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Archivio per la categoria 'Life&Universe'


lunedì 1 Febbraio 2010, 09:54

In ricordo di Giuseppe Gatì

Ieri era l’anniversario della morte di Giuseppe Gatì, la cui vicenda vi avevo raccontato lo scorso anno. Lo ricorda anche Sonia Alfano, in un bel post – e proprio commentando quel post ho pensato che fosse il caso di scrivere qualcosa anche sul mio blog.

A differenza di Sonia, io non avevo mai conosciuto Giuseppe Gatì, se non vedendo il suo video su Blob e sul sito di Beppe Grillo. La sua morte fu terribile lo stesso. Ci misi giorni per riuscire a scrivere l’articolo; e per qualche motivo, dopo quello di Beppe, quel post è a tutt’oggi il più visto in rete a proposito di Giuseppe. Ancora oggi vedo arrivare sul mio sito persone che cercano il suo nome su Google.

Se c’è una piccola cosa di cui vado fiero, è quella di aver fatto così conoscere Giuseppe Gatì a molte tra quelle persone, ancora tante, che non leggono il blog di Beppe Grillo o di Sonia Alfano per principio, per preconcetti politici, perché ancora non capiscono, non capiscono proprio. Di aver fatto giungere l’eco di Giuseppe a molti dei miei amici e colleghi dei circoli buoni della rete italiana, che ancora pensano che gli attacchi governativi all’informazione siano casuali, e che in Italia non ci siano problemi, vada tutto bene, basta chinare la testa e farsi gli affari propri.

Certo è proprio una piccola cosa, se confrontata al coraggio di un ragazzo di vent’anni che sfida da solo il potere, in un contesto nemico, senza farsi intimidire.

Sabato sera, in piazza Castello, la manifestazione del popolo viola in difesa della Costituzione si è chiusa (spero abbiate visto il finale del video) nel ricordo di un partigiano di vent’anni, torturato e ucciso dai tedeschi proprio sul finire della guerra, che con il suo sacrificio, insieme a quello di tanti altri, ci ha permesso di ritrovare la libertà. Spero che questo si potrà dire, tra molti anni, anche di Giuseppe; e che la fine della guerra sia vicina.

[tags]giuseppe gatì, sonia alfano, beppe grillo, sicilia, mafia, sgarbi, gioventù, partigiani, libertà[/tags]

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giovedì 28 Gennaio 2010, 13:06

Rumore di zoccoli

Poco fa, ho interrotto il lavoro e sono andato a fare mezz’oretta di passeggiata nel quartiere, per sbrigare alcune commissioni. La giornata è bella e c’è il sole; fuori si sta proprio bene.

Ho attraversato il parco della Tesoriera schivando il fango, ho girato l’angolo e… sorpresa. In una tranquilla mattinata d’inverno, all’angolo tra via Medici e corso Monte Grappa, stava parcheggiata una camionetta della polizia con cinque o sei poliziotti davanti, in assetto da guerra.

Arrivo all’angolo, giro lo sguardo e mi trovo davanti una scena da Sud America: via Medici è bloccata da un nugolo di poliziotti e carabinieri. A prima vista conto un’altra camionetta della polizia, due camionette di carabinieri, un gippone, parecchie volanti. In tutto, ci saranno stati almeno cinquanta poliziotti, forse di più.

Svolta la mia commissione, ripasso dopo dieci minuti e sono ancora tutti lì; il capo parla nel walkie-talkie, gli altri gironzolano; particolarmente truci i carabinieri messi in fila con i mitra in mano, ma anche i poliziotti con gli scudi antisommossa non scherzano.

Ho subito capito perché fossero lì; e infatti ho poi trovato la breve sul sito della Stampa. Hanno sgomberato il micro-centro sociale che stava all’angolo tra via Medici e via Fogazzaro (quando facevo il liceo era una capanna di lamiera di una bocciofila, immaginate le condizioni attuali).

