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Archivio per la categoria 'Culturaculturacul'


venerdì 31 Luglio 2009, 20:16

Estate in val d’Aosta (MI)

Le vacanze in Val d’Aosta sono interessanti: stando ben lontano dai centri abitati si è tranquillissimi, ma là dove si raggruppano gli umani ci si ritrova un po’ come nel centro di Milano.

Oddio, in realtà dipende: per esempio ieri siamo scesi giù nella valle (che da giorni è coperta da una cappa di calore inquietante) e siamo andati a visitare il castello di Fenis e poi la mostra The Art Of Games in centro ad Aosta. (Per chi viene da una città, parlare di “centro” ad Aosta sembra superfluo, in quanto l’intera città è racchiusa tra la ferrovia e la montagna e ha un raggio di un chilometro a dir tanto, anche se l’edizione locale della Stampa poi parla di “cintura” per indicare le borgate sparse a mezza costa su per i monti o la zona di capannoni e medi supermercati che ti accoglie tra i prati arrivando dall’autostrada: una terminologia interessante.)

Il castello di Fenis colpisce sempre, con un bellissimo cortile affrescato e il complesso ancora integro (nel senso di ricostruito ma non troppo); e lì, oltre al milanese, senti parlare anche altre lingue italiche e persino francese e spagnolo. La mostra ad Aosta è interessante; in pratica è una esposizione di stampe su tela di concept art di videogiochi e copertine di libri fantasy, tutte molto belle; si vede in mezz’oretta e costa solo tre euro, che per noi sono diventati due perché avevano “finito i biglietti interi”, che non so se sia un segnale di grande successo o di scarso successo, ma all’interno c’eravamo solo noi, dunque niente milanesi. E un giro a piedi per la via principale di Aosta è piacevole, poi ora ho scoperto anche dov’è la fumetteria (l’unica di tutta la val d’Aosta)… dunque suggeritemi fumetti interessanti per l’estate…

Stamattina invece siamo andati al mercato a Champoluc, e lì invece l’invasione bauscia era inesorabile: tanto è vero che il mercato del venerdì di Champoluc è costituito da una dozzina di banchi di alimentari tipici (quasi tutti dalle province di Cuneo, Torino e Biella) e da una cinquantina di banchi di abbigliamento (tra cui andavano alla grandissima i maglioncini di cashmere) e di souvenir, attorno ai quali ronzano decine di SUV alla ricerca di un parcheggio a non più di cinquanta metri dall’inizio dei banchi. Ci hanno praticamente regalato una cassetta di pomodori, dato che la gente sembrava interessata solo ai maglioncini!

Torneremo dunque a Champoluc, ma solo martedì sera quando al cinema Sant’Anna (aka chiesa del seicento dismessa per spostare la parrocchia in un cubo di cemento moderno) danno Gran Torino; per il resto della settimana danno Harry Potter 77 e la sala sarà indubbiamente monopolizzata da torme di ragazzini meravigliati al grido di “uè, figaaaa”

[tags]val d’aosta, turismo, champoluc, aosta, milano, fenis, the art of games, fumetti[/tags]

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martedì 21 Luglio 2009, 16:04

Commento critico a “Una bloggata eccezionale”

“Con “Una bloggata eccezionale” il Bertola raggiunge vertici insuperati nel genere letterario del “blog d’autore”, affermatosi con grande rilievo nei primi anni Duemila. Si tratta di un duplice post che l’autore effettuò sul suo blog personale tra il 20 e il 21 luglio 2009, il cui testo può essere reperito qui e qui.

Il piano superficiale dell’opera, evidente, è dato da un sottile dileggio verso la scena sociale e culturale in cui l’autore si trova ad agire ma in cui evidentemente non si ritrova. Con un tono fintamente aulico, numerosi artifici retorici tipici della satira di costume vengono impiegati per costruire un crescendo di feroce sarcasmo, che viene poi brutalmente interrotto rimandando a “domani”, come se il post rappresentasse la presentazione enfatica e vacua di un qualsiasi grande evento televisivo, però resa da un presentatore ignorante, incapace e destinato a rendersi ridicolo da solo. Se la lettura letterale del testo può dunque portare a interpretarlo come un banale “trailer”, ignorando o mancando di notare gli errori e le assurdità del testo, anche il lettore un po’ più attento e consapevole si limiterà ad individuare in tali errori e in tali assurdità un banale espediente per incrementare la comicità e l’attrattività della presentazione.

