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Archivio per la categoria 'Itaaaalia'


venerdì 24 Settembre 2010, 16:51

Verso Cesena, in un pomeriggio di pioggia

Domani mattina, allora, si va a Cesena. Si va per divertirsi, si va per stare insieme, si va per parlare (e ricordo qui una lista di incontri dedicati a tutti gli attivisti del Movimento d’Italia, per discutere dal basso i problemi del Movimento). Domani si va, e oggi piove. E’ appena iniziato l’autunno e ci aspetta l’inverno: probabilmente uno degli inverni più difficili della storia d’Italia.

Vorrei dunque sottoscrivere le parole di speranza di Roberto Fico, che sono vere, ma sono soltanto mezza parte della verità. Ha fatto scalpore qualche tempo fa un libro che analizzava la geopolitica delle emozioni, concludendo che il continente della speranza è l’Asia, mentre l’Occidente è pervaso di paura e il mondo islamico di umiliazione e sete di vendetta; e, secondo me, non è che ci volesse uno studio scientifico per saperlo. L’Occidente sta elaborando il lutto per la fine del proprio modello socioeconomico; e in questo forse l’Italia è pure più avanti, e mentre gli americani sono ancora allo stadio della negazione o della rabbia, noi siamo già in piena depressione.

Oddio, anche tra noi ci sono ancora molti che negano; la tristezza di ieri si è estesa vedendo il video di Noemi Letizia un anno dopo, gonfiata come un canotto da un chirurgo estetico di quarta mano, mostruosa a nemmeno vent’anni, a sparare cazzate sulla donna “chic ma casual” e a sognare di “sicuramente diventare una donna in carriera, avere un bel futuro”, senza avere la minima capacità di concepirlo in pratica; a restare aggrappata a un’ombra di futuro da velina che le è già svanita tra le dita.

A Cesena penseremo anche a lei, a tutti gli italiani come lei, che prima o poi scopriranno la verità, quando questo Paese marcio crollerà loro in testa. Ma loro sono il simbolo di quanto le cose siano messe male, di quanto sia difficile la nostra missione.

Ormai sono quasi tre anni che dedico buona parte della mia vita al Movimento, o meglio alla speranza di poter costruire un’Italia migliore. Mi avete preso in mezzo: è stato bello, bellissimo, ma anche devastantemente pesante. Spesso noi, quelli che sono visti un po’ (e immeritatamente) come un riferimento, ci sentiamo deboli, soli. Facciamo tutto il possibile, ma non siamo capaci di fermare la valanga. Chiediamo partecipazione e otteniamo consenso: vi ringraziamo, ma non avete capito la domanda.

Siamo qui, a sparare con una pistola ad acqua contro i carri armati della vecchia modernità, contro la televisione, contro il capitale, contro centocinquant’anni di ideologie. Ci chiediamo chi ce l’ha fatto fare, per poi risponderci che qualcuno lo dovrà pur fare, e stringere i denti. Siamo assediati anche in casa nostra, attorno a noi ci sono legioni di invecisti (come da geniale definizione di Beppe), di persone che si lamentano perché non hai ancora risolto il loro problema personale su cui peraltro non hanno mai mosso un dito; di complottisti, quelli che siccome non parli di signoraggio sei al soldo della CIA; di generali senza esercito, quelli che il Movimento non va bene per questo e quest’altro motivo e allora bisogna fondare un altro movimentino con le stesse idee ma con loro a capo; di pavidi, quelli che ti aiutano ma solo a metà perché sono d’accordo con te però, nel dubbio, è meglio non esporsi troppo; e di Savonarola a comando, quelli che sono in grado di attaccarti un pippone infinito contro il “leaderismo” di Bono & Bertola & chiunque si sia sbattuto in passato, per poi organizzarsi con gli amici e candidarsi a leader.

Se siete tra questi, non vi offendete; siamo sicuramente noialtri che non siamo degni (o meglio: io non sono degno, tutte queste persone che pensano di essere gli statisti del futuro lo saranno senz’altro, non mi permetto di giudicare). In fondo, io mi ero soltanto rotto le scatole di prendere la mia bici, imboccare la pista ciclabile di corso Vittorio e schiantarmi contro l’edicola o i SUV parcheggiati in divieto; ho provato a fare qualcosa, ma ogni passo avanti è una fatica, perché attorno a me è pieno di gente che magari non è nemmeno in cattiva fede, però è distintamente italiana. Tutto lì.

Vi ringrazio dunque per il giro di questi anni, e impacchetto le mie cose verso Cesena. Sono curioso di capire dove andrà questo Movimento da grande; spero di tornare con risposte positive, e in una giornata di sole.

[tags]movimento 5 stelle, beppe grillo, italia, noemi letizia, woodstock 5 stelle, cesena[/tags]

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giovedì 23 Settembre 2010, 16:58

I nuovi mostri

Mi ha fatto molta tristezza, una tristezza infinita, leggere l’articoletto che Però Torino dedica alle abitudini culinarie dei nostri due consiglieri regionali, Bono e Biolé.

