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Archivio per la categoria 'NewGlobal'


giovedì 10 Aprile 2008, 12:42

La pagella dell’Italia

Stamattina mi hanno girato il link al rapporto sul Networked Readiness Index sviluppato dal World Economic Forum per misurare quanto le nazioni siano all’avanguardia e pronte a vivere nell’era della società dell’informazione globale. Non è una novità, ma non l’avevo mai letto e l’ho trovato davvero interessante.

Credo che immaginiate tutti il risultato: nell’indice generale, l’Italia risulta quarantaduesima su 127 nazioni. Non malissimo, però male: nella UE siamo più o meno pari con Slovacchia, Lettonia e Cipro, e davanti solo a Grecia, Polonia, Romania e Bulgaria. Il grosso del mondo sviluppato, però, è tutto ben davanti a noi, e anzi a ben vedere fanno meglio di noi anche alcune nazioni in via di sviluppo, come Barbados e Tunisia.

Più interessante, comunque, è andare a vedere come è composta la nostra valutazione: dove siamo forti e dove siamo deboli.

Ci sono solo tre parametri in cui siamo tra i primi dieci al mondo: e sono il numero di telefoni cellulari, il basso costo delle chiamate cellulari, e il basso costo dell’ADSL. A dire il vero c’è anche un quarto parametro che ci vede primeggiare, che misura di quanto sono migliorati i servizi pubblici con l’introduzione dei computer; quel che però il parametro non considera è che noi partivamo da livelli talmente pessimi che era difficile non migliorare…

In quasi tutto il resto dei parametri vivacchiamo tra il trentacinquesimo e il settantacinquesimo posto, nel gruppone insieme a sudamericani e asiatici (ma attenzione, anche i migliori africani ci stanno raggiungendo). Andando a vedere le aggregazioni, comunque, ci sono delle differenze: in particolare, siamo trentatreesimi per i parametri legati all’uso, il che vuol dire che gli italiani abbracciano abbastanza le nuove tecnologie – pur se meno del resto del mondo sviluppato – una volta che gliele si dà in mano; siamo attorno al quarantesimo posto per il livello di adozione nell’industria; dove sprofondiamo è quando si parla dello Stato.

Infatti, il nostro governo è sessantaquattresimo al mondo, subito dietro la Mauritania, per adozione della nuova mentalità e delle nuove tecnologie; soprattutto, veleggiamo oltre il settantesimo posto quando si parla di libertà di mercato e di efficienza delle leggi e regolamentazioni.

Trovo molto interessante la lista dei cinque parametri che ci vedono oltre il centodecimo posto, cioè nelle ultime cinque / dieci nazioni al mondo (non tutti i parametri sono misurabili in tutte le nazioni, quindi la classifica spesso non arriva fino al 127). Ecco la lista:

110° posto: Priorità data dal governo alle ICT
113° posto: Tempo necessario per ottenere il rispetto di un contratto per vie legali
114° posto: Livello complessivo di tassazione
123° posto: Estensione ed effetti della tassazione
124° posto: Pesantezza e ostacoli generati dalle regolamentazioni statali

Va detto che gli ultimi due punteggi sono ottenuti chiedendo ad aziende e individui del Paese in questione di indicare quanto la tassazione e la regolamentazione siano pesanti secondo loro: quindi il luogo comune italiano secondo cui le tasse e le leggi sono comunque un ostacolo ha certamente peggiorato il punteggio.

Il livello complessivo di tassazione, però, è misurato partendo dalle varie tasse ed aliquote: dovrebbe quindi essere una misura oggettiva. Fa quindi effetto osservare la classifica e scoprire che dietro di noi – ossia con tasse più pesanti delle nostre – ci sono soltanto tre nazioni al mondo, ossia Bolivia, Tagikistan e Colombia. Siamo subito dietro la Cina, con la differenza che la Cina è un paese comunista dove quasi tutto va in tasse ma dove lo Stato fornisce quasi tutto; l’Italia è un paese dove quasi tutto va in tasse ma si ottiene in cambio poco o niente.

A fronte di questi dati, ci si chiede veramente come faccia la maggior parte dei politici a parlare di maggiore intervento dello Stato, o, come fa Veltroni, di tutta una serie di nuovi servizi pubblici che qualcuno dovrà pur finanziare. Poi sappiamo tutti che anche quelli che promettono un taglio di tasse difficilmente lo faranno davvero…

Tuttavia, per una persona intellettualmente onesta, c’è poco da discutere su quale politica fiscale ed economica debba abbracciare l’Italia: una analisi particolareggiata come quella del World Economic Forum fornisce tutte le indicazioni su cosa sia necessario fare per evitare che l’Italia precipiti nel sottosviluppo.

