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Archivio per la categoria 'Life&Universe'


sabato 25 Dicembre 2010, 10:08

Il senso del Natale (2)

Ho scoperto ieri che in questi giorni il mio blog è raggiunto da molte persone che cercano “il senso del Natale” – e trovano appunto il mio post natalizio di quattro anni fa.

Molta acqua è passata sotto i ponti da allora, e vorrei aggiungere solo un paio di riflessioni, partendo dal post natalizio di Beppe Grillo che condivido appieno. Io quest’anno non ho fatto regali, se non qualcosa di valore minimo. Non l’ho fatto per cattiveria o disinteresse, ma perché non reggo più l’orgia consumistica del nostro Natale, non accetto più l’idea di dover testimoniare affetto o rispetto mediante un oggetto materiale, magari da giudicare per il suo valore venale o per il suo allineamento alla moda del momento (l’affetto e il rispetto si dimostrano tutti i giorni e in particolare nei momenti di necessità, non nelle feste comandate). Non l’accetto, a maggior ragione, nel momento in cui basta guardarsi attorno per trovare persone a cui manca anche il minimo per sopravvivere, e non nella lontana e dimenticabile Africa, ma nelle vie sotto casa.

Non lo accetto anche perché tutto questo è una via sicura per l’infelicità. La nostra società è progettata per renderci infelici, creando continuamente bisogni artificiali che non possiamo soddisfare, per alimentare l’economia consumista. Questa infelicità ci rende aggressivi e incapaci di apprezzare quanto di bello e di appagante c’è attorno a noi, a partire dalla bellezza del creato.

La felicità non deriva dal benessere che già abbiamo, ma (al massimo) dalla speranza di migliorarci in futuro. Superata la soglia di possesso materiale che permette di vivere in tranquillità e sicurezza, il resto è solo fumo negli occhi; non dico che sia sbagliato o dannoso, ma non è ciò che fa la differenza. La felicità è legata all’accettare se stessi e gli altri, all’amare se stessi e gli altri, due necessità inscindibili visto che non è possibile accettare gli altri senza accettare se stessi. E’ la nostra frustrazione da avidità materiale indotta che ci rende anche intolleranti, competitivi, incapaci di aiutarci e dunque definitivamente soli.

Il regalo migliore per un buon Natale, forse, è rendersi conto che del Natale moderno non abbiamo alcun bisogno.
[tags]natale[/tags]

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martedì 9 Novembre 2010, 20:06

C’è chi dice no

Purtroppo le discussioni relative agli ultimi post sono state troppo tranquille, e allora vi lascio con una questione su cui generalmente le persone si dividono.

Stasera ero al mio Lidl di fiducia (questa settimana offre, anche se a caro prezzo, paste di mandorla prodotte in quel di Militello in Val di Catania, dove sono stato ormai sette anni fa e prima o poi tornerò) ed ero in coda alla cassa – ora di punta e coda un po’ lunga, sia nella mia cassa che in quella a fianco. A un certo punto arriva un signore con in mano quattro o cinque cose, passa fischiettando accanto alla parte finale della coda, prova ad infilarsi in quella a fianco, lo guardano male, allora arriva da me – che sono ormai proprio all’inizio del nastro – e dice: “scusa posso passare?”.

In genere in questi casi non faccio mai opposizione: in fondo chi se ne frega, perché litigare. Ma questa volta no, un po’ perché in mano aveva una mezza spesa, e un po’ perché insomma, mi sono stufato di una cultura in cui si cerca sempre l’eccezione alla regola purché sia a proprio vantaggio. E ho detto “no scusa, fai la coda come gli altri”.

Al che il tizio, scazzato, è andato via e si è infilato nell’altra coda, dove sono stati meno assertivi… o più gentili?

Avesse avuto un solo oggetto in mano, l’avrei fatto passare; fosse stata una signora anziana, l’avrei fatta passare. In questo caso, no. Voi cosa avreste fatto?