L’articolo – che prende per il culo i due in quanto avrebbero rifiutato le “veterofasciste” ricette della mensa della Regione, pretendendo e ottenendo l’inserimento nel menu della pasta integrale – è, ovviamente, una montatura: tale richiesta non è mai stata fatta. La richiesta è stata quella di poter avere l’acqua del rubinetto in caraffa invece che quella in bottiglia di plastica, e in generale di evitare l’utilizzo di contenitori usa e getta: calcolando che gli utenti della mensa sono alcune centinaia al giorno, l’impatto ambientale di una azione piccola ma semplice come questa è comunque non trascurabile, né si capisce perché le istituzioni si debbano riempire la bocca di inviti alla “sostenibilità ambientale” senza mai praticarla per prime.

Le voci dicono che la mensa abbia accettato di servire l’acqua in caraffa gratuitamente solo per loro, dato che dire di no a un consigliere regionale (persino se di opposizione all’opposizione) non rientra nelle abitudini di un dipendente pubblico, e che questo abbia provocato mugugni in tutti gli altri dipendenti, costretti invece a pagare le bottigliette; al che si sarebbe giustificata la cosa dicendo che “sono vegani”. Cosa c’entri l’essere vegani con la bottiglietta non si sa, e anzi fa un po’ specie l’ignoranza totale che sottende alla cosa; ma fa capire bene come in questi ambienti siano loro, i grillini, ad essere visti come i nuovi mostri – vegani perché, chissà, verranno da Vega.

Bestie strane, che praticano riti incomprensibili, azioni inspiegabili (solo perché non ci si preoccupa di cercarne una spiegazione sensata), e che non si confondono con la folla: questo è appunto il ritratto che ne fa il giornalista di Però. E dunque il problema non è l’ironia, che spesso pratichiamo da soli abbondantemente; è la tristezza di una informazione che non si preoccupa di chiamare e chiedere, di capire il problema di cui dovrebbe parlare, ma è soltanto diretta a prendere in giro i “mostri” in quanto tali, in quanto diversi dagli altri.

Fa specie che questo avvenga nell’Italia di oggi. I mostri, i diversi, non sono gli imprenditori che licenziano, i mafiosi che ammazzano, i difensori della famiglia con tre amanti e così via. I mostri non sono un Presidente del Consiglio e un Presidente della Camera che litigano come due ex coniugi isterici e che usano qualsiasi tipo di istituzione, dal Parlamento ai servizi segreti, come un oggetto contundente da tirarsi addosso nella rissa; i mostri sono gli altri, quelli che non si comportano così.

Rischiamo ancora che, la prossima settimana, il governo Berlusconi cada non per la furia indignata degli italiani, in gran parte impegnati a prendere per il culo i diversi e prendersela nel culo da chi comanda, ma per le manovre di palazzo di gente come il leggendario Deodato Scanderebech: eletto all’opposizione nell’UDC, entrato alla Camera a inizio agosto in subentro a Vietti si è direttamente iscritto al gruppo del PDL, battendo ogni record di incoerenza; dopodiché, dopo meno di due mesi, oggi ha annunciato il suo ritorno all’UDC, abbandonando la nave di Berlusconi forse diretta verso gli scogli e sottraendo uno al famoso conto dei 316. Come diceva solo sei mesi fa nello spettacolare inno del suo partito-persona Al centro con Scanderebech, che riportiamo più sotto, “i valori lo sai non sono in vendita, servono fatti e pura lealtà”.

Io credo che le cose da sbeffeggiare sarebbero queste; e allora viene sempre tristezza, quando ci si rende conto di come moltissimi italiani siano perfettamente abituati all’Italia in cui vivono, e trovino risibile l’idea di concepirne una diversa.

[tags]politica, regione piemonte, però torino, informazione, bono, biolè, berlusconi, scanderebech, movimento 5 stelle, pdl, udc[/tags]

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martedì 21 Settembre 2010, 16:21

Brutti e cattivi

Nonostante le due vittorie consecutive, la contestazione a Urbano Cairo non si placa e anzi aumenta. Allo stadio sono sempre di più i tifosi che espongono sciarpe e bandiere color nero-oro, in ricordo dei primissimi colori sociali del Toro, come segno di attaccamento alle radici e disconoscimento dell’attuale gestione della società, e come invito a Cairo ad andarsene. E poi, dopo che qualche settimana fa un atto simile era avvenuto davanti alla sede sociale di via Arcivescovado, nella notte di domenica ignoti hanno imbrattato il portone e fatto esplodere un petardo davanti alla sede della Cairo Communications di corso Magenta 55 a Milano.

Vi è, in un certo senso, una coincidenza e insieme una concorrenza di azione tra due gruppi diversi: gli ultras con i petardi, i tifosi organizzati con i colori allo stadio. Non si sa dunque se l’atto di domenica sia stato un complemento o piuttosto una risposta alla crescente riuscita della protesta nero-oro, che viene da quei forum verso cui gli ultrà hanno sempre avuto un rapporto di scarsa fiducia, perché visti come ricettacolo di “leoni da tastiera” e di moralisti da strapazzo.