[tags]wef, economia, rete, modernità, politica[/tags]

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venerdì 4 Aprile 2008, 10:41

Tranne il successo

Non sono del tutto sicuro del motivo per cui io e gli italiani – meglio, io e gli italiani della blogosfera – finiamo sempre per dissentire, talvolta per litigare. A me è capitato di nuovo tra ieri e oggi, a proposito del famoso video del dirigente Telecom Luca Luciani, che a una convention aziendale, in mezzo a un discorso motivazionale molto bauscia e pieno di parolacce, confonde Austerlitz con Waterloo. E’ passato ieri da Mantellini e pure da .mau.; i commenti, ovviamente, sono tutti a metà tra lo scherno (modello “ha-ha” di Nelson Muntz) e l’indignazione su “come può uno del genere fare il dirigente Telecom”.

Allora, il tizio è evidentemente lampadato, manageriale, suvvista, antipatico a pelle; la topica storica è clamorosa. Basta questo per concludere che è anche un raccomandato, che ruba lo stipendio, che è un cretino? No, non basta; non solo gli errori capitano a tutti, ma continua a sfuggirmi perché, per essere un buon manager, sia necessario sapere a memoria tutte le battaglie di Napoleone senza errori. Del resto, gli americani sono ignoranti come capre, ma sono la prima potenza economica mondiale; anche io preferisco essere un po’ più colto e un po’ più povero, ma tutto lo snobismo italiano nello studiare il latino invece dell’organizzazione aziendale è una delle concause per cui le nostre imprese, sul mercato globale, fanno mediamente schifo.

Il discorso in sé, depurato dalla topica, è del tutto condivisibile; sono sicuro che lo scazzo dei dipendenti Telecom sia già elevato, ma una azienda in crisi ha bisogno di tirar fuori il massimo dal primo all’ultimo uomo, un po’ come fece la Fiat al voltar del millennio. Spiace vedere che invece il gioco preferito è il tiro al bersaglio: arriva uno che, con uno stile magari antipatico, ti chiede di darti da fare per salvare la casa comune, e la reazione è filmarlo e mettere il video su Youtube per prenderlo per i fondelli. Se il middle management Telecom è questo, l’azienda farà la fine dell’Alitalia; ad ogni modo spero bene che becchino chi ha fatto il filmato e lo appendano al muro.

Purtroppo però la reazione di cui sopra non è soltanto interna all’azienda, perché è tipica della mentalità invidiosa e perdente degli italiani. A riprova di questo, si è prontamente verificata una piena blogosferica di aspiranti dirigenti Telecom che sicuramente – secondo l’inoppugnabile valutazione di loro stessi – saprebbero fare il lavoro di questo tizio meglio di questo tizio, e anzi colgono l’occasione per dargli dell’incapace e del raccomandato senza averlo mai visto né sentito se non in un video di trenta secondi. Insomma, il rosichìo dilaga: davanti a uno che ha fatto più carriera di lui, la reazione dell’italiano non è quella di capire cosa si può imparare di buono per migliorare se stessi, ma di invidiarlo a manetta, e di cercare qualsiasi appiglio pur di sputargli addosso.

Aspetto quindi il prossimo video del discorso dell’allenatore della Nazionale, con tutti i relativi commenti di chi vorrebbe più grinta, chi più calma, chi più parolacce, chi meno parolacce e comunque tutti concordi che è un raccomandato, che ruba lo stipendio e che sarebbero sicuramente più bravi loro; e alla prima sbavatura di grammatica giù cinquanta repliche al rallentatore su Striscia la Notizia, con le risate finte in sottofondo. Perché è vero quel che diceva Enzo Ferrari: che gli italiani ti perdonano tutto, tranne il successo.

[tags]italia, manager, telecom, invidia, blog, blogosfera[/tags]

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domenica 30 Marzo 2008, 12:07

Giornalisti in Cina

Dopo aver visto la qualità dei giornalisti nostrani, non posso che segnalare con ancora più convinzione questa splendida intervista di Hardtalk, programma giornalistico della BBC, a Wu Jianmin, uno dei portavoce del governo di Pechino.

Si nota subito come, all’estero, i giornalisti non si facciano problemi a incalzare l’intervistato sulle domande più scomode, invece di disporsi a novanta gradi sin dalla prima battuta; tanto che già verso il quarto minuto il cinese comincia a sbattere furiosamente e incontrollabilmente le sopracciglia, una azione che nella cultura locale significa “se io non fossi così bene educato, ti avrei già strappato le palle a morsi per poi immergerle in una salsa piccante e mangiarle per cena”.

