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Archivio per la categoria 'Itaaaalia'


giovedì 20 Novembre 2008, 12:34

Veltrusconi e la Rai

Non dovrei fare un post solo per bullarmi di averci preso; però in questo caso mi sembra obbligato mettere alcuni punti fermi sulla vicenda del presidente della Commissione di Vigilianza sulla Rai, perché è emblematica di quel che succede davvero nella politica italiana.

La vicenda è ormai notissima; da tradizione, il presidente spetta all’opposizione; l’opposizione, integerrima, indica Leoluca Orlando, uomo del partito di Di Pietro, quello che continua ad attaccare Berlusconi, che va alle manifestazioni con Grillo, che difende l’odiato Travaglio. La vile maggioranza non ci sta, e monta un braccio di ferro mai visto. Con un colpo di scena, alla fine la maggioranza elegge un elemento dell’opposizione, tal Villari, ex mastelliano, che naturalmente continua a promettere di dimettersi senza avere alcuna intenzione di farlo. E alla fine, di fronte a questa situazione e al rischio di tenersi Villari (che avrebbe piuttosto lasciato il PD che la poltrona) l’opposizione è “costretta” a puntare sul vecchio Zavoli, persona di grande prestigio ma di peso politico zero, difficilmente in grado di pesare sulle lottizzazioni della Rai. Zavoli o Villari che sia, di sicuro non sarà Orlando: Veltroni, brav’uomo, ha provato a mettere un vero antiberlusconiano a controllare la Rai, ma non ci è riuscito. Tutto chiaro?

E invece no, è chiaramente solo uno squallido teatrino; perché Veltroni è colluso con Berlusconi fino alla gola, e non ha nessuna vera intenzione di fare opposizione; gli basta conservare il suo trenta per cento di lottizzazione di qualsiasi ambito pubblico. Non ci credete? A me lo dicono continuamente persone credibili, che osservano cosa fa il PD nelle istituzioni in varie parti d’Italia. Ma se non vi fidate, c’è il fantastico video mostrato dall’Antonio Ricci, uno che sta lì da vent’anni solo perché il suo è il programma che attira più pubblicità di tutta la televisione italiana, altrimenti l’avrebbero già cacciato.

Se non l’avete visto, è qui:

In pratica, durante un programma de La7, l’esponente del PD suggerisce a quello del PDL come replicare efficacemente alle accuse di quello dell’Italia dei Valori (La7 poi ha mostrato il tutto), premettendo addirittura “io non posso dirlo”

Ma insomma, voi veramente pensavate che Veltroni, impegnato in una lotta per la sopravvivenza con lo stesso Di Pietro, che conquista consensi ogni mese di più, volesse Orlando alla vigilanza Rai? Io no, e infatti, già quattro mesi fa, ho previsto esattamente cosa sarebbe successo.

E, come dicevo, me ne vanterei apertamente, se non fosse che lo stato della politica italiana – tutto, con eccezioni a sprazzi dalle parti di Tonino – fa davvero schifo, e che, allo stesso tempo, ho il sospetto che ci siano ancora tantissime persone che non se ne sono accorte; che credono in buona fede che il problema non sia sistematico, legato alle forme stesse della democrazia rappresentativa, ma sia la persona di Berlusconi; e che Veltroni sia la sua soluzione.

[tags]politica, italia, pd, pdl, idv, di pietro, rai, vigilanza[/tags]

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sabato 8 Novembre 2008, 15:45

Imbecilli

Ieri, mentre tornavo dal Cairo, mi è capitato in mano l’International Herald Tribune, ossia la versione internazionale del New York Times: più o meno il più prestigioso quotidiano del pianeta.

La prima pagina e molto spazio all’interno erano dedicate al rapporto OCSE che sembrerebbe suggerire che, quest’agosto, la Georgia si è inventata di sana pianta i presunti attacchi da parte dell’Ossezia per poter cominciare a bombardare la capitale separatista, e che i russi sono intervenuti soltanto dopo che alcuni loro soldati sono stati uccisi nel bombardamento; suggerendo quindi che chiunque nell’amministrazione Bush abbia dato credito al presidente georgiano Saakashvili è stato quantomeno leggero.

Comunque, in terza pagina a margine, c’è un articoletto sull’Italia. Tenete presente che io ero all’estero e non ho quindi assistito dall’interno alle polemiche sull’ultima uscita di Berlusconi; l’ho appresa da questo articolo. Mi sembra quindi interessante riportarvelo qui, tradotto per intero, in modo che sappiate qual è l’immagine che hanno di noi nel mondo, depurata di tutte le manovre e di tutto il sensazionalismo dei media italiani; sperando che ammiriate il sarcasmo anglosassone della conclusione, che ironizza sottilmente su Berlusconi con le sue stesse parole.