Anche ieri, comunque, i moralisti si sono fatti vivi, specialmente sul forum più favorevole a Cairo (per qualche forma di autoselezione, i forum si sono col tempo divisi; a grandi linee, su Forzatoro i tifosi più indipendenti e critici, su Toronews i residui adoratori di Urbano). E anche ieri sono partiti i pipponi, le dissociazioni, le critiche. Bisogna dire che sono partiti da una minoranza – anzi c’erano tanti tifosi che si lamentavano “tutto qui?” – ma sono partiti.

So che tirare un paragone tra questa vicenda e le contestazioni a Schifani non piacerà a molti: perché sono molti che criticano quelli che “scendono in piazza solo per una squadra di calcio” (ma ognuno sarà libero di scegliersi le proprie cause?). In realtà, la contestazione a Cairo è anche, esplicitamente, una contestazione al sistema (indipendente dai risultati calcistici, come dimostra la scelta dei tempi).

Cairo è il tipico presidente da pay-tv; un fenomeno mediatico basato sulle promesse mai mantenute e sulla manipolazione attenta della comunicazione. Cairo è il calcio moderno, quello in cui i conti sono finanziari prima che sportivi, quello in cui i campionati sono asserviti alle televisioni, dominati dalle stesse tre squadre e completati sempre più spesso da squadre-carneadi di ultraprovincia, inconsistenti e prive di tifosi, che hanno il solo merito di avere un patron dalle tasche profonde e con un paio d’anni di consenso pubblico da comprarsi. E’ il calcio sfibrato e virtualizzato da anni di politiche apparentemente assurde e invece mirate proprio a questo.

Capirete che sentire dunque parlare in questo caso degli ultrà “violenti, brutti e cattivi” lascia perplessi… intanto perché violenza non è stata, dato che al massimo si è scheggiato un portone. E poi, perché sembra che l’unico ruolo concesso al cittadino italiano pare essere quello di chinarsi e subire all’infinito, senza mai alzare la voce, limitandosi al massimo a qualche sfilata di piazza subito e completamente ignorata. E’ un messaggio che i tromboni di regime ripetono all’infinito e non per caso, ed è triste vedere quanti gli vadano dietro, confondendo la non-violenza con la mancanza di dignità e di coraggio nell’affermare le proprie idee, anche a costo di pagarne conseguenze economiche, legali e sociali in termini di ritorsioni (che da noi non mancano mai).

Che ciò avvenga per il calcio può far deprimere, e anche giustamente, chi si sbatte spesso da solo per cause più meritorie; ma preferisco comunque chi va a lasciare la sua scritta sul portone, anche per il pallone, a chi non solo subisce, ma critica pure chi ha il coraggio di contestare.

[tags]toro, ultras, cairo, contestazioni, proteste, moralismo[/tags]

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lunedì 30 Agosto 2010, 10:17

Qualcosa 150

Per chiudere l’estate, questo fine settimana siamo andati da amici a Mentone. Per chi non sa dov’è, è il primo paese francese della Costa Azzurra, dopo il confine di Ventimiglia, e in effetti è popolato per la grande maggioranza da turisti italiani; l’effetto di migliaia di italiani che parcheggiano la loro auto italiana secondo le regole francesi e vanno a mangiare in negozi gestiti da italiani ordinando in francese (anche se poi si finisce sempre per parlare italiano) è piuttosto straniante: alla faccia del turismo come futuro dell’Italia, non siamo in grado nemmeno di trattenere i turisti nostrani.

Comunque, è interessante scoprire che anche qui celebrano il centocinquantenario dell’unità: ovvero di quando nel 1860 la nascente Italia, come prezzo politico e militare dell’unificazione, cedette la Contea di Nizza e la Savoia alla Francia. Decine di migliaia di italiani, insieme a territori che avevano fatto parte del Ducato di Savoia per cinquecento anni, diventarono da un giorno all’altro francesi; fu ceduta persino la città natale di Garibaldi. Altri villaggi di confine – Tenda, Briga, Piena – li seguirono nel 1947.

Naturalmente, anche qui la celebrazione, per quanto ovviamente molto meno “pompata” della nostra, è piena di bandiere (francesi) e slogan altisonanti; e non c’è placca che non ti ricordi che nel 1860 “su 133 abitanti del villaggio ci furono 133 voti per il sì all’annessione, un risultato salutato con grandi grida: Viva la Francia! Viva l’Imperatore!”. In tutti i territori ceduti alla Francia non ci fu un solo voto contrario, proprio come in tutti i territori annessi al Regno di Sardegna per formare l’Italia non ci fu un solo voto contrario: una vera decisione democratica.

E’ curioso come i politici ti dicano che l’unità d’Italia è sacra e inviolabile e va festeggiata in pompa magna, quando i loro predecessori non esitarono a svendere altri italiani a seconda delle convenienze e delle necessità del momento, e quando gli stessi confini dell’Italia sono cambiati già numerose e dolorose volte nella sua breve esistenza. Da sempre, mobilitare le persone attorno a una bandiera è un ottimo strumento per distogliere l’attenzione dai problemi e cercare di mantenere il controllo del potere.