[tags]lidl, supermercato, cassa, coda, regole[/tags]

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lunedì 25 Ottobre 2010, 10:34

La cresta

La vita può essere tragica; tutti noi speriamo di non trovarci mai di fronte a drammi che però accadono tutti i giorni. Tra questi drammi c’è sicuramente la morte improvvisa e imprevista di persone giovani; esaminando i dati che il nostro Istituto Nazionale di Statistica mette a disposizione dentro uno ZIP contenente un foglio Microsoft Excel (evviva l’accessibilità) si scopre che nel 2007 in Italia sono morte 9375 persone tra i 20 e i 40 anni. La prima causa di morte sono, come noto, gli incidenti stradali (22,7%); meno noto è che la seconda, che presto potrebbe diventare la prima anche in questa fascia di età, è il cancro (21,7%). La terza causa di morte, a debita distanza ma comunque con più di 800 vittime, è il suicidio (8,8%). Queste cause sono tutte e tre, in modi diversi, sintomi di disfunzioni della nostra società, e sono talmente diffuse che se ne parla il meno possibile; si parla molto di più di cause di morte numericamente ben meno rilevanti, come l’omicidio (2,7%) e l’AIDS (1,9%).

Nell’elenco non compare la causa che ultimamente va più di moda sui giornali: la “malasanità”. Soltanto due giorni fa, sulla cronaca cittadina, l’ennesimo caso: una ragazza di 33 anni morta in sala operatoria durante la sostituzione di una valvola cardiaca, una operazione teoricamente di routine. Quasi sempre, il sottotitolo è lo stesso: i parenti che gridano “ce l’hanno ammazzata”, “vogliamo giustizia” e “qualcuno deve pagare”.

E’ comprensibile ed umano che una persona che sta vivendo una tragedia del genere parli così e senta il bisogno di trovare un colpevole (meno giustificabile che ciò venga rilanciato dai giornali e dalle televisioni). Se ci pensate, però, queste affermazioni tradiscono la concezione piuttosto distorta della vita e della morte che permea la nostra società: una concezione basata sull’aspirazione all’immortalità, e persino su una certa fiducia nel fatto che l’uomo possa dominare qualsiasi condizione avversa impostagli dalla natura.

Nel caso specifico, l’operazione di routine consiste nell’addormentare qualcuno in maniera innaturalmente profonda, aprirgli il cuore, togliergli un vecchio pezzo di plastica che sostituisce la sua valvola cardiaca difettosa e metterne uno nuovo. A guardarla bene, non si capisce come si possa essere arrivati a considerare una cosa del genere “di routine”. Come umanità, possiamo senz’altro esserne orgogliosi, ma non credo che abbia senso pensare il successo di queste terapie come un diritto, e dunque il fallimento di una operazione chirurgica come un omicidio; non solo perché la fallibilità è umana – se fosse richiesto il 100% tondo di successo in tutto ciò che facciamo, nessun umano potrebbe guidare un veicolo: ci risparmieremmo quasi ventimila morti l’anno solo in Italia, ma la nostra società non funzionerebbe più – ma perché il rischio di morte è intrinseco ed ineliminabile in una operazione di quel tipo, e nella maggior parte dei casi avviene senza alcun errore da parte dei medici.

Con tutta la nostra scienza, non sappiamo perché ogni anno decine di neonati muoiano di “sindrome della morte improvvisa nell’infanzia”; muoiono in culla, e basta. Quando si vivono drammi del genere, dal punto di vista del singolo è difficile, forse impossibile, farsene una ragione; dal punto di vista collettivo, però, è un chiaro invito ad abbassare la cresta, e a spiegare agli individui che non tutto è sotto il nostro controllo.

[tags]malasanità, morte, omicidio, medicina, scienza[/tags]

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lunedì 27 Settembre 2010, 19:17

Dopo Cesena, il sole

L’evento di Cesena è andato oltre le mie aspettative, lo dico subito: come sapete temevo di finire sotto la pioggia nel pantano a sorbirmi musica poco interessante, e invece… invece sono stati davvero due giorni indimenticabili, baciati dal sole e dall’energia naturale e rinnovabile delle persone. Aveva ragione Beppe: per un Movimento fuori dagli schemi è stato davvero meglio fare una festa così, con una marea di gente contenta solo per essere lì con altra gente che condivide la stessa visione del mondo e la stessa voglia di cambiamento, piuttosto che organizzare una serie di incontri e dibattiti nello stile della politica tradizionale.

Che poi, come saprete, gli incontri li abbiamo organizzati, e sono andati bene, e sono stati interessanti, e però… a un certo punto, di fronte all’ennesima discussione sulla teoria della politica partecipativa, credo di aver visto la luce… e sono tornato sotto il palco ad ascoltare la musica in mezzo a decine di migliaia di persone. Perché sì, le teorie sono importanti, le idee sono importanti, l’organizzazione è importante; ma prima ancora è importante l’empatia, il sentirsi parte del tutto, un pezzo di una armonia. Sì, è importante la politica, entrare nelle istituzioni per cambiarle, ma prima ancora è importante non perdere il contatto tra noi, non isolarci, non venire così presi dalle discussioni politiche da perdere di vista che il cambiamento più importante è quello culturale, è lo stare insieme con un sorriso – un atto assolutamente rivoluzionario, in una società che ci vuole soli e inermi di fronte al controllo e alla schiavitù morbida del consumo.

