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Archivio per la categoria 'Itaaaalia'


martedì 12 Febbraio 2008, 14:18

Sogni rossi

In questi giorni, sul forum Politica di Forzatoro (sì, ne esiste uno), spinti dal fatto che la comunità pende decisamente verso sinistra con ampie punte nell’area extraparlamentare, ci si divertiva a immaginare come sarebbe stato un governo della nuova “cosa rossa”, ovviamente presieduto da Bertinotti.

Io ho scommesso che Bertinotti non sarebbe nemmeno riuscito a iniziare il discorso di insediamento, immaginando un dialogo di questo genere:

Bertinotti: “Cari compagni…”
Mussi: “Beh no, dai, compagni è un po’ superato, facciamo italiani…”
Bertinotti: “Cari italiani…”
Diliberto: “No, così suona fascista, noi siamo per l’internazionale, cittadini del mondo!”
Bertinotti: “Cari cittadini del mondo…”
Caruso: “Porco capitalista! Sei a favore della globalizzazione! Venduto!”
Bertinotti: “Cari amici…”
Tutti in coro: “Democristiano! Mafioso!”
Bertinotti: “Cari uomini…”
Giordano: “Dimentichi l’importanza del genere femminile oppresso dal sessismo maschilista!”
Bertinotti: “Cari uomini e donne…”
Luxuria: “Razzista! Discrimini i LGBT!”
Bertinotti: “Cari tutti…”
Tutti in coro: “Qualunquista!”

Ovviamente io facevo per scherzare; ma dopo di questo, nel thread a fianco, è intervenuto uno a dare a Bertinotti del venduto agli amerikani e ai capitalisti, e a pubblicizzare invece il Partito Comunista dei Lavoratori. Se ne avete il fegato, potete leggere come questi militanti siano rimasti senza parole (solo otto schermate in politichese stretto) di fronte alla svolta fascista di Bertinotti e Giordano, e così propongano un programma elettorale basato sull’“esproprio senza indennizzo e sotto controllo operaio” di banche, grandi aziende, chiese e persino della Thyssen-Krupp.

Sono tanto fuori moda, ed è triste pensare che c’è gente, per quanto poca, che gli andrà dietro. Però, pensandoci bene, sull’esproprio dell’ultima azienda potrei anche essere d’accordo…

[tags]comunisti, bertinotti, cosa rossa, partito comunista dei lavoratori, elezioni, politica, thyssen-krupp[/tags]

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sabato 9 Febbraio 2008, 12:08

Calci nel sedere

È di oggi la notizia che Berlusconi e Fini, trovato l’accordo per una lista unica, hanno dato un calcio nel sedere a Casini. Dopo avergli chiesto pro forma se volesse entrare a rimorchio nella lista unica del centrodestra, pare che abbiano tutti concluso che non hanno alcuna voglia di continuare a convivere.

Questa mossa fa il paio con (e anzi è la conseguenza di) quella di Veltroni, che vuole portare il Partito Democratico alle elezioni in solitaria, senza più ricostituire l’Unione con la sinistra radical-conservatrice e con il vario sottobosco di centro di scuola mastelliana. Anche qui, nelle scorse settimane si sono sprecati i lamenti e le classiche accuse di “spaccare l’unità della sinistra”, a nascondere il fatto che tutti questi nanetti irritanti, infantili e sempre pronti ad anteporre il proprio interesse politico personale a quello dello Stato possono esistere solo se le formazioni più grandi li degnano di attenzione e se li tengono a bordo; altrimenti, sono destinati alla marginalità o alla sparizione.

E’ vero che i voti non fanno schifo a nessuno, per cui temo marce indietro, vista anche la pessima legge elettorale che ci siamo tenuti e che dà comunque alla “cosa bianca” e alla “cosa rossa” discrete possibilità di entrare in Parlamento da sole. Ma mi piacerebbe se questo fosse il risultato di un tacito e definitivo accordo tra Veltroni e Berlusconi, resisi conto che il Paese è sull’orlo della rivolta popolare, e che se non saranno loro a dare un calcio nel sedere ai vari Casini Mastella Pecoraro e Diliberto e a costruire delle coalizioni che abbiano quel minimo di coerenza e disciplina tale da permettere di governare, sarà il Paese a dare un calcio nel sedere a loro due (come ha fatto con Prodi, che, pur avendo passato la legislatura a fare il pompiere e la persona di buon senso, ne esce politicamente cadavere).