Tra la gente comune sono molti a crederci, e in piena coscienza arrivano a dare la propria vita per un ideale di patria e per un confine che poi, pochi anni dopo, verrà non di rado cancellato, dimenticato e sconfessato; del resto, se parli di Nizza o peggio ancora di Pola e di Fiume, non troverai nelle commemorazioni ufficiali quasi nessuno disposto a dirti che essi siano mai stati territori “italiani” e che siano stati in qualche modo perduti e fatti propri da altre nazioni. Tutti i Bianchi e i Ferrero che, come risulta dalla lapide sulla parete della cattedrale di Nizza, hanno dato il loro sangue nella Grande Guerra, erano dei francesissimi Bianchì e Ferrerò che sprizzavano d’amore per la Francia, capito?

E al contrario, quel De Gasperi che era nato e cresciuto austriaco e aveva servito nel Parlamento di Vienna, giurando eterna fedeltà all’Austria-Ungheria, prima di giurare eterna fedeltà all’Italia in quello di Roma, è un grande statista italiano che in Austria ci stava controvoglia e solo perché costretto, ok?

Insomma, l’Italia (ma vale per qualsiasi altro Paese) è sempre unita, sacra e inviolabile perché non appena perde un pezzo esso, lapalissianamente, non ne fa più parte; ma guai a mettere in dubbio anche solo un millimetro della sua sovranità attuale e dei poteri che essa conferisce al governo del momento, se non vuoi passare per traditore.

Forse sarebbe ora di capire che l’unica unità per cui valga la pena battersi è l’unità della razza umana e del suo solo pianeta; tutto il resto sono divisioni amministrative, che dovrebbero semplicemente mirare all’equità e all’efficienza, e giochi di potere e propaganda sulla pelle delle persone, non di rado finiti in tragedia, che dovremmo aver imparato a smascherare.

[tags]italia, francia, italia 150, unità, nizza, tenda, istria, de gasperi[/tags]

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venerdì 27 Agosto 2010, 18:23

Perdere definitivamente

Oggi vi lascio, in vista del weekend, con il nuovo video di Tony Troja: una cover di Finardi che commenta adeguatamente le ultime uscite di Veltroni, quelle secondo cui alla possibile crisi di Berlusconi bisogna rispondere “Oddio! Ma non vorrai mica andartene davvero? Sta’ lì, sta’ lì, se no poi noi che facciamo?”.

[tags]pd, veltroni, berlusconi, troja, finardi, coyote, perdere definitivamente[/tags]

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giovedì 26 Agosto 2010, 13:14

Come rispondere a chi licenzia un Paese

Mi hanno raccontato la situazione di una persona assunta da sette anni a tempo indeterminato in una multinazionale dell’ICT, una delle poche che hanno ancora una sede qui a Torino. A lei e ai suoi colleghi, l’azienda sta offrendo una buonuscita pari a 44 mensilità del loro stipendio, purché si licenzino. Avete capito bene: sono quasi quattro anni di stipendio. Ma cosa significa il fatto che una azienda sia disposta a pagare quattro anni di lavoro di una persona – dopo averla assunta, formata e specializzata per anni – senza nemmeno usufruirne?

Vuol dire che quell’azienda pensa che non solo non c’è lavoro ora, ma non ci sarà nemmeno tra quattro anni; altrimenti converrebbe comunque mantenere il dipendente in organico a guardare il soffitto, per poi ricominciare a farlo lavorare alla ripresa tra due o tre anni. Vuol dire che quell’azienda pensa che da Torino, dall’Italia è meglio scappare a gambe levate, che la nostra economia continuerà a peggiorare anche nel medio termine, che qualsiasi costo da pagare per poter licenziare i lavoratori e chiudere non è troppo grande rispetto al passivo che accumulerebbe rimanendo qui; che la scelta strategica è licenziare l’Italia.

Non è certo l’unico caso: la Fiat, dopo averci ammannito per anni spot strappalacrime sulla “azienda di tutti gli italiani”, aver incassato lustri di cassa integrazione e di incentivi alla rottamazione, ed essersi vantata di essere l’unica azienda a credere nell’Italia, ha annunciato di voler spostare le future produzioni di Mirafiori in Serbia, dove un operaio guadagna 400 euro al mese. Di fatto, è l’annuncio della futura chiusura di Mirafiori, la fabbrica simbolo dell’Italia. Quale è stata la reazione della politica? Nessuna. Qualcuno, al massimo, ha detto “no, dai, cattivelli, così non si fa, parliamone”. Per tutta risposta la Fiat ha cominciato a licenziare i sindacalisti di Melfi e a rifiutarsi di obbedire alla legge. Stiamo ancora aspettando una qualche reazione dello Stato italiano.

