, ma individualmente per i loro comportamenti.

In questo caso, purtroppo, i comportamenti – aizzati da quell’altra banda di brava gente dei centri sociali – sono davvero censurabili. Occupare una struttura privata è già deplorevole, anche se è deplorevole pure lasciare abbandonato un palazzo in piena città invece di sfruttarlo per qualcosa di utile. Ma devastarla in ogni modo, pisciare per strada, girare ubriachi, impedire alle persone di aspettare il pullman, passare metà delle notti ad organizzare festoni con musica ad alto volume e l’altra metà ad accoltellarsi con successivo accorrere di volanti e ambulanze – come può testimoniare qualsiasi abitante della zona – non è accettabile da parte di nessuno, immigrato o italiano che sia.

E’ vero che questi sono in buona misura profughi – persone verso cui noi abbiamo un obbligo internazionale di assistenza, a cui loro hanno diritto. Ciò non vuol dire, tuttavia, che l’obbligo debba andare oltre il ragionevole. Non vuol dire che noi torinesi dobbiamo risolvere il problema per tutti, attirando qui tutti i profughi d’Italia. Non vuol dire che il mancato e immediato rispetto dei loro diritti li autorizzi a tenere in ostaggio un quartiere per un anno. Non vuol dire che possano fare gli schizzinosi e lamentarsi perché nella sistemazione che gli viene gratuitamente fornita a nostre spese le camerate sono troppo grandi e vige il divieto di cucinare in camera.

Certo non ci si può lamentare solo dei profughi: tanti italiani ci hanno fatto una pessima figura, dagli abitanti di via Asti con le loro argomentazioni contro lo spostamento – riassumibili in gran parte come “noi siamo troppo ricchi, affibbiateli a qualcuno di più povero” – agli intellettuali che si sono schierati per l’accoglienza a ogni costo tanto non la pagano loro, per giungere a chi – sindaco e prefetto in testa – ha prima ignorato il problema nonostante i diritti dei profughi non si scoprano ora, e poi permesso che una situazione del genere potesse nascere e marcire.

La cosa che non è accettabile, però, è che questo gioco di scaricabarile finisca sulle spalle di pochi: quelli che hanno la sfortuna di abitare vicino al luogo designato e che hanno visto le loro notti diventare insopportabili, le loro case svalutarsi e i loro negozi chiudere, mentre tutti gli altri erano impegnati nelle discussioni di principio. Oltre che dei diritti degli immigrati, qualcuno dovrebbe anche occuparsi dei diritti dei cittadini italiani.

[tags]immigrazione, profughi, somalia, torino, via asti, clinica, san paolo, sgombero, centri sociali, diritti, doveri[/tags]

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giovedì 10 Settembre 2009, 09:15

Divieti di sicurezza

Scusate se vi stresso ancora un attimo col calcio, ma stavolta ho bisogno di una consulenza.

All’interno dello Stadio Olimpico di Roma è stato osservato il seguente cartello, apposto dalle autorità preposte per garantire la sicurezza degli spettatori:

segnaletica-olimpico.jpg

I vari divieti sono molto utili e interessanti, ma l’ultimo in basso a destra proprio non capiamo cosa voglia dire. Sono state proposte varie ipotesi e cioè:

1) Divieto di guardare le stelle.
2) Divieto di assumere droghe chimiche.
3) Vietato far entrare Roberto Stellone che spizza.
4) Non si può entrare con il mal di testa.
5) Divieto di guardare contemporaneamente una stella bianca grande e tre nere piccole. Chi lo fa sarà deportato.
6) Divieto di darsi fuoco (per analogia con il divieto accanto a sinistra).
7) E’ vietato aprire una discoteca dentro lo stadio.
8) Vietato picchiarsi da soli.
9) Vietato fare la cacca dopo avere sbattuto la testa.

Tutti questi, all’interno di uno stadio italiano, sono divieti perfettamente plausibili: dunque non riusciamo a decidere. Voi che ne dite?

[tags]stadio, calcio, roma, sicurezza, segnale, autorità, lo facciamo per voi[/tags]

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mercoledì 9 Settembre 2009, 14:17

Rispetto

Dobbiamo? Ma sì, alla fine dobbiamo scrivere anche noi qualcosa su Mike Bongiorno.

Non era certo un idolo: era gobbo, pieno di soldi, conformista, amico dei massoni e dei Savoia, promoter di Berlusconi e della sua paccottiglia, insomma per certi versi aveva tutti i difetti possibili. Ma faceva il suo lavoro con grandissima capacità e grandissima serietà, anziché cazzeggiare improvvisare e raccomandare come si usa oggi, e questa è una virtù ormai sparita. Inoltre era credibile come promotore dell’Italia del benessere proprio perché prima si era fatto il campo di concentramento e la lotta partigiana, e allora capisci come potesse a buon diritto esaltarsi per un prosciutto.