Soprattutto, questa intervista rende in modo drammatico lo scontro di culture politiche e sociali che è in atto in questo periodo storico. Il giornalista inglese e il diplomatico cinese proprio non si capiscono, parlano due lingue incompatibili; il primo chiede dei diritti umani, e il secondo risponde che c’è lo sviluppo economico, e non è forse la ricchezza il più importante diritto umano, quello che cambia la qualità della vita delle persone molto più della libertà di parola? Il giornalista chiede perché non si possa vedere la televisione straniera in casa, e il diplomatico risponde che la televisione straniera non interessa a nessuno, è in inglese, e che comunque gli occidentali continuano a valutare la Cina secondo i propri modelli culturali invece che secondo quelli dei cinesi. E poi si parla di dinamiche politiche interne, di pericoli di instabilità, e di altre questioni che i nostri media non ci hanno mai raccontato.

Comunque la pensiate sulla Cina, è un pezzo che vale la pena di vedere.

[tags]cina, tibet, diritti umani, bbc, giornalismo[/tags]

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sabato 29 Marzo 2008, 16:28

Conferenze d’Egitto (2)

Se la parte turistica del mio viaggio in Egitto è stata caotica, la parte di conferenza è stata davvero ottima, anche se sicuramente diversa da come sono abituato. Già vi ho detto di alcuni aspetti positivi e negativi: devo aggiungere il buffo incidente avvenuto quando uno dei relatori, con un gran sorrisone, ha rassicurato la platea che noi occidentali non eravamo venuti lì per imporre all’Egitto le nostre politiche e i nostri valori, ma semplicemente per spiegargli come funzionavano certi meccanismi in modo che potessero trovare in autonomia la propria strada. A noi relatori europei sembrava un discorso gentile, ma tra i notabili c’è stato un brusio, e tra le nostre facce un po’ sorprese il moderatore della sessione ha subito interrotto l’intervento; e, davanti alla first lady, ha preso la parola per precisare che l’Egitto non ha niente da imparare da nessuno, che è un paese leader mondiale delle nuove tecnologie e che lo scopo della conferenza era soltanto quello di condividere l’esperienza egiziana con il resto del mondo.

Bisogna anche dire che, guardandosi attorno, gli egiziani avevano i loro più che validi motivi d’orgoglio: la conferenza si teneva nel cosiddetto Smart Village, una ampia zona a parco – con tanto di palme, laghetti ed erba verde dappertutto, un abuso idraulico mai visto – situata nel bel mezzo del deserto, una ventina di chilometri fuori dal centro del Cairo. Sparsi in tutto il villaggio, vi sono palazzi bianchi e azzurri, tutti appena costruiti, che ospitano le sedi delle organizzazioni governative e delle principali aziende tecnologiche del paese: Vodafone, Mobinil, Ericsson, Microsoft… Con una battuta, il dirigente Microsoft locale ci ha detto che una sede così non l’avevano nemmeno a Redmond. Il centro conferenze, poi, era veramente grandioso, con una enorme hall piena di schermi, la vista su un laghetto con una piramide monumentale al centro, una sala da pranzo dove ci hanno cibato fino a farci scoppiare con gamberi, salmone e della carne buonissima, e poi una sala conferenze con maxischermi e traduzione simultanea.

Certo, è una di quelle operazioni che sono possibili solo in paesi autocratici, dove il governo ordina a tutti di spostarsi lì e loro si spostano, e dove può reperire a bacchetta i fondi per creare un’isola modernissima in mezzo a un mare di degrado e povertà. Ciò nonostante, è anche vero che per questi paesi l’ICT è una buona opportunità di sviluppo: a titolo d’esempio, nonostante fossimo stanchissimi, a fine conferenza ci hanno portato a vedere il fiore all’occhiello, cioè un call center che gestisce l’assistenza Microsoft per mezza Europa, compresa l’Italia. Se attivate Windows via telefono, o se avete bisogno di assistenza sull’X-Box, la vostra telefonata finisce esattamente lì: c’erano due piani pieni di ragazzi che prendevano telefonate.

Comunque, credo di avere anche capito varie cose del circo delle conferenze internazionali, vedendo alcuni relatori – tra l’altro persone molto famose in questi circoli – sdilinquirsi in lodi veramente sperticate alla first lady, e quanto era brava, e quanto era bella, e quanto sembrava giovane; e subito dopo cercare di vendere tra le righe una consulenza miliardaria al governo egiziano. Ho capito che io non ci sono proprio tagliato.