Premetto che io sono favorevole alle attività dei centri sociali e contrario all’occupazione abusiva di locali altrui, nonché favorevole al pronto riutilizzo degli edifici urbani abbandonati (anche requisendoli temporaneamente ai privati, se li lasciano in abbandono, fino a quando questi non dimostrino di essere pronti ad usarli – ma deve essere una autorità pubblica a farlo e ad assegnarli secondo regole chiare) e contrario alla musica a palla e al mancato rispetto delle regole di convivenza civile con chi è meno alternativo di te.

Ma la cosa che mi ha colpito non è l’ennesimo sgombero di un centro sociale; è lo shock di camminare tranquillamente per il mio quartiere in una paciosa mattina qualsiasi e trovarlo militarizzato senza preavviso.

Questo, sì, è lo shock; e anche alla mia successiva tappa al centro anziani di via Fabrizi (tra me e il pagamento dei miei bollettini c’erano 35 numeri da attendere, sono subito andato via e tornerò con la tessera “corsia preferenziale per non pensionati”) tutti i presenti non parlavano che di questo. Non “hai visto, mandano via gli squatter” ma “hai visto quanta polizia”.

Ed è una brutta sensazione, quella che tra alternativi, operai in lotta, studenti inkazzati, manifestanti contro il governo e comitati no qualcosa, ormai davvero la protesta sia diffusa; e che il principale interlocutore politico che le istituzioni offrono alla cittadinanza in fermento siano le camionette della polizia, perché non hanno idea di cos’altro offrire. Il rumore di zoccoli è sempre più forte.

[tags]occupazioni, centri sociali, sgombero, polizia, carabinieri, militari, dittatura, crisi, zoccoli[/tags]

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venerdì 8 Gennaio 2010, 15:57

Una delle grandi domande del nostro tempo

Ma perché uno sceglie di fare il medico, se poi non ha voglia di visitare i pazienti?

Oggi all’ora di pranzo, dopo aver avuto un attacco di tosse profonda quasi da non respirare più, abbiamo deciso che fosse meglio fare qualcosa piuttosto che attendere senza far nulla fino a lunedì. Abbiamo chiamato la guardia medica per chiedere se fosse utile prendere uno sciroppo per la tosse, e la risposta è stata: assolutamente no, lo sciroppo blocca lì anche i germi, bisogna farsi visitare e prendere un antibiotico, però noi non facciamo visite fino alle 20, richiamate dopo quell’ora; prima di allora dovete chiedere al vostro medico della mutua. Allora abbiamo chiamato lo studio del medico della mutua, e la risposta è stata: come mai il paziente non si è presentato di persona dalle 10 alle 12?

Abbiamo spiegato che pioveva, avevo 38 abbondanti di febbre e comunque la situazione è peggiorata ben dopo le 12, al che ci è stato detto “e beh? ora aspettate lunedì”. Per fortuna l’avvocato di casa (non sono io) sa farsi valere e a forza di insistenze e di escalation verbali è riuscita a farsi passare un medico dello studio, che era ancora lì per caso, e a farlo venire. Il medico è venuto poco fa, è stato preciso e molto professionale, e grazie ai due minuti netti di visita (di cui uno per la compilazione delle ricette) ora ho la prescrizione di un antibiotico e di sufficienti farmaci collaterali da finanziare la ricerca del vaccino della suina per un paio di mesi; un po’ come a dire “hai voluto la bicicletta, pedala”. Tuttavia, ho avuto la netta sensazione che se fosse stato un cameriere in pizzeria mi sarei ritrovato uno sputo nella birra.

Ricordo che anche quest’estate, quando eravamo isolati in montagna e la mia febbre puntava a 41, per riuscire ad avere la visita di un medico, anche a pagamento, abbiamo dovuto chiamare il 118: tutto il resto aveva trovato soltanto muri di gomma.

Non è possibile per un medico essere sempre disponibile in qualsiasi momento, ma per un sistema sanitario garantire mediante turni che tu possa avere assistenza a qualsiasi ora almeno per tutta la giornata, non solo dalle 10 alle 12, mi sembrerebbe il minimo. Sono perfettamente cosciente che al mondo esistono torme di ipocondriaci che esistono solo per tormentare i medici di base e intasare inutilmente i pronti soccorso; eppure la missione del medico non è solo quella di curare chimicamente il corpo, ma anche quella di curare la sofferenza psicologica di chi si sente male. In fondo, fa parte del gioco anche subirsi 99 visite inutili per la solita influenza di stagione per poter intercettare per tempo quel caso in cui veramente succede qualcosa di grave.

