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Archivio per la categoria 'Life&Universe'


domenica 4 Novembre 2007, 10:05

Pomeriggio a Santa Monica

La cosa positiva dei trasporti pubblici della città di Santa Monica è che una delle loro quattordici linee ha una fermata proprio davanti al mio albergo – che pure si trova a una dozzina di chilometri dai confini della suddetta città – e ne ha altre ad ogni angolo della Quarta Strada, proprio accanto alla Third Street Promenade e vicino al famoso molo di Santa Monica.

La cosa negativa dei trasporti pubblici della città di Santa Monica è che all’andata, con una frequenza annunciata di un bus ogni quindici minuti, ne ho attesi ventidue; al ritorno, con una frequenza di un bus ogni venti minuti, ne ho attesi cinquanta… per poi fare i 55 minuti di viaggio in piedi, in un pullman strapieno, dove ad ogni fermata era il delirio.

Ma me la sono voluta, ho preso gli autobus in America… e d’altra parte il viaggio è costato in tutto un dollaro e mezzo contro i sessanta che avrei speso in taxi. In più, ho avuto modo di fare un confronto interessante: all’andata infatti sono uscito attorno alle 15, e quindi il pullman era pieno di studenti (avete mai notato che ora segna l’orologio nei fumetti americani, quando suona la campanella?). Solo che alla high school di Westchester sono salite essenzialmente ragazzine nere di stazza cetacea e qualche ispanica derelitta, mentre a Santa Monica High sono salite tre diciottenni alte, bionde, truccatissime e con le tette già rifatte (il rifacimento di tette e/o naso qui è il tipico regalo dei 18 anni per chi non ha problemi di soldi).

La spiaggia di Santa Monica è comunque bellissima, specialmente in questa stagione, quando è quasi deserta (non del tutto però, anzi c’erano gruppi che facevano il bagno). E’ talmente enorme – ci saranno tranquillamente tra i duecento e i trecento metri di spiaggia, tra la fila di case sotto lo strapiombo e il mare – che è facile ritrovarcisi completamente soli, attorniati dalla sabbia piena di tracce di quad e di zampe di uccelli, nel silenzio assoluto, rotto appena dal vento, dal mare e da qualche gabbiano.

Certo, poi poco più in là c’è David Hasselhoff uno vestito come David Hasselhoff che esce dal regolamentare gabbiotto del baywatch e, dalla noia, insegue i turisti per farsi fotografare con loro. Io mi chiedo invece come facessero a girare le scene di corsa di Pamela Anderson: probabilmente cementavano la sabbia, perchè è talmente fine e alta che ci si sprofonda dentro, e si riesce a malapena a camminare, figurarsi a correre, e figurarsi a correre con quella distribuzione dinamica di pesi sul davanti che ballonzolano in modo scomposto.

Anche il centro commerciale all’aperto è piacevole, voglio dire, più della media del centro commerciale americano. Il fulcro della Third Street Promenade è ovviamente l’Apple Store, nel quale ho incontrato almeno una decina di partecipanti al meeting di ICANN. Ho giochicchiato con l’iPhone, che è davvero bellissimo, se non fosse che, con quella tastierina, è assolutamente impossibile scrivere un SMS; ci ho provato varie volte, senza riuscire ad andare oltre a “CIQL MSBNA”. In più, l’oggetto è coperto da mezzo centimetro di grasso e ditate; capisco che è quello in esposizione, ma non oso pensare che ne sarebbe di uno di essi tra le mie mani. Alla fine non ho comprato niente, perché è vero che costa tutto il 30% in meno, ma tra il rischio dogana, la difficoltà di scaricare l’IVA e la spina da sistemare mi sembrava che non ne valesse la pena.

Il resto della promenade sono negozi di abbigliamento, cinema e ristorantini; io sono andato prima a comprare libri da Barnes & Noble, e poi pantaloni da Macy’s, e poi ho cenato al fast food cinese, con dell’ottimo manzo al pepe in mezzo a noodles e pollo ai funghi. E nel frattempo è scesa la notte, e mi sono divertito a guardare un po’ la vita che mi scorreva attorno, prima di fare amicizia con una vecchietta brasiliana che aspettava il mio stesso pullman. Ha otto figli, di cui un paio a L.A., un altro paio a San Francisco, e uno che fa il militare a Padova, con l’uniforme e tutto quanto, e un altro che si è trasferito da poco a Roma, e un marito che è mancato da poco, e la capacità di indovinare al volo da dove vengo e il mio segno zodiacale, e poi sparirà nella notte a una fermata qualsiasi, e però avrà avuto un senso lo stesso.