SOLO UNO SCHERZO PER BERLUSCONI

MOSCA. Il primo ministro dell’Italia Silvio Berlusconi giovedì ha descritto il Presidente eletto Barack Obama come “giovane, bello e persino abbronzato”.

Berlusconi è sembrato prendere in giro il primo presidente nero d’America durante una conferenza stampa a seguito di un incontro con il presidente russo.

Il leader italiano, che ha una lunga storia di osservazioni controverse, ha ricevuto da un reporter una domanda sulle prospettive per le relazioni tra Stati Uniti e Russia, che sono sprofondate negli ultimi mesi.

Berlusconi ha risposto dicendo che la relativa giovinezza del presidente russo, Dmitri Medvedev, 43 anni, e di Obama, 47 anni, dovrebbe rendere più facile lavorare insieme per Mosca e Washington.

Quindi ha detto, sorridendo, di aver detto a Medvedev che Obama “ha tutto ciò che serve per fare affari con lui: è giovane, bello e persino abbronzato”.

Agenzie di stampa riportano che Berlusconi ha successivamente difeso il commento, definendo l’affermazione “un gran complimento”.

“Perchè la prendono come qualcosa di negativo?”, ha dichiarato a Mosca secondo l’agenzia stampa ANSA. “Se hanno il difetto di non avere il senso dell’umorismo, peggio per loro.”

Più tardi, Berlusconi ha dichiarato a Sky TV – 24 Ore che il commento voleva essere “carino”, e ha frustato verbalmente coloro che non la vedono in questo modo, definendoli “imbecilli, di cui ce ne sono troppi”.

[tags]italia, berlusconi, obama, medvedev, russia, ossezia, georgia, stati uniti, imbecilli[/tags]

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giovedì 30 Ottobre 2008, 12:10

Giovani limoni e radici secche

Non pensavo di ritornare subito sul rapporto tra imprenditori e tecnici dell’ICT, nonostante assista regolarmente a perle su perle: l’ultima è una azienda dot com che, pur avendo come unico prodotto un sito web, per scelta non ha un sistemista: infatti il ragionamento è stato “diamo da fare l’installazione dei server in outsourcing, tanto dopo che li abbiamo installati un sistemista non serve più”. Alle richieste di assumere un sistemista, anche solo part time o su chiamata, l’azienda ha risposto sempre di no, perché era una spesa non necessaria. Poi, al primo serio problema con server che si piantano e sito malfunzionante, la reazione del management è stata non di chiamare un sistemista di corsa sperando di trovarne uno, ma di cazziare ancora di più il reparto sviluppo – peraltro composto di un neolaureato e di uno stagista, e che va avanti a forza di serate fino alle 22 e ferie negate per tutta l’estate – perché non era in grado di risolvere il problema sistemistico.

Questo genere di situazione è la punta dell’iceberg costituito da un problema molto più grave: perché, nonostante l’ICT sia uno dei pochissimi settori che possono ancora reggere l’economia di un paese sviluppato, praticamente nessuna azienda italiana dell’ICT ha successo su scala globale, e quelle che reggono lo fanno in buona parte solo su scala nazionale e solo grazie a commesse ricevute per amicizia (quando non per stecche) da pubbliche amministrazioni o manager amici?

La mentalità dell’imprenditore italiano medio è ristretta: se gli date in mano un budget di 100 con cui fare una nuova impresa, lui allocherà 80 a se stesso, al proprio SUV e al telefonino fico, e poi coi 20 rimasti cercherà di assumere (anzi, di non assumere) collaboratori vari, stagisti, consulenti e personale vario, selezionato esclusivamente perché costi poco. Conosco personalmente più d’un piccolo-medio imprenditore che parla dei propri dipendenti con il nomignolo di “carne da macello” o “scimmie ammaestrate”, magari adottando esplicitamente la tattica di prendere una persona in stage promettendo una assunzione, tenerla sottopagata o gratis finché non si stufa, e poi prenderne un’altra.

Purtroppo, nell’ICT questo non funziona: il lavoro dei tecnici è un lavoro ad alta densità di conoscenza, che non può essere programmato come quello di un operaio. Specialmente se ciò che si crea è innovativo, non si può sapere in anticipo quando sarà finito, e nemmeno se lo si riuscirà a fare e come; in questa situazione, l’investire su una persona, il qualificarla, il tenersela – evitando così i costi, che quasi nessun imprenditore considera, di inserire nuove persone e di doverle formare da capo – è vitale per il successo dell’azienda, a tutti i livelli; le persone non sono intercambiabili.