[tags]medicina, malattia, farmaci[/tags]

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martedì 5 Gennaio 2010, 23:52

L’incredibile ondata

Questa sera ero già a letto, eppure non riuscivo a prendere sonno. Dev’essere che oggi ho passato tutta la giornata a fare dentro e fuori, dal caldo al freddo, prima in montagna, poi in viaggio, poi allo stadio. Dev’essere che mi è venuta la tosse e che verso metà del secondo tempo avevo i piedi congelati (senza nemmeno contare che mi erano cascate le palle). Dev’essere che il mio server da stasera non è raggiungibile e per l’ennesima volta dovrò aspettare il primo giorno lavorativo disponibile per riottenerlo. Oppure dev’essere che stasera hanno postato delle vecchie foto di dieci anni fa e che Facebook, implacabile, le ha già sparse per mezzo mondo.

Ad essere sinceri, ormai lo dovrei sapere: la vita va e viene in ondate, è come una sequenza di stanze mal chiuse in ognuna delle quali si deve aspettare un po’, mai troppo poco e mai troppo a lungo, riguardando ogni tanto dalla porta un pezzo delle stanze precedenti e sbirciando ogni tanto, ma solo da una fessura, cosa ci aspetta nella prossima. E’ con questa sensazione di svolta imminente (dunque già avvenuta: il resto è soltanto il ritardo del prendere coscienza) che convivo stasera, senza un motivo particolare. Chissà che cosa è già cambiato, quale porta si è chiusa e quale altra si è aperta, e se i mobili di questa stanza, che sembrano così simili a quelli della precedente, in realtà si riveleranno mancare di qualche abitudine consolidata e in cambio offrire qualche nuova esperienza.

Ricordo distintamente che a diciott’anni ero dispiaciuto per avere smesso di giocare a pallone seriamente a sei, così come ora mi dispiace di aver smesso di suonare in un gruppo a ventidue. Non fa niente; certe cose saranno per la prossima vita. Certo che per mutare pelle ci vuole un po’ di tempo, specialmente se la pelle stava stretta come una muta. Di stanza in stanza mi sento più spoglio, ed è un buon segno: viaggio verso l’essenziale. Quando finalmente sarò riuscito a rimuovere tutto ciò che sono stato, forse potrò riuscire a scoprire ciò che sono.

[tags]vita & universo[/tags]

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domenica 3 Gennaio 2010, 15:01

La vera orgia natalizia

Come avrete notato, io sono un antifestivo; nel periodo natalizio-capodannesco, non mi dedico particolarmente a scambiare auguri o regali. Faccio volentieri un augurio collettivo tramite blog o Facebook, ma non riceverete da me SMS precotti, mail animate o applicazioni festive da social network; questo non perché non ci tenga, ma perché l’affetto per le persone si dimostra nella sostanza e tutto l’anno, non nella forma con una serie di click.

Lo dico perché, come immagino tanti di voi, ho passato i primi giorni dell’anno a mettere a posto; oltre alla tradizionale orgia contabile di fine anno, in cui si classifica e si archivia la corrispondenza in attesa da mesi, c’è da risistemare i più recenti residui delle feste. E, anche avendo limitato al minimo la materialità del festeggiamento, sono rimasto colpito da quanti rifiuti mi si sono palesati in casa.

Sacchi, sacchetti, sacconi, pacchetti, carta colorata di ogni genere, fiocchetti, scatoloni, vassoi di cartone usa e getta, con la loro brava imbottitura di carta, di plastica, di polistirolo; bottiglie di vino in regalo, impacchettate in un cartone che dentro ha un altro cartone sagomato e ritagliato per tenerle ferme; scatole di panettone con dentro il sacchetto del panettone e la base del panettone; sacchetti di cioccolatini che contengono delle piccole confezioni di plastica le quali dentro hanno una seconda confezione d’alluminio che contiene il cioccolato; e in generale tutte le confezioni dei cibi, anche qui carta, plastica, alluminio, vetro. Un’orgia di rifiuti che è almeno il doppio più voluminosa dei regali (talvolta anch’essi inutili e destinati alla discarica) che ha contenuto; per giungere spesso all’assurdità della carta da regalo o della confezione utilizzata per un tempo netto di mezz’ora – si incarta, si consegna, si scarta e si butta via.