[tags]santa monica, iphone, david hasselhoff, pamela anderson, third street promenade[/tags]

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sabato 3 Novembre 2007, 22:02

Tributo (2)

Ieri mattina è venuto il momento del mio ultimo meeting nel Board di ICANN, che, per combinazione, coincideva anche con l’ultimo meeting di Vint Cerf.

Quella per Vint è stata una seconda grande festa, non tanto per i regali – ICANN ha contribuito con una dozzina di bottiglie di vino di grande valore – ma per la sincera commozione di tutti e di Vint per primo. E’ facile essere buonisti in queste situazioni, ma osservandolo ancora una volta da vicino ho capito che Vint dispone effettivamente, al di là della competenza tecnica e dei suoi grandi successi in moltissime situazioni, di molte qualità speciali.

Tutti i membri del Board hanno voluto dire qualcosa, e trovate qui, nell’ultimo quarto, la trascrizione della seduta. Molti hanno raccontato della prima volta in cui lo hanno conosciuto, della soggezione che provavano, di come lui li abbia subito messi a loro agio, e trattati sempre da pari. Altri hanno raccontato dei suoi grandi risultati, della sua preparazione maniacale, della sua efficienza e dedizione. Io ho voluto fare due osservazioni.

La prima è che, in sette anni passati a rivolgermi a lui in varie forme, e ad osservare altri fare lo stesso, non l’ho mai visto perdere la calma, essere arrabbiato, diventare scortese o irragionevole, e questo anche in quei casi in cui, ogni tanto, succedeva a noi di essere scortesi, irragionevoli o arrabbiati. In un processo comunitario come quello di ICANN, questa capacità è fondamentale per evitare l’esplosione; ma non è affatto scontata.

La seconda è che, osservandolo da vicino per tre meeting, mi sono reso conto di quanto sia duro e faticoso essere Vint Cerf. Probabilmente dall’esterno si vedono soltanto gli onori, il successo, i premi, i privilegi, il bacio del ministro, i regali di valore, i trasferimenti in elicottero… Eppure, in cambio di tutto questo si deve essere sempre in servizio, sempre disponibili per tutti, sempre gentili con la quantità innumerevole di persone che viene a mendicare attenzione, una foto, una stretta di mano; si deve sempre essere all’altezza di se stessi, e questo costa sacrifici e fatica immane. Anche se questo sembra non pesare, non posso che pensare che un po’ di tranquillità sia più che meritata.

Chiudo tornando solo per un attimo al tributo poco rilevante, quello a me medesimo. ICANN ha approvato ufficialmente una risoluzione che recita:

Whereas, Vittorio Bertola was selected as nonvoting liaison to the ICANN board by the At-Large Advisory Committee to serve first during the year 2007.
Whereas, Vittorio has provided excellent insight, leadership, and expertise in this role, with an unmistakable Italian panache and Lamborghini speed of speech.
Whereas, as Vittorio has represented the voice of reason and even-handedness during his long service as liaison and has provided sage advice and counsel in all matters coming before the board.
Whereas, Vittorio has been a strong advocate of the at-large community and its involvement in ICANN.
Whereas, Vittorio Bertola has concluded his term as liaison on behalf of the At-Large Advisory Committee at the Los Angeles meeting.
Resolved that Vittorio Bertola has earned the deep appreciation of the board for his term of service as liaison and the board wishes him well in his future endeavors.

Ok, devo parlare più lentamente e non mangiarmi le parole, va bene – anche se, come gli ho risposto, invece di parlare alla velocità di una Lamborghini preferirei che mi dessero la Lamborghini e finita lì (in regalo mi hanno comunque dato una bella palla di vetro). Ma quello che è stato toccante in questi giorni è stato essere fermato nei corridoi e alle cene dalla gente più disparata – tutti senior, tutti esperti, tutti di altissimo livello – per ricevere complimenti, espressioni di apprezzamento, inviti a continuare.

A margine di una riunione del Board, una delle tre persone che hanno costruito Internet dal primo all’ultimo bit mi è venuta a cercare, e mi ha detto di essere rimasta impressionata dalla capacità di analizzare i problemi in modo oggettivo, di comprenderne tutti gli aspetti, di sintetizzarli e proporre soluzioni imparziali, accettabili e funzionanti. Io ovviamente volevo sprofondare nel sottosuolo, per cui ho farfugliato qualcosa e ho cercato di ringraziare per quanto possibile… Il giorno dopo, quando è stata proposta la risoluzione di ringraziamento e come da rito è stato richiesto un secondo, metà del Board si è affrettata ad alzare la mano. Ecco, alla fine sono queste le cose che ripagano dell’impegno e della passione che ciascuno di noi mette nelle proprie attività preferite. Le faremmo lo stesso perchè ci piacciono, ma così è decisamente più facile.