A Cesena si è ricreata per due giorni quell’atmosfera magica che già ci aveva avvolto verso la fine della campagna per le elezioni regionali; quella in cui tutti condividono l’obiettivo, in cui non esiste io che non sia parte del noi, del grande flusso delle cose. Spero che quella atmosfera possa arrivare un po’ anche qui a Torino, dove il clima, a livello di Movimento cittadino, è alle volte tutt’altro. Spero che, se proveremo a cimentarci con il cambiare la città, lo faremo sul serio: portando migliaia di persone in piazza per un mondo nuovo, invece di chiuderci in una stanza a parlare di politica litigando pure tra di noi; perché davvero ho la sensazione che la politica, senza l’energia del sogno, potrà soltanto farci marcire.

Volevo comunque ringraziare tutti quelli che ho conosciuto o ritrovato e con cui ho scambiato due chiacchiere, e perdonatemi se in certi momenti ero fuso dalla stanchezza, se magari non vi riconosco al volo, se non sento bene cosa dite. Vorrei applaudire vari artisti, alcuni hanno davvero spaccato (cito i Linea 77 e il Teatro degli Orrori, ma ce ne sarebbero tantissimi, e non li ho nemmeno sentiti tutti, anzi non perdonerò la discussione che mi ha fatto perdere l’esibizione di The Niro). Mi piacerebbe montare un filmato del dietro le quinte, per farvi vedere cosa è stato davvero – dall’incontro di wrestling con la bici del consigliere Bono da mettere sulla cappelliera del treno, fino alla cura maniacale della raccolta differenziata (però dalle nostre tende non c’erano i bidoni, maledetti! ho dovuto trasportare tutto per un pezzo).

Intanto, comincio con questo: i primi dieci minuti del concerto “after hours” organizzato dal Movimento 5 Stelle Piemonte (cioè da Paolo Vinci, l’unica persona veramente indispensabile senza cui il Movimento piemontese non sarebbe mai esistito). A forza di portarsi a spalle casse e mixer, Paolo è riuscito a far esibire a Woodstock 5 Stelle nientepopodimeno che Tony Troja (che poi, partecipando alle nostre discussioni e girando per la festa, si è rivelato davvero un grande). E’ stato un momento di felicità condivisa; e in fondo è noto da tempo che solo una risata li potrà seppellire.

[tags]woodstock 5 stelle, w5s, cesena, beppe grillo, movimento 5 stelle, tony troja, linea 77, teatro degli orrori, politica, energia[/tags]

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venerdì 3 Settembre 2010, 15:00

Sarà il caldo

Stamattina sono andato dal mio solito barbiere, che frequento da una decina d’anni. L’ho visto dimagrito, quando ha parlato non aveva più voce; ho chiesto cosa avesse, e mi ha detto che durante l’estate gli hanno trovato e rimosso un tumore alle corde vocali (per fortuna benigno).

Due settimane fa, tornato dalle vacanze, ho invece scoperto che a un mio amico, più giovane di me, hanno trovato un cancro al colon. In certe fasi sembrava veramente a rischio di vita, ora sta meglio e sta intraprendendo le terapie, speriamo bene.

E poi, c’è la fine improvvisa e imprevista del dottor Topino, anch’essa nel giro dell’estate.

Può darsi che tutto questo sia soltanto un normale “grappolo statistico”, quando per coincidenza certi avvenimenti simili succedono tutti assieme senza che ciò implichi alcunché di strano. Eppure, spesso in natura ci sono fenomeni che si sviluppano sottotraccia per molto tempo, e che poi vengono fuori di colpo quando è troppo tardi per fermarli; la stessa evoluzione della vita si basa su mutazioni impreviste, e in un attimo può succedere che la natura, che pensavamo di aver messo sotto controllo, reagisca aggredendoci in un modo che non possiamo fermare.

Non so chi, tra gli scienziati e i medici, possa dire con effettiva certezza di saper controllare e prevedere gli effetti dell’ambiente inquinato e innaturale in cui viviamo; credo nessuno. D’altra parte, abbiamo permesso che la medicina, da arte sacra, diventasse industria medica e poi industria e basta, in cui i morti sono un effetto collaterale dei profitti.