Sperare di competere globalmente nell’ICT con aziende piene di stagisti e giovani-limone, da spremere fin che ce n’é, è pura utopia: è chiaro che l’Italia, con questo approccio imprenditoriale, non andrà mai da nessuna parte. Alla fine, però, nel malato sistema economico nostrano le cose comunque vanno avanti: tanto le commesse arrivano raramente per via della qualità dei prodotti e dei servizi dell’azienda, e arrivano più spesso per capacità commerciali o direttamente per amicizie. Tanto, dall’altra parte c’è spesso un’altra azienda piena di giovani limoni, che per carenza di competenza non è in grado di capire la qualità del prodotto informatico che sta comprando.

Anzi, probabilmente nemmeno gliene frega, dato che esistono molti giovani limoni che provano piacere a farsi spremere per poche lire, ma solo per qualche anno di inizio carriera; poi tutti i giovani italiani imparano che alla fine la via migliore per il successo è lavorare il meno possibile, stare al proprio posto e leccare sederi. E quindi, se il capo vuole quell’applicativo inutile e pieno di bachi perché il commerciale è suo amico, vada per quell’applicativo inutile e pieno di bachi.

Stringi stringi, il punto fondamentale è sempre lo stesso: la mancanza di meritocrazia e di capacità in tutta la nostra società, evolutasi addirittura nel disprezzo per la meritocrazia e per la capacità stessa. Certo che è difficile immaginare un modo con cui questa mentalità possa cambiare… eppure, non dimentico la lezione della mia visita africana: a forza di non irrigare il terreno, prima o poi le radici seccano, e presto i limoni non avranno più nemmeno il succo.

[tags]italia, informatica, lavoro, economia, aziende, imprenditori, meritocrazia, ict[/tags]

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mercoledì 29 Ottobre 2008, 14:46

We Train Italy, wellcome from us

Da qualche tempo, nel generale marasma dei lavori di Milano Centrale, sono comparsi dei cartelli per aiutare gli utenti ad uscire: c’è il rischio infatti di non riuscire a trovare il modo di arrivare all’esterno. I cartelli sono bilingui, e si comincia con l’italiano:

“Si informa la gentile clientela che in attesa del completamento dei lavori della Stazione Centrale, per la discesa è possibile utilizzare, oltre alle nuove rampe mobili, gli ascensori posti all’interno della Sala d’Attesa nei modi previsti dalle rispettive norme d’uso.”

Insomma, manca una virgola dopo il che, però alla fine si capisce, anche se ci si chiede come sia possibile utilizzare degli ascensori in modo irrispettoso delle norme: salendo sul tetto? Giocando ad andare su e giù?

Comunque, purtroppo a Trenitalia (anzi, a Grandi Stazioni, o qualsiasi sia la società del gruppo FS che si occupa della cosa) hanno pensato bene di riportare subito dopo il messaggio tradotto in inglese, a vantaggio dei turisti internazionali. Quindi, eccolo qui in tutto il suo splendore:

“Waiting for Stazione Centrale renovation works ending, customers are informed that, to reach ground floor, it is possible only use of lateral stairs, waiting room’s elevators or moving escalator in Ovest side of the station according with respective regulation.”

Che dire? Mi piacerebbe sapere di chi sia parente quello che è stato pagato per scriverlo.

P.S. Nonostante la sfiducia dei lettori milanesi di questo blog, ieri sera sulla 91 sono comparsi due controllori e mi hanno chiesto il biglietto.

[tags]treni, trenitalia, milano, milano centrale, inglese, traduzioni[/tags]

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martedì 28 Ottobre 2008, 16:33

Lo sparo

Stamattina non mi ha sorpreso più di tanto leggere sul blog di Flavia Amabile – uno di quei casi di blogger per cui ti chiedi “ma ogni tanto troverà anche il tempo di lavorare?” – che su Facebook è partita una campagna, già con oltre mille adepti, per uccidere Berlusconi. Per carità, posso immaginare che tutto ciò sia soltanto uno scherzo; si sa però che lo scherzo non è altro che una versione depotenziata della realtà, e che nessuno scherzerebbe sull’uccidere Berlusconi se sotto sotto non sperasse che succedesse davvero.

D’altra parte, mentre all’ora di pranzo pedalavo sul cavalcavia di corso Sommeiller, mi ha colpito una grossa scritta rossa, tracciata con lo spray sullo sfondo di uno dei grandi cartelloni pubblicitari che guardano la salita. C’era scritta una serie di cose, seguite da minacce a Sacconi, a Berlusconi e alla Marcegaglia, concludendo con l’ovvia stella a cinque punte. Per carità, una cosa è disegnare stelle a cinque punte e una cosa è pensarle davvero, ma le morti di Biagi e D’Antona non sono poi così lontane.