[tags]icann, vint, cerf[/tags]

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martedì 9 Ottobre 2007, 23:48

Contempla azioni

Improvvise – fermo alla stazione di Asti, buio fuori e buio sullo schermo del mio portatile, ozioso da alcuni minuti – si sviluppano sul sottile foglio di cristalli liquidi immagini morbide e fascinose di pecore elettriche; esplodono e implodono e si rimescolano geometricamente, proprio come la vita, come ad esempio quella di cui sto leggendo dal libro che ho in mano, la vita di Alexander Langer; una persona che sarei felice di essere stato, coerente nel farsi colla trasparente e resistente, ad assorbire il male e l’attrito del mondo, costi quel che costi (e costò molto).

La notte scorre fuori dal treno, e nelle orecchie ho un vecchio e visionario adagio dei Casino Royale, riempi i tuoi polmoni di pensieri buoni, comincia da te stesso e poi rivoluzioni, fai tuo lo spazio vuoto dove puoi arrivare, e illumina la notte di energia stellare. La giornata, lunga, è ormai prossima alla fine. Anche oggi si è posato un altro mattone per un disegno che non conosco, ma che certamente, quando si farà apprezzare in tutta la sua interezza, presenterà una armonia sorprendente. A prima vista non si apprezza quanto sia difficile disegnarsi la vita; a seconda vista, se ne vede invece la fatica e lo scoramento; ma guardando ancora meglio, in fondo in fondo al pozzo, in ognuno di noi c’è soltanto e comunque senso.

Cogliere quello degli altri e offrire il proprio, in ogni fugace opportunità di contatto, è un premio e un piacere riservato ai fortunati; pur se è vero che ognuno è fabbro della propria fortuna. Contempla azioni, e assicurati di aver sempre pronti incudine e martello.

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sabato 22 Settembre 2007, 13:00

Mors tua

Stamattina mi sono reso conto di quanto entrare nel gorgo del ristrutturare casa deformi i principi etici e morali che regolano normalmente le nostre vite; e di come l’ambiente urbano spinga a una lotta per la sopravvivenza continua, che non guarda in faccia a nessuno.

Infatti, sono andato per un momento nella casa nuova, per prendere alcune misure, e sono stato sorpreso di trovare il portone sommerso da corone di fiori e drappi viola, con tanto di tavolino e libro delle firme sul marciapiede accanto all’aiuola. Pare che una delle vecchiette del palazzo sia mancata improvvisamente. Non la conoscevo, ma mi è dispiaciuto.

Tuttavia, quando dopo pochi minuti sono ridisceso e uscito dal portone, il marciapiede era pieno dei parenti della defunta, vestiti di scuro, con mazzi di fiori in mano, davanti al carro funebre.

E allora non è bello che io abbia anche solo pensato di fermarne qualcuno, e di chiedere: “Scusi, la signora aveva un box, e in tal caso lo vendete?”

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domenica 9 Settembre 2007, 09:05

Segni divini (2)

Io, devo dire, sono stato ragionevolmente buono. Mi sono vestito correttamente, con i capi nell’ordine e nelle posizioni richieste, e sono arrivato più che in orario. Mi sono sistemato buono buono dal lato della sposa, così che la sua testimone, per il lato cattolico della cerimonia, potesse avvicinarsi al leggio senza impallare gli sposi. Non ho bestemmiato, nè ho mancato di rispetto al Signore. Ho persino trattenuto le risate quando il sacerdote ha dimostrato che nessun uomo può riuscire a rendersi più ridicolo di un prete cattolico, intonando una canzoncina con un testo del tipo “Evviva la chiesa, la chiesa è bella, è la chiesa degli italiani e andiamo tutti in chiesa”, e invitando poi gli astanti a pregare “per la società civile, che riconosca e supporti i valori della chiesa” (e voti il risposato Casini, invece di rompere le scatole sull’ICI delle librerie e delle case di riposo). Nè ho commentato come il fatto che una persona si riduca in lacrime per l’emozione di sposarsi mi faccia venire dei dubbi sui suoi orizzonti di vita (però, buon per lei). Insomma, sono stato proprio bravino.