C’è una scena mitica su Youtube in cui cazzia la Antonella Elia che si schiera contro la pelliccia e le dice “non devi sfottere lo sponsor”. A molti quella scena sembra il peggio della TV commerciale, ma a guardar bene ci si vede proprio quel senso di responsabilità personale che ormai manca e che manda il mondo allo sfascio: nessuno ti ha obbligato a prenderti l’impegno di fare la valletta, ma se te lo prendi devi rispettarne le regole e accettarne anche ciò che non ti piace. Ecco, è proprio quel genere di rispetto – un valore liquidato come borghese e perbenista, ma che invece è necessario per la convivenza civile – che Mike incarnava: e dunque, massimo rispetto a lui.

[tags]bongiorno, elia, rispetto, televisione, berlusconi, sponsor[/tags]

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martedì 8 Settembre 2009, 18:37

Quante scene

È stata una manifestazione tranquillissima, un’oretta di slogan davanti al Municipio in cui il piatto forte era “la mamma di Maroni è una puttana / il padre di Maroni è un travestito / il figlio di Maroni è un clandestino / e il parlamentare non si tocca”. E’ inutile che adesso i giornali pubblichino le immagini degli unici trenta secondi di tensione, quando d’improvviso il gruppetto di duri e puri che stava davanti (età media vent’anni) ha spinto le transenne in là di un metro, a titolo dimostrativo, trovandosi immediatamente davanti un muro di poliziotti e carabinieri in assetto da guerra (età media vent’anni).

Son rimasti lì a guardarsi negli occhi per altri venti minuti e poi la manifestazione si è sciolta, i gobbi sono andati in “corteo” per via Garibaldi verso piazza Statuto mentre i nostri sono andati in corteo fino al Principi di Piemonte a cantarle a Lippi e alla sua nazionale di gobbi raccomandati scarsi e bolliti, svolgendo dunque ulteriore opera meritoria per conto dell’intera comunità calcistica nazionale.

I presenti erano un 100-150 del Toro e un 20-30 della Juve (ridicoli come sempre), arrivati in ritardo. I cori contro la tessera del tifoso li cantavamo tutti, quelli contro la polizia soltanto un cinquanta per cento (noi brava gente di una certa età ovviamente non li condividiamo e non abbiamo partecipato allo sfondamento, in parte anzi cercando ombra ristoratrice dall’altro lato della piazza). I cori contro Maroni li cantavano anche i passanti.

E ciò nonostante, anche oggi mi sono goduto fantastiche scene di presunta apocalisse: come le due signore che, dovendo passare sotto i portici della piazza per imboccare via Milano, giunte a venti metri dal manifestante più vicino si son messe a correre con gli occhi spiritati, come fosse in pericolo la loro vita. O come il tizio che, quando è stato acceso un banalissimo fumogeno, ha commentato “Guarda, bruciano tutto” (tipo il porfido della piazza?). Oggi era una manifestazione per i diritti civili dei tifosi di calcio, domani potrà essere una manifestazione di cassintegrati, ma ci sarà sempre un sacco di gente che a forza di ascoltare telegiornali invocherà ordine e disciplina a prescindere, spaventata da qualsiasi azione leggermente diversa dal timbrare il cartellino ogni mattina e fare la spesa all’ipermercato il sabato pomeriggio.

Può darsi anche che sia per la frustrazione di non aver mai avuto il coraggio di alzare la testa per nulla.

[tags]manifestazione, ultras, tessera del tifoso, calcio, polizia, ordine pubblico[/tags]

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lunedì 7 Settembre 2009, 11:31

Luce accecante

È bello abitare in una casa da cui si vedono la luna e il sole; l’altro giorno all’alba si vedeva una bellissima luna piena grigia tramontare dalle parti dell’Orsiera, mentre ieri sera un’altrettanto bella luna piena gialla sorgeva da quelle di Superga.

In effetti, ieri pomeriggio sono uscito da una riunione verso le 18:30 e ho imboccato corso Francia per tornare a casa dal centro. La luce del sole al tramonto era splendida, arancione, bassa e dritta e riempiva tutto il cielo. Peccato solo che corso Francia sia diretto esattamente ad ovest, per cui guidare era quasi impossibile: non si vedeva assolutamente niente.

All’altezza di piazza Bernini, uscendo dalla rotonda, il semaforo da sempre giallo lampeggiante del passaggio pedonale è diventato improvvisamente rosso. Mi sono fermato abbastanza bruscamente, sorpreso; ho così scoperto che i semafori dei passaggi pedonali, altrimenti inspiegabili, hanno in realtà una funzione; attivandoli con un pulsante fanno venire rosso per le auto e verde per l’attraversamento pedonale, già rialzato e rallentato in occasione dei lavori della piazza. Peccato che un semaforo lampeggiante che diventa rosso di colpo mandi gli automobilisti nel pallone; in più, il passaggio è troppo vicino alla rotonda e la coda di auto al rosso straborda subito nella stessa, bloccandola. Il tutto poi per niente, perché all’attraversamento non c’era nessuno. Sospetto che il pedone abbia premuto, ma poi non abbia atteso che il semaforo si attivasse, e si sia buttato tra le auto; quando il semaforo è venuto verde, lui era già dall’altra parte.