Persino davanti alla piazzetta del pranzo politecnico, all’incrocio tra via Vigone e via Monginevro, una mano sconosciuta ha versato con uno spray nero un bestemmione, che non riporto per rispetto dei miei lettori cattolici. Una bestemmia scritta non è una bestemmia istintiva, di quelle che vengono fuori a molti nell’incazzatura del momento; una bestemmia scritta in un luogo pubblico è desiderio di colpire, di offendere, insomma è uno sparo a salve.

Gli spari a salve non vengono solo dagli scontenti: basta distillare l’umore di molti commenti alla protesta della scuola e dell’università. Forse voi, bazzicando questi ambienti, avete l’impressione che l’Italia sia avvolta da una protesta ampia e dilagante, ma non è così: o meglio, dilaga la protesta contro la protesta. Se il Rettore dice che non manderà la polizia a sgomberare le aule, sono pronti mille italiani medi a invocare legge e ordine a colpi di manganello. Paradossalmente, non interessa nemmeno valutare le ragioni della protesta, anzi nemmeno conoscerle. Ciò che interessa è che la protesta finisca; spesso addirittura per un senso di disfacimento e rassegnazione, per un “credi che io stia meglio? eppure sto zitto al mio posto” che molti pensano, arrivando a rovesciare le prospettive a considerare arrogante e pretenzioso chi chiede soltanto un mondo migliore in cui vivere.

Sui nostri media controllati e censurati, la rabbia trova sempre meno spazio; trova invece spazio la paura, che ̬ funzionale ad aumentare le schiere di coloro che reclamano repressione indistinta, non solo dove ci vorrebbe Рverso i criminali, verso gli spacciatori, e aggiungiamoci magari gli evasori e i corrotti, che non li cita mai nessuno Рma anche verso qualsiasi opinione diversa da quella del potere. I meccanismi bastardi del potere sono molti, ce li ha spiegati Cossiga a chiare lettere soltanto la settimana scorsa; ma quando la protesta diventa impossibile, quando viene repressa senza ascoltarla e senza concederle spazio per canali democratici, a chi dissente resta una sola cosa: lo sparo.

Se le premesse sono queste, mi chiedo anzi come mai lo sparo, in questo duemilaotto senza speranza, non ci sia ancora stato.

[tags]italia, politica, democrazia, terrorismo, protesta[/tags]

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venerdì 17 Ottobre 2008, 14:02

Arraffi chi può

Forse non tutti ve ne siete accorti, e quindi ve lo dico io: è cominciato l’assalto alla diligenza da parte degli enti locali. Già, perché i conti di Comuni, Province e Regioni sono in rosso, in alcuni casi tanto da portare le amministrazioni sull’orlo del fallimento (a parte Taranto, che è già fallita da un po’). E’ noto che una delle principali ragioni per cui a Torino si fa il grattacielo di Banca Intesa è incassare subito svariati milioni di euro (trenta, mi pare) di oneri di urbanizzazione: soldi che permetteranno al Comune di pagare gli stipendi anche a dicembre. Altri, invece, non sono così “creativi” e quindi utilizzano i vecchi metodi all’italiana.

Il governo Berlusconi, quindi, tra i suoi primi atti ha stanziato 500 milioni l’anno per i prossimi anni per Roma; anzi, per Roma Capitale, per compensarla cioè delle maggiori spese che le derivano dal fatto di essere la capitale… come se il fatto che l’intera economia cittadina si regga sugli stipendi delle amministrazioni centrali, pagati da tutta Italia, non costituisse già un enorme afflusso di denaro verso Roma.

Dopodiché, c’era in crisi anche Catania, la città governata fino a pochi mesi fa da Umberto Scapagnini, medico personale di Berlusconi e responsabile della sua “immortalità” (parole sue), prima che mollasse tutto a metà mandato per farsi eleggere in Parlamento, guadagnando così una opportuna immunità parlamentare; e così, zitti zitti, sono arrivati 140 milioni anche laggiù.

Nel frattempo, anche la Regione Lazio rischiava di fare bancarotta, a causa dell’immenso buco della sua sanità; e così, dopo vari nicchiamenti dovuti al fatto che la Regione è in mano al centrosinistra, è stato sbloccato anche il fondo di cinque miliardi di euro – di cui due miliardi regalati a fondo perduto – per le cliniche ciociare e vaticane.

Evitiamo di menzionare l’operazione Alitalia e i cinque miliardi di dollari regalati a Gheddafi (senza che gli italiani che furono sbattuti fuori dalla Libia dal suddetto, confiscando loro beni e denari senza alcun compenso, siano mai stati risarciti): certo che Berlusconi, quando gli serviva e quando c’erano amici da foraggiare, non si è fatto problemi a spendere.

