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Archivio per la categoria 'NewGlobal'


venerdì 20 Ottobre 2006, 11:47

Lidl coi baffi

Nella mia attitudine al consumo attivo, stamattina mi sento in dovere di testimoniare la mia recente esperienza con l’unico attrezzo per barba e baffi che troverete alla Lidl, lo Shaving System G.Bellini.

Trattasi di un manico di rasoio più venti lamette bilama usa e getta, che vengono montate a pressione e poi buttate via dopo l’uso (nel mio caso, dati i miei antenati genovesi, dopo almeno una trentina di usi).

Ora, il feedback è misto: alla prova su strada, questo rasoio si rivela essere il diretto discendente di una sperimentazione sui machete effettuata dal Terzo Reich. Per tagliare, taglia: fin troppo. Anche la mia barba densa di tre giorni, in certi punti simile al tappetino dell’ingresso, viene spazzata via al primo passaggio. In compenso, non provate a fare il contropelo: al secondo passaggio viene spazzata via metà della pelle, e vi presenterete in trasmissione con Cairo con una imbarazzante puntinatura rossa.

Insomma, per le situazioni folte va bene, ma per quelle delicate credo che continuerò a usare i normali Gillette

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martedì 17 Ottobre 2006, 11:04

A tutto schermo

Non è così inusuale che succeda qualcosa di grave in luoghi che conosci comunque bene, come piazza Vittorio a Roma. E’ certamente strano vedere gli infermieri che portano su feriti dalla stessa scala su cui, sei mesi fa, era ambientata proprio la scena finale di questo film con te come protagonista. E’ da “brivido normale” pensare che tu hai preso quella stessa linea, quelle stesse carrozze nuovissime vanto di Veltroni, soltanto giovedì scorso.

Ma è sempre un po’ strano alzarsi, accendere il televisore, e a meno di un’ora dall’impatto vedere la piazza piena di gente, polizia e ambulanze, le persone che escono zoppicando o vengono portate via in barella, il conto dei morti che cresce, i politici che accorrono o telefonano in diretta. La diretta totale di Sky Tg24, Sky News che la rimanda in tutto il mondo, la CNN che manda l’ultim’ora, la notizia che nasce, cresce, vive, tentenna incerta su dove dirigersi, se sulla critica ai politici o sul drammone umano. E poi, piano piano, tra qualche giorno, si spegnerà anch’essa.

Doveva essere un servizio alla società, è ormai un rito guardone. Ma è ipnotico lo stesso.

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martedì 17 Ottobre 2006, 01:14

Beato il popolo

“Beato il popolo che non ha bisogno di eroi” (B. Brecht)

Il mio club, Geneticamente Granata, era invitato da parecchio tempo per questa sera da Carlo Testa in trasmissione; solo ieri a fine partita, però, abbiamo saputo che ci sarebbe stato Urbano Cairo. E quindi, ci siamo preparati per lo show, coi palloncini, i coriandoli, le sciarpe e le maglie granata; e abbiamo avuto il privilegio di far da sfondo al presidente, e di passare la serata a un metro da lui.

La prima parte di trasmissione, difatti, è un preludio minore, che serve solo a farmi notare l’eccezionale bravura di Carlo Testa – credetemi, da casa non la si apprezza appieno, perchè ciò che vedete è solo una parte di quel che il conduttore deve fare; e Carlo recita bene, organizza bene, sorride e scherza scioltissimo, fa filare tutto senza un intoppo anche quando deve improvvisare. Non è facile come sembra, lo scopriamo noi quando tentiamo dei cori e uno parte mal sincronizzato, l’altro invece, forse per troppa tensione, viene lanciato diverso da come lo pensavamo, con tanto di mini-scazzo tra soci alla fine.

Infine, giunge il momento tanto atteso. Già l’arrivo è un delirio: si rientra dalla pubblicità in un oooooh che non finisce perchè l’Atteso non si materializza, tanto che la regia disperata finisce per inquadrare le quinte e la porta di ingresso dello studio, che non è illuminata e pare il buco di Alfredino a Vermicino.

Poi, a fatica, Urbano Cairo rompe il muro di mani tese a toccarlo, e riesce ad arrivare davanti alle telecamere, sommerso dai nostri palloncini e coriandoli e da cori di olè. E’ subito sciolto, lui e Testa fanno coppia perfetta, si fanno da spalla l’uno con l’altro.