E’ proprio questo, tuttavia, che porta fuori strada il processo di assimilazione del testo. Vi è, infatti, un piano di lettura subito sottostante, in cui l’oggetto del discorso non è il testo ma il suo autore. In questo senso “Una bloggata eccezionale” rappresenta volutamente la messa a nudo, la distillazione essenziale del post medio di moltissimi blogger, nonché dell’autore stesso; partendo dall’esporre le motivazioni psicologiche del bloggare – stupire e attrarre il lettore, farsi ricordare, ottenere riconoscimento tra pari – il testo elimina completamente il proprio contenuto, riducendo la bloggata ai suoi veri scopi e insieme evidenziando come tali scopi siano del tutto disconnessi dal contenuto; bloggare, insomma, non come strumento per comunicare ma come strumento per inserire se stessi in un contesto sociale. Sottilmente ma chiaramente, il post evidenzia come per l’autore il contenuto dei propri post sia in fondo poco rilevante, tanto da poter essere tranquillamente rimandato al giorno successivo, mentre l’essenza dello scrivere stia nello scrivere stesso.

Ma il contenuto più profondo e recondito del messaggio sta nascosto bene in fondo, destinato a chi riesca ad isolarsi dal sovraccarico informativo e dalle ondate testuali che – tramite il Web, tramite la mail, tramite Facebook e tutti gli altri sistemi di comunicazione elettronica – sommergono il lettore del tempo: a questi il post regala un quadro impressionistico ed intimista della situazione dell’autore come giovane uomo del ventunesimo secolo, un quadro vibrante nel suo essere appena accennato. Racchiusa tra la propria esigenza di emergere e la realtà della propria improduttività, tra gli estremi sogni d’infanzia di ognuno di noi e lo scontro con la normalità di una esistenza precaria, sta la condizione umana in tutta la sua fallibilità. Come un Grisù aspirante pompiere, non manca giornata in cui l’autore si alzi e cominci a scrivere il proprio capolavoro, la propria bloggata eccezionale; e non manca giornata in cui, alla fine, essa si concluda con un deferimento al giorno successivo, accompagnato da una fatua reiterazione della propria (in realtà vacillante) determinazione. Aspettando in eterno il Godot della propria affermazione letteraria, egli chiude così perfettamente il cerchio di una ieratica e infinita coazione a ripetere.

Una nota merita infine la scelta, questa sì innovativa, di far seguire al post un finto commento critico, a firma di un sedicente e ignoto Alberto B., che, con un linguaggio tronfio e pretenzioso, ne spiega il significato ai lettori. Secondo l’epistolario del Bertola così come ritrovato nel suo comodino, la scelta è tutt’altro che casuale, e anzi il secondo post va considerato parte integrante dell’opera esattamente come il primo. Si realizza così un’opera complessa e sfaccettata, nella quale il significato emotivo (contenuto nel post) e quello razionale (contenuto nel commento) vengono prima separati e poi di nuovo fusi insieme, in un rituale incontro-scontro tra materializzazioni opposte dello stesso vissuto. Se così facendo l’autore si assicura che la sua opera venga effettivamente compresa, allo stesso tempo egli realizza una dualità metalinguistica senza precedenti, se non forse per quel filone di arti visuali dove un quadro è composto dalla fotografia di un quadro e così via. Aggiungendo all’opera la dimensione del tempo, essa diviene quindi un fulgido esempio di “performance art digitale” di cui anche i lettori-fruitori, catturati non solo come spettatori ma anche come commentatori attivi, divengono parte attiva per tutto il periodo della performance, compreso tra il primo ed il secondo post.

Alberto B.”

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venerdì 10 Luglio 2009, 22:48

Opinioni curiose

Anche la giornata di oggi del meeting di San Rossore è stata molto interessante.