La scelta di Veltroni può avere un grosso impatto sul disilluso ma numeroso popolo di centrosinistra di buon senso; del resto io – concordando con i ragionamenti di una groupie del PD come Suzukimaruti – probabilmente lo voterò se si presenta da solo, mentre se si fosse ripresentato con Dini e Bertinotti avrei con decisione cagato sulla scheda. Non sarà abbastanza per vincere ed evitarci cinque anni di Berlusconi quater, ma, se fosse la volta in cui si riesce a tenere fuori dal Parlamento un po’ di nanetti di entrambi gli schieramenti o perlomeno a ridurli a macchiette folcloristiche senza alcun peso politico, sarebbe già una svolta storica.

[tags]politica, veltroni, berlusconi, fini, casini, partito democratico, elezioni, cagare sulla scheda[/tags]

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giovedì 7 Febbraio 2008, 09:58

Fusione a motore

Torino, dopo la radio, la televisione, la moda, la Telecom e le banche, potrebbe presto perdere persino i trasporti pubblici. E’ infatti di queste settimane la notizia secondo cui la cupola cittadina, in mezzo a grandi comunicati di giubilo e ai peana della Stampa, ha avviato le trattative per vendere GTT alla ATM milanese.

Naturalmente, secondo Chiamparino e Bresso l’operazione sarebbe necessaria per offrire all’azienda torinese prospettive di crescita e di competitività. Peccato che questa tiritera mi sembri di averla già sentita, ad esempio per la fusione Sanpaolo-Intesa, che a distanza di un po’ di tempo conferma quel che tutti sapevano, cioè che Torino sarebbe diventata, al solito, la periferia che prende ordini da Milano.

Qualcosa di vero c’è; certamente anche nel mondo del trasporto pubblico sono in atto consolidamento e globalizzazione, anche prima di quel che pensiamo, visto che due compagnie storiche del torinese come Sadem e Sapav – cioè i pullman blu per Pinerolo e per la Valle d’Aosta – già esibiscono timidamente il logo Arriva, cioè la mega-azienda dei bus londinesi. Tuttavia, non è affatto chiaro né perché questo sia per forza un pericolo, né perché questo implichi la necessità di svendersi ancora una volta a Milano o comunque di creare un sistema di trasporto piemontese concentrato sulla dipendenza dal capoluogo lombardo. Su questo punto si vedano anche le incredibili dichiarazioni dell’amministrazione regionale sdraiata a difesa di Malpensa, dopo non aver mosso mai un dito in dieci anni per promuovere seriamente Caselle.

I trasporti torinesi hanno innanzi tutto ben altri problemi: quelli di inanellare una stupidaggine gestionale dietro l’altra, in un tripudio di quella che, se non è incompetenza, è perlomeno mancanza di pianificazione. Siamo l’unico caso di città che, dopo avere speso 200 miliardi per costruire la nuova linea 4 in tramvia veloce, ci fa correre accanto due bus che fanno lo stesso identico percorso (50 e 63) e che finiscono pure per intralciarne e rallentarne il passaggio. O che spende altre centinaia di miliardi per costruire una linea di metropolitana talmente a misura di puffo che, prima ancora di essere completata, nell’ora di punta è già intasata come quella di New York, e nonostante questo perde da sola ottanta milioni di euro l’anno.

Il caso emblematico è quello del collegamento per l’aeroporto, pianificato mediante il treno Torino-Ceres (che esiste da un secolo). Nel 1990 si usarono i fondi dei Mondiali di Calcio per interrare il tratto urbano, con capolinea a Torino Dora; poi però la linea restò chiusa per anni perché si erano accorti dopo di volerla interrare anche nel paese di Caselle. Finiti questi lavori, si riaprì la linea e ci si rese conto che nessuno la usava, perchè Torino Dora è in una zona degradata, decentrata e mal servita, mentre chi va all’aeroporto sta solitamente o in centro / Crocetta, o nelle zone borghesi della periferia occidentale. Allora pianificarono di collegarla al passante ferroviario, per arrivare alle stazioni principali, e si misero in paziente attesa che le Ferrovie dello Stato finissero i relativi lavori (durano solo da venticinque anni).