Basta la prima mezz’oretta per esporre, in crescendo, il suo mito. Il mito di Cairo che lavora 130 ore la settimana e dorme quattro ore per notte, ma in realtà anche in quelle quattro ore pensa nel sonno a che giocatori comprare. Il mito di Cairo benedetto dal papà e dalla mamma, lui in studio, lei al telefono per elogiarlo ancora, il miglior figlio che si potesse avere. Il mito di Cairo che quando gli ricordano che l’anno scorso ha fatto la squadra in sette giorni risponde senza esitare “Come Dio!”, anche se dopo qualche secondo si rende conto e ritratta (è pure seduto accanto a don Rabino…).

La gente è in delirio, pende dalle sue labbra, urla con gli occhi: di più, di più – che difatti è il nome di una delle sue riviste… E lui acconsente, e tira fuori altri numeri. Il Toro è vostro, dice, io sento la responsabilità, lo faccio per voi, sono vostro servo. Prosegue con il giuramento sulla testa dei suoi figli (nello specifico, che non venderà il Toro ai russi), un classico tratto direttamente dal Manuale di comunicazione moderna di Berlusconi S., edizioni Mondadori. Alla fine arriva persino, senza che lui debba fare un cenno, il momento del linciaggio pubblico del nemico: alla cauta menzione di Tuttosport in forma interrogativa, prima che lui possa parlare, la folla (cioè io, noi, tutti, sciolti e indistinti nel branco adorante) batte di piedi sulla scena con un rollio lugubre che ricorda quello di un carro bestiame in partenza per Auschwitz. Se fossi in Padovan, starei attento ad uscire di casa.

E’ proprio questo che mi colpisce, alla fine: Cairo in tutto questo sparisce, è lì ma recita una scena, persino quando è onestamente sincero. E’ un personaggio retorico, che evidenzia nella loro nudità le nostre parti peggiori: quelle che ad ogni stacco pubblicitario lo assalgono a gomiti alti per avere una firma, una foto, una stretta di mano. Non lo fanno quasi respirare, lo spingono, lo strappano: tutti, non solo gli stupidi, non solo i deboli. La Gisella (lampante dimostrazione che bellezza più cervello uguale costante; ma che tette!) che dichiara in diretta di fremere per lui. Il cantante granata che gira con copie del suo CD da fargli benedire, e chissà che non ci scappi un contratto. Il tifoso che gli fa firmare la sciarpa e poi chiede conferma a me che si legga bene “Urbano”. L’ospite che ruba due volte la parola al conduttore per fare una domanda scelta apposta per far bella figura col mondo, e il fatto che la risposta sia scontata è secondario. Il vecchiardo di Geriatria Granata che prende il microfono solo per ricordare al presidente quand’è che si erano già incontrati. Tutti in tiro, nel vestito della festa, cercano di vivere di luce riflessa. Gli unici immuni, nella loro innocenza, sono i bambini, che verso lo scoccar delle undici vorrebbero essere ovunque tranne che lì, tirano calci nella schiena a Testa e dondolano dietro Cairo incuranti di rovinargli l’inquadratura.

Spero che queste righe non siano fraintese: anche a me Cairo fa un’ottima impressione, pare generalmente sincero, ed è nel complesso una persona assolutamente fuori dal comune. Ma io, su Cairo, non posso dare un giudizio. Non lo conosco; nessuno di noi lo conosce veramente. Dovrei andarci a cena una sera, guardarlo per un po’ lontano dalle telecamere, per poter provare a capire qualcosa. Dovrei parlare con l’essere umano.

So, però, che non vorrei essere Cairo. Non vorrei esserlo adesso, una vita da privilegiato in corsa a farsi tirare per la giacchetta; e non vorrei esserlo quando, come in tutte le cose, anche per lui la ruota farà un giro a vuoto. C’è troppa umanità in attesa fremente, davanti a lui: Cairo, imponici le mani. Sorridi e saluta il mio bimbo malato. Facci ridere, Cairo, facci divertire. Vendica le nostre vite frustrate da capuffici gobbi e globalizzazioni al ribasso. Facci, semplicemente, sognare.

Ma non deluderci, Cairo, perchè se no diventeremo cattivi.

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martedì 10 Ottobre 2006, 20:24

La notizia

La notizia non è che Google compri Youtube per qualche fantastiliardo di dollari.

La notizia è che ne parli il TG5, alle 20:15 scarse, persino prima dell’infilata di cronaca (e di una perdibile, infinita intervista promozionale a Giampaolo Pansa da parte della signora Rutelli… ah, l’Italia).