C’è dunque qualcosa di profondamente sbagliato nel mondo in cui viviamo, una orribile sensazione come di qualcosa che sta spingendoci verso un dirupo, mentre noi vediamo avvertimenti sempre più chiari, ma siamo lanciati a velocità troppo elevata per accorgercene o anche solo per fare qualcosa.

E allora, non resta che far finta di niente; perché non sappiamo nemmeno dire bene cosa sia.

[tags]tumore, cancro, malattia, inquinamento, natura, terra[/tags]

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mercoledì 1 Settembre 2010, 12:42

Il piacere di viaggiare

Ero tornato dalla Costa Azzurra con tutte le intenzioni di scrivere un bel post; perché bella era la natura che abbiamo incontrato. E non parlo soltanto della costa, che comunque è affollata e cementificata pure lì al punto da farmi rivalutare la Liguria; parlo soprattutto del viaggio, un viaggio per cui abbiamo scelto la modalità antica e insolita della strada comune.

Al giorno d’oggi i viaggi sono soltanto trasferimenti, dal punto A al punto B senza nulla in mezzo; nulla più che, al massimo, qualche vista veloce sfrecciando dal treno o dall’autostrada (peggio ancora se dall’aereo). Una volta non era così, una volta il viaggio era viaggio e comprendeva tutto ciò che stava tra la partenza e l’arrivo; si attraversavano i paesi, si facevano soste qui e là, si assaporava la strada.

E così anche noi abbiamo evitato l’autostrada il più possibile e abbiamo fatto la strada del Colle di Tenda, con tanto di fermata in piazza Galimberti a Cuneo per comprare i cuneesi (nel senso di cioccolatini). Al ritorno, ancora meglio, abbiamo fatto la strada meravigliosa e solitaria che da Mentone arriva a Breglio passando per Castiglione e Sospello; valli nascoste e semiabbandonate che nascondono esperienze meravigliose, dal vecchio ponte della tramvia montana, che descrive una curva mozzafiato nel vuoto, fino allo strettissimo tunnel di Castiglione, che fa sembrare il Tenda un’autostrada; poi il villaggio antico di Sospello nel fondovalle, e infine venti chilometri della solitudine pelata tipica dell’entroterra ligure, per scollinare e scendere a Breglio.

Le gole del Roia non hanno niente da invidiare a quelle cinesi, sfociando poi a Tenda, un paese attaccato alla roccia come un quadro sulla parete. A Limone il paesaggio è subito diverso, di vegetazione alpina invece che marittima; e poi l’attraversamento di Cuneo (ho fatto per la prima volta il nuovo ponte della variante Est-Ovest di Cuneo, con tanto di raccordo sospeso ad altezza vertiginosa sulla Stura); e poi tutti i paesi della Granda, ognuno con le sue peculiarità – Genola con la zona commerciale sul bivio tra mare e montagna, Savigliano che se fosse in Toscana sarebbe piena di turisti giapponesi, Cavallermaggiore che devono allargare i cartelli per farci stare tutto il nome, Racconigi che non si vede più perché hanno fatto dieci chilometri di strada nuova in mezzo ai campi, per spargere ancora un po’ di cemento; il tutto sotto la sagoma incombente del Monviso, che si staglia in un crepuscolo infinito. E poi, già che ci siamo, cena alla Sagra del Peperone di Carmagnola, ma solo perché è sulla strada eh! (comunque consiglio il coniglio con polenta)

E perché allora non raccontare subito tutto questo? Beh, perché il ritorno alla città ha lasciato il suo segno; ieri ho fatto commissioni, risolto questioni, preso in mano la contabilità, fatto riunioni politiche, riempito di nuovo la dispensa, ma nulla di tutto questo eguaglia la bellezza di un’esperienza naturale, persino dall’interno di un’automobile. C’è qualcosa nella vita urbana di profondamente artificiale, ed è possibile che ogni tanto, nonostante i nostri sforzi per rimuoverla e adattarci all’ambiente, venga comunque fuori la sensazione di essere nel posto sbagliato, presi a fare la cosa sbagliata.

