Ieri mi hanno portato al Teatro Regio a vedere un bel concerto di musica classica. Volevo raccontarlo, ma siccome non ho tempo, l’ho fatto fare a una intelligenza artificiale, appositamente allenata con tutti gli articoli di Bruno Gambarotta per Torinosette; ed ecco cosa ha prodotto.
“Ieri sera sono andato al Regio a vedere l’inaugurazione di Settembre Musica. Tanta bella gente, un teatro tanto bello neh! Offrivano persino caffé e cioccolatini all’ingresso. C’erano tutti: signori, signore, politici, imprenditori, ereditieri e ereditiere, belle madame vestite eleganti, gli ospiti dell’Opera Pia Lotteri al completo.
Entriamo, ci sediamo, certo che il nostro teatro è proprio una bomboniera! Dopo un po’ arriva l’orchestra, si siedono tutti, ma c’è un attimo di panico: ne manca uno, proprio lì davanti in prima fila! Com’è, come non è, alla fine tutto si risolve: arriva l’orchestrale mancante e tutti lo applaudono per ringraziarlo di essere venuto.
A quel punto inizia la musica… e invece no! Proprio come alla sagra della tinca di Valfenera, sale sul palchetto il presentatore, solo che invece di annunciare i Divina e DJ Robertino, si mette a spiegare che adesso suoneranno un concerto di Beethoven, che però sembra uno di Mozart, e le madame dietro di me si chiedono allora perché fare un concerto di Beethoven se volevano suonare Mozart, e nessuno lo sa, che la musica classica è una roba di finezza, da specialisti!
Insomma, presenta che ti presenta, passano dieci minuti e finalmente il presentatore dichiara aperte le danze e se ne va. A quel punto tutti trattengono il fiato, che devono arrivare i maestri, e infine è così, ma con la sorpresa neh! Infatti arriva un vecchiettino tutto impaludato, che si muove talmente piano che sembra pure lui un ospite dell’Opera Pia Lotteri, e gli orchestrali lo sorreggono: è il famoso direttore d’orchestra indiano, Ermal Meta. Ma dietro di lui, improvvisamente, una gattara!
Arriva insomma questa tizia sui settant’anni, tutta scarmigliata, coi capelli grigi lunghi e spettinati, una magliettina, e una gonnellona a fiori fin per terra di quelle che costano dodicimila lire al mercato di piazza Benefica, e sembra che abbia appena posato le crocchette della colonia felina di via Moretta e sia salita lì sul palchetto per ballare, in attesa di un cascamorto o di altri gatti da portare a casa. E invece si siede lì e niente, gli altri iniziano a suonare, la musica di Mozart di Beethoven si sviluppa sinuosa come le gobbe delle piste del Melezet, e lei lì, seduta sullo sgabello che pensa ai suoi gatti.
Passano così cinque minuti buoni senza che faccia niente, che ti chiedi se forse i gatti non sono dentro il pianoforte e lei è lì per cambiargli l’acqua, ci sarà una pausa, insomma succederà qualcosa. E invece a un certo punto inizia a suonare, e suona bene eh! Incredibile che una gattara suoni il piano così bene. Tutti sembrano stupiti, ma è il miracolo dell’arte, che anche le persone più umili se hanno il talento possono finire al Regio a suonare davanti agli assessori del Comune e della Regione.
E così la prima parte finisce in tripudio, tutti che applaudono che nemmeno al gol di Torrisi, e al gol di Torrisi venne giù il Comunale eh! Applaudono talmente che lei si ispira e improvvisamente suona una roba imprevista che nessuno sa cos’è. Le madame più fini dicono: sembra un tedesco dell’Ottocento, Schumann, Schubert, Schumacher, uno così! E poi ne suona anche un’altra, però ci dicessero cos’è che così cerchiamo il disco, che era proprio bella. Tutti applaudono ancora, uno le porta anche dei fiori, lei fa un gesto come a dire “grazie, ben gentili, ma scusate che domani c’ho i mici da accudire, buona notte!”, e se ne va.
Poi c’è la pausa, andiamo fuori e c’è l’intermezzo Lavazza, con cui anche noi possiamo suonare: ci danno una bacchetta e ci fan suonare le tazzine a ritmo di samba come gli indiani gentili del Mato Grosso, che bella pensata! Non so chi faccia le promozioni di Lavazza ma dev’essere un genio, ad apporre suoni di tazzine e bonghi dopo Mozart di Beethoven, ci stavano bene come il cacio sulle linguine all’astice.
Dopo un po’ manca per un attimo la luce: come nei migliori dormitori delle caserme, è il segnale di tornare dentro. Ci sediamo e c’è solo più Ermal Meta, che ci dà le spalle seduto su un seggiolone alto e vuoto, che sembra gli manchi solo il tupin sotto per fare la cacca senza alzarsi, che poveretto a quell’età ha sicuramente dei problemi, neh!
Dunque la seconda parte è tutta di musica francese. Si capisce che è francese perché, vista anche l’ora tarda, dopo dieci minuti dormiamo tutti. Il compositore francese le prova tutte per vincere la noia, fa i pianissimi, i fortissimi, gli adagi, gli allegri, gli allegretti, tutto il campionario ma niente, una noia, signori miei! All’ultima parte si capisce che è indispettito che tutti dormano, allora fa suonare tutti insieme, gli archi, i fiati, i tamburi, persino le campane che ci siam chiesti se bruciasse di nuovo il Duomo, e invece no, c’era proprio una campana sul palco! Ma compositore caro, non si spaventa così la gente alle undici di sera, che già ho la pressione alta, e il dottore mi dice che devo evitare gli sforzi.
E insomma, è stata una bella serata, e lasciate perdere quei maicontent che dicono che Torino è una città morta: è viva, vivissima! Che siamo usciti fuori alle undici e un quarto ed era persino ancora aperta la metro. Altro che la città grigia degli anni settanta: e son sicuro che a Milano, un concerto così se lo sognano!”