Nel frattempo, naturalmente, lo Stato taglia di tutto e di più: è di oggi il bell’articolo di Sapegno sulla chiusura della scuola elementare di Prali. Ora, io sono assolutamente favorevole a tagliare sprechi e lussi, ma qui non stiamo parlando né dell’una né dell’altra cosa: come si può pensare che le montagne sopravvivano con una scuola ogni 40 chilometri di curve?

Capirei anche che si tagliasse se non ci fossero proprio più i soldi; ma tutti gli stanziamenti di cui sopra dimostrano che i soldi ci sono. Solo, sono dirottati senza alcuna equità verso le voci di spesa “amiche” e le zone più brave ad ottenere regali dal governo centrale.

Tutto questo si somma alla storica sperequazione per cui alcune parti d’Italia mantengono stabilmente tutte le altre: leggete quei numeri, fanno spavento. Io potrei capire sia che grandi parti del Paese avessero bisogno di stanziamenti consistenti per qualche tempo, sia che piccole parti del Paese avessero bisogno di stanziamenti regolari (per esempio le isole remote); ma non è possibile che un Paese si fondi stabilmente sul fatto che una parte mantiene tutti gli altri. Se questo metodo davvero servisse allo sviluppo, a quest’ora il Sud sarebbe la California: quanto ancora bisogna insistere per capire che non funziona, e che serve solo a prolungare le clientele e a finanziare la stessa mafia che vorremmo teoricamente combattere?

Non si tratta quindi di una questione di solidarietà: solidarietà è quando si aiuta qualcun altro per un caso speciale e non dipendente dalla sua volontà. Qui, invece, questo flusso di soldi non aiuta la gente che vive al Sud, ma solo i politici e i mafiosi che incamerano le prebende pubbliche; e non è né eccezionale né indipendente dalla volontà degli amministratori che ricevono questi soldi, e che creano buchi in maniera irresponsabile o addirittura volontaria, in modo da riceverne altri.

Finora, comunque, c’era ricchezza più o meno per tutti e la cosa è rimasta in piedi. Ma quando l’anno prossimo o al massimo quello successivo, causa debito non ripagato, a Torino cominceranno a chiudere gli asili e le biblioteche, semplicemente perché le tasse pagate dai torinesi vanno a finire negli sprechi (nazionali e locali) invece di essere spese per servizi utili, noi che faremo?

Perché si sa, uno che costruisce una situazione vantaggiosa per sé e svantaggiosa per gli altri è un furbo e merita tutto il nostro disprezzo; invece, uno che ogni tanto si sacrifica per gli altri merita tutta la nostra ammirazione… ma anche la nostra riconoscenza e il nostro aiuto, perché il sacrificio non può essere permanente e fatto sempre dalla stessa persona. Pertanto, uno che accetta passivamente e perennemente una situazione svantaggiosa per sé e vantaggiosa per gli altri, senza alcuna particolare considerazione etica a giustificarla, non può definirsi altro che un fesso.

[tags]economia, debito, federalismo, tasse, roma, catania, lazio, torino[/tags]

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mercoledì 15 Ottobre 2008, 11:56

Me ne frego

Commento postato ieri mattina sul blog di Flavia Amabile che denunciava i tagli alla scuola pubblica:

“Come al solito, si carica sempre + di lavoro chi gia’ fa e da’ alla scuola e chi non fa un tubo ,prendera’ solo lo stipendio, vedrete, xche’ non si fanno tante belle sezioni in cui i bambini stranieri possono imparare bene l’italiano,la storia, la cvilta’ italiana, ma so gia’ che tanti “amici del blob storceranno il naso,guai e l’integrazione? si, ma x quella i nostri figli rimangono indietro nei programmi xche’ bisogna aspettare loro,bisogna far andare alla pari loro, gli stranieri, prima loro e poi noi, anche chi ha dato un pugno al prof, chi era di origine dominicana, puo’ succedere anche con un italiano, ma li’ ci si mettono di mezzo anche i genitori,sempre a proteggere i figli ,e magari a menare loro i maestri,come e’ successo ad una maestra nostra ,assalita da una madre rumena a schiaffoni e poi ,vai a lamentarsti se riesci,e sa la signora non capisce la linua italiana, si e’ confusa, ma quando vogliono capiscono bene tutti i loro interessi, le agevolazioni che ci sono solo x loro in italia, tutti i soldi che diamo loro, tutto gratuito e io pago…. italiani scemi,dicono loro e hanno ragione, ma qualcuno non la pensa cosi’ e combattera’ finio alla fine x ideali italiani,anche se soccombera’ xche’ sono davvero troppi e si riproducono sempre +( basta guardare due mussulmane in giro,in media ci sono circa 5 o 6 figli e se li devo mantenere io ,mi girano alquanto,cioe’ li mantiene la societa’ italiana xcon tutti i giavamenti che hanno. mi direte che sono razzista ma chi se ne frega? non ho mai ammazzato nessuno io, o stuprato ,non sono mai andato a rubare ai vecchi, non ho mai guidato ubriaco e ucciso un passante ignaro. si puo’ succedere anche ad un italiano ma sembra + grave e uno straniero che ci odia puo’ noi no,noi in casa nostra, si badi bene, non possiamo +”