E per tutta risposta, quando a fine cerimonia siamo tornati a casa, sono rimasto chiuso nell’ascensore, insieme ad altri cinque, tra cui la cugina di mia mamma, claustrofobica. Siamo saliti, abbiamo premuto il pulsante, si sono chiuse le porte, l’ascensore ha sobbalzato e poi è morto lì. Abbiamo chiamato il numero verde, abbiamo suonato l’allarme, i vicini hanno provato a spegnere e riaccendere l’ascensore dal comando di corrente della sala contatori (riderete, ma parecchie volte ha funzionato), senza ottenere nulla. Nel frattempo, dentro il mio ascensore – che è una scatola cieca di metallo solido – c’erano quaranta gradi e una quantità di ossigeno pericolosamente in calo. Dopo dieci minuti (velocissimo, ad essere onesti) è arrivato il tecnico, che ha riportato manualmente l’ascensore al piano del garage e l’ha fatto aprire.

E poi ci ha pure cazziati, che “non si sale così in tanti, si fa due viaggi”. Ma io dico, se c’è scritto “Capienza 6 persone – Portata 480 kg”, e ci salgono sopra sei persone per un peso totale di circa 350 kg, l’ascensore dovrebbe andare, no? Se non ce la fa, scriveteci sopra una portata inferiore, no? E comunque anche se si blocca, dovrebbe bloccarsi con le porte aperte, no? E poi nella cabina dovrebbe essere previsto un foro di areazione per evitare che ci si possa soffocare dentro, no? E dopo tutto ciò, se fossimo veramente soffocati in sei perché stavi trombando e non potevi venire, tu saresti finito in galera per un considerevole numero di anni, no?

Comunque, i segni inviatici sono chiari: ci è stato chiaramente comunicato che il matrimonio è Male!

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venerdì 7 Settembre 2007, 12:04

Segni divini

Come vi avevo accennato, domani si sposa mio fratello – un’idea piuttosto insensata al giorno d’oggi, ma se uno vuole significare un rapporto di coppia tramite questo strumento, perché no. Ragion per cui, io sono favorevole e collaborativo; certo, frotte di amici di famiglia con un po’ più d’esperienza alle spalle mi avevano pregato di chiuderlo in una stanza vuota fino a fargli cambiare idea, ma io mi ero sempre rifiutato.

Non solo, ma ero stato addirittura prescelto per l’accompagnamento dello sposo alla chiesa, con la mia propria vettura; per cui, il mio programma prevedeva l’atterraggio a Malpensa ieri pomeriggio, il ritorno a Torino con l’auto appositamente parcheggiata, la consegna della vettura al meccanico per il tagliando ormai overdue, il ritiro stasera, l’autolavaggio, e l’accompagnamento domani mattina.

Peccato che ieri, mentre presso la ridente cittadina di Oleggio (NO) mi immettevo dalla tortuosa strada del ponte del Ticino sulla regia strada statale numero trentadue, sia stato bellamente tamponato da un signore brianzolo, non a caso originario di Vergate sul Membro o un nome del genere. Nulla di grave, se si eccettua il fatto che il baule non si chiude più e che ho pertanto dovuto giungere a Torino a ottanta all’ora per vecchie strade di pianura, con il portellone semplicemente appoggiato, evitando le buche per non farlo aprire, impiegandoci oltre due ore. Tuttavia, è abbastanza da privare lo sposo del suo mezzo di trasporto.

Ebbene, io dico, ma quando gli déi mandano segnali così chiari, non è forse segno di intollerabile hybris il voler insistere nei propri futili piani?

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giovedì 23 Agosto 2007, 16:26

Los Angeles (1)

In questi giorni sto scrivendo un po’ di commenti e ricordi sul mio viaggio a Los Angeles dell’altra settimana; siccome sono abbondanti, li posterò un po’ per volta, a puntate.

Nel complesso, questo viaggio resterà nei miei ricordi come alcuni giorni densi di sensazioni interessanti, e di un po’ di apertura rispetto a quella percezione di aria chiusa, di frustrazione e di asfissia che, qualsiasi cosa si pensi, si respira ormai da troppo tempo in Italia (vedi la discussione sul signor Rossi).