[tags]conferenze, egitto, call center, microsoft[/tags]

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martedì 25 Marzo 2008, 11:13

Conferenze d’Egitto

Non ho ancora deciso cosa pensare di questa conferenza: per certi versi e’ molto interessante, per altri e’ piena di banalita’ (si parla di rischi di Internet per i minori, e non vi dico il profluvio di filmatini con bambole abbandonate nel fango – questo presentato da poliziotto inglese – o con personaggini carini carini che spiegano ai bambini di prendere a calci nelle palle qualsiasi estraneo gli si avvicini).

Comunque, e’ la prima conferenza internettiana a cui vado in cui e’ strettamente vietato entrare con un portatile, e non solo, anche con una macchina fotografica, e non solo, anche con un cellulare. Oggi la sicurezza in realta’ e’ lasca, ma ieri c’era la regina e quindi il controllo era ferreo. Il momento piu’ kitsch e’ stato quando, concludendo il proprio discorso, il ministro delle Comunicazioni, a nome del Movimento Internazionale Femminile per la Pace “Suzanne Mubarak”, ha insistito nel conferire un dono a Suzanne Mubarak per premiarla del suo impegno nell’organizzare l’evento. Ed e’ buffo quando nel bel mezzo della conferenza un cameriere in giacca e cravatta attraversa tutta la sala per portare alla signora Mubarak, sul tavolino di marmo personale che le hanno messo davanti, un nuovo bicchiere d’acqua fresca, rigorosamente in cristallo lavorato a mano.

Ci sono pero’ allo stesso tempo anche elementi di modernita’ che in Italia sarebbero incredibili: ve la vedete una nostra first lady organizzare una conferenza su Internet e i minori invitando trenta esperti internazionali di sicurezza e di Internet – mica preti e presentatori TV – e facendogli fare le domande direttamente da un gruppo di ventenni? E la sala sara’ anche piena di madri di famiglia a testa coperta, pero’ parlano tutte inglese meglio della media dei nostri ministri e dirigenti d’azienda, tanto e’ vero che a parte i discorsi ufficiali la conferenza e’ tutta soltanto in inglese, senza alcun tipo di traduzione in arabo.

Io parlero’ oggi pomeriggio, e avendo dimenticato la chiavetta con le slide finiro’ per parlare a braccio, seguendo la traccia. C’e’ ovviamente un webcast qui. Sono curioso di vedere che ne verra’ fuori!

[tags]cairo, internet, minori, conferenze, egitto[/tags]

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martedì 18 Marzo 2008, 14:27

Tibet, le molte facce della verità

Per approfondire la discussione sul Tibet, ho cercato di procurarmi altre informazioni dalla rete. I blog italiani confermano quanto ho scritto; non vi ho trovato null’altro che luoghi comuni e opinioni preconcette, fino ad un tizio – no, non lo linko – che pubblica dettagliatissime foto di cadaveri (ovviamente solo quelli tibetani), una cosa veramente disgustosa che dimostra che, pur di sostenere le proprie posizioni ideologiche e nel frattempo magari aumentare pure gli accessi al proprio blog, non ci si ferma di fronte a nessun tipo di basilare rispetto per la morte e la sofferenza umana.

In compenso, ho trovato un gran bel post di un turista francese a Lhasa, risalente a sabato; egli parla con i tibetani e simpatizza per la loro causa, ma racconta anche, con l’occhio imparziale dell’osservatore, cose che i nostri blog tutti “free tibet” si guardano bene dallo scrivere.

Per iniziare, comincia con il racconto dei cinesi linciati dai tibetani con le pietre e con le mattonelle del marciapiede, per poi raccontare che “ho assistito in un’ora a una decina di linciaggi e di risse, talvolta da parte di un gruppo di venti tibetani che inseguono e pestano a sangue un cinese”, e concludere che “viene il momento di attaccare i negozi cinesi: pochi minuti sono sufficienti per sfondare le loro serrande e bruciare il loro contenuto in mezzo alla strada”.

Poi i tibetani spiegano che stanno reagendo a tutto quel che sappiamo, che “non è nella nostra cultura di essere violenti, ma non c’è stata scelta, è a causa dei monaci”; che la loro cultura è trasmessa oralmente, e saccheggiando i monasteri i cinesi la distruggono; che i cinesi gli insegnano come diventare ricchi, ma “noi non vogliamo essere ricchi, vogliamo essere liberi”.

Racconta poi che Lhasa è una città moderna, “high tech”, in gran parte ricostruita dai cinesi negli ultimi dieci anni, ma che i tibetani si lamentano che i cinesi incassano tutti i proventi delle nuove attività e del turismo; che di colpo, migliaia di tibetani hanno dovuto imparare il cinese per trovare lavoro, e che i cinesi guardano male quelli che, venendo dall’India, sanno anche l’inglese; che “Già adesso, a Lhasa, la maggioranza degli abitanti sono cinesi. Ovunque non ci sono che cinesi. E con il controllo delle nascite, noi non possiamo avere che uno o due bambini al massimo, altrimenti tocca pagare il governo. Loro, arrivano ogni anno a decine di migliaia. Abbiamo la sensazione di esserne sepolti.”