scritto da gio’64 14/10/2008 11:11

Che questo signore o signora di 44 anni la pensi così, scrivendolo come in un SMS, non è strano: basta girarsi un po’ attorno per accorgersi che commenti come questi sono frequentissimi, e che l’odio per gli stranieri è un sentimento diffuso, specialmente in persone abbastanza vecchie da poter rimpiangere l’era in cui “qui eravamo tutti italiani”, ma abbastanza giovani da non aver goduto dell’età in cui eravamo tutti ricchi. Quello che però mi ha colpito è l’espressione “me ne frego”: me ne frego dei giornali e delle istituzioni che dicono che il razzismo è male, me ne frego della disapprovazione sociale che mi aspetto per chi non è di sinistra o è razzista (questa confusione è aiutata dal fatto che i primi a farla sono spesso quelli di sinistra) e me ne frego persino delle leggi, in cui non credo più e anzi che vedo solo come uno strumento di vessazione al servizio di “quelli là”.

Si arriva così al caso estremo di questa signora; ma quanti in cuor loro troverebbero giusto comportarsi allo stesso modo, solo che hanno paura delle conseguenze sociali sopra esposte? Per questo il crescente “me ne frego” è preoccupante: è come se, lasciata crescere all’infinito senza mai affrontare né gli oggettivi problemi di criminalità legati all’immigrazione, né l’uso sconsiderato di termini e comportamenti razzisti da parte di politici e pubblici personaggi, la rabbia abbia ormai superato il livello sotto il quale può essere controllata grazie alla pressione sociale di chi sta attorno. Se è così, presto la vedremo scoppiare.

[tags]italia, razzismo, intolleranza[/tags]

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martedì 14 Ottobre 2008, 11:54

Demolizioni

Mi scuserete se prendo ancora una volta spunto dalla foto di Chiamparino con l’elmetto da cantiere in testa, stile presidente operaio, per commentare le ulteriori dichiarazioni rilasciate a tre giorni dalle precedenti, questa volta a La Stampa (speriamo che tra un’intervista e l’altra trovi anche il tempo per il suo doppio incarico di sindaco e di ministro-ombra dell’opposizione-ombra).

Dice stavolta Chiamparino: a che servono tutti questi consiglieri comunali, provinciali, regionali? Tagliamone la metà: così si ottengono sicuramente dei risparmi economici”. Quella sui costi della politica è una battaglia già vinta: tutti gli italiani sono stufi dei politici, e sono convinti che non servano a niente, anzi ci mangino soltanto; e, vedendo i politici che abbiamo, non gli si può dare torto.

Dall’altra parte arriva il ministro Gelmini: a cosa servono tutti questi maestri, perché non ne licenziamo 75.000? La segue a ruota Brunetta: cacciamo 2.600 precari dell’università? Tanto lo sappiamo tutti che la scuola e l’università, enti pubblici per eccellenza, sono pieni di fancazzisti, raccomandati, fagnani, parenti, incapaci di vario genere e natura. E giù gli applausi degli italiani impoveriti: finalmente risparmieremo qualche lira.

Ora, io sono sempre stato in prima linea per far cacciare gli assenteisti, tanto che sul forum di Specchio dei Tempi sono convinti che io ce l’abbia coi dipendenti pubblici. In più, la reazione standard della scuola e dell’università – è trent’anni che a qualsiasi lamentela sul servizio i professori rispondono di tacere o al massimo di aumentargli lo stipendio, e che ad ottobre cadono gli scioperi come d’autunno sugli alberi le foglie – fa sì che effettivamente venga voglia a chi assiste di prendere la mannaia, pur di convincere i lavoratori del settore che no, pretendere da tutti 40 ore di lavoro settimanale – e non solo dai santi che si immolano per i colleghi – non è una vessazione e un attacco alla cultura, ma solo una misura di banale equità; e decentrare la raccolta e la spesa dei fondi, chiedendo agli enti pubblici della formazione di gestirsi in autonomia ma di avere anche bilanci in pareggio, non è una svendita al capitalismo ma una necessità per ridurre gli sprechi e aumentare l’efficienza.

Non ci si può però esimere dal dubbio: che ne sarà della scuola e dell’università pubbliche dopo tutti questi tagli? Non sarà effettivamente che i tagli non andranno solo a ridurre gli immani sprechi e le raccomandazioni, ma finiranno per impedire che tutti abbiano un minimo di formazione decente? E questi giovani sempre più ignoranti, a che servono?