[tags]vacanze, viaggi, natura, piemonte, costa azzurra, cuneo, tenda, mentone, sospello, val roja, carmagnola, città[/tags]

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sabato 21 Agosto 2010, 14:32

Un po’ di magia

A ognuno di noi capita ogni tanto un momento magico, e capita sempre quando non te lo aspetti. Io e Elena, per esempio, ieri siamo andati alla Sagra del Cinghiale di Pontey: sia i cavatelli al ragù di cinghiale che il cinghiale al civet con funghi e polenta erano davvero ottimi e abbondanti, e per 18 euro a testa (comprese anche bevande e mezzo dolce) valeva senz’altro la pena; inoltre, forse per il brutto tempo, forse per la data più avanzata dello scorso anno, arrivando alle 18:35 ce la siamo cavata con soli quaranta minuti di coda – rispetto all’abituale ora e mezza è stato un bel passo avanti.

Comunque, non era questo il momento magico di cui volevo parlarvi; è che grazie a questa combinazione di eventi siamo usciti dalla sagra molto prima del solito, verso le otto, quando non era ancora sceso il buio. Abbiamo risalito i tornanti del monte sopra Saint-Vincent, per tornare a casa, proprio mentre la luce si faceva sempre più debole e sempre più rossa; nel frattempo avevo acceso Radio Due e ci è capitato un insospettabile programma di bella musica, che dopo Somebody To Love dei Queen ha mandato addirittura No Quarter dei Led Zeppelin, la quale, ascoltata in un bosco al tramonto, assume una pregnanza direttamente derivante dalle simpatie tolkeniane di Robert Plant (nota su Radio Due: se è per trasmettere questo che hanno cacciato Luca Sofri, allora hanno fatto bene).

In una situazione del genere, persino 29 Palms sembrava un capolavoro; comunque, arrivati quasi in cima, è giunto l’ultimo momento del tramonto. Allora abbiamo spento la radio, abbiamo accostato, ci siamo fermati e nel silenzio abbiamo ammirato il panorama di tutta la Valle d’Aosta ai nostri piedi, dritta fino ad Aosta e poi alle propaggini del Monte Bianco, e dall’altra parte tutte le montagne in direzione del Gran Paradiso. Il cielo era incredibile, fatto di nuvole a fiocchi, dense e raggrumate, che riflettevano la luce in mille modi e dunque creavano chiazze dei colori più diversi, arancio, rosa, blu scuro, giallo, azzurro, grigio, che si spostavano e cambiavano sfumatura in continuazione. Sembrava davvero un dipinto romantico, un Turner di quelli che guardi e dici “ma non è possibile che ci fossero davvero dei colori come questi”, e per i pochi minuti che è durato, prima che scendesse inarrestabile il buio, siamo rimasti lì in silenzio ad ammirare, ed è stato davvero un momento perfetto.

Dato che a parole è comunque difficile spiegarsi, ecco una delle foto:

joux_tramonto_544.JPG

Anche stamattina siamo andati a fare una bella passeggiata nel bosco, spingendoci fino all’apertura di Sommarese, un altro posto dove si domina la valle (questa volta il lato verso Verres). Anche stamattina è stato bellissimo, in cielo non c’era una nuvola, la temperatura era perfetta. Peccato che arrivare alla passeggiata sia diventato più difficile: hanno recintato un pezzo di prato per fare un “campo di pratica golf” e un pezzo di bosco proprio sul passaggio è stato delimitato con la corrente per farne un pascolo per le mucche. La piccola radura alla partenza delle piste da sci ormai è diventata una succursale di un luna park cittadino, con musica ad alto volume, giochi per bambini a pagamento ed affitto lettini a prezzi esorbitanti. Però, ho visto, insieme al lettino ti danno anche un lenzuolo, che ad un rapido sguardo mi è sembrato uno di quelli di tessuto non tessuto, usa e getta. Il solito modo di affrontare la natura: negandone la naturalità, usandola un giorno e buttandola via.

[tags]vacanze, montagna, val d’aosta, saint-vincent, pontey, turismo, panorami, tramonto, sagre, rifiuti[/tags]

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mercoledì 18 Agosto 2010, 16:24

Ricominciamo

Dopo un mese all’estero in una delle situazioni più dinamiche del pianeta, non è facile reinserirsi nei ritmi paciosi e nei discorsi provinciali della nostra Italia. Accendere la televisione o leggere i giornali è deprimente; anzi, lo era già sentire i discorsi dei tamarri di ritorno da Sharm sul pullman che ci riportava a casa da Malpensa. Immagino che i discorsi dei tamarri cinesi, se li avessi potuti capire, non mi sarebbero sembrati più intelligenti; anche se in Cina l’aspirazione dei giovani resta comunque quella di andare in una buona università per trovare un lavoro ben pagato, e non quella di diventare calciatore, velina o evasore fiscale.