Governanti con un minimo di orgoglio, all’annuncio della Fiat, avrebbero risposto così: “Ah sì, vai in Serbia? Bene, sappi che sulle auto prodotte là ti metterò dei dazi di importazione talmente alti che alla fine in Italia, il tuo principale mercato, non ne venderai più una”. Ma l’argomento “dazi” è tabù: per trent’anni ci hanno inculcato il concetto che la concorrenza globale è sempre e comunque un bene e ci hanno fatto entrare in istituzioni internazionali controllate dalla finanza internazionale, dall’Unione Europea al WTO, dove ci siamo legati le mani e tagliati le palle da soli.

Io ho girato il mondo per conferenze e mi sento europeo e cittadino globale almeno quanto mi sento italiano e piemontese; penso che la globalizzazione non abbia solo aspetti negativi ma anche molti vantaggi, primo tra tutti la speranza di un mondo finalmente unito e pacifico. Non voglio certo tornare all’epoca in cui eravamo divisi in tanti staterelli che si facevano la guerra ogni trent’anni, e nemmeno mi attira la miseria pianificata dallo Stato in stile Nord Corea. Ma non possiamo neanche accettare di rimanere tutti in mezzo a una strada, o di vedere l’Italia divisa tra una cricca di arricchiti (spesso disonestamente) e una ex classe media ridotta in povertà, che si contende briciole di benessere in una continua lotta al ribasso. Non ce l’ha ordinato il medico di far parte del WTO o di accettare passivamente la competizione al ribasso e la delocalizzazione delle nostre produzioni, una operazione in cui la quasi totalità del guadagno viene intascata non dagli operai dei paesi in via di sviluppo, ma da un singolo imprenditore di casa nostra, praticamente senza ricadute sociali né qui né là.

L’obiettivo sociale primario di un’azienda, il motivo per cui scegliamo di organizzare le attività umane in questa forma, è creare lavoro e benessere per tutti, promuovendo il progresso e la sopravvivenza dignitosa dell’intera società. L’arricchimento di chi la possiede e di chi la gestisce è un effetto collaterale, anche giusto quando premia l’innovazione e l’intraprendenza, ma che non può venire prima dell’obiettivo primario; e non esiste, non è un diritto di nessuno, la libertà di arricchire se stessi impoverendo i propri concittadini.

Dunque ci sono nuovi modelli economici da trovare, nuove regole, nuovi principi che vedano l’azienda privata e il mercato come uno strumento da usare quando funziona e da rigettare quando non funziona, e non come un fine in se stesso. Discutiamone, studiamo le cose, facciamo esperimenti, magari anche errori: sarà sempre meglio che star qui ad aspettare passivamente il momento in cui milioni di italiani, per sopravvivere, dovranno assaltare i supermercati – o le ville dei Marchionne.

[tags]lavoro, economia, fiat, mirafiori, marchionne, melfi, torino, sindacato, licenziamenti[/tags]

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lunedì 23 Agosto 2010, 16:24

Il calcio che dice basta

Stasera inizia per il Toro l’ennesima stagione in Serie B, dopo il disastro di quella scorsa, che ha visto il secondo peggior piazzamento di sempre nella storia centenaria del Torino.

Ovviamente io ci sarò, e ovviamente senza abbonamento; con un biglietto comprato l’altro giorno in Val d’Aosta, nell’unico punto vendita di tutta la regione, con due euro di diritto di prevendita da aggiungere ai dieci del biglietto.

Spero che non vi stiate chiedendo perché, dopo molti anni, non ho rinnovato l’abbonamento: dovreste già saperlo. I telegiornali sono pieni dei comunicati trionfali di Maroni sulla nuova “tessera del tifoso”, di cui questo blog ha già parlato sin dallo scorso autunno. Maroni vaneggia di miglior sicurezza e stadi per le famiglie, quando la realtà è che la gestione della sicurezza nel calcio italiano è sempre più approssimativa e improvvisata, e crea più pericoli di quanti ne risolva; vedi i racconti dell’anno scorso qui, qui e qui.

Per andare allo stadio non basta più farsi schedare in tutti i modi (i biglietti sono già nominativi da anni, non è certo la tessera che ci rende più identificabili, e se volevano rifiutarsi di vendere il biglietto ai diffidati potevano farlo già prima), né è sufficiente dover cercare il biglietto come in una caccia al tesoro e sottoporsi a perquisizioni e code sotto il sole; ora bisogna anche, almeno per l’abbonamento e per i biglietti del settore ospiti, sottoscrivere una fidelity card, che per la maggior parte delle società è anche una carta di credito revolving (anche se Cairo, con la sua Cuore Granata, almeno questa ce l’ha risparmiata… per ora), con la quale naturalmente verremo riempiti di monnezza pubblicitaria e spremuti ulteriormente.

Prego ammirare la grande trovata “a vantaggio della sicurezza”: se io non faccio la tessera, posso benissimo andare allo stadio; solo, devo comprare ogni volta il biglietto, pagando dunque nel complesso una cifra superiore. Non solo; se io non faccio la tessera, posso benissimo andare in trasferta; ma non nel settore ospiti. In pratica, grazie a questo provvedimento, da domani vi troverete gli ultrà più accaniti della squadra ospite non nel settore ospiti, dove potrebbero venire separati e controllati, ma in mezzo a voi negli altri settori dello stadio. Geniale vero?