Idem per la politica: tagliare i consiglieri significa ridurre il dialogo, escludere sempre di più le minoranze, concentrare tutto il potere nelle mani di due grandi partiti. Alla fine, non finiremo per perdere la democrazia?

Vedete, il sospetto peggiore è che tutto questo non sia affatto casuale. Se ci pensate, vent’anni fa non ci sarebbe stato modo di demolire la scuola pubblica o i consigli comunali: si sarebbe sollevato il Paese. Allora, per vent’anni Berlusconi e antiberlusconiani ci hanno ammannito uno spettacolo di sprechi senza fine e di incompetenti alla ribalta, che però hanno gestito loro e hanno scelto loro: tutti questi politici incapaci che vediamo sono il frutto delle leggi che loro hanno fatto per eliminare le scelte popolari e scegliersi da soli i parlamentari, come fossero dei dipendenti. Così le raccomandazioni, così l’immigrazione fuori controllo, così l’insicurezza e l’impoverimento, che derivano sì da fenomeni mondiali che i nostri politici non capiscono e non sanno gestire, ma che sono stati anche lasciati fermentare in modo apparentemente inspiegabile.

Quindi, prima si fa in modo che il sistema vada a ramengo, poi, quando tutti sono infuriati perché il sistema non funziona, lo si demolisce tra gli applausi della folla.

E invece il problema non sono i docenti universitari e i consiglieri comunali, ma (la maggior parte di) questi docenti universitari e questi consiglieri comunali. Basterebbe sceglierseli meglio. Basterebbe poterseli scegliere.

[tags]demolizioni, chiamparino, berlusconi, politica, italia, scuola, università[/tags]

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martedì 7 Ottobre 2008, 14:29

Non c’è bisogno di andare fino in Sicilia

Questo è quanto successo pochi giorni fa al consiglio comunale di Rivoli: i vigili urbani sono intervenuti, hanno preso la telecamera a quelli che riprendevano la riunione (pubblica), hanno cancellato il video e poi hanno detto che il video era stato “spontaneamente cancellato” dall’autore…

[tags]torino, rivoli, consiglio comunale, fiato sul collo[/tags]

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sabato 4 Ottobre 2008, 11:47

La sinistra e il razzismo

Per metà del Paese, le cose scorrono normali: ci si alza, si va a lavorare, si esce la sera, si va al cinema… Per l’altra metà, invece, tutto si è fermato, e la vita è ormai completamente sconvolta da una emergenza nazionale: l’Italia è preda del razzismo.

Basta leggere Repubblica o ascoltare Radio Popolare per trovarsi continuamente di fronte a casi clamorosi: un nero picchiato qui, un nero umiliato là… sembra che d’improvviso tutti gli italiani siano impazziti e si siano messi a caccia degli stranieri. Un fenomeno peraltro inspiegabile, visto che sugli altri giornali – anche quelli non particolarmente destrorsi, come il Corriere o La Stampa – le notizie in proposito, sparate ad altissimo volume dai giornali vicini ai partiti di sinistra, si conquistano al massimo qualche trafiletto come normali fatti di cronaca.

L’ultima è notevole: quella della donna somala che denuncia che all’arrivo all’aeroporto di Ciampino è stata maltrattata e spogliata “in quanto nera”. Dal titolo sembra una cosa vergognosa, poi leggendo l’articolo si scopre che l’episodio sarebbe avvenuto tre mesi fa ma la signora se l’è ricordato soltanto adesso; che la signora aveva precedenti per traffico di droga – ma Repubblica si dilunga a spiegarci che il khat è droga, sì, ma poi non è così tanto droga – e quindi la perquisizione era motivata dal cercare se avesse nello stomaco ovuli di stupefacente; e che, secondo la polizia, lei avrebbe resistito e dato in escandescenze.

Ora, sappiamo tutti che la polizia italiana può fare le peggio cose (vedi Genova), ma questa è un’altra cosa che stupisce dell’approccio di Repubblica: per principio, la parola di un nero è verità, mentre la parola di dieci poliziotti, un questore, un sindaco e così via non conta assolutamente niente. Questo è particolarmente evidente nell’altro caso di un ghanese picchiato dai vigili di Parma e poi insultato, fino a ridargli la busta coi documenti con sopra scritto “negro”. La polizia municipale spiega che l’occhio nero del ragazzo è legato alla colluttazione avuta con gli agenti al momento del fermo, con due agenti finiti al pronto soccorso con tanto di referto; e che la busta gli è stata consegnata bianca, “negro” se l’è scritto da solo. Ora, io non so; è anche possibile che ci sia stato un complotto dei vigili, aiutati dai medici dell’ospedale, con conseguenti rischi di licenziamento e reati penali, tutto per il dubbio piacere di scrivere “negro” su una busta; prima di darlo per scontato e di gridare al razzismo, però, aspetterei un’inchiesta o perlomeno qualche prova.