Eppure, lunedì sera – vincendo il sonno da jet lag – abbiamo preso e siamo andati alla solita sagra di Cortanze, quella che tutti gli anni a Ferragosto questo blog non manca di pubblicizzare. Quest’anno ci eravamo rassegnati a saltarla, perché solitamente si conclude la sera della domenica; siccome però quest’anno il patrono San Rocco cadeva di lunedì 16, la sagra è stata prolungata e noi siamo riusciti a non mancare.

Non è che avessimo fame, e in Cina abbiamo davvero mangiato benissimo, però la cucina italiana ci mancava, e così ci siamo lasciati un po’ andare: abbiamo preso in due un tris di antipasti, due agnolotti, due costine, una salsiccia, due spiedini, patatine e due dolci. Tutto era ottimo come al solito, e non c’era nemmeno tanta gente.

Mentre andavamo lì, comunque, il Piemonte ci ha regalato anche una serata spettacolare; non solo c’era il cielo azzurro, solo vagamente striato di nuvole – in Cina, in un mese, avremo visto un po’ d’azzurro due o tre volte al massimo – ma i colori del crepuscolo sulla campagna e poi sulle colline dell’Astigiano occidentale erano davvero bellissimi. Al ritorno era buio, ma abbiamo ugualmente goduto prima dell’attraversamento dei boschi, e poi delle luci della collina torinese e della città che si avvicinavano progressivamente.

Sono vari i miei amici che ormai vivono all’estero, per trovare un lavoro decente, o che vorrebbero farlo, e che dicono con rabbia “l’Italia è buona solo per venirci in vacanza”; è sempre più vero, perché noi diamo per scontato ciò che non è. Il Piemonte, in particolare, si trova in una situazione climatica, geografica, culturale e storica, nonché a un livello complessivo di qualità della vita, che ha pochi eguali nel mondo. Molti di noi fanno di tutto per distruggere tutto questo; per devastare il nostro ambiente, per dimenticare la nostra cultura, per trasformare con l’inerzia, l’ignoranza, l’incompetenza e l’egoismo uno dei posti più belli del mondo in un nuovo Terzo Mondo economico e intellettuale. Ogni tanto viene lo sconforto e la voglia di darsi per vinti, ma poi inevitabilmente ci si rende conto che vale la pena di ricominciare da capo a lottare.

P.S. Per gli amanti della cucina popolare, la Sagra del Cinghiale di Pontey quest’anno si tiene venerdì e sabato prossimi, seguita nel weekend successivo dalla Festa del Lardo di Arnad. Preparatevi…

[tags]italia, piemonte, cina, globalizzazione, economia, asti, cortanze, sagre, fiere[/tags]

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mercoledì 4 Agosto 2010, 16:54

Una gita altrove

Era quasi mezzogiorno e la nostra giornata di gita a Hangzhou prometteva malissimo: viaggio terrificante (cinque ore abbondanti dall’albergo di Shanghai alla sponda del Lago Occidentale), macchina fotografica mezza rotta (se uso troppo zoom impazzisce e tiene aperto l’obiettivo tanto da bruciare la foto) e caldazza mostruosa e intollerabile (del clima non vi ho ancora parlato e forse è meglio non farlo, se no in Cina non ci verrete mai). E invece, zitta zitta, la Cina ha piazzato uno dei suoi miracoli e ci ha regalato un’ora memorabile, che da sola valeva tutto il viaggio.

Hangzhou si trova a circa 200 km da Shanghai; è una cittadina – solo cinque o sei milioni di abitanti – che vive tra un glorioso passato e il suo ruolo amministrativo di capoluogo dello Zhejiang. Ci sono comunque parecchie cose da vedere a Hangzhou, in particolare templi e pagode, ma l’attrazione della città è indubbiamente il Lago Occidentale, un bacino circolare di circa tre chilometri di diametro su cui si affaccia il centro storico. Su un lato del lago c’è la città, ma sugli altri tre ci sono delle bellissime colline punteggiate di monumenti. Le sponde del lago sono occupate da altri monumenti, da giardini cinesi, da varie isolette collegate tra loro da ponticelli che superano laghetti pieni di fiori di loto.