Nel 2001, però, il Comune decise che bisognava assolutamente interrare il passante sotto la stazione Dora, e così magicamente i binari per Porta Susa sarebbero arrivati dieci metri sotto quelli per Caselle. Come risolvere il problema? Ci stanno ancora pensando, ma ora pare stiano stanziando 130 milioni di euro per buttare via il tunnel del 1990, scavarne uno nuovo sotto corso Grosseto (presumibilmente chiudendolo alle auto in contemporanea alle chiusure già esistenti di corso Mortara e via Breglio, tanto chi usa l’auto è un criminale e va punito a prescindere, anzi meglio se la gente non esce di casa) e collegarsi al passante con un giro di tre chilometri più lungo. Dopodiché scopriranno che così ci andranno 45 minuti per fare col trenino i dieci chilometri in linea d’aria da Porta Susa a Caselle, quindi la gente continuerà a non usarlo; ma mica vorrete che ci pensino prima.

Nel frattempo, basterebbe una linea di autobus diretti dal centro per eliminare un po’ di auto dall’aeroporto; ma quella che c’è, oltre ad esserci una volta ogni quaresima e a costare sette euro, per qualche imperscrutabile motivo non prende la tangenziale ma entra in tutti i paesi, mettendoci una vita, e facendo lo stesso identico percorso del treno invece di complementarlo (viva l’integrazione dei sistemi di trasporto).

E quindi, di fronte a questo caos, cosa si fa? Beh, senza toccare quelle che già esistono e che lavorano così bene, si fa una nuova azienda municipalizzata, l’Agenzia per la Mobilità Metropolitana di Torino. A cosa serve? Non lo sa nessuno, però sono altre poltrone di sottogoverno, ovviamente ben pagate, da affidare con logiche politiche.

Ora, pensando per bene a quanto sopra, credo di capire perché vogliono fare la fusione con Milano. Se lasciassero fare all’economia, entro qualche anno tutti questi manager così capaci che hanno nominato a gestire questo settore sarebbero in mezzo a una strada, sopraffatti da qualche operatore privato un po’ moderno come appunto gli inglesi. O magari sarebbero gli inglesi stessi a comprare GTT, in un accordo che, se negoziato bene, potrebbe persino prevedere Torino come quartier generale della multinazionale per l’Italia e il Sud Europa, con un sicuro futuro occupazionale: sono sicuro che le cose funzionerebbero molto meglio, però la multinazionale ovviamente selezionerebbe i dirigenti per merito e non per amicizie.

Meglio quindi svendere tutto a Milano, in cambio della certezza di poter ancora nominare un po’ di manager amici, tramite quote politiche elemosinate in anticipo da Moratti e Formigoni.

[tags]gtt, atm, torino, milano, trasporti pubblici[/tags]

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mercoledì 6 Febbraio 2008, 12:29

Un filosofo qualunque

Supponete di essere un vecchio filosofo brontolone che già per tutta la vita ha dovuto scontare il fatto di chiamarsi Gianteresio, e che non ha mai perso una occasione che fosse una per rendersi ridicolo. Vi accorgete che è prevista la partecipazione di Israele alla Fiera del Libro: potete mancare una occasione come questa per rendervi ulteriormente ridicolo?

No, non potete: e così scrivete un articolo sul giornale cittadino chiedendo il boicottaggio della manifestazione. Già che ci siete ne sparate un paio, come quella secondo cui prima avrebbero invitato l’Egitto e poi l’avrebbero cancellato per far spazio a Israele (mentre l’Egitto è stato rinviato al 2009 semplicemente perché nello stesso periodo si farà una mostra di risonanza mondiale al Museo Egizio), o il parallelo con la visita del Papa alla Sapienza (pare che nella sinistra radicale vada di moda, in questo periodo, combattere per la libertà di opinione cercando di non far parlare tutti quelli che la pensano diversamente).

Naturalmente, vi fate subito sbertucciare dagli stessi scrittori invitati, che pure non sono certo allineati al proprio governo. Ma non importa, perché nel frattempo s’alza il pugno e arriva la solidarietà del vostro partito (oddio: partito che vi ha fatto trombare come un fesso alle ultime Europee, ma non sottilizziamo). Tra voi e questo partito c’è comunque una identità di vedute, perché ad entrambi piace rendersi ridicoli; in più, visto che le elezioni si avvicinano, i Comunisti Italiani hanno disperatamente bisogno di farsi vedere, dato che stanno per sciogliersi nel polpettone rosso bertinottiano e se il loro posto nel mondo era poco chiaro prima, lo sarà ancor di meno adesso.