Il turista chiede a cinque ragazze tibetane se hanno degli amici cinesi: nessuna ne ha. “I tibetani e i cinesi non si mescolano. I cinesi si riconoscono dalla faccia e dal loro modo di vestire.” Poi continua a raccontare: “Ieri, per la strada, i cinesi individuati in questo modo hanno passato un brutto quarto d’ora. Ci sono stati dei morti, ma è difficile dire quanti. I moti hanno fatto più di 100 morti secondo alcune fonti.”

I tibetani raccontano anche le torture subite dai dissidenti: “In un ristorante per la strada, se vedi un tibetano diresti che è stupido. Ma prima, quando era giovane, era molto brillante, molto colto, e molto dotato per la pittura. Un giorno si è fatto prendere dalla polizia perché sventolava una bandiera tibetana. E’ stato in prigione per 13 anni. Ha subito un lavaggio del cervello, è stato torturato con l’elettricità. Ne è uscito completamente abbrutito, e non si ricorda più niente.”

Il turista francese, prima di lasciare la città, trae queste conclusioni: “La volontà dei tibetani di essere liberi è dunque ancora così forte, forse ancora di più dopo l’accelerazione della colonizzazione cinese in questi ultimi anni. Nello stesso paese, nella stessa città, ci sono chiaramente due categorie di persone che convivono ma non si mescolano. La diffidenza e la collera soffocata dominano le relazioni sociali. Il governo cinese denuncia la morte di cinesi innocenti. Ed è vero: i cinesi linciati e quelli i cui negozi sono stati saccheggiati sono persone degne di considerazione. Ma assistendo a questo scatenamento popolare, ho capito che in questo genere di situazioni non ci sono più né onesti né malfattori. Si è tibetani contro cinesi. Questi cinesi vittime dei tibetani sono vittime anche della politica del loro stesso governo. I tibetani sperano proprio che i cinesi avranno d’ora in poi paura di venire a insediarsi in Tibet.”

Questa è la prima testimonianza di prima mano che leggo, e che non venga da un sito di propaganda di una o dell’altra parte o da qualche media occidentale con chissà quale agenda. Mi sembra che, pur confermando le atrocità che vengono commesse dal governo cinese, il racconto dimostri come la situazione sia molto più complessa, ben lontana dalla visione preconcetta e semplificata del monaco inerme davanti a un carro armato che ne danno quasi tutti i blog e i media italiani. Si tratta di uno scontro etnico tra due popoli, uno autoctono e uno emigrante, che lottano con violenza per lo stesso territorio, con i fucili, con le pietre, con le attività economiche, con l’evoluzione demografica.

Purtroppo, di questo genere di scontri è piena la storia. Di solito, nonostante gli sforzi, essi non si concludono fino a che uno dei due popoli non viene sterminato o cacciato completamente; perché purtroppo la via per la convivenza, quella che richiede la tolleranza, l’accettazione della differenza, la costruzione di una fiducia reciproca, è sempre la più difficile.

[tags]tibet, cina, politica, notizie, economia, blog[/tags]

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lunedì 17 Marzo 2008, 16:17

Riso in bianco

Oggi ho un gran mal di stomaco e sto poco bene, per cui ho pranzato con il classico riso in bianco, appena condito con un filo d’olio e accompagnato con un po’ di pane.

Mentre mangiavo, pensavo a come sia insensato che il riso in bianco, che per millenni ha costituito una parte fondamentale dell’alimentazione del mondo e che tuttora lo è in interi continenti, da noi sia considerato soltanto un alimento per malati, o al massimo un contorno; per il resto è un cibo da sfigati, visto che se proprio hai voglia di riso ci si aspetta che tu faccia perlomeno un risotto, e comunque i nostri pranzi e le nostre cene sono ben altra cosa, anche quando non sono particolarmente elaborate.

La stessa cosa inizia a valere anche per il pane; il mio era fatto da me, ed era del pane bianco normalissimo, anche se cotto partendo dal preparato invece che mescolando farina e lievito. Certo, ci ho aggiunto l’energia per cuocerlo, ma anche così il mio chilo di pane non solo costa la metà di quello del supermercato, ma è anche molto migliore.