Insomma, la tessera del tifoso è una presa in giro; a me e a tanti altri non sarebbe costato poi molto farla, ma abbiamo deciso di dire di no. Pagheremo il biglietto ogni volta, spenderemo di più, non importa: è un sacrificio concreto per dare un segnale, per indicare il dissenso non certo degli ultrà e dei violenti, ma di tantissime persone perbene che hanno lo stadio come hobby e che sono stufe di venire vessate e criminalizzate.

Dall’estero piovono critiche, ad esempio quelle di Platini; gli abbonamenti sono calati mediamente del 20% rispetto allo scorso anno, nonostante varie curve si siano fatte “comprare” dalle società (per le tifoserie più grandi, fare l’ultrà, controllando la vendita di gadget e magliette, è un mestiere ben retribuito). Maroni sbraita, la tensione è altissima. Speriamo che ritorni in tutti un po’ di buon senso; anche se l’impressione è che pure su questo, come su tante altre cose, la politica sia interessata più agli slogan populisti e alle dimostrazioni di “celodurismo” che a risolvere i problemi.

Nel frattempo, è bene ricordare che da noi è in corso anche una contestazione a Cairo, in modo pacifico e originale: esporremo allo stadio, oltre al granata, anche i colori giallo e nero, i primi adottati dal Toro alla sua fondazione. Per chi ancora non sa cosa viene imputato a Cairo, c’è qui sotto un bel video: guardatelo e leggetelo con calma. Non si tratta certo di lamentarsi per non aver comprato questo o quel giocatore, ma per la gestione approssimativa e minimale della società.

[tags]calcio, serie b, toro, tessera del tifoso, ultras, maroni, viminale, cairo, contestazione[/tags]

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mercoledì 18 Agosto 2010, 16:24

Ricominciamo

Dopo un mese all’estero in una delle situazioni più dinamiche del pianeta, non è facile reinserirsi nei ritmi paciosi e nei discorsi provinciali della nostra Italia. Accendere la televisione o leggere i giornali è deprimente; anzi, lo era già sentire i discorsi dei tamarri di ritorno da Sharm sul pullman che ci riportava a casa da Malpensa. Immagino che i discorsi dei tamarri cinesi, se li avessi potuti capire, non mi sarebbero sembrati più intelligenti; anche se in Cina l’aspirazione dei giovani resta comunque quella di andare in una buona università per trovare un lavoro ben pagato, e non quella di diventare calciatore, velina o evasore fiscale.

Eppure, lunedì sera – vincendo il sonno da jet lag – abbiamo preso e siamo andati alla solita sagra di Cortanze, quella che tutti gli anni a Ferragosto questo blog non manca di pubblicizzare. Quest’anno ci eravamo rassegnati a saltarla, perché solitamente si conclude la sera della domenica; siccome però quest’anno il patrono San Rocco cadeva di lunedì 16, la sagra è stata prolungata e noi siamo riusciti a non mancare.

Non è che avessimo fame, e in Cina abbiamo davvero mangiato benissimo, però la cucina italiana ci mancava, e così ci siamo lasciati un po’ andare: abbiamo preso in due un tris di antipasti, due agnolotti, due costine, una salsiccia, due spiedini, patatine e due dolci. Tutto era ottimo come al solito, e non c’era nemmeno tanta gente.

Mentre andavamo lì, comunque, il Piemonte ci ha regalato anche una serata spettacolare; non solo c’era il cielo azzurro, solo vagamente striato di nuvole – in Cina, in un mese, avremo visto un po’ d’azzurro due o tre volte al massimo – ma i colori del crepuscolo sulla campagna e poi sulle colline dell’Astigiano occidentale erano davvero bellissimi. Al ritorno era buio, ma abbiamo ugualmente goduto prima dell’attraversamento dei boschi, e poi delle luci della collina torinese e della città che si avvicinavano progressivamente.

Sono vari i miei amici che ormai vivono all’estero, per trovare un lavoro decente, o che vorrebbero farlo, e che dicono con rabbia “l’Italia è buona solo per venirci in vacanza”; è sempre più vero, perché noi diamo per scontato ciò che non è. Il Piemonte, in particolare, si trova in una situazione climatica, geografica, culturale e storica, nonché a un livello complessivo di qualità della vita, che ha pochi eguali nel mondo. Molti di noi fanno di tutto per distruggere tutto questo; per devastare il nostro ambiente, per dimenticare la nostra cultura, per trasformare con l’inerzia, l’ignoranza, l’incompetenza e l’egoismo uno dei posti più belli del mondo in un nuovo Terzo Mondo economico e intellettuale. Ogni tanto viene lo sconforto e la voglia di darsi per vinti, ma poi inevitabilmente ci si rende conto che vale la pena di ricominciare da capo a lottare.