Eppure, la cosa che io trovo veramente triste di tutta questa vicenda è la quantità non trascurabile di persone che vanno dietro all’idea di boicottare uno Stato che, con tutte le critiche possibili alla politica del suo attuale governo, è l’unica democrazia del Medio Oriente e combatte quotidianamente contro gente che si fa saltare in aria negli autobus e che dichiara tranquillamente a mezzo stampa di avere come obiettivo la cancellazione dalla faccia della terra di tale Stato e dei suoi abitanti.

E non parlo solo di quella decina di figli di papà dei centri sociali che sono andati ad appiccicare uno striscione scritto a pennarello fuori dalla finestra della sede della Fiera (sempre meglio che lavorare). Parlo invece di tanta gente intelligente, laureata, con posizioni di rilievo, che però vede tuttora il mondo in bianco e nero, dividendolo per buoni e cattivi in base a scelte ideologiche mai sottoposte a verifica rispetto alla realtà delle cose, e tanto meno compatibili con l’opportunità di dialogare con persone che tale realtà vivono direttamente, e che quindi potrebbero scombinare queste scelte.

Capisco che il mondo moderno dia poche certezze e che quindi, da Vattimo alla pescivendola del mercato, venga la tentazione di usare l’ideologia (esattamente come la religione) per farsele. In Italia, di questo sport siamo campioni; ed è sicuramente una delle ragioni per cui, alla prova dei fatti, i nostri piani e le nostre politiche falliscono miseramente.

[tags]fiera del libro, israele, vattimo, pdci[/tags]

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venerdì 1 Febbraio 2008, 15:36

Un post antipatico

Ho capito dalle reazioni al post di ieri mattina che avete voglia di discutere del “problema dei salari”. Ho anche capito che alcuni di voi hanno già un’idea, che peraltro è quella che va per la maggiore: che in Italia ci sia una grande categoria, i lavoratori dipendenti, che si fa un mazzo tanto e manda avanti il Paese, ma in questi anni è diventata povera; e che deve poi subire le angherie di un’altra grande categoria – alle volte identificata con gli autonomi, alle volte con i padroni, alle volte con i commercianti, e più spesso come “tutti gli altri” – che sfrutta il lavoro dipendente per alzare i prezzi, fare i miliardi e andare alle Maldive.

Lo scopo del post non è tanto smentire la teoria di cui sopra, che così scritta è esagerata, ma per cui esistono comunque delle evidenti ragioni a supporto. E’ invece quello di affiancare alla spiegazione popolare altre spiegazioni più impopolari, ma che potrebbero essere altrettanto vere.

Come dicevamo ieri, innanzi tutto la sensazione di grande impoverimento dei lavoratori dipendenti non pare confermata dai fatti, che dicono – secondo Banca d’Italia – che il loro potere d’acquisto in termini reali è rimasto sostanzialmente lo stesso del 2000. Le cifre dicono se mai che i dipendenti non hanno partecipato all’arricchimento di cui invece hanno goduto i lavoratori autonomi; che è ugualmente un fenomeno spiacevole, ma ben diverso dal dire che i dipendenti sono al collasso.

La sensazione di star per finire in mezzo alla strada è appunto (con le dovute eccezioni) una sensazione, collegata al clima di sfiducia generale che è uno dei veri problemi dell’Italia, oltre che all’effetto ostentazione per cui l’aumento del numero di Cayenne per strada (dovuto all’aumento dei molto ricchi, che però è un fenomeno globale che definirei storico e sovranazionale) aumenta il bisogno percepito e insieme il desiderio di maggiore ricchezza.

Bisogna poi segnalare un’altra cosa, ossia che, trattandosi di medie, pare molto difficile generalizzare in questo modo. Sicuramente l’arricchimento degli autonomi è medio, nel senso che ci sono categorie che hanno speculato pesantemente e che probabilmente si sono arricchite non del 13%, ma del 130%; tuttavia la categoria degli autonomi contiene ormai tonnellate di giovani precari con contratto a progetto, e dubito molto che i loro salari siano cresciuti in tal modo. E tra i dipendenti, sarà veramente tutto uniforme?