Pensando che in fondo anche la mia pagnotta era stata realizzata con metodi appena meno industriali del solito, ho capito che la domanda giusta non è come faccia quel pane lì a conservarsi una settimana e ad avere quel gusto comunque buono, ma come faccia il pane del supermercato a non sapere di niente e a diventare gomma o roccia entro la sera stessa. Io forse non l’avrei mai scoperto, ma ora lo so: è difficile fare del pane cattivo. E allora, che cavolo ci mettono per fare il pane così male?

Sarà per questo o forse perché ci sentiamo troppo soli, che negli ultimi anni il concetto di pane è molto cambiato, e quasi nessuno esce da una panetteria o da un banco pane del supermercato senza almeno un pane alle olive, un grissino al sesamo, un pezzo di pizza o una tortina, naturalmente a prezzi per chilo tre o cinque volte superiori. Sarà per questo che anche oggi su La Stampa esce un articolo che parla di “settimana del disastro” perché, una settimana al mese, c’è gente che deve rinunciare al resto e comprare “solo” il pane, mentre “pizza e dolci calano di oltre il 50 per cento” (cioè, metà della gente li compra per quattro settimane su quattro, gli altri solo per tre su quattro). Per poi concludere che “già imperversa un nuovo allarme: il mercato delle uova di cioccolato e dei dolci pasquali viaggia su ritmi del 10-15 per cento inferiori rispetto al 2007”!

Se parliamo del problema contingente di chi vive di commercio al dettaglio posso anche capire, ma proprio non riesco a vedere un calo del dieci per cento nel consumo di uova di Pasqua come un “disastro” e un “allarme”. Vedo se mai un “disastro” e un “allarme” in una società che prende un calo del dieci per cento nel consumo di uova di Pasqua come un problema drammatico, al punto da abbandonarsi a scene isteriche o proteste di massa.

Ci aspettano tempi in cui potremmo dover rinunciare ad altro che le uova di Pasqua; per esempio all’auto personale, ai viaggi aerei superscontati, ai vestiti da buttare dopo mezza stagione, e probabilmente anche ai grissini al sesamo, visto il trend del prezzo dei cereali. Forse torneremo anche noi, come ha sempre fatto mezzo mondo, a mangiare stabilmente pane e riso in bianco, con la carne solo nelle feste grosse.

Grandi o piccoli, alcuni sacrifici andranno fatti; ed è l’evidente impreparazione della nostra società ad accettarli che mette in pericolo il futuro pacifico del pianeta, più ancora che i sacrifici stessi.

[tags]la stampa, società, economia, salari, povertà, recessione, crisi, cibo, pane, riso[/tags]

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domenica 16 Marzo 2008, 13:32

Linee guida ai compagni blogger sull’autodeterminazione dei popoli

Compagni blogger!

L’emergenza relativa alla rivolta indipendentista in Tibet richiede lo sforzo congiunto dell’intera blogosfera, con il fine di sostenere mediaticamente la lotta dei fratelli tibetani, che da cinque giorni tengono in scacco i carri armati cinesi con la sola forza del proprio sorriso!

Vittime dell’oppressione e della censura cinese, tanto dura da impedire la circolazione di qualsiasi notizia sul Tibet – infatti i nostri giornali stanno riempiendo dieci pagine al giorno solo con il testo di “Fra Martino” -, i tibetani hanno bisogno di tutto l’appoggio dei blogger occidentali!

Allo scopo di evitare gli errori, tuttavia, riteniamo opportuno pubblicare un vademecum su come il blogger intelligente deve commentare le varie lotte secessioniste in giro per il mondo. Siamo lieti di notare che esso viene già ora seguito alla lettera su tutti i principali blog italiani, ma ribadire le direttive non fa mai male.

Cecenia: Da quelle parti è un casino, è difficile trovare una vittima di cui prendere le parti, e poi tanto è tutto scritto in cirillico. Criticare comunque Putin, che è amico di Berlusconi. Per il resto, lamentarsi che “è tutta colpa del petrolio”.

Kosovo: Da quelle parti è un casino, perché i kosovari sarebbero vittime degli odiati serbi criminali di guerra che ammazzavano i bosniaci e i croati quando questi non erano intenti ad ammazzarsi tra loro, però poi i serbi furono bombardati dalla NATO mentre i kosovari sono alleati americani, quindi questi ultimi qualcosa di male avranno fatto. Criticare comunque Bush, che è amico di Berlusconi. Linkare LigaJovaPelù che cantano Il mio nome è mai più, fare faccia compunta e schierarsi contro tutte le guerre.

Darfur: Boh, so’ negri, si sa che si squartano tra loro, e tanto non li distinguiamo l’uno dall’altro. Ignorare, a meno che non ne parli Bono o che non ci siano delle belle foto di bimbi denutriti e deserto. Magari, se va di culo, si riesce a tirare in ballo anche il riscaldamento globale.