P.S. Per gli amanti della cucina popolare, la Sagra del Cinghiale di Pontey quest’anno si tiene venerdì e sabato prossimi, seguita nel weekend successivo dalla Festa del Lardo di Arnad. Preparatevi…

[tags]italia, piemonte, cina, globalizzazione, economia, asti, cortanze, sagre, fiere[/tags]

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domenica 8 Agosto 2010, 17:00

Spaghetti a Suzhou

Oggi è stata un’altra giornata intensa: di primo mattino abbiamo cambiato albergo, dato che l’organizzatrice cinese del soggiorno aveva sbagliato le date della prenotazione, beccandoci pure un tassista o molto tonto o molto ladro, che ci ha portati a spasso per il quartiere trasformando un viaggio di un quarto d’ora in uno di 35 minuti; poi siamo andati a piedi alla stazione per prendere il treno per la nostra gita domenicale a Suzhou; abbiamo fatto un giro di poche ore per poi tornare a Shanghai prima della chiusura dei negozi, per ritirare i vestiti che avevamo ordinato dal sarto. Ovviamente il sarto si era dimenticato di farne uno, ma niente paura: 90 minuti di attesa ed ecco il vestito pronto. Quindi cena ad un noodles bar in zona stazione, dove ho mangiato un ottimo riso con manzo, e infine meritato riposo, nonostante l’albergo di stanotte faccia schifo come solo la tradizionale incuria cinese per pulizie e ristrutturazioni può riuscire a realizzare… ma è solo per una notte.

Suzhou è considerata la Venezia cinese; ci sono tante città nel mondo che proclamano di essere simili a Venezia, ma questa, dal poco che abbiamo visto, ha qualche carta per farlo. Non è che sia proprio fatta di isolette, ma è comunque percorsa da numerosi canali e canaletti, che oltre a cingerne il centro creano suggestivi scorci tra le case. Ovviamente l’acqua dei canaletti è verde smeraldo e credo che contenga meno ossigeno dei gas di scarico di un’auto, ma non si può avere tutto dalla Cina.

In compenso Suzhou è dotata di un traffico formidabile; in Cina nessuno rispetta il codice della strada, ma a Suzhou la nostra esperienza è stata ancora peggiore che altrove. Sembra che ogni abitante, inforcato il suo motorino o la sua bicicletta, sia disposto a morire pur di riuscire a passare con il rosso in mezzo al flusso di auto che arriva dal lato; attendere venti secondi è troppo. Anche alla guida dei veicoli il principio è lo stesso; per esempio, la tecnica dei tassisti per girare a sinistra ed entrare nel parcheggio della stazione è invadere la corsia opposta mirando al frontale con i veicoli che vi arrivano, costringendoli ad inchiodare in quanto meno coraggiosi di loro, salvo venire nel contempo bruciati in staccata all’interno da un altro tassista che sta superando ancora più contromano il taxi che va contromano.

Se uscite vivi dal viaggio in taxi o in bus per entrare in città, però, la passeggiata è piacevole; anzi, è forse l’unica città vista finora dove valga la pena di spostarsi a piedi (altrove i “centri storici” sono stati rasi al suolo da una vita e ricostruiti a colpi di palazzoni e centri commerciali nelle città ricche e di casette e condomini fatiscenti in quelle meno ricche; dunque, viste anche le distanze, è generalmente preferibile spostarsi con qualche mezzo da una attrazione alla successiva). Oltretutto molte strade sono piccole (a dimensioni di una via italiana) e alberate, una rarità per la Cina – dove quasi ovunque la larghezza minima di una via anche centrale è otto corsie – e insieme un vero piacere.

La parte meridionale di via del Popolo per esempio era piena di tristi palazzoni e nuovi centri commerciali di lusso; fantastiche in una traversa le vetrine nuove fiammanti di Ermenegildo Zegna e Louis Vuitton, con annesso Starbucks, che fronteggiano vecchie casette degradate piene di negozietti di frutta, spezie, parti meccaniche e oscuri articoli cinesi da sbarco popolare; poi, a un certo punto, spunta un canale bordeggiato da una viuzza, che si apre su uno spettacolare laghetto attraversato da un ponte che porta nel Padiglione dell’Onda Montante (che la Lonely Planet chiama “Padiglione dell’Onda Blu”, a dimostrazione che pure qui la sua attendibilità è un po’ approssimativa). Dentro c’è un giardino bellissimo, un fazzoletto di terra trasformato in foresta, prato, rocce, cascate, alberi, cespugli inframmezzati a padiglioni e stanze aperte e arredate con bellissimi mobili di mogano.