All’inizio ho ascoltato la presentazione di Edward De Bono, l’inventore del pensiero laterale, che ha spiegato come l’umanità non rifletta abbastanza sul problema di “come pensare”. La nostra educazione si concentra sull’insegnarci la logica, ma la quasi totalità degli errori di pensiero riguardano non la logica, ma la percezione, ossia i meccanismi di acquisizione dei dati di partenza su cui si applicano i procedimenti logici; inoltre, anche a livello di chi dirige l’umanità, spesso non si è educati a mettersi nei panni degli altri e nemmeno ad essere costruttivi e propositivi. A un certo punto De Bono ha fatto notare come nei nostri Parlamenti prevalgano di gran lunga professioni come avvocati, professori e intellettuali, cioè professioni basate sul parlare e sul cercare di convincere gli altri delle proprie idee, mentre siano tradizionalmente molto poco rappresentati gli architetti, i medici, gli ingegneri, ossia le professioni basate sul risolvere problemi concreti; naturalmente non so che genere di studi abbia fatto lui…

Altrettanto interessante è stata la presentazione finale della mattinata, in cui Stefano Bartolini dell’Università di Siena ha esposto alcuni studi scientifici sulla correlazione tra crescita del PIL, clima sociale e felicità delle persone. Le conclusioni di questo studio potrebbero essere considerate ovvie o persino “da bar”: in pratica si dice che i paesi anglosassoni hanno presentato negli ultimi 20-25 anni la maggiore crescita del PIL, ma che sono anche quelli in cui la “felicità” percepita delle persone è diminuita drasticamente. Ciò sarebbe attribuibile al fatto che la crescita del PIL crea felicità, ma in parallelo si è verificata una drastica riduzione dei rapporti interpersonali, collegata all’aumento degli orari di lavoro in un circolo vizioso. In pratica, secondo questo studio la crisi dei rapporti interpersonali determinerebbe nelle persone un maggiore investimento emotivo e temporale sul lavoro, che provocherebbe l’aumento del PIL e contemporaneamente acuirebbe la crisi stessa dei rapporti, in quanto le persone dispongono di meno tempo per stare insieme. Inoltre l’aumento del PIL sarebbe legato anche ad una “bulimia di consumi” dovuta al tentativo delle persone di gratificarsi mediante l’acquisto di oggetti e servizi sostitutivi dello stare insieme o necessari per fare fronte al deterioramento sociale e ambientale derivante dalla crescita del PIL (dalla Playstation alle vacanze esotiche fino al condizionatore) creando anche in questo caso un circolo vizioso. Infine la “bulimia di consumi” ha provocato l’indebitamento esagerato degli americani che a sua volta è causa della crisi globale, dimostrando che una crescita del PIL associata ad una decrescita della felicità non è nemmeno sostenibile tanto a lungo. Dire tutto questo può essere abbastanza ovvio, ma dimostrarlo scientificamente lo è di meno, per cui vedrò di approfondire la questione.

Ma c’è anche una nota stonata e sta nell’intervento di un megaeuroburocrate, tal Samuele Furfari, della Direzione Generale Energia della Commissione Europea. Già uno che essendo in un panel delle 11 si prenota un aereo per cui deve andarsene alle 12, pretendendo di parlare per primo e andandosene subito dopo senza ascoltare nessun altro, non fa bella impressione. Ma la presentazione, che riguardava le future strategie energetiche della Commissione Europea, mi ha abbastanza terrorizzato. Non iniziava male, parlando ovviamente di risparmio energetico e anche del fatto che l’approvvigionamento di energia è storicamente una delle maggiori cause di guerre, ma si è evoluta secondo i seguenti concetti:
1) la grande idea della Commissione è finanziare progetti per estrarre petrolio in maniera innovativa là dove prima non si riusciva ad arrivare (con tanto di spot all’Eni);
2) la strategia europea contro l’effetto serra è costruire discariche di CO2 per catturarla e interrarla;
3) l’Europa non finanzierà più di tanto lo sviluppo della produzione di energie rinnovabili perché sono troppo care, mentre vuole investire nel “ciclo del caldo e del freddo”;
4) la grande novità in questo senso è generare il riscaldamento bruciando i rifiuti urbani negli inceneritori, e non si capisce perché ci sia tutta questa opposizione perché gli inceneritori sono il futuro e l’Europa è vent’anni indietro agli altri e gli inceneritori di oggi sono compatibili in quanto vengono inseriti nelle città (mostra foto di un inceneritore di Vienna dipinto di colori vivaci e con grandi disegni, come prova del fatto che non disturba il pianeta);
5) poi si pensa di investire in nuove centrali nucleari in modo da aumentare la produzione globale di energia evitando che i paesi poveri, che detengono il 90% delle riserve mondiali di petrolio ancora esistenti, ci taglino le gambe o costringano l’Occidente a “vecchi metodi non più praticabili” (eufemismo per invaderli, colonizzarli, taglieggiarli ecc.);
6) e comunque tutti questi esperti (praticamente tutti quelli che hanno parlato nel resto del meeting) che vogliono invece ridurre i consumi energetici dell’Occidente ad un quarto dell’attuale in modo da renderli sostenibili su scala globale (il che, faceva notare ieri Odifreddi, equivarrebbe al livello degli anni ’70, non certo all’età delle candele) sono degli oscurantisti che vogliono negare il progresso agli europei e riportarci indietro nella competizione globale per la crescita economica.