Parte di ciò, in effetti, è data dalle numerose esperienze intra-extra-sensoriali, cominciate con il viaggio di andata, e culminate quando, verso le tre e mezza di mattina nel mio lussuoso albergo di Santa Monica – peraltro gestito da una manica di stagisti orientali che non avrebbero saputo mandare avanti neanche una lavanderia -, dopo essermi rigirato varie volte nel letto senza riuscire a riprendere sonno, mi è apparso in persona Don Henley a cantare per intero Desperado, apposta per me, dall’inizio alla fine, e poi persino a rifarla tutta da capo come un bis, giusto per essere sicuro che il messaggio fosse chiaro: una esperienza profonda, che ti cambia la vita.

Los Angeles, in effetti, è così: un miraggio, una entità irreale che apre una finestra su un modo di vivere completamente diverso. La prima impressione non è granché, ma probabilmente è proprio perché la città è troppo diversa dalla nostra concezione: un rettangolo lungo la costa di cento chilometri di lunghezza per quaranta di profondità, con vari tentacoli aggiuntivi. Solo recentemente hanno permesso la costruzione di grattacieli, per cui ci sono solo due o tre punti dove la città, vista dalla collina, emerge in altezza; il resto è una distesa infinita di case basse, in certe zone più dense, in altre meno, intervallate da autostrade, zone industriali, zone commerciali (tendenzialmente piccole, fatte di negozietti e fast food) e degli enormi canali di cemento (da noi noti per la scena di inseguimento in Terminator 2) che fungono da fogna a cielo aperto. Los Angeles è un enorme reticolo, in cui le vie – avenue da nord a sud, boulevard da est a ovest – sono lunghe ciascuna trenta o quaranta chilometri, ed è sempre affascinante reincrociare la stessa via a distanze siderali e in tutt’altro contesto.

Ci sono, comunque, anche dei vantaggi, al di là della vitalità commerciale e culturale della città. Per esempio, il clima: non fa mai veramente freddo. Poi ci sono le spiagge: ampie, di sabbia, e completamente libere, persino davanti alle località più note (qui il concetto di “stabilimento balneare” è sconosciuto). E ci sono le colline: l’unica parte paesaggisticamente bella della città, che sovrasta tutta la famosa infilata di quartieri e comuni sui Sunset e Santa Monica Boulevard: da ovest a est, Downtown, Silverlake, Hollywood, Beverly Hills, Century City, Westwood, Bel Air, Brentwood e infine Santa Monica, lo sbocco al mare.

Ma non fatevi ingannare: non sono veramente dei quartieri o delle cittadine come intendiamo noi, con un centro, un monumento, una piazza, qualcosa che funga da punto di aggregazione. Sono distese di case, interrotte ogni tanto da qualche casa più storica o famosa che definisce il circondario. Per dire, più a sud, Wilshire Boulevard a ovest del centro è una delle zone storiche e famose; ma non è che una infilata di palazzi più belli e più vecchi, costruiti a inizio secolo sulla vecchia strada per il mare, in mezzo al generale mare di anonime palazzine e negozietti.

Le colline, comunque, meritano la visita; potete fare come me, e noleggiare una macchina, anche perchè visitare Los Angeles senz’auto è sostanzialmente impossibile. Qui, più ancora che nel resto degli Stati Uniti, vale il primo principio del turista europeo in America, ossia TUTTO E’ MOLTO PIU’ LONTANO DI QUELLO CHE SEMBRA. “Due fermate di metro” sono facilmente quattro o cinque chilometri. “Tre o quattro isolati” sono mezz’ora a piedi. “E’ solo il paese dopo” vuol dire mezz’ora di macchina, fermi negli eterni ingorghi delle insufficienti autostrade (solo una ventina, a quattro-sei-otto corsie per senso di marcia) che attraversano la città. Per dire, io, per spostarmi dall’albergo di Santa Monica a quello di Hollywood, ho noleggiato un’auto per un giorno: vista la distanza e il traffico, costava praticamente come il taxi.

L’auto si è poi rivelata essere una Ford Focus, che però non sembrava nemmeno lontana parente della Focus nostrana: berlina, stretta e alta, e con l’aria di ribaltarsi da sola. Ero peraltro l’unico che avesse noleggiato una classe A in quel posto nelle ultime tre settimane, per cui mi hanno dato l’unica che avevano: targata Oklahoma. E’ stato un po’ come girare per Torino con la targa di Caltanissetta.