Naturalmente tutto ciò mi è stato dato con la massima buona volontà, anzi l’attenzione nell’estetica del pacco è segno di attenzione per il destinatario del regalo. Ma sarebbe davvero il caso di pensare che il vero regalo può anche non essere impacchettato, infiocchettato, insacchettato, inscatolato, imbellettato, o se lo deve essere lo può essere con parsimonia e con attenzione ad evitare lo spreco e l’inutile. Un regalo così, oltre che fare del bene al destinatario, fa del bene anche al mondo che ci sta attorno. Di questi tempi, mi sembra proprio un bel regalo.

[tags]regali, rifiuti, imballaggi, natale, feste, riciclo[/tags]

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giovedì 31 Dicembre 2009, 15:55

Immagini di buon augurio

Quest’anno niente effettacci: il post dell’ultimo dell’anno appare tranquillamente nel pomeriggio, così chi vuole se lo guarda prima, chi si annoia durante il cenone se lo guarda a metà, e chi è troppo preso nei preparativi se lo guarda domani mattina.

Il mio consiglio, comunque, è di guardare il video che ho scelto come auguri per il 2010 in un momento tranquillo, con tutta la calma e l’attenzione che merita. E’ uno dei video più famosi di quest’anno (oltre 13 milioni di visualizzazioni solo su Youtube) dunque è possibile che l’abbiate già visto, ma merita lo stesso una nuova visione. E’ un video che unisce bellezza, capacità, coraggio, creatività e speranza in un modo che probabilmente non avreste mai immaginato possibile, ridisegnando i confini della città e del mondo; e l’augurio è che tutti noi, nel 2010, possiamo trovare la stessa ispirazione, la stessa inventiva e la stessa voglia di osare per migliorare ciò che ci circonda.

Auguri!

P.S. Comunque non ho saputo resistere all’idea di lasciarvi un secondo video, per sciogliere la tensione del primo. Il signore che suona la chitarra si chiama Steve Morse e ha attualmente 55 anni, quello che canta si chiama Ian Gillan e ne ha 64. Sono tuttora in giro per concerti – sono passati dall’Italia un paio di settimane fa – e continuano ad offrire performance come questa, che risale a pochi anni fa. Anche qui, le parti di chitarra verso la fine del brano sono un esempio di creatività, capacità e bellezza di livello assoluto.

[tags]video, auguri, creatività, bellezza, bici, macaskill, deep purple, steve morse[/tags]

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giovedì 24 Dicembre 2009, 19:20

Chiamate di auguri

Oggi ero incerto se parlare di treni oppure di Berlusconi. O magari di tante altre notizie cattive o meglio ancora cattivelle, quelle che in fondo non ti devastano la vita ma sono un segno tangibile e continuo di come le cose stiano andando allo sfascio, anche se ormai non possiamo che riderci sopra sarcasticamente.

Ma, almeno oggi, mi sembrava meglio lasciar perdere e limitarmi a fare gli auguri. Ne esiste motivo? tutto sommato penso di sì. Anche se la paura è tutto attorno a noi, la vita sorprendentemente continua. Scommetto che anche se davvero, grazie all’avidità e all’incoscienza degli uomini, la nostra società dovesse implodere in una crisi sempre più grave, la vita troverebbe comunque il modo di scrollare le spalle e continuare.

Dunque chiamate il Natale, chiamate il vostro Dio, o soffio dell’anima o spirito vitale o mistero – forse la parola più adatta – e digitando il numero sul vostro cellulare nuovo chiedetevi se e cosa risponderà. In realtà, non c’è bisogno di attendere che sollevi la cornetta; ha già risposto prima.