Val Brembana: Leghisti di merda! Ignoranti! Cambiatevi la canottiera! Lavatevi!

Paesi Baschi: Evviva i compagni dell’ETA! A morte il prete Aznar! Adesso che c’è Zapatero, però, ricordarsi di auspicare la fine della lotta armata e l’unità della sinistra.

Kurdistan: Schierarsi rigorosamente a favore del popolo curdo oppresso e contro l’ingresso della Turchia nell’Unione Europea. Ricordare che la Turchia sta in Asia e non ha nulla a che vedere con la cultura europea. Se vi fanno vedere le foto dei templi romani di Efeso o di quelli greci di Pergamo, negare o sostenere che trattasi di terre irredente successivamente devastate dall’Islam. E comunque, abbiamo tutti visto Fuga di mezzanotte e ciò è prova sufficiente per concludere che la Turchia è una dittatura assassina.

Tibet: Prima di cominciare, assumete una sufficiente quantità di caramelle balsamiche per raggiungere la pace interiore. Iniziate con una netta condanna della Cina e di qualsiasi cosa essa faccia o produca (vi diamo un aiuto: “il mio cellulare si è rotto subito perché era fatto in Cina” o “gli involtini primavera fanno schifo”). Accusatela di essere una dittatura; se siete di centrodestra criticatela perché comunista, mentre se siete di centrosinistra non dimenticate di aggiungere che “quello non è il vero comunismo” e che si tratta invece di “capitalismo selvaggio”. Già che ci siete, lamentatevi anche della corrotta monarchia nepalese, della corrotta democrazia indiana e della corruzione di chiunque non dia subito ragione alla causa tibetana; in questi casi è opportuno suggerire che egli certamente ha degli interessi economici in ballo. In caso di contestazione, ricordate che il Dalai Lama vive d’aria e che le spese delle continue proteste pro-Tibet in giro per il mondo sono coperte dalla Provvidenza. Qualsiasi fatto contrario alle vostre tesi va etichettato come una allucinazione ottica oppure una menzogna abilmente diretta dalla propaganda cinese. Proponete azioni misurate e tolleranti come il boicottaggio delle Olimpiadi o la chiusura dei commerci con la Cina; inoltre sputate in testa ai tre compagni di scuola cinesi di vostra figlia, e spargete nel quartiere la voce che il proprietario del negozio cinese all’angolo conserva il cadavere del nonno in cantina e in più ha il cazzo piccolo. Chiudete con note di grande tristezza; cercate di stimolare il senso di colpa dei lettori, affermando implicitamente che chi non è con voi è una merda. Se vi sentite potete anche chiudere il blog, basta riaprirlo il giorno dopo. State però attenti a non farvi prendere la mano: poi dovreste darvi fuoco.

P.S. Certo, se poi questo dovesse portare alla tipica reazione durissima dei regimi autoritari in crisi, al fallimento delle Olimpiadi, a un embargo economico e a un regresso di dieci anni nell’evoluzione dei diritti umani in Cina, non c’è problema! Mentre il miliardo di cinesi sarà privato grazie a voi di quel po’ di libertà conquistata in questi anni, le multinazionali occidentali – quelle che controllano sia i nostri media che le nostre imprese manifatturiere in difficoltà per la concorrenza cinese – saranno pronte ad attutire per noi l’embargo rifornendoci di ottimi prodotti nostrani a prezzo quintuplo di quelli cinesi, dopo averli importati di contrabbando, aggirando l’embargo, dalla Cina stessa.

E poi noi da domani, seduti sul nostro sofà, bloggheremo a sproposito di qualcos’altro.

[tags]tibet, cina, autodeterminazione, diritti umani, blogger, blogosfera, quanto è facile pilotare la blogosfera, attualità, media, economia, follow the money, cinismo storico[/tags]

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martedì 11 Marzo 2008, 17:33

Frozen

Avete mai pensato a cosa succederebbe se il mondo si rifiutasse di girare? Un magnifico assaggio l’ho scoperto oggi, trovando le immagini del congelamento del pubblico alla Grand Central Station di New York:

L’azione non è stata fatta né per protestare, né per spaventare la gente; è, più semplicemente, una forma d’arte. Il gruppo che l’ha ideata e organizzata si chiama ImprovEverywhere, e ha come obiettivo quello di “causare scene”: abbellire la nostra vita con qualche momento di assurdo, dimostrandoci quanto sia arbitrario il nostro ordinato comportamento quotidiano.