A questo punto, inquadriamo il problema come “perché i dipendenti non partecipano all’arricchimento generale?”. C’è la teoria tradizionale di sinistra che sostiene che la risposta è “perché i padroni sono stronzi”, e che l’unico modo che i lavoratori hanno per ricevere una fetta di utile è la lotta di classe. In questi anni, tuttavia, abbiamo visto spuntare fenomeni fuori da queste regole; come imprenditori che al termine di una buona annata aumentano spontaneamente lo stipendio ai dipendenti (l’ultimo è Della Valle) o, più facilmente, aziende che utilizzano in misura sempre maggiore lo strumento del premio di produzione variabile legato agli utili. E’ peraltro significativo che, come successo a Della Valle, siano i sindacati i primi a contestare queste pratiche, perché – detto banalmente – privano i sindacati del loro ruolo e ne dimostrano (solo in queste situazioni, sia chiaro) l’inutilità.

C’è però una spiegazione più direttamente collegata all’economia di mercato, che sosterrebbe che gli aumenti di stipendio sarebbero direttamente proporzionali al valore della prestazione prestata. Si potrebbe quindi concludere che i dipendenti non ottengono aumenti (in termini reali) perché il valore di mercato delle loro prestazioni non aumenta, a differenza del valore di mercato delle prestazioni dei lavoratori autonomi.

In parte, ciò è facilmente verificabile: il prezzo di mercato di un idraulico, per dire, è oggettivamente aumentato di parecchio in questi anni. Probabilmente sarebbe aumentato di meno se ci fosse stata più concorrenza, e se fosse stato più facile, ad esempio, importare idraulici polacchi e turchi. Probabilmente avremmo tutti più soldi in tasca se, per esempio, si abolissero gli ordini professionali e la loro capacità di impedire la concorrenza su molti servizi magari infrequentemente utilizzati, ma che quando ti servono ti mandano il conto in banca in rosso. In generale, il fatto che l’economia sia piena di squali non è risolubile per decreto ad personam o ad pretium, ma solo tramite l’adozione di adeguati incentivi e disincentivi e di buone regole per il mercato; a meno naturalmente di non voler tornare a una economia nazionalizzata, con i prezzi fissati direttamente dallo Stato (il che però ha tutt’altri ordini di problemi).

In parte, c’è una ipotesi ancora più antipatica: che l’arricchimento riguardi principalmente i lavoratori autonomi perché la crescita stessa del PIL derivi principalmente dai lavoratori autonomi. Non so che esperienze abbiate voi, ma parlando con amici e conoscenti che lavorano da dipendenti in grandi aziende si ha la sensazione che spesso ci sia poco da fare, e anzi ce ne sia sempre di meno… con qualche solitaria eccezione di dipendenti in aziende di consulenza che lavorano 12 ore al giorno da anni, ma vi assicuro che il loro stipendio, in questi anni, è rimasto tutt’altro che fermo.

Quel po’ di crescita che ancora l’Italia mette insieme potrebbe insomma derivare prevalentemente dalla piccola impresa e dalla galassia delle partite IVA, e quindi arricchire sostanzialmente loro; mentre le nostre grandi aziende che, con poche eccezioni, paiono ferme, obsolete e preda designata di qualche acquisizione dall’estero, non crescono e di conseguenza non hanno i soldi per aumentare gli stipendi, né ne avrebbero motivo, a fronte di dipendenti il cui lavoro, anche se spesso non per colpa loro, genera sempre meno valore.

O, se preferite, se le nostre grandi aziende potessero licenziare un po’ di dipendenti improduttivi e meglio ancora un po’ di dirigenti raccomandati e incapaci, probabilmente avrebbero i capitali e il dinamismo sia per crescere che per aumentare gli stipendi.

E infine, resta sempre l’obiezione di base che, se il lavoro dipendente non è adeguatamente gratificato, nulla vieta di cambiare tipo di lavoro, specie al giorno d’oggi in cui per fondare una piccola impresa di servizi non servono capitali. In altre parole, la crisi storica di determinati modelli di rapporto di lavoro è aggravata dalla scarsa propensione degli italiani a mettersi in discussione.

Naturalmente, per mettere ordine in queste ipotesi ci vorrebbero studi statistici più approfonditi; per ora, non si può che andare a sensazione. Eppure tutto ciò, come ben vedete, non pare affatto risolubile regalando dei soldi ai dipendenti e nemmeno detassando i salari. Se il problema è che Telecom non cresce perché è gestita male, non è riducendo le tasse ai suoi dipendenti che la si farà ricominciare a crescere. Se il problema è che i distributori agroalimentari fanno cartello per alzare i prezzi, non è con cinquanta euro in più in busta paga che si eviterà il prossimo aumento del 20% della verdura e della pasta, o che se ne limiterà l’impatto.