[tags]auguri, natale, chiamate[/tags]

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lunedì 30 Novembre 2009, 23:13

Sliding doors

Ieri mattina, in una delle tante riunioni politiche, ho fatto una cosa che non avevo mai fatto. La politica per natura accalora, e varie volte mi sono arrabbiato, alle volte pure troppo. Nell’arrabbiatura, ho detto e scritto cose esagerate, talvolta ingiuste, per cui ho poi chiesto scusa quando ce n’è stata occasione. Una sola volta, giunti verso l’una di notte, me ne sono andato senza che la riunione fosse finita, un po’ per disperazione, un po’ per sopraggiunto limite psicofisico. Ma non mi era mai successo di prendere e andarmene sbattendo la porta dopo una sola ora di discussione.

Non posso ovviamente raccontare i dettagli di quel che è successo, ma in una domenica che per l’ennesima volta – otto domeniche in tre mesi, se non ho contato male – doveva essere totalmente dedicata a una riunione politica (capite che di fronte a questo anche un’ora e mezza spesa a chiacchierare “contestando” nel gelo davanti allo stadio abbia un discreto appeal), me ne sono invece andato a consegnare i volantini al banchetto del No Berlusconi Day, poi sono tornato a casa, ho mangiato, ho letto, ho dormito, mi sono preparato per andare a Milano. Proprio mentre dovevo assolutamente uscire per non perdere il treno delle 17, su cui mi aspettava Elena, è squillato il telefono.

Dall’altra parte, una persona mi ha detto: “Noi il documento l’abbiamo finito. Tu allora cosa fai, lo firmi o molli tutto?”.

Ho avuto una frazione di secondo per decidere. Che fare? Da una parte il motivo per cui me ne ero andato era serio: comportamenti che io reputo inaccettabili, il rischio che anche questo movimento perda la sua via, che si trasformi nell’ennesimo partitino sinistrorso centrato attorno al capetto di turno, che rinneghi tutte le sue promesse di una democrazia diversa; e la paura di prestare la mia faccia, la mia eventuale credibilità, per un progetto che si riveli poi l’ennesima fregatura. Dall’altra, la constatazione che il nemico comunque è quelli là, è la casta, è il Berlusconi di destra o di sinistra di turno, e che continuando a dividerci non arriveremo mai da nessuna parte.

Non era una scelta facile, ma in un attimo ho ingoiato il mio orgoglio, ho accettato di firmare un documento che non mi hanno nemmeno fatto leggere, scritto da una persona di cui non mi posso fidare, pur di non dar vita all’ennesima spaccatura, all’ennesima divisione.

Ho passato dieci minuti al telefono dettando i miei dati, e poi sono uscito, tardissimo. Ho corso a perdifiato fino alla metropolitana, ho aspettato il giusto, ho preso il treno, sono uscito a XVIII Dicembre sempre correndo. Avevo già il biglietto, dunque ho attraversato la vecchia stazione al volo, ho timbrato di striscio senza nemmeno fermarmi, e nonostante fossi ormai stanco, svuotato e a rischio crollo ho continuato a correre sotto la pioggia e mi sono infilato nel sotterraneo. Ho cominciato a scendere i gradini del binario 4 di corsa e giunto a metà scala ho sentito il fischio del capotreno che dava il via alla partenza del treno per Milano. Ho sentito le porte chiudersi mentre facevo i gradini a due a due, e mi sono affacciato sul binario giusto in tempo per vedermelo lì, davanti al mio naso, il capotreno nella sua divisa verde, mentre metteva il piede sul predellino per rientrare attraverso l’unica porta rimasta aperta del treno ormai in partenza.

Ho fatto un salto e ho mezzo travolto pure lui, infilandomi tra le porte scorrevoli un attimo prima che si chiudessero, su quel regionale strapieno di poveri pendolari pigiati in ogni angolo. Di treni al volo ne ho presi a decine, ma nessuno mai al volo come questo, proprio all’ultimo secondo utile.

Peccato che nessuno di noi abbia davvero di idea di dove, e per quanto ancora, ci porterà questo treno.