I giardini antichi di Suzhou valgono davvero la visita; sono una esperienza tipicamente cinese, e, specialmente se vi dedicate a qualcuno dei meno conosciuti, vi verrà voglia di restare lì all’infinito, a pensare, a dormire, a leggere, a staccare dal frastuono del mondo per meditare su di esso. In quelli più conosciuti potrebbe invece capitare ciò che è successo a noi al Giardino del Maestro delle Reti, cioè di arrivare davanti alla biglietteria e di trovarci davanti una persona che urla, in un pessimo inglese con forte accento romanesco, perché non le vogliono fare lo sconto studenti sul biglietto (non è previsto; è persino scritto in inglese sul cartello) e dunque deve pagare ben 30 yuan invece di 20 (tre euro invece di due). Il resto del gruppetto di romani tifava per lei commentando “dieci patacche oggi, dieci domani, ‘sti cinesi si fanno la giornata”.

Naturalmente, una volta dentro, il gruppetto ha cominciato a girare rumorosamente, commentare tutto a voce altissima, disturbare tutti e ovviamente arrampicarsi su una roccia per farsi la foto proprio davanti al cartello “no climbing”. Due tedeschi evidentemente infastiditi hanno scosso la testa e hanno commentato lapidariamente con le due seguenti parole: “zpageti karbonara”.

In queste occasioni, lo ammetto, io e Elena fingiamo di essere turchi.

[tags]viaggi, cina, suzhou, giardini cinesi, venezia, italiani all’estero, turisti[/tags]

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sabato 24 Luglio 2010, 13:19

Famolo strano

Roma, qualche tempo fa, in qualche ministero.

“Aoh, senti…â€
“Aoh, dimmi…â€
“Se devemo trovà per prennere ‘na scelta sur padiglione… er padiglione pe’ Sciangai…â€
“Er padiglione?â€
“Sì, quello de l’Expo de Sciangai… c’avemo da fà bella figura… nun poi mica annare llà cor solito cubo de cemento…â€
“Chettefrega, famolo fare a qualcuno no… a quarche architetto…â€
“Eh, è vero, mi’ cugina conosce un tizio che fa l’architetto… è famoso eh, già ha lavorato pe’ nnoi…â€
“E tu chiamalo, chiedije quarche proggetto… quarcosa che sia carino e nun costi tanto, che qui nun ce sta ‘na lira…â€
“Sì però già so come so’ sti architetti… so’ tutte star… ma alla fine l’idea je la devi dare te… dai sprememose le teste, famo un trust de cervelli… io e te… quarcosa che poi viene Silvio a inaugurarlo e sta contento…â€
“E famolo a mausoleo de Silvio no? Silvio Massimo, le colonne, i gladiatori, i baccanali… Cesare dell’antica Roma…â€
“No dai, troppo scontato… già visto…â€
“E farlo co’ quarche simbolo nazzionale? Tipo, che so, a forma de pallone… a forma de pizza…â€
“Ma no, ma no! Cheap, te stai a pensà troppo cheap! Elegante e moderno c’ha da esse… e simbolico ar tempo stesso… e poi anche ‘n po’ cinese, famose venì n’idea cinese…â€
“E chiediamolo a Verdone no? Che c’aveva fatto er film der cinese… quello là…â€
“No, Verdone no, è de sinistra, poi ce cacciano! N’idea cinese ce l’avemo o no?â€
“Trovato! Senti che idea, aoh, so’ troppo forte!â€
“Trovato? E dimme ‘n po’…â€
“Visto ch’avemo d’annà a Sciangai, famolo a forma de sciangai… c’hai presente i sciangai no? I bastoncini che li butti ‘n tera e poi s’accatastano e te li devi tirà senza farli cadere… il gioco… m’hai capito no?â€
“A forma de sciangai! Ma te sei un genio, sei! Grande, grande! Mo’ co’ sta cosa, in Cina ce famo un figurone!!â€

DSC04010s.JPG

Shanghai, 2010.

L’Italia svela con orgoglio il proprio padiglione dell’Expo 2010, caratterizzato da incavi e pilastri storti “a forma di shanghaiâ€. Sconcerto e perplessità tra gli ospiti cinesi, che non riescono a capire l’indicazione. Alla fine, a gesti, la delegazione italiana riesce a fargli capire che in Italia c’è un gioco che si chiama Shanghai, fatto di bastoncini a forma di grosso stuzzicadenti che vengono buttati alla rinfusa e poi estratti senza farli cadere. I cinesi conoscono il gioco, che peraltro da loro è un gioco per bambini di cinque anni, ma ovviamente in Cina non si chiama Shanghai. A dire il vero, non si chiama Shanghai da nessuna parte se non in Italia, e comunque non è certo per un giochino con gli stuzzicadenti che i cinesi vorrebbero che la loro maggior città commerciale fosse ricordata nel mondo. Ed è così che, all’esposizione universale, l’Italia ha partorito l’ennesima genialata per farsi subito riconoscere.

P.S. Comunque, nonostante la nostra ormai proverbiale approssimazione culturale, oggi abbiamo visitato l’Expo e il padiglione italiano era tra i più apprezzati, sia perché qui impazziscono per lo stile italiano, sia perché comunque ci siamo impegnati a riempirlo di cose interessanti da vedere. Però non era difficile: molti degli altri padiglioni europei erano chiaramente fatti a forma di bruttura!

[tags]shanghai, cina, italia, expo 2010, diversità culturale[/tags]

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