Ora io spero veramente che questo tizio, come spesso si dice degli euroburocrati, sia stato nominato direttamente dall’industria di settore, perché se pensa veramente queste cose senza essere pagato per farlo c’è da preoccuparsi davvero sul ruolo della Commissione Europea nel nostro futuro: forse tutti questi che si oppongono a un maggior peso delle istituzioni europee non hanno tutti i torti…

[tags]toscana, san rossore, conferenza, futuro, sostenibilità, energia, crescita, crisi, economia[/tags]

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mercoledì 8 Luglio 2009, 23:49

Giornate esistenziali

Ci sono molte cose che si potrebbero dire della giornata di oggi.

Per esempio, guidare in autostrada in Italia ormai è diventata una roulette russa: passi centinaia di chilometri per strade piene di curve e gallerie, talvolta preistoriche e chiaramente insicure (vedi tangenziale di Genova), a fianco di un’unica colonna di TIR. Ogni due chilometri, un TIR a 75 all’ora – fregandosene anche, quando ci sono, dei numerosi divieti di sorpasso per mezzi pesanti – esce improvvisamente e blocca l’autostrada per tre o cinque minuti per sorpassarne un altro che va a 70. Spesso questa operazione viene compiuta indipendentemente dal fatto che sulla corsia di sorpasso stia arrivando un’auto, costringendola a inchiodare; ad ogni modo, si crea subito una fila di auto bloccate dietro al TIR che sta sorpassando, che fanno fisarmonica rischiando continuamente il tamponamento. Se poi uno pensa a quel che diceva Report qualche settimana fa, cioè che moltissimi autisti di camion sono strafatti di cocaina, eccitanti e droghe varie per guidare ben oltre i tempi consentiti dalla legge…

Comunque è stato un viaggio interessante: buona parte del mio cervello era occupata dal rimuginare su questioni varie, così a un certo punto mi è spuntato in mano un CD che non ascoltavo da forse dieci anni, dritto dai primi anni ’90: Dirt degli Alice In Chains, il prototipo del disco grunge per adolescenti depressi. Racconta il cantante dei Poison che capì che l’era del glam rock era finita quando entrò negli uffici della sua casa discografica e trovò tutti i loro poster staccati e sostituiti da quelli degli Alice In Chains: e Dirt è un disco depressissimo, cupo e insieme potente, il classico disco per quando ti senti tipo “I lie dead gone under red sky / I feel so alone / gonna end up a big ol’ pile o’ them bones”.

C’è però, a metà disco, un momento epico: quando improvvisamente la musica scema e prosegue sommessa per un paio di minuti, prima di esplodere di botto in un delirio di piacevole morte e distruzione. E’ l’inizio di Rooster, uno dei pezzi che più simbolizza il passaggio dall’innocenza al pessimismo e dagli anni ’80 agli anni ’90:

Immaginate ora di essere presi ad evitare TIR giù per le curve e i viadotti da Ovada a Voltri, e che questo momento sommesso vi capiti proprio mentre vi trovate inaspettatamente in un improvviso e dilatato istante di pausa, soli, in una galleria scura, buia e dritta. Non è un fantastico esempio di sintonia empatica tra mondo e lettore CD?

Comunque, alla fine la cosa importante è una sola: qui al convegno, nonché al ricevimento di stasera, c’è anche un astronauta russo che ha vissuto due anni in orbita nella Mir, accompagnato dalla figliola, una ventenne russa alta un metro e ottanta in vestitino corto che ha monopolizzato l’attenzione. Alla sua apparizione tutti i maschi in sala, dai venti ai novant’anni, hanno immediatamente smesso di porsi domande esistenziali.