Io l’ho presa e per prima cosa sono andato al Getty Center di Brentwood (da non confondere con la Getty Villa di Malibu), un enorme centro museale realizzato da un benefattore talmente sovversivo da dotare sì il tutto di un enorme parcheggio sotterraneo, ma da realizzarlo lontano (c’è un trenino di collegamento) e soprattutto da far pagare il parcheggio anziché l’ingresso al museo. Il museo è così così, una collezione di arte europea completa ma uniformemente di livello relativamente basso, a parte un paio di Rubens e di Tiziano. Il posto, però, è meraviglioso, in cima alla collina, in mezzo al verde bruciato dal sole, costruito con travertino originale di Tivoli portato fin là con una ventina di transatlantici. Potete anche guardare la città dalla terrazza, o meglio la potreste guardare se non fosse coperta – permanentemente – da uno strato di foschia rossa e solida spesso un paio di chilometri: l’aria più inquinata del pianeta, persino più di Milano.

Il vero clou, però, è stato uscire di lì nel tardo pomeriggio di una tranquilla domenica d’agosto, e imboccare la vicina Mulholland Drive, percorrendola tutta, fino a Hollywood.

(continua…)

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domenica 19 Agosto 2007, 20:29

Energia

Oggi ho comprato l’ennesimo biglietto aereo di questa estate, da Easyjet. Dopo aver compilato tutti i dati, in mezzo ai vari extra che le compagnie low cost cercano regolarmente di venderti (tra cui uno sgradevole: 7.50 euro per poter pagare con la carta di credito…), ne ho trovato uno che ho subito aggiunto: la possibilità di compensare le 201 tonnellate di CO2 che rappresentano la mia quota parte di ciò che verrà prodotto dai miei voli.

In pratica, ho versato tre euro e ottantasette centesimi per supportare progetti di produzione di energia rinnovabile, come una centrale idroelettrica in Ecuador, per dire. Non so se la costruiranno mai, ma il problema è reale e noi siamo tra i paesi dove è meno sentito, se è vero che il primo filmato che Lufthansa ti mostra sugli intercontinentali, raggiunta la quota di crociera e prima di iniziare il programma di intrattenimento, è una lunga intervista con il suo amministratore delegato che giura e spergiura che loro fanno tutto il possibile per migliorare, che la quota di CO2 prodotta dai viaggi aerei è comunque ridotta – attorno al tre per cento del totale -, e che i viaggi aerei hanno dei vantaggi irrinunciabili (segue spot strappalacrime di mamme e bambini che si abbracciano in aeroporto).

Già qualche tempo fa, dopo il polpettone del Live Earth – che in sè era una esibizione di miliardari viziati che volavano attorno al mondo su jet privati per invitare noi a spegnere la luce in cucina, ma che almeno ha sollevato il problema -, mi ero messo a pacioccare con le configurazioni del mio server casalingo: con un’oretta avevo realizzato che bastavano un paio di cambiamenti nel BIOS perchè le ventole rallentassero automaticamente quando non ce n’era bisogno, e che esistevano i cpufreq tools perché la velocità della CPU si abbassasse quando il computer non faceva niente.

Altri suggerimenti sono banali ma da mettere in pratica: ad esempio abituarsi a staccare i caricatori dalle prese quando non sono in uso, o bollire solo l’acqua che serve, per la pasta o per il tè, e non tinozze intere.

Insomma, molto si può fare, e cominciare a impegnarsi per risparmiare un po’ – oltretutto, meno energia sprecata vuole anche dire bolletta più leggera – è qualcosa che dovremmo fare tutti.

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venerdì 10 Agosto 2007, 23:17

Luftansia

All’inizio, pareva un volo privo di eventi, questo per Los Angeles. Lo stint per Francoforte (uso certi termini per i fan della Ferrari) è stato tranquillissimo, e anche i venticinque minuti di bus dall’aereo all’aeroporto sono andati bene, se si eccettua quando siamo dovuti passare sotto l’ala di un jumbo in partenza, e quando abbiamo trovato coda al casello.

Attraversato il terminal ed effettuati i controlli di sicurezza, avevo ben cinque minuti di tempo prima dell’imbarco, che sono stati sufficienti per entrare nella lounge e far fuori un tazzone di gulash, un po’ di polpette, del pane, e le nuvolette di cioccolato soffiato che ancora non ho capito come sono fatte, ma che sono buonissime ed esistono solo lì. Terminato il pit stop, stavo per uscire quando si è materializzato il mio collega di Board portoghese; da Lisbona non c’è un volo diretto per Los Angeles, e lui ha allungato il percorso fino a Francoforte pur di non volare con gli spagnoli (patriota!).