Un altro episodio di giornalismo d’assalto è coinciso con il recentissimo caso, a Milano, di un ambulante senegalese abusivo rimasto coinvolto in una rissa al mercato con il verduriere italiano davanti al cui banco si era piazzato, che gli avrebbe detto anche “sporco negro”. Prima Repubblica pubblica una breve notizia, poi spara la cosa in prima nazionale. Anche qui, però, leggendo l’articolo si scopre che i testimoni hanno visto la rissa, ma non hanno sentito insulti razzisti; ciò nonostante, l’articolo – riprendendo anche un pronto comunicato della Cgil che denuncia il clima di razzismo crescente alimentato dal governo Berlusconi ecc. ecc. – conclude che si è trattato di una aggressione per via del colore della pelle.

Peccato che i primi commenti all’articolo, tra cui il mio, siano un po’ perplessi, visto che a ben vedere pare una rissa qualsiasi e che lo stesso articolo dice che gli insulti razzisti potrebbero anche non esserci stati (ma anche se ci fossero stati, una volta che si perde il controllo e ci si mena ci si grida qualsiasi cosa; quanti di noi da incazzati hanno detto delle cose che non pensavano veramente, solo per ferire l’altro?); in più, alcuni fanno notare che sono altrettanto frequenti gli episodi opposti, di neri che molestano italiani, ma Repubblica non li riporta.

Apriti cielo! Stamattina l’articolo originale è sostituito da uno nuovo; sono apparse magicamente le testimonianze che giurano che sì, è stato detto “sporco negro” – per quanto si dica anche, ovviamente alla fine e en passant, che nessuno è stato disposto a metterlo per iscritto davanti alla polizia – e che sarebbe stato chiamato un sicario, mentre dell’amatissima Cgil, a scanso di equivoci, non si parla più. E non è la prima volta che Repubblica si rimangia le proprie parole quando si accorge che non sono sufficienti a convincere la gente della propria tesi.

Quindi? Di casi di razzismo ce ne sono comunque: ad esempio il pestaggio del cinese a Roma. A ben vedere, però, sono bravate compiute da sedicenni; razziste sì, ma nell’ambito del generale bullismo verso il diverso, perché la mia sensazione dalle cronache successive è di generale incultura, e quindi che così come hanno pestato il cinese quei ragazzini avrebbero pestato il primo della classe o il disabile della porta a fianco, tanto per divertirsi in branco.

Insomma, come già scrissi tempo fa, il problema non è tanto il razzismo, quanto il sentirsi dei “noi” opposti a “loro”; il dissolversi del senso di comunità, sostituendolo con l’appartenenza a tribù in guerra tra loro, alcune definite dalla nazionalità, altre dallo status sociale o dalle opinioni politiche. I fatti, quindi, diventano superflui; ogni episodio è soltanto un teatrino in cui, a seconda della tribù di appartenenza, si assegnano dei ruoli a ciascuno degli intervenuti e si salta subito alle conclusioni (come peraltro avranno fatto varie persone di sinistra, che leggendo questo articolo avranno pensato “ecco il solito fascista-razzista-liberista-conservatore-evasorefiscale” senza veramente valutare i fatti e le argomentazioni che sto portando, né tutto il complesso delle mie idee, che certo non sono classificabili con le categorie politiche tradizionali).

La tribù dei giornalisti, ormai, è tra le più odiate; un sondaggio dell’altro giorno diceva che per circa due terzi degli italiani i giornali non sono credibili, e che strumentalizzano le notizie per fini politici o economici. A leggere Repubblica, si capisce perché.

Peccato che l’effetto di questi articoli sia l’opposto: nelle intenzioni di Repubblica dovrebbe servire a spaventare i moderati, facendo loro pensare che Berlusconi sia il nuovo Mussolini e portandoli a votare PD. Nella realtà, la gente non è così scema; vede ogni giorno cosa avviene per strada, e sa perfettamente che c’è una parte di immigrati dediti a non far nulla, all’accattonaggio, all’abusivismo o addirittura alla criminalità, che però non viene punita un po’ per difficoltà pratica, un po’ per lo sfascio della giustizia italiana, un po’ per paura e un po’ per ideologia. Leggere le distorsioni e le verità precotte di Repubblica fa soltanto crescere la rabbia contro queste persone; e, man mano che il tempo passa, sarà questa rabbia a trasformarsi davvero in razzismo.

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