[tags]autostrade, traffico, tir, sicurezza stradale, genova, alice in chains, dirt, musica, grunge, topa forever[/tags]

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giovedì 2 Luglio 2009, 11:44

Ragazzate

La vecchiaia incombe, e non solo per motivi anagrafici: ieri sera sono uscito con i soliti vecchi amici e sono rimasto colpito dal fatto che fino a un paio d’anni fa, quando eravamo giovani e single o lascamente fidanzati, l’argomento di discussione principale erano giochi e videogiochi, mentre da qualche tempo, ora che siamo vecchi e sposati o strettamente accoppiati, si parla soltanto più di film porno (anche se in chat sostengono che si è parlato di film porno solo per farci smettere di parlare di Torino a 5 Stelle).

Comunque, tutto ha inizio ieri quando per caso in rete rinvengo questa fantastica risposta alla tremenda, odiosa, vergognosa pubblicità della Coca Cola con Giulia di Pisa, quella che “la crisi non c’è perché basta bere l’intruglio multinazionale gasato” (credo uno spot che entrerà negli annali per essere riuscito in un attimo a distruggere l’immagine italiana del brand più forte del pianeta). E quindi ecco qua:

La lacrimuccia però scende se si notano gli autori: è il parto dell’ineffabile Andrea Camerini, già noto e incrociato un deca d’anni fa a Lucca come fumettista del Vernacoliere e autore dell’immortale personaggio de Il Troio (sottotitolo “Sulle strade de La California (LI)), un giovane sfaccendato di bella presenza caratterizzato dal maschilismo assoluto, dall’occhio bovino e dalla totale assenza di segnali nel cervello. Naturalmente l’umorismo livornese non è per persone timorate di Dio e tantomeno per persone dotate di un qualsivoglia senso del pudore, per cui non vi raccomando di seguire il link.
[tags]amici, ragazzate, porno, coca cola, pubblicità, giulia di pisa, camerini, vernacoliere, fumetti, il troio[/tags]

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lunedì 29 Giugno 2009, 19:19

Persepolis (2)

La tragedia dell’Iran di questi giorni, oltre che terribile, è più vicina a noi di quello che sembri.

Già, perché se prima del 1979 l’Iran era un paese laico e occidentalizzato ma insieme sottomesso alle potenze straniere, la rivoluzione che doveva liberarlo finì per peggiorare le cose: i rivoluzionari di sinistra finirono ben presto al muro sotto la pressione degli integralisti. Cosa succede in una nazione in cui una minoranza borghese, colta, laica e progressista si confronta con un regime religioso sostenuto dalla propaganda e dal nazionalismo? Succede che la cultura laica viene massacrata senza pietà, a colpi di prigione, esecuzioni ed esilio (e in questo la lettura di Persepolis è illuminante). Trent’anni dopo, ci si riprova: il raggiungimento di un estremo, quello di Ahmadinejad, porta alla richiesta di cambiamento; questa viene repressa nel sangue.

Cosa c’entra l’Italia? Beh, solo un cieco non vedrebbe la direzione che, grazie ai mass media, sta prendendo il nostro Paese: dove i politici di ogni colore prestano omaggio al Vaticano, dove i diritti laici conquistati negli anni ’70 vengono progressivamente erosi, e dove la xenofobia e il nazionalismo vengono utilizzati per promuovere la violenza, comprese quelle ronde che qualcuno (a partire da Travaglio) liquida come un passatempo per pensionati barotti dalla prostata debole, suggerendo che poi bisognerà chiamare d’urgenza i carabinieri per difendere le ronde dalle terribili minacce dei barboni, ma che hanno tutto il potenziale per diventare squadracce prima che ce ne possiamo accorgere; da principio contro gli zingari e gli immigrati, poi contro i dissidenti.

Noi alle volte pensiamo che siamo troppo moderni, troppo occidentali, troppo integrati per diventare un regime chiuso, bigotto e autoritario; eppure leggere quanto simili a noi siano i giovani iraniani borghesi, quanto sia facile – a seconda dell’educazione – che in una stessa famiglia convivano la laicità e l’integralismo, non può che accendere segnali d’allarme.

C’è però una differenza molto significativa tra l’Iran e l’Italia. In Iran, due terzi della popolazione ha meno di 32 anni: questo rende molto veloce il ricambio politico, e molto facile il rinnovamento delle idee e dei partiti al potere. In Italia, la situazione è totalmente opposta: a Torino città, il 70% degli elettori ha 41 anni o più, e fuori dalle città il dominio degli anziani è ancora maggiore. Cambiare è quasi impossibile: questo è un paese per vecchi, e i vecchi sono solitamente i più sensibili alla paura del diverso, all’insicurezza diffusa, alle richieste di ordine e disciplina, e anche al richiamo della religione.