Anzi, sono pronto a scommettere che ad un calo dell’1% delle tasse sulle buste paga, realizzato con enormi sacrifici in termini di conti pubblici, corrisponderebbe nel giro di sei mesi un aumento dei prezzi di almeno altrettanto, o probabilmente del doppio; perché, se i problemi derivano dalla struttura dell’economia, pompare soldi non sposta gli equilibri ma genera soltanto inflazione.

[tags]economia, salari, inflazione[/tags]

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giovedì 31 Gennaio 2008, 10:14

Veltrusconi

Se a Berlusconi ormai siamo abituati, in questa crisi c’è un uomo nuovo: Veltroni. Oddio, nuovo fino a un certo punto, visto che – per esempio – Blob ha malignamente passato in questi giorni un estratto di video degli anni ’80, in cui, intervistando a una tribuna elettorale uno dei notabili del PCI di quel tempo, il giornalista Rai si sente in dovere di interrompere la presentazione e far staccare una camera sul volto di un Veltroni appena ventenne, presente in qualità di “capo ufficio stampa” o qualcosa del genere, introducendolo al pubblico in pompa magna come “il figlio di” e partendo in una leccata di culo impressionante.

Io, comunque, su Veltroni sono curioso: fosse che finalmente arriva qualche idea nuova? Per questo sono rimasto pesantemente deluso dalla posizione sparsa ai quattro venti dal nuovo leader del Partito Democratico durante questa crisi.

Infatti, Veltroni dice che per non votare ora (caso che, come tutti sappiamo, vedrebbe il centrosinistra straperdente) serve un governo traghettatore per fare tre cose importantissime ed estremamente urgenti. La prima è la legge elettorale, e qui siamo tutti d’accordo, anche se noi cittadini la vogliamo cambiare per avere più governabilità e la possibilità di dare un calcio in culo ai politici peggiori tramite i collegi o le preferenze, lui la vuol cambiare per prendere più seggi per il suo partito. Le altre due, però, mi hanno fatto rizzare i capelli.

Infatti, la seconda è, papale papale, “l’aumento dei salari dei lavoratori dipendenti”. Lasciando stare per un attimo la diatriba su chi vive meglio tra dipendenti ed autonomi, siamo tutti d’accordo che il potere d’acquisto della classe media italiana non è granchè, anche se il dato che dice che gli stipendi dei dipendenti sono aumentati in termini reali dello 0,3% rispetto al 2000 vuol dire appunto che il livello di vita dei lavoratori dipendenti, rispetto al 2000, non è affatto diminuito.

Il problema però è che ci si aspetterebbe che un aspirante Presidente del Consiglio abbia capito che, nel ventunesimo secolo, i salari non si aumentano per decreto; che una riduzione fiscale significativa e insieme a pioggia, sulla massa degli italiani, è impossibile, perché non si può finanziare con altro debito e tutto ciò che si poteva tassare è già tassato al massimo; che la via per arricchire gli italiani è rendere la nostra economia di nuovo competitiva, quindi paradossalmente tagliare le tasse alle aziende e non alle famiglie, costringendo però le imprese a redistribuire gli utili anche verso i dipendenti, e allo stesso tempo tagliare le spese pubbliche inutili, quindi ridurre la presenza dello Stato con tutti gli sprechi e le clientele che comporta. Solo che sono manovre di medio-lungo periodo, non certo da governo di emergenza.

La terza, poi, è il taglio dei costi della politica. E anche questo è benvenuto, ma da qui a definirlo “urgente” ce ne passa, visto che è una questione di principio che in termini pratici non sposta niente, dato anche che gli sprechi quantitativamente significativi sono dati dai cugini cretini a cui i politici creano la municipalizzata di famiglia, e non certo dal gettone di presenza in consiglio provinciale. Però fa scena.

Insomma, stringi stringi, Veltroni debutta sul palcoscenico e che fa? Invece di fare un discorso credibile e moralmente elevato, se ne esce con due sparate demagogiche per tenere buona la folla. E siccome non è un cretino, suppongo che lo faccia coscientemente. In altre parole, si comporta esattamente come Berlusconi con quindici anni di ritardo: evviva la modernità del Partito Democratico.