Questa trovata mi ha lasciato piuttosto perplesso; così, rimuginando un po’ per decidere se fosse utile o dannosa, sono arrivato fino in piazza Rivoli. Anche lì la rotonda era intasata; uscendo verso corso Francia dal lato opposto, a passo d’uomo nella coda, ho scoperto che le auto deviavano sul controviale perché c’era stato un incidente. Non mi sono fermato a guardare, ma mi pare di aver visto due persone, una stesa in terra e una sulla barella dell’ambulanza mentre cercavano di rianimarla. Quasi certamente erano due pedoni investiti sulle strisce all’uscita della rotonda.

Lì non ci sono semafori, dossi, rialzi, cubetti di porfido e nemmeno fioriere e arredo vario; e con quella luce era molto facile non vedere un pedone su quelle strisce. Mi verrebbe da dire che i soldi per sistemare piazza Bernini e il primo tratto elegante di corso Francia dopo i lavori della metro sono stati trovati prima di subito, mentre quelli per risistemare il resto, tre anni e mezzo dopo, ancora latitano; il corso è stato rattoppato alla bell’e meglio, senza nemmeno uno spartitraffico (il che permette manovre assurde, inversioni e soste pericolose) e con i passaggi pedonali abbandonati al proprio destino. Dopo infiniti rinvii, il sito della metro, in fondo alla pagina, dice ora che il tratto tra piazza Bernini e piazza Rivoli è “previsto in appalto nella programmazione 2009” (= “nel 2009 abbiamo scritto che prima o poi lo faremo”) mentre quello tra piazza Rivoli e piazza Massaua non lo citano nemmeno più, resterà così per sempre. Mancano i soldi; o meglio, i soldi per risistemare piazza Vittorio a parcheggio privato del sindaco si sono trovati subito, quelli per le periferie mancano sempre.

Ma sopra tutto questo c’è essenzialmente una grande tristezza: vedere da vicino un incidente con persone coinvolte fa sempre impressione. Non è nemmeno più una notizia, e sui giornali non ne ho trovata traccia; probabilmente accettiamo queste come vittime collaterali dell’esistenza urbana. Ma in una società in cui la sicurezza e la gestione del territorio sono affidate allo Stato, e allo stesso tempo lo Stato ha sempre meno soldi per gestirla e chi lo governa ha sempre meno interesse a spenderli per tale scopo, anche questa situazione non potrà che peggiorare.

[tags]torino, traffico, incidenti stradali, corso francia, metrotorino, sole, luna[/tags]

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venerdì 4 Settembre 2009, 20:44

Per molti, ma non per tutti

Nei paesi autoritari, i governi intervengono per far sparire i dissidenti: non solo fisicamente, ma anche dall’immaginario collettivo, impedendo di inneggiare ai loro nomi e di mostrare i loro volti nei cortei e nelle manifestazioni di piazza.

In Italia, invece, è vietato mostrare in pubblico il volto di Gabriele Sandri; o almeno questo è ciò che è successo domenica scorsa a Verona, dove la polizia ha impedito ai tifosi della Lazio di affiggere questo striscione. Mentre uno striscione più piccolo con il volto di Sandri è stato fatto entrare, quello più grosso è stato bloccato in quanto non sarebbe stata richiesta la necessaria autorizzazione via fax entro le ore 18 del settimo giorno antecedente la partita, come previsto dall’apposito regolamento.

Per esporre striscioni oltre una dimensione minima, infatti, è necessario far esaminare con una settimana d’anticipo il loro contenuto alla locale Questura, che deciderà se ammetterli o meno. Esattamente come in Cina le manifestazioni per i diritti civili finiscono con il sequestro dei cartelloni, in Italia gli striscioni con la scritta “Giustizia per Gabriele” sono stati censurati da varie questure, già ben prima della sentenza-farsa del processo, in quanto chiedere giustizia equivarrebbe ad incitare alla violenza.

Ogni esposizione di striscioni non autorizzata viene naturalmente punita con il famoso Daspo, il divieto di entrare allo stadio per un certo numero di anni. Ma ovviamente non finisce qui; sebbene non ci sia alcuna regola che definisce quali magliette siano ammesse allo stadio o come ci si debba disporre sulle gradinate, anche le soluzioni creative portano alla diffida immediata. In realtà, la diffida viene ammannita un po’ per tutto: l’anno scorso da noi sono stati diffidati due ragazzini che si erano sporti dalle barriere verso il campo per prendere al volo le magliette lanciate dai giocatori. Ci sono più telecamere di sorveglianza negli stadi che nel caveau di una banca; alle volte hai paura anche a scaccolarti, temendo che ciò possa comportare la diffida.