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lunedì 9 Ottobre 2006, 15:32

Nerd pride

Sicuramente avrete sentito parlare di World of Warcraft, il gioco di ruolo online in cui un nerd si deve iscrivere, creare un personaggio fantasy, e passare davanti al computer dalle quattro alle sei notti a settimana – più qualsiasi altro intervallo di tempo libero dal lavoro ove disponibile – ripetendo ossessivamente la pressione di determinate sequenze di tasti, fino a completa distruzione della propria vita sociale (ammesso di averne avuta una in precedenza). Io, preferendo la vita sociale faccia a faccia, ne sono uscito dopo tre mesi, ma la maggior parte dei miei amici è ancora lì dentro dopo quasi due anni, e così oggi a pranzo mi hanno prontamente segnalato il recentissimo crossover tra World of Warcraft e South Park.

Da Youtube, potete guardare il trailer, e poi la prima, seconda e terza parte della puntata. Tutto sommato, mi sembra uno sfottimento ancora gentile; d’altra parte i nerd sono il pubblico principale di South Park… Sono anche uno dei più ambiti in generale, visto che il nerd medio è single o equiparabile, ha pochi amici, e pertanto ha allo stesso tempo soldi da spendere, tempo disponibile, necessità di gratificazione e bisogno di attività ossessivo-ripetitive (dal collezionismo all’uccisione di cinghiali virtuali) per non dover fare i conti con le proprie frustrazioni; insomma, i nerd sono un’ottima cash cow per le aziende di entertainment.

Niente a che fare insomma rispetto all’orrido La pupa e il secchione, di cui peraltro ho solo notizie indirette, non avendone mai visto nemmeno cinque minuti, ma che mi pare il genere di sfottimento cattivo che hanno gli autodefinitisi normali nei confronti degli eterodefiniti disabili (sociali): dalla descrizione che me ne fanno, pare che gli autori del programma volessero inizialmente metterci dei ritardati mentali e sfottere quelli, ma poi si sono resi conto che sarebbe stato illegale e hanno ripiegato sui nerd, che non sono ancora categoria protetta.

D’altra parte, tempo fa un marchettaro (il nemico naturale dei nerd) mi disse con boria che i videogiochi – e a maggior ragione quindi quelli online e invasivi come World of Warcraft – erano stati inventati proprio per tenere chiusi in casa i nerd, in modo che non disturbassero le persone normali facendosi vedere per strada o nei locali…

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lunedì 2 Ottobre 2006, 09:34

E ribadisco, viva Lidl

Non voglio sembrare troppo cinico; in realtà, i due lunghissimi thread (uno e due) in cui si discute da mesi sulle condizioni di lavoro in Lidl hanno sicuramente sfidato alcune delle mie certezze.

Tuttavia, poco fa stavo facendo colazione con i recentemente introdotti Fior di Cioccolato e devo dire che sono davvero eccezionali: buoni come le originali Gocciole – che, nel frattempo, sono apparse anche loro al Lidl, in un disperato tentativo di preservare quote di mercato – ma costano, a occhio, il 30% in meno (controllerò la cifra esatta).

Allo stesso tempo, a tutti quelli che si sono scandalizzati leggendo il blog di Beppe Grillo e che hanno giurato sdegnati di non andare più a far la spesa dai tedeschi, raccomando di leggere qui (grazie per la segnalazione) cosa succede all’Auchan.

A questo punto, coerentemente, consiglio a chi ha problemi etici verso il sistema della grande distribuzione moderna di far la spesa solo nel negozietto sotto casa. E di rinunciare alle vacanze per poterselo permettere.

Oppure, si potrebbe anche auspicare una revisione complessiva dell’organizzazione del lavoro in questi ambienti, con contratti più simili alla realtà delle cose ma comunque con dei limiti di orario e di mansioni che vengono fatti rispettare. Solo che questo porterebbe inevitabilmente a un aumento dei costi, e quindi dei prezzi per il consumatore finale. Domanda non retorica: è quello che vogliamo?

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sabato 30 Settembre 2006, 08:43

[[Thom Yorke – Harrowdown Hill]]

Mettiamo subito in chiaro alcuni fatti per i meno esperti: sì, Thom Yorke è il depresso cantante dei depressissimi Radiohead, quelli che solo una settimana fa avevo promesso di non ascoltare più. E sì, ha rilasciato da poco un album solista, ma questo non vuol dire che i Radiohead si siano sciolti.

La cosa interessante del singolo del disco è che, invece della solita malinconia sentimentale o suicida, espone una devastante malinconia politico-esistenziale.

Yorke, difatti, è cresciuto e andato a scuola (tra gli altri posti: la famiglia si spostava spesso) nel piccolo villaggio di Standlake, a sud-ovest di Oxford, a pochi chilometri dal quale si trova una collinetta detta appunto Harrowdown Hill.