Quasi quasi comincio a capire Berlusconi, che in tutta risposta fa fare (ieri) dal TG5 della sera un servizio sparato sin nei titoli sugli “incredibili sprechi” del nuovo (da cinque anni) sistema di tornelli e biglietti della metro di Roma. Sin troppo facile.

[tags]veltroni, berlusconi, politica[/tags]

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venerdì 25 Gennaio 2008, 11:18

Si salvi chi può

È caduto il governo, è finito il centrosinistra, e se per caso si votasse oggi stravincerebbe Berlusconi; e quindi, è partito il “si salvi chi può”.

Al punto che aprendo stamattina Repubblica.it – in un giorno da record per l’audience – per leggere delle evoluzioni della crisi, si ottiene invece un paginone nero a tutto schermo che pubblicizza un profumo. E non è un defacement, l’hanno proprio fatto loro.

Se il giornale interno del governo Prodi vende frettolosamente il culo in questo modo come se dovesse morire domani, vuol proprio dire che l’establishment del centrosinistra è nel panico più completo.

[tags]centrosinistra, repubblica, pubblicità, panico[/tags]

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martedì 22 Gennaio 2008, 17:08

Secondo loro

Oggi a Torino è una giornata meravigliosa; il sole splende e in fondo ad ogni via si vede una montagna innevata. Per questo motivo, ho deciso di passare la pausa pranzo sulle panchine di piazza Castello, ed è lì che, con un pezzo di pizza in mano, ho assistito allo sbarco di una truppa televisiva composta da gentile signorina scosciata e cineoperatore con camera a spalla, sulla quale campeggiava un vistoso adesivo Mediaset.

I due, con piglio convinto, hanno abbordato due giovani signore che stavano sedute sulla panchina di fronte alla mia, e hanno cominciato a porre loro domande di vario genere su temi di attualità, spaziando dal Papa alla politica. Dopo qualche domanda, una delle due signore ha chiesto “ma scusate, ma per che cosa è?” e la scosciata ha risposto: “E’ per ‘Secondo voi’, va in onda su Italia 1 alle 12:15”.

Ho effettivamente scoperto che esiste una trasmissione con tale nome, ed è l’ultima erede delle rubriche che Mediaset tira fuori quando le elezioni si avvicinano, quelle in cui intervistano cento italiani a caso divisi equamente: cinquanta entusiasti sostenitori di Berlusconi, e cinquanta implacabili critici del centrosinistra. In questa incarnazione è condotta nientepopodimenoche da Paolo Del Debbio, noto principalmente per due cose: è docente di Etica della pubblicità allo IULM (un po’ come insegnare Sobrietà col whisky agli Alcolisti anonimi) ed è uno dei fondatori di Forza Italia. Non per nulla ne faceva la parodia persino Gene Gnocchi

Comunque, io ho sperato che venissero da me, pur sapendo che nulla di ciò che avrei potuto dire ce l’avrebbe mai fatta a superare la selezione dei berlusconiani. Però mi sono immaginato alcuni modi appropriati di reagire alla fatidica richiesta “Scusi, possiamo farle alcune domande?”, naturalmente dopo che avessero acceso la telecamera. Ad esempio, avrei potuto improvvisamente venire posseduto da una voce rauca e demoniaca, urlando “Diiiiteee a Beeerlusscooooniiii che verroooo preesttooo a rissscuoooteereee il suoo deebitoooo…”. Oppure, avrei potuto dichiarare che i media sono tutti venduti e servi di un sistema corrotto. Oppure avrei potuto esporre lo stesso concetto nascondendolo in modo che non potessero capirlo, ad esempio usando dei congiuntivi. Insomma, ci sono tante cose che si possono fare quando il biscione bussa alla tua porta. Peccato che non andranno mai in onda.

[tags]televisione, tv, secondo voi, italia 1, mediaset, del debbio, berlusconi, media[/tags]

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sabato 19 Gennaio 2008, 11:35

Mastella uno di loro

Credo che difficilmente si possa trovare un video che illustra l’Italia meglio di quello qui sotto.

Si tratta della Iena Alessandro Sortino – quello rosso – che va ad intervistare Elio Mastella, figlio di Clemente, cercando nel solito stile delle Iene di metterlo all’angolo sui presunti privilegi che l’ex Ministro della Giustizia avrebbe conquistato per i propri familiari. Mastella jr. snocciola il proprio curriculum – laureato in Ingegneria con 110 e lode, settimo livello metalmeccanico in Finmeccanica con contratto da 1800 euro al mese – e poi, quando proprio non ce la fa più, fa notare alla iena che lui, invece, è figlio di Sebastiano Sortino, giurista di Siracusa, direttore generale della FIEG (la federazione degli editori), e uno degli otto commissari dell’Autorità Garante per le Telecomunicazioni, quella che regolamenta le televisioni (proprio bene, come dicevamo per Sky).