In questi mesi, però, il governo ha deciso di alzare lo scontro introducendo la famosa “tessera del tifoso”. Per chi non ha seguito, spiego cos’è: dovrebbe essere una forma di schedatura di tutti i tifosi di calcio d’Italia, riportante i dati personali e la fotografia. Tale tessera diventerà da gennaio obbligatoria per l’acquisto dei biglietti per le trasferte, e dall’anno prossimo anche per quelli casalinghi: in pratica, sarà impossibile acquistare un biglietto per una partita di calcio senza avere la tessera.

Tralasciando il fatto che così si va esattamente nella direzione opposta a quella che si dice di voler perseguire, rendendo sempre più difficile l’accesso allo stadio a famiglie e spettatori saltuari (per non parlare dei turisti) e riservandolo invece ai tifosi più accaniti, vi è nel decreto istitutivo una clausola che ha lasciato tutti a bocca aperta: l’articolo 9 dice sostanzialmente che è vietato il rilascio della tessera o l’emissione di biglietti a persone che in passato siano state diffidate o condannate per reati da stadio.

L’Italia, il paese dove tutti i reati vanno in prescrizione prima che possano essere puniti e dove un ex assassino uscito di prigione riceve (anche giustamente) assistenza e ricollocamento a spese della collettività, decide dunque che se tu a quattordici anni ti sei sporto dalle barriere per afferrare la maglietta di Gasbarroni (no dico Gasbarroni, avessi detto Kakà…) e ti hanno diffidato, non potrai mai più entrare in uno stadio per tutta la vita.

A questo punto ci vorrebbe coerenza: se vieni pescato oltre i limiti di velocità ti ritiriamo la patente per tutta la vita, e se una domenica ti dimentichi di andare a Messa dovrai leggere l’Osservatore Romano per l’eternità. Mi pare giusto, no? Cosa volete che siano i diritti delle persone, o l’articolo 27 della Costituzione (“le pene devono tendere alla rieducazione del condannato”)?

Domani a Roma si terrà una grande manifestazione di protesta; una più piccola si terrà anche da noi a Torino, martedì alle 16 sotto il municipio. Si chiede il ritiro di questa schedatura di massa, ma più in generale la fine di questo regno del terrore, completamente anticostituzionale, imposto da qualche anno alle tifoserie di calcio; un regno del terrore che moltiplica la rabbia e la violenza anziché calmarle, tanto che nella storia del calcio italiano non c’erano mai stati così tanti morti come negli ultimi due anni.

E la rabbia spicciola si sente ovunque: lunedì sera per Toro-Empoli hanno provato ad applicare controlli ancora più stretti agli spettatori in attesa di entrare, e in più molti dei mitici tornelli non funzionavano. A cinque minuti dall’inizio della partita, fuori dai vari ingressi c’erano ancora migliaia di persone in coda; davanti alla Primavera erano talmente tante da occupare interamente via Filadelfia. Erano persone normalissime, famiglie con bambini, tanti che non vengono regolarmente allo stadio e approfittavano di una serata ancora estiva. Alla fine, davanti alla prospettiva di perdere buona parte del primo tempo dopo aver pagato il biglietto, la gente ha cominciato a spingere ed è scattata la baraonda; fortunatamente i tornelli sono stati aperti, ma si è rischiata la strage da schiacciamento, dovendo tutti infilarsi in poche aperture larghe mezzo metro. Avendo aperto i tornelli, è entrato chiunque, con o senza biglietto, senza alcun controllo. Questo è il geniale sistema con cui le questure italiane portano pace negli stadi.

Ma naturalmente, ci sarà sempre in giro un intelligentone pronto a sostenere che l’essere tifosi di calcio implica automaticamente la perdita dei diritti civili…

P.S. Naturalmente, non crederete mica che la tessera del tifoso sia stata pensata e imposta per via della sicurezza! Chi vide la puntata di Report in cui la Gabanelli indagava sul perché agli anziani avessero mandato la “social card” invece di aumentargli semplicemente la pensione avrà già capito: perché la tessera del tifoso è in realtà una carta di credito revolving che lo Stato impone a milioni di tifosi italiani (anzi, finché non si metteranno d’accordo chi va in trasferta dovrà collezionarle tutte… l’han già scoperto persino i gobbi!). Quella delle serie minori è gestita da Telecom Italia (un nome a caso) mentre le società di serie A e B si possono scegliere la banca che desiderano, tanto son tutte la stessa cosa.

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