Nel frattempo, vi faccio leggere come due ragazzi di Teheran hanno raccontato a fumetti le vicende di questi giorni, rubando le immagini da Persepolis. Il risultato è fumettisticamente molto lontano dal livello dell’originale, ma la spiegazione di quel che è successo è davvero chiara.

[tags]iran, teheran, persepolis, fumetto, rivolta, integralismo, laicità, religione, democrazia, violenza, italia, anziani, elezioni[/tags]

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venerdì 26 Giugno 2009, 15:48

Non si esce vivi dagli anni ’80

Gli anni ’80 erano quelli in cui tutto doveva essere grande, ricco, luccicante: forse perché eravamo bambini, o forse perché sono stati l’ultimo grande periodo di ottimismo planetario. Anno dopo anno, la Borsa cresceva, la pubblicità faceva salire le vendite, la televisione privata ingrandiva il sogno: il sogno americano. Anche noi saremmo stati l’America, pieni di oggetti inutili ma ottimi per soddisfare il nostro consumismo, agghindati e firmati per soddisfare l’edonismo, protetti da scudi spaziali e tecnologie mozzafiato contro il comunismo, e tutti lanciati verso una carriera da manager… o da rock star.

Delle rock star, ovviamente, la più grande era Michael Jackson: il simbolo vivente dell’altro mondo, quello con meno pizza e più hamburger, meno pastasciutta e più fast food, meno bagnini da spiaggia e più gang nere delle periferie urbane che si affrontavano a passo di coreografie impossibili. Le sue uscite erano rare ma epocali: ogni canzone, ogni partecipazione, ogni video erano un evento, e segnavano l’agenda del mondo. L’apparizione di Billie Jean su MTV (primo video di un nero ammesso sui televisori americani) fu un momento storico comparabile all’elezione di Obama; del disco-evento We Are The World siamo ancor qui a pagare le conseguenze oggi, un concertone benefico dietro l’altro.

Anche se qui in Italia molti storcevano il naso – non era di sinistra, era americano e anzi faceva la pubblicità alla Pepsi – la qualità musicale era indubbia; quella spettacolare ancor di più. Prigioniero del gigantismo degli anni ’80, MJ doveva ogni volta stupire con qualcosa di nuovo, qualcosa di meglio, qualcosa di mozzafiato. E ci riuscì ancora fino a Dangerous (1991); poi i tempi cambiarono. Madonna, persona di intelligenza rara, seppe reinventarsi più e più volte; Michael Jackson non poteva.

Persino se non considerassimo il fatto che Jackson non ha avuto né una adolescenza né una infanzia, una persona che a 23 anni scrive ed interpreta il disco più venduto della storia dell’umanità come può avere un’esistenza adulta all’altezza di se stesso? Non può: infatti dal mondo Michael Jackson ha avuto tutto, tranne una vita. La sua lunga e miserabile agonia ventennale è l’agonia ventennale del sogno di quegli anni, dell’idea che si potesse essere sempre più ricchi, sempre più moderni, sempre più luccicanti, sempre più grandi, proiettati verso una crescita infinita. E’ ironico che Michael Jackson muoia proprio in questo momento di crisi finale del nostro modello economico: perché, è chiaro, con lui muoiono definitivamente gli anni ’80.

P.S. In realtà però sappiamo che tutto questo è falso, perché Michael Jackson non faceva altro che plagiare Al Bano

[tags]musica, michael jackson, al bano, anni ’80, storia, crisi[/tags]

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lunedì 22 Giugno 2009, 17:14

Persepolis

Leggere un libro è una attività che richiede una lunga preparazione. Mi succede raramente di vedere lì un libro di cui non ho mai sentito parlare, comprarlo, portarlo a casa, leggerlo subito. Di norma succede il contrario: sento parlare di un libro e mi viene voglia di leggerlo; metto lì l’informazione per una futura occasione. Settimane, mesi, talvolta anni dopo, vedo il libro in libreria, me ne ricordo, lo compro, e lo porto a casa. Ma dato che il tempo per leggere è poco e la coda di libri arretrati è lunga, in genere passano altre settimane, altri mesi, e poi finalmente lo leggo. Si può così dire che leggo poco, ma leggo soprattutto libri predestinati.