Il decollo è in ritardo, e mi permette di leggere sulla prima di Repubblica il commentario di Michele Serra su Valentino Rossi, riassumibile in breve come “un miliardario se la prende con un altro miliardario perchè ha un commercialista migliore del suo”. In effetti il tema è appropriato alla business class Luftansia, che è lussuosissima, ma anche ottimizzata al centimetro, applicando la grande esperienza di impaccamenti umani che deriva ai crucchi dalla seconda guerra mondiale. Per dire, io che sono al finestrino – quindi con meno accesso alle cappelliere – dispongo di sei centimetri sei di stivaggio laterale accanto al mio sedile!

Qui, ecco, qualcosa succede, perché dopo il decollo mi ricordo di aver visto un documentario sul magico mondo dei videogiochi; nulla che già non sapessi, e in più fanno vedere le immagini del secondo videogioco della storia (Spacewar, per PDP-1) e mi sovviene che io ci ho giocato a maggio, al museo del computer di Mountain View, e ho pure il video di Vint che ci gioca, eppure tutto ciò non è andato online perché son stato troppo pigro per bloggarlo, e poi ho dato la precedenza ai gerani sulle corsie di sorpasso.

Qui succede ancora qualcosa, perché mi addormento un po’ e quando mi sveglio la scena cambia. Io sono inchiodato al mio posto dal pranzo – perché in business class, da signori, ti servono tre portate, però con quaranta minuti di attesa tra l’una e l’altra – e vedo passare le hostess. Sono parecchio brutte, per cui decido che non utilizzerò qui il buono per uno jus primae noctis che mi hanno dato insieme alla tessera argento; però si fanno in quattro per noi clienti business, anche se ogni tanto devono affacciarsi verso l’economy e servire il pranzo, cioè, lanciare sacchetti di patatine alla gente che se le contende a gomitate. Il mio vicino si diverte, e grida, “More chips! More chips!”, così le hostess lanciano in economy altre patatine, per fargli rivedere la scena.

Io nel frattempo mi sono disteso, è arrivato il dolce, e imparo una cosa che non si deve fare: mangiare i cantucci (secchi) da distesi. Si sbriciolano, e i pezzetti duri di biscotto ti si infilano nel collo della maglietta e si spargono per tutta la schiena: è doloroso! Per fortuna, incomincia l’intrattenimento di bordo: le hostess cominciano a ballare cantando vecchie canzoni della lotta d’indipendenza dell’Alto Adige, come quella che fa “Veniamo giù dai monti / dai monti del Tirolo / e ci prendiam lo scolo / in piena libertà”. In un tripudio di salsicce, un passeggero rovescia la birra su un altro passeggero, poi insieme annunciano una guerra lampo che prevede l’invasione delle file quattordici e quindici. E’ bello volare in tedesco.

A questo punto, il viaggio è diventato interessante: siamo da qualche parte verso la Groenlandia, e dal finestrino vedo un’isoletta che, stando all’atlante, potrebbe essere Kâdëldiåø FrèiddlÃ¥førkka. Difatti è vero, perchè all’improvviso, puff! davanti all’ingresso della toilette si materializza il diavolo. Le hostess gli porgono i moduli verdi per l’ingresso negli Stati Uniti, ma lui li rifiuta sdegnosamente (ha parecchie amicizie laggiù), e si rivolge a noi. Con voce da baritono, grida: “Mi i son el diao, e i rangio le pipe!”. Sottolinea l’affermazione girandosi ed emettendo un fragoroso peto, che travolge le tendine di separazione e annichilisce orribilmente una manciata di passeggeri in economy, che le hostess provvedono a sostituire con manichini per non urtare la nostra sensibilità.

Interessato all’occasione di dialogare con Sua Malvagità, faccio doppio clic sull’apposito bottone del mio telecomando; ma non è quello giusto, perchè si apre il tavolino. Comincio a premere pulsanti all’impazzata, e la sedia s’allunga, il video si accende, parte la radio, si spegne la luce, insomma la tecnologia mi domina, ne sono prigioniero.

Resisto, e vorrei chiedere al diavolo se ha capito cosa spinga la razza umana ad organizzarsi in una serie piuttosto complessa di attività, culminanti nel produrre un coso grande come un palazzo, pieno di sedie di plastica e di persone stipate e di cherosene che brucia e scioglie l’Artico, e metterci sopra me medesimo. Il tutto trasformato in un non-luogo d’eccellenza, perché noi della business, con le tendine abbassate, paghiamo il privilegio di non essere; per tredici ore, non siamo in nessun posto, e anzi non ci muoviamo, perchè siamo seduti ad osservare quattro pareti di plastica che non si spostano d’un millimetro.