Se sia più a rischio raccomandazione la carriera di Sortino jr. da intrattenitore in Mediaset, rispetto a quella di Mastella jr. da ingegnere in Finmeccanica, giudicatelo voi. Io continuo a sperare di non vedere mai più alcun Mastella in posizioni di rilievo politico in questo paese, e anche di vedere invece una Mani Pulite 2 che tolga di mezzo un po’ di “corrotti di poi”, cioè quei personaggi politici che, ora come nel 1991, sembrano o incapaci o corrotti, e di cui poi, grazie alla magistratura, si scopre tipicamente che è la seconda ipotesi.

Ciò detto, vedo anche evidente il rischio che di Mastella, come di Craxi quindici anni fa, una classe politica non meno compromessa di lui faccia il capro espiatorio da offrire alla cittadinanza incazzata, per cercare poi di tirare avanti esattamente come prima.

E quindi, ben venga questa conferma che, con pochissime eccezioni, tutti coloro che lavorano oggi in posizioni di rilievo, sia nella politica che nei media, sono dentro il sistema fino al collo; non importa quanto pretendano di essere alternativi.
[tags]mastella, sortino, iene, mediaset, politica, televisione, agcom[/tags]

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venerdì 18 Gennaio 2008, 14:16

Proposta di acquisizione

L’Italia è un paese europeo di grandi dimensioni e di forte attrattiva turistica; esso quindi avrebbe tutte le caratteristiche in regola perché la sua compagnia aerea nazionale diventi uno dei leader del trasporto aereo europeo, anche visto che, per posizione geografica, la sua capitale è potenzialmente il miglior hub per i collegamenti verso l’Africa e il Medio Oriente. Peccato che questa compagnia aerea sia talmente piena di assenteisti e incompetenti da poter sopravvivere solo se tenuta in vita artificialmente, e abbia un sito web talmente ben fatto che, se mi ci collego dal secondo provider ADSL italiano, mi risponde “It seems the system you are using is in USA. Do you want to access the American site?”.

Esiste invece un altro paese europeo, di piccole dimensioni, turisticamente inutile e situato in una posizione geografica estremamente infelice: la Finlandia. Come può allora succedere che la compagnia aerea nazionale di questo piccolo paese venga a farsi pubblicità sulla home page del maggior quotidiano online del grande paese?

Succede che presumibilmente i finnici hanno un management sveglio e capace, che, posto di fronte al problema di come espandere il fatturato della compagnia, si è reso conto che esiste un solo tipo di rotta su cui un passaggio per Helsinki può essere competitivo, quello dall’Europa centro-meridionale all’Estremo Oriente; è entrato in una alleanza globale, rinunciando ad altre rotte per specializzarsi su queste; ha ottimizzato orari e prestazioni per essere particolarmente conveniente su di esse; e poi si è affidato a una agenzia di pubblicità capace e internazionale, che ha organizzato una campagna promozionale multi-canale in inglese, che conduce su di un sito molto divertente, accattivante, e che riesce effettivamente a promuovere l’immagine di una compagnia innovativa, efficiente e piacevole.

Di converso, gli italiani hanno un management selezionato in base a logiche politiche, che apparentemente non si pone affatto il problema di come far crescere la compagnia e anzi nemmeno quello di portarla in pareggio, probabilmente perché è stato ingaggiato con un contratto non legato agli obiettivi e anzi che prevede magari, quando se ne andrà, una buonuscita miliardaria come premio per l’ottimo lavoro. Di conseguenza, quando si tratta di ingaggiare una agenzia pubblicitaria o di realizzare il sito, immagino che le logiche di selezione non siano legate alla capacità del fornitore, ma a chi è amico di chi.

Dopo questa constatazione, io avrei una proposta da fare: non potremmo vendere in blocco l’Italia alla Finlandia? Sono sicuro che, se fossero liberi di cacciare il nostro attuale management e sostituirlo con uomini di loro fiducia, dopo un po’ cominceremmo ad andare decisamente meglio.

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