Uno di questi è quello che sto leggendo adesso: Where Wizards Stay Up Late, un libro che volevo leggere sin da quando uscì più di dieci anni fa, e che varie volte ho pensato di ordinare via Internet oppure ho cercato in una delle mie visite nelle librerie di paesi anglofoni. Mi è capitato finalmente in mano, per caso, alla libreria dell’MIT a Cambridge-quella-in-America, quando ci sono stato a marzo; e l’altro giorno l’ho cominciato. Ma non è di questo che volevo parlare oggi.

Prima di questo, infatti, ho finalmente letto il primo volume di Persepolis, il fumetto di Marjane Satrapi che racconta la storia della rivoluzione islamica in Iran. Il fumetto è stato scritto e pubblicato in francese, ed è un esempio di quello che in Europa solo il mercato francese del fumetto può fare: cioè far uscire e conoscere opere serie anche di autori sconosciuti, cosa che da noi è quasi impossibile per relativa mancanza di pubblico, anche se fortunatamente le cose stanno migliorando.

Nell’ambiente, di Persepolis si parlava bene già prima che ne venisse fatto un film e che esso venisse premiato al Festival di Cannes due anni fa: per cui era sulla mia lista da qualche anno. Tre o quattro mesi fa – anzi no erano di più, perché era la volta di questa visita oppure subito dopo – mi capitò sottomano il primo volume, e così decisi di portarlo allo stato successivo: quello di “l’ho comprato e prima o poi lo leggo”.

Effettivamente la fama del fumetto è meritata; in questi giorni in cui si parla di Iran aiuta molto a capire cosa succede là, ma è anche un compendio di storia delle rivoluzioni del Novecento. Lo stile grafico è solo apparentemente semplice, ma è molto interessante vedere come lo stile del fumetto classico americano viene apertamente contaminato dall’iconografia di tipo babilonese, in cui le folle sono facce ripetute bidimensionalmente in maniera regolare e la stilizzazione assume un valore concettuale. Così come lo Psiconauta di Aleksandar Zograf rappresentava la storia della guerra in Serbia vista dall’interno, Persepolis fornisce una inquietante e commovente visione di come i grandi drammi della storia appaiano a chi ci cresce dentro.

Dev’essere per questo che oggi da Fnac, mentre compravo i volumi successivi, ho fatto che prendere anche un altro libro che è nella mia coda “da comprare” sin dai tempi del liceo: Il partigiano Johnny di Fenoglio. Ma è solo un acquisto tecnico: come libro di testo, per essere preparati per il nostro prossimo futuro.

[tags]libri, fumetti, lettura, persepolis, iran, satrapi, zograf, fenoglio[/tags]

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mercoledì 15 Aprile 2009, 13:31

Berlusconiani

Ho sentito poco fa al TG1 la notizia della cacciata dalla Rai (meglio, “sospensione”) di Vauro, unico capro espiatorio dell’ultima, contestata puntata di Annozero. La notizia è stata peraltro detta in modo estremamente buffo: il “giornalista” leggeva il comunicato della Rai dicendo lentamente e con enfasi le parti iniziali che criticavano la trasmissione, poi improvvisamente accelerava per buttare un po’ via la parte centrale non critica (“Nonsonstatinveceravvisatisostanzialielementi disquilibrioneldibattitosvoltonstudio nelcorsodellatrasmissione.”) e poi con voce stentorea proclamava la cacciata.

Non guardo più Santoro da anni; ne apprezzo la capacità di essere fuori dal coro, l’ultimo mohicano in una televisione ormai completamente al servizio del PD±L, ma non ne sopporto più la trombonaggine, il pippobaudismo di sinistra, e la generale necessità di ricondurre tutto a logiche banali tipo “operai buoni – padroni cattivi” oppure “veneti razzisti – immigrati sfruttati” (per non parlare dell’essersi fatto eleggere al Parlamento Europeo prendendo lo stipendio per fare poco o nulla). Quindi non ho visto la puntata scorsa; sono però andato a vedermi le vignette di Vauro incriminate.