[tags]politica, beppe grillo, 5 stelle, treni, scelte, futuro[/tags]

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giovedì 12 Novembre 2009, 20:10

Novecento (2)

Circa vent’anni fa, più o meno mentre cadeva il Muro, apriva il Continente di corso Monte Cucco. Sembrava lamerica: enorme, prendeva tutto un isolato, col parcheggio sotterraneo e le corsie piene di ogni ben di Dio. Era il sogno consumista che avevamo covato per tutti gli anni ’80 e che diveniva realtà: e noi ragazzini, per le prime feste del liceo, usavamo andare a saccheggiare gli scaffali (soprattutto al settore birre).

Presto ne aprirono altri non molto distante, a cominciare da Le Gru: ma il Continente di corso Monte Cucco restò sempre il riferimento per uno dei quartieri più borghesi e benestanti di Torino – forse il più benestante tra quelli non così ricchi da non gradire un ipermercato sotto casa, tipo la Crocetta. Anzi, diventava pure una abitudine: anche abitando a Rivoli ci capitavo spesso, sulla strada da/per il Poli, con la mia prima Uno scassata o con la storica Punto azzurra. E ci capitavamo in molti: se per caso si commetteva l’errore di andarci il sabato pomeriggio, era inevitabile passare un buon quarto d’ora in coda nel garage sotterraneo, in mezzo ai gas, perché la coda del semaforo riscendeva a serpentone fin laggiù.

Fu un colpo al cuore quando, a inizio millennio, cambiarono l’insegna in Carrefour: ricordo una riunione di Naming Authority a Roma in cui io e .mau., ancora torinese, ci dovemmo consolare a vicenda. E poi vennero i discount, e poi un centro commerciale ogni tre isolati, e poi la crisi, e insieme il naturale invecchiamento di quel mostro di cemento, in cui cominciarono a gocciolare i soffitti e sbriciolarsi i gradini. Piano piano divenne un ipermercato sempre più triste; gli scaffali un tempo elegantemente disposti cominciarono ad affollarsi di roba da due soldi buttata alla rinfusa, cercando di reggere alla concorrenza dei prezzi.

Per risparmiare tagliarono il personale, e le code alle casse si allungarono a dismisura; è l’unico posto dove più di una volta sia andato via lasciando lì la mia spesa, per via della coda impossibile alla cassa. Alla fine i pochi rimasti si ribellarono, e qualche mese fa ci fu uno sciopero selvaggio, che diede il colpo di grazia.

Ci sono stato oggi e mi sono spaventato; intanto, metà dell’ingresso è transennato alla buona perché oggetto di lavori – evidentemente urgenti, per farli in piena stagione – e per entrare dal parcheggio è necessario inerpicarsi su per una scaletta di servizio indicata da un cartello scritto a pennarello. In più, il parcheggio è semideserto e anche l’interno è mezzo vuoto. Sono evidenti gli sforzi per disporre le cose in modo piacevole almeno nei settori a servizio, eppure qua e là compaiono interi pallet di questo o quel prodotto, messi alla buona a mo’ di discount. Anche sugli scaffali gli assortimenti sono sottili, ci sono zone vuote, c’è troppo poca merce per la dimensione. Non ci sono più le code alle casse, perché ora a poco personale corrispondono pochi clienti. L’esperienza, per chi ha conosciuto l’ipermercato come era una volta, è talmente triste che siamo scappati via più in fretta possibile, sperando che sia soltanto una situazione temporanea per via dei lavori.

Tutto invecchia – l’ipermercato ma non solo. Gli splendidi e prosperi quarantenni della classe media che ne riempivano le casse all’inaugurazione sono ora diventati sessantenni chiusi e spaventati dal futuro, invecchiati e aggrappati a quel po’ che sono riusciti a mettere da parte; i loro figli ragazzini sono ora trentenni disoccupati senza prospettive, che guardano l’etichetta per risparmiare cinque centesimi o che non la guardano per non sentirsi poveri. Tirare una riga diritta tra le due cose sarebbe una semplificazione eccessiva; eppure non è sbagliato notare che, vent’anni dopo che è caduto il Muro, siamo diventati noi la Bulgaria.