Naturalmente l’evento ha già fatto scuola, ed è stato ripetuto, in modo del tutto autonomo e localmente organizzato, un mese fa a Trafalgar Square, e anche a Roma alla Stazione Termini.

E’ questa pratica una goliardata, oppure è una forma muta ma potente di resistenza al sistema? Giudicatelo voi; io so che immagini come queste sono davvero affascinanti.

[tags]frozen, grand central, trafalgar, termini, performance art, improveverywhere[/tags]

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lunedì 10 Marzo 2008, 10:49

Di cosa scrivono i giornali

Ero già rimasto colpito ieri, aprendo la prima pagina dell’edizione online della cronaca di Torino de La Stampa, e trovando come seconda e terza voce due articoli sulle donne: prima una intervista al cardinale Poletto centrata sull’ineffabile esortazione “Chiamatele mogli, non compagne”; e soltanto dopo il reportage su migliaia di donne e uomini in corteo per l’otto marzo, per i diritti e per la parità. In questo momento l’intervista al cardinale è ancora lì nei titoli di testa, mentre il reportage è già scivolato nelle notiziole di fondo pagina; e continuo a restare perplesso all’idea che all’opinione di uno, su un giornale teoricamente imparziale, venga data più evidenza che a quella di ottomila, solo perché questo uno è un cardinale di Santa Romana Chiesa.

Stamattina sono rimasto altrettanto perplesso da un’altra osservazione: La Stampa, in home page, apre i rimandi della sezione economica con una intervista a Fabrizio Palenzona, già presidente della provincia di Alessandria per il centrosinistra, poi consigliere di Mediobanca, vicepresidente di Unicredit e tante altre cariche, e anche presidente dell’Aiscat, l’associazione delle società autostradali, di cui fa parte il suo grande amico e conterraneo Marcellino Gavio, quello dei lavori infiniti sulla Torino-Milano; infatti, quando Di Pietro litigò con Palenzona, lui rassegnò le dimissioni e poi, tra le lacrime e in mezzo agli applausi dei soci dell’associazione capitanati da Gavio, accettò con riluttanza di ritirarle.

Bene, Palenzona si lamenta: dice che così, cioè con la riforma dei contratti autostradali realizzata da Di Pietro, non si può andare avanti; che nessuno investirà più nella costruzione di autostrade se c’è il pericolo che lo Stato ci metta troppo il becco, e che anzi ci sono trenta miliardi di euro che i privati sarebbero pronti ad investire, creando zilioni di posti di lavoro e nuove opportunità di sviluppo, ma che Di Pietro glieli blocca; in sintesi, come dice il titolo, “ci rivolgeremo al prossimo governo”. Senza dubbio Palenzona pregusta il momento in cui a fare il sottosegretario ai Trasporti tornerà un altro suo grande amico, Ugo Martinat; a scanso di equivoci, però, gli risponde comunque anche D’Alema, per precisare che anche se vincessero loro Palenzona riceverebbe la giusta attenzione, creando “una autorità terza per ricostruire un quadro di regole sicure”, ossia sottraendo a Di Pietro il potere di rompere i coglioni.

E’ comunque legittimo che Palenzona utilizzi i propri ganci con la Busiarda per difendere i propri interessi; eppure, completamente per caso, poco dopo ho trovato questo articolo, sull’edizione locale fiorentina di Repubblica. Sapete quanto poco mi piacciano i protestatari anti-sviluppo, ma è indubbio che certe scelte progettuali appaiano scriteriate, quando non proprio in cattiva fede, e che si dovrebbe trovare il modo per costruire le infrastrutture impattando il meno possibile sul territorio.

Anche questo è un punto di vista legittimo; peccato che i giornali lo releghino nelle edizioni locali, e quando ne parlano i titoli principali è sempre e soltanto per raccontare scontri o per criticare l’irritante riluttanza della gente a farsi costruire un’autostrada, una discarica, una ferrovia al posto del bosco davanti a casa.

Probabilmente questo modo di trattare le notizie è funzionale a una casta giornalistica – non tanto a livello del povero cronista medio, che infatti nella settima di cronaca scrive ciò che vuole, ma piuttosto a livello di direttori e grandi firme – che sopravvive lautamente grazie alle connessioni con il potere. E’ però triste che anche i grandi giornali si siano ormai trasformati in tifoserie affaristico-politiche, perdendo in buona parte la capacità di essere obiettivi e disinteressati. Peggio, è uno degli elementi che aumentano la frustrazione tra la gente, e i conseguenti rischi di esplosione sociale.

Per fortuna, per capire veramente le cose, ci resta Internet, ed è una grande differenza rispetto anche solo a dieci anni fa; almeno finché il Gentiloni di turno non riuscirà ad imbavagliare anche quella.

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