Il diavolo, però, sta mangiucchiando i sandwich della prima classe, che non sono come quelli della business, ma hanno uno strato di zero virgola otto centimetri di salmone in più, e vengono serviti quattro minuti e venti secondi prima degli altri. Qualcuno dei viaggiatori della prima classe protesta, e lui lo manda in economy, dove si crea però un sovraffollamento; pertanto, in modo ben scientifico, egli autorizza le famigliole ad amputarsi una gamba ogni tre persone, per stare più larghi; e vedo mamme convincere gentilmente il figliolo a sgambarsi un attimo per il bene collettivo, ché oggi tocca a lui.

E’ un incubo, perché, per quanto io faccia, non riesco ad attirare l’attenzione di Satana; arriva solo una hostess che mi chiede se ho bisogno di più ossigeno, che in quel caso può far depressurizzare l’economy, tanto hanno maschere ad ossigeno sufficienti per quasi tutti i passeggeri. Io mi sento un po’ giù e quindi rispondo di sì, tanto per far succedere qualcosa, in questo volo infinito. C’è solo il disturbo che, essendo in fondo alla business, mi toccherà ributtare di là i passeggeri che, stramazzando al volo, cercheranno di venire a rubare i centimetri cubici d’aria che Lufthansa ha stanziato per me.

Alla fine il diavolo viene a me in tutta la sua maestà, anche se stringe in seno una gamella di acciughe al verde da cui pesca ogni tanto con le mani, e il bagnetto gli cola un po’ sul corpo (è nudo, il diavolo mica ha i vestiti). Conosce tutte le canzoni di Gipo, ma neanche lui sa spiegarmi a cosa servano i jumbo jet in generale, e quello su cui sono io in particolare – anche se, per quel che ne vedo, potrebbe essere un camion, una scatola di cartone, un teatro di posa o lo stomaco di una balena. A ben vedere, c’è una catena di perché che spiega il motivo per cui sono qui, ma è troppo lunga, e Satana mi fa notare che ci metteremmo una giornata a dipanarla tutta. Meglio attaccare la radio sul canale del J-Pop, musica giapponese e veramente giovane, e divertirsi, fino a che lui tornerà alla sua isola, e l’aereo potrà atterrare, e noi riconnetterci al pianeta, sperando che la prossima volta il caffè sia meno violento, e l’assenza di contesto meno evidente.

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domenica 5 Agosto 2007, 23:25

Atterraggio

Succede in anticipo, già quando scendi dal treno per Stansted e ti avvii verso la zona del check-in dei voli per Bergamo, che Ryanair ha appropriatamente collocato proprio in fondo all’aeroporto, separata da quelle degli altri. Lì avviene già la selezione, e ti ritrovi di colpo in mezzo agli italiani.

E così, è dura lasciare Londra, e ritrovarsi d’improvviso in Italia, tra gruppi di scout e scolaresche in viaggio studio che non hanno imparato una parola d’inglese, ma che chiacchierano di canne, di furti reciproci, di compiti in classe copiati di straforo, e di svariati libri di Federico Moccia; e poi applaudono all’atterraggio, come chi non ha mai visto un aereo in vita sua, per poi alzarsi in massa quando l’aereo è ancora sulla pista, fregandosene dei divieti, e accendere in blocco i telefonini. Poi scendi e vai in bagno all’aeroporto di Bergamo, dove i cessi sono sporchi in modo indescrivibile, e c’è pure uno che caga senza chiudere la porta; e poi ti infili su un’autostrada piena di cantieri infiniti, e di vasi di geranio schiantati sulla corsia di sinistra.

Non sono affatto esterofilo, ma tocca purtroppo dire, avendole viste entrambe, che l’Italia di oggi assomiglia molto di più all’Argentina che all’Inghilterra. Temo che sia un po’ come quella sensazione di cui ti parla chi è venuto a studiare o a lavorare a Torino dalla campagna o da un paese del Sud, e ti dice che gli fa sempre piacere tornare, rivedere i posti e gli amici, ma non riuscirebbe più a viverci per troppo tempo; perché tutto sembra così piccolo, chiuso di mentalità, e provinciale, e anche marcio e strafottente, e limitante, e destinato comunque a rimanere così, con piena soddisfazione di chi ci vive, che si lamenta spesso ma poi ci sguazza, perché altrimenti se ne sarebbe già andato.

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