Il posto è dunque un esempio magnifico della filosofia cinese tradizionale nell’approccio alla natura, che è quello di non violentarla ma piuttosto di “appoggiarvisi†armonicamente. Come la Grande Muraglia segue perfettamente il crinale dei colli senza tagliarne via un metro, così nel lago l’intervento umano è stato discreto, cercando di sottolinearne la bellezza invece di dominarla. In particolare, già secoli fa gli imperatori cinesi fecero costruire due passeggiate artificiali, parallele alla riva, che tagliano il lago nei punti di basso fondale con un viale alberato e ombreggiato, e permettono di goderne appieno, creando al tempo stesso un sistema di altri laghi più piccoli e poi più piccoli ancora, punteggiati di isolette.

Eppure, stamattina la magia funzionava poco: il posto era bellissimo, ma i quaranta gradi avevano provocato una cappa di calore che era diventata foschia; voi avete presente la foschia delle estati italiane, ma qui il calore è tale che la foschia diventa nebbia e il paesaggio d’agosto sembra quello di novembre, precludendo alla vista ogni paesaggio, e però diventando anche insopportabilmente soffocante. A questo vanno aggiunte le orde di turisti, per quanto un po’ meno dense che a Pechino; tra l’altro in tutto il giro abbiamo visto solo altri tre occidentali in tutto, e infatti più volte siamo stati additati e abbordati dai locali.

Poi però è successo un primo miracolo: arrivati a forza di camminare nell’angolo nordoccidentale del lago, il cosiddetto Giardino Quyuan, abbiamo percorso un magnifico ponticello di pietra a svolte – uno di quei ponti classici cinesi che non collegano le due sponde in linea retta, ma compiono più e più svolte ad angolo retto, poiché si riteneva che i demoni potessero inseguire gli umani per assalirli ma non fossero capaci di seguire le svolte. Abbiamo attraversato un piccolo padiglione e la superficie di fiori di loto, siamo arrivati in una piazzetta su una delle isolette, e lì c’era una cartina del giardino.

Ho visto un gruppetto di isolette nell’angolo più estremo del parco e ho detto: prima di tornare sul percorso principale, infiliamoci da lì e facciamoci un giro. Dopo un paio di curve, siamo rimasti soli: nonostante la grande densità di turisti, nessuno si era spinto fin lì. Abbiamo camminato per un buon quarto d’ora senza incontrare nessuno, scoprendo un nuovo scorcio a ogni metro, tra gli alberi, i laghetti, i ponti, gli edifici in stile cinese. Abbiamo fatto tante foto, ma non rendono il senso di meraviglia che abbiamo provato perdendoci in quel luogo finalmente e incredibilmente tranquillo, eterno, sospeso nell’altrove. E’ stato un incantesimo, finché dopo l’ennesima svolta, senza nemmeno più sapere dove stessimo andando, ci siamo ritrovati inaspettatamente al punto di partenza, pur volendo andare da tutt’altra parte; prelevati dalla realtà e riportati infine in essa.

Proprio allora, senza preavviso, abbiamo sentito quattro scoppi sordi e ritmati, come quattro grandi colpi di tamburo. Guardando il cielo, sopra le colline era comparso di botto un nuvolone grigio, che da un lato sbordava dentro un bianco osceno ed alieno, pieno di una luce innaturale. In breve abbiamo percepito l’arrivo del temporale, e temendo le prime gocce, che ancora non arrivavano, ci siamo affrettati a concludere il giro verso un magnifico ponte dal tetto a pagoda a due piani, visibile da varie angolature al fondo del laghetto e uscito direttamente da qualche fiaba cinese.

Siamo arrivati al viale tra gli alberi che portava dritto al ponte; era buio del buio del cielo e poco amichevole, ma tra i rami sui lati si distinguevano le acque del lago che avevamo costeggiato e dall’altra parte quelle del lago successivo, molto più grande. Giunti all’inizio del ponte, ci siamo infilati tra gli alberi per fare le foto al lago dalla riva, prima di salire gli scalini di pietra. Tutto era fermo e immobile, e poi d’un tratto, all’improvviso, un lampo e un tuono terribile.

Di colpo, dal niente, si è alzato il vento; e le foglie già gialle degli alberi hanno cominciato a caderci in testa, lentamente, dal buio della volta di rami, come coriandoli messaggeri di sfortuna; in un attimo si sono piegati gli arbusti, si sono piegati i rami, i salici piangenti si sono distesi in orizzontale e hanno cominciato a scuotere i capelli davanti alla corrente d’aria.