[tags]crisi, muro, economia, italia, torino, carrefour, continente, ipermercati, livello di vita, bulgaria[/tags]

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giovedì 5 Novembre 2009, 11:16

Non

Sarà capitato anche a voi, se come me siete trentenni o giù di lì, di andare a cena con gli amici di una vita. Noi siamo andati alla Trattoria Moderna di Banchette, che è in realtà un posto nuovo ed elegante dove la cucina è elaborata ma anche ottima. Abbiamo mangiato e abbiamo bevuto tutto ciò di cui ci veniva voglia – primo, secondo, formaggio e dolce, una magnum di ottimo Barolo a soli 35 euro e pure la bottiglia di passito per il finale – e abbiamo chiacchierato di ogni cosa: viaggi di qui e di là, amici e conoscenti di mezzo mondo, macchine fotografiche digitali, settimane di surf in Egitto, storie di Richi wasabi, vecchi episodi universitari, difficoltà del digitale terrestre. L’importante però non è quello di cui abbiamo parlato, ma quello di cui non abbiamo parlato.

O magari ci si arrivava col discorso, e se ne parlava anche, per pochi, rabbiosi minuti, ma per poi girare da un’altra parte e ritornare verso il surf e le macchine fotografiche; come girando per una bella città (ma finta) per poi trovarsi immancabilmente davanti al bassofondo, e svoltare subito da un’altra parte per allontanarsene, e però ritrovarcisi ancora nonostante tutti gli sforzi.

Dunque ecco di cosa non abbiamo parlato: non abbiamo parlato di quanto faccia schifo l’Italia, né di quanto ci vergogniamo ogni volta che mettiamo piede all’estero e ci troviamo in un paese civile. Non abbiamo parlato del fatto che, nonostante fossimo tutti tra i migliori laureati della più selettiva facoltà di Torino, ci troviamo qui a non sapere bene cosa fare delle nostre vite professionali, mentre gli ultimi deficienti figli di papà finiscono di distruggere la nostra economia per tremila euro al mese o vanno direttamente in televisione a fare i buffoni. Non abbiamo parlato di quanto ci sarebbe convenuto imbucarci al caldo di una scrivania qualunque, invece di cercare di costruire aziende e posti di lavoro, per essere poi inseguiti dalle pretese e dai disservizi del nostro Stato. Non abbiamo parlato delle nostre storie personali complicate da tutto, del nervosismo che ti fa litigare per un niente e dell’impossibilità di progettarsi un futuro stabile e credibile.

E soprattutto, non abbiamo parlato del nostro convivere con la sensazione di un prossimo giorno del giudizio, indefinito ma incombente, che prima o poi verrà come un’alluvione e come un’alluvione ci porterà via; e si porterà via tutto, la civiltà e l’inciviltà, il surf e le macchine fotografiche digitali, Berlusconi e le sue puttane, Marrazzo e i suoi trans, il crocefisso imposto nelle scuole tra gli applausi del maggior partito teoricamente laico di questo Paese, l’ignoranza che avanza e la razionalità che arretra, la parte di noi che è moderna e disgustata e anche quella che è italiana e lascia regolamente l’auto e la vita parcheggiate in doppia fila.

Si dice che non si fanno più aziende, non si fanno più invenzioni, non si fanno più famiglie e non si fanno più figli perché c’è la crisi economica, ma questo è inesatto: da che mondo e mondo, anche nelle condizioni di estrema povertà, le invenzioni ed i figli sono venuti fuori. Il motivo per cui non si fa più niente è che non si crede più che possa esistere un futuro, o che, se verrà, sarà migliore o almeno non troppo peggio del presente.

Io sono un pazzo e soffio contro i mulini a vento, sputo incontro alla tempesta e preparo l’arpione per una balena che forse non ci sarà mai, nel cammino solitario che conduce a cambiare il mondo, o più probabilmente alla follia. Scommetto sul futuro e non mi guardo mai le spalle, sperando che quando lo farò ci troveremo in tanti, a non esserci arresi nella battaglia della vita.

[tags]italia, trentenni, crisi, precariato, lavoro, impresa, generazione boh, famiglia, società, futuro[/tags]

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