Bene, che dire? Il gelo nello studio si avverte sin dal principio, e lo stesso Santoro cerca disperatamente di minimizzare. Si sente anche che Vauro è sinceramente indignato, e che le sue battute sono esplicitamente pensate come coltellate al governo; Vauro certamente pensa di agire per vendicare i morti, non per speculare su di loro. Allo stesso tempo, sono però chiaramente e totalmente fuori luogo: non fanno ridere, perché non c’è niente da ridere. Sarebbe stato meglio se si fosse limitato al primo disegno.

Però, è sufficiente questo per far cacciare con ignominia uno dei migliori disegnatori satirici italiani? Secondo me no, anche se sarebbe meglio che Vauro specificasse, per la forma, che naturalmente non voleva offendere nessuno e che se qualcuno dei terremotati se l’è presa è ovvio porgere le proprie scuse.

E infatti, l’uscita della Rai è parte del newspeak di questi giorni: il terremoto è una grande tragedia, ma grazie agli sforzi del nostro caro leader, sempre inseguito dalle telecamere in mezzo al fango e ripreso in pose ducesche, le sofferenze dei poveri abruzzesi sono state lenite. Il rancio è ottimo e abbondante; del resto vi basta ascoltare attentamente un qualsiasi servizio di un qualsiasi telegiornale in questi giorni per accorgervi che dopo ogni critica anche minima c’è sempre un “ma”; nelle tende fa freddo, “ma” sono state date coperte a ognuno; le case sono crollate, “ma” entro l’inverno ce ne saranno di nuove; l’ospedale è mezzo distrutto, “ma” senza dubbio qualcuno pagherà (anche se dubito che sarà chi l’ha costruito).

Quindi, quale migliore occasione per indebolire uno dei pochi programmi non allineati? E però, la colpa è anche di Santoro & friends, che insistono nel non capire più gli italiani. C’è chi ha detto che Santoro è uno dei pilastri fondanti del berlusconismo italiano, e io tutto sommato sono d’accordo.

[tags]rai, santoro, annozero, vauro, vignette, satira, censura, politica, berlusconi, televisione, terremoto, abruzzo[/tags]

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sabato 4 Aprile 2009, 15:49

A Caturday post

Mentre girovagavo tra gli scaffali dell’Harvard Book Shop – la storica libreria situata proprio di fronte all’omonima università – il mio sguardo è stato attratto magneticamente da un disegno sulla copertina di un libro:

lolcats-front.jpg

Naturalmente il disegno non è completo senza osservare anche il retro della copertina:

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Sì, è proprio come sembra: uno dei due gatti ha appena ceduto il suo amico a un banco dei pegni (pawn shop) in cambio di soldi, ma dalla vetrina è caduta la A, per cui, appropriatamente, la scritta recita “PWN”.

Ma non temete: dentro il libro c’è anche la vignetta in cui i due gatti passano davanti alle sbarre di un canile (dog pound) pieno di cani rinchiusi e commentano “P0UND”, o si tirano addosso un’enorme pagnotta di grano (pone bread) gridando “PONED”. E naturalmente la vignetta numero 1 rappresenta un gatto davanti a un banchetto di hamburger, che chiede…

Insomma, questo è una piccola gemma di fumetto in cui l’autore emergente Adam Koford prende due gatti e li disegna meravigliosamente al modo delle strisce americane di vagabondi di inizio Novecento, meglio se animali come Krazy Kat. E però, in mezzo a questa eleganza antiquata, i due gatti parlano un lolspeak perfetto, creando un assurdo effetto comico legato all’uso delle battute viete e cretine dei lolcats – una roba in sè tremenda, che non ha mai fatto ridere nessuno sopra i quattro anni – in bocca a gatti veri, impegnati in contesti divertenti e pieni di riferimenti ai classici del fumetto americano.

Il libro – che contiene anche una introduzione di John Hodgman, autore satirico americano che sicuramente ricorderete nel ruolo di “PC” all’interno delle pubblicità della Apple – è ovviamente rifinito e perfezionato rispetto alle prime uscite online; comunque, qui su Flickr trovate una raccolta completa delle strisce, mentre il blog presenta le nuove vignette.

E’ frequente trovare del contenuto generalista rivisto e specializzato per i nerd, ma è molto più difficile prendere del contenuto da nerd e renderlo generalista e molto migliore dell’originale: per questo motivo questo fumetto è già diventato un mio preferito!

[tags]fumetto, stati uniti, lolcats, lolspeak, gatti, koford[/tags]

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