Siamo saliti sul ponte, dove si era già rifugiata una torma di bimbi cinesi che ci hanno guardato con tanto d’occhi, come fossimo noi gli spiriti; si sono dati di gomito, ci hanno indicati e guardati e alla fine il più coraggioso ha tentato un “ni hao!â€, spaventandosi poi per la risposta. Aspettandoci la pioggia non ci siamo fermati sul ponte, ma abbiamo proseguito di corsa per ritornare verso la riva, al sicuro tra i negozi e i ristoranti, invece che insistere su una lingua di terra larga una decina di metri, chiusa tra un lago e l’altro e coperta di alberi.

Siamo così arrivati di nuovo ad affacciarci sul lago principale; il vento era aumentato ancora, le nuvole grigie tempestavano la città dall’altro lato dell’acqua, e lo spettacolo era incredibile. Il Lago Occidentale è grande ma comunque solo qualche chilometro, eppure la forza del vento era tale da scatenare una vera mareggiata. L’acqua era bianca di schiuma e urtando le pietre delle antiche rive spruzzava in alto verso chi provasse a passare; le barche che normalmente navigano il lago, portando i turisti dalla riva all’Isoletta delle Fate che sta proprio al centro, correvano per tornare agli attracchi, sballottate dalle onde. Tuoni e fulmini continuavano da un pezzo e il tifone stava per arrivare, e ora non volavano solo più le foglie ma cespugli e rami, e l’acqua con essi.

Cadevano le prime gocce di pioggia, grosse, calde e pesanti come solo nei climi tropicali; non portavano freddo, ma colpivano come stanchi proiettili. Aprire l’ombrello era inutile, a meno di non voler finire come Mary Poppins. Ma la sensazione strana, davvero unica, era quella dello scontro di cieli; un attimo arrivava una folata d’aria a quaranta gradi, e l’attimo dopo una in senso contrario a quindici o venti. Le gambe erano fresche, la testa era in un phon; e le due correnti tiravano con forza in direzione opposta, in un invisibile braccio di ferro.

E poi, di nuovo senza preavviso, tutto si è acquietato; alle prime gocce di pioggia non sono seguite né le seconde, né le terze. In fretta come era arrivato, il temporale è passato prima di cominciare a esistere; e abbiamo avuto per un’ora il privilegio di un cielo finalmente quasi azzurro, senza più la cappa di caldo e la nebbia estiva, e una luce bianca e fortissima davvero particolare, moltiplicata dai riflessi delle colline sul lago. Abbiamo fatto i video del temporale e le foto della luce, ma di nuovo non rendono; bisognava essere qui per vivere tutta la magia di questo luogo.

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martedì 20 Aprile 2010, 19:55

La sorpresa

Stasera la spesa discount mi è capitata a Milano, all’LD di via Negroli. E stavolta la spesa interessante era davanti a me: una signora sui quarant’anni, piccolina, dall’aria abbastanza milanese, che si è avvicinata e ha messo sul nastro una sola cosa: un pacco di polenta. E converrete con me che una donna che acquista solo un pacco di polenta, presumibilmente per sfamare i propri figli coi mezzi di una volta, è un buon equivalente di un uomo che acquista solo un pintone di vino.

La cassiera stava trattando il cliente davanti a lei, chiedendo “sacchètti?” con lo stesso accento con cui gli Elii vent’anni fa chiedevano “Facchètti?”. In quel momento la signora sguscia accanto a me (e ci vuole una certa abilità) e si fionda alla cassa a fianco, in disuso, dove non trova ciò che cerca. Si rifionda in coda, sgusciando di nuovo, e poi lo sguardo le si illumina: su un piccolo ripiano di ferro proprio accanto alla cassiera, vede i Kinder Sorpresa, incartonati in confezione sconto da tre.

Per qualche strano motivo, aspetta che la cassiera sia girata dall’altra parte: e poi furtivamente, come non volesse farsi vedere, ne prende uno e lo mette sul nastro. E poi un altro. E poi un altro ancora, e poi ancora, ancora. Ne mette sette, sette confezioni di cartone da tre ovetti, due euro e trentacinque centesimi l’una. Sul nastro, tutti colorati squadrati e paralleli, fanno l’effetto di un parcheggio di camion in miniatura, sull’asfalto nero di un autogrill.

La cassa giudica diciassètte euro netti, manco a farlo apposta. La signora paga, infila la scorta nella borsetta e se ne va. Era chiaramente lì per quello, era chiaramente in territorio nemico, ma lo sconto (immagino che altrove costino di più) valeva il viaggio: contando la lira, ma facendo la felicità di un bimbo collezionista di sorpresine.

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