Su questa collina, la mattina del 18 luglio 2003, fu ritrovato il cadavere del dottor David Kelly, un dipendente del Ministero della Difesa inglese in quel momento sotto indagine pubblica. Kelly, in precedenza responsabile di ispezioni in Iraq, era accusato di aver fatto giungere alla stampa l’informazione che il dossier segreto secondo cui Saddam Hussein disponeva di armi di guerra batteriologica – la base su cui Blair chiese e ottenne l’invasione dell’Iraq – fosse chiaramente privo di fondamento, e che egli avesse dimostrato questo ai propri superiori ma fosse stato messo a tacere.

Stando alla versione ufficiale, accertata da una inchiesta sottratta alla magistratura ordinaria e gestita direttamente dal governo Blair, Kelly si suicidò per la vergogna dell’indagine, tagliandosi le vene dopo aver ingerito un analgesico per stordirsi.

Ma nonostante si sia ufficialmente tagliato le vene, non c’era sangue sul luogo del ritrovamento, e l’analgesico non era nemmeno digerito.

La caratteristica più geniale di questa canzone – che Yorke descrive come “la canzone più arrabbiata che abbia mai scritto” – non è tanto la rappresentazione dei pensieri di un uomo braccato e morente, o la furiosa denuncia del caso; è la descrizione della sensazione di impotenza che prova una persona comune di fronte al potere che calpesta con noncuranza un essere umano, e al fatto che tutti gli osservatori pensano la stessa cosa – che Kelly sia stato ucciso dai servizi segreti inglesi – ma non possono farci nulla: “We think the same things at the same time / We just can’t do anything about it”.

Che come dichiarazione militante di pessimismo cosmico sul futuro e sulla libertà dell’umanità, di questi tempi, non è male.

Don’t walk the plank like I did,
You will be dispensed with
When you’ve become
Inconvenient
Upon Harrowdown Hill
Where you used to go to school
That’s where I am
That’s where I’m lying down
Did I fall or was I pushed?
Did I fall or was I pushed?
And where’s the blood?
And where’s the blood?

But I’m coming home, I’m coming home
To make it all right, so dry your eyes
We think the same things at the same time
We just can’t do anything about it

We think the same things at the same time
We just can’t do anything about it

So don’t ask me, ask the ministry
Don’t ask me, ask the ministry
We think the same things at the same time
There are so many of us so you can’t count

We think the same things at the same time
There are too many of us so you can’t count

Can you see me when I’m running?
Can you see me when I’m running?
Away from them
Away from them
I can’t take their pressure
No one cares if you live or die
They just want me gone
They want me gone

But I’m coming home, I’m coming home
To make it all right, so dry your eyes
We think the same things at the same time
We just can’t do anything about it

We think the same things at the same time
There are too many of us so you can’t
There are too many of us so you can’t count

(It has me led into the backroom) Harrowdown Hill
(It has me led into the backroom) Harrowdown Hill
It was a slippery slippery slippery slope
It was a slippery slippery slippery slope
I feel me slipping in and out of consciousness
I feel me slipping in and out of consciousness
I feel me

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lunedì 25 Settembre 2006, 20:11

Il comune senso della spudoratezza

Ok, siamo nel terzo millennio, il senso del pudore è rimasto nel secondo, e ormai si esibiscono mutande e culi dappertutto, si cambia partner più spesso che vestito, si parla apertamente di posizioni e prestazioni sessuali a cena o sul bus.

Ma che senso ha che io entri in un normalissimo negozio di un qualsiasi centro commerciale, compri due saponi profumati come pensiero gentile per il sessantesimo compleanno di mia madre, e me li porgano in un sacchetto con una gigantesca scritta “SESSO E VOLENTIERI”?

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sabato 23 Settembre 2006, 08:23

La pillola rossa

In questi giorni, in Ungheria, si è sfiorata la rivoluzione di piazza; tre giorni fa, per dire, gruppi di esagitati hanno occupato e dato parzialmente alle fiamme il palazzo della televisione di Stato, che ha dovuto interrompere i programmi per un po’.

La causa della rivolta è stata la trasmissione da parte di una radio di una registrazione rubata in cui l’attuale Presidente del Consiglio, il miliardario socialista Gyurcsany, ammetteva candidamente di avere mentito su tutta la linea a proposito dei risultati del proprio governo, durante la campagna elettorale che gli ha garantito la rielezione questo aprile.

Bene, a me quello che stupisce di questa protesta è il presunto candore – presunto perchè chiaramente organizzata o perlomeno cavalcata dall’opposizione politica, con il coinvolgimento di agitatori di professione e persino degli ultras delle locali squadre di calcio (vi ricorda qualcosa? Ucraina, Georgia, fondi americani? ok, ne parleremo un’altra volta).

Insomma, veramente esiste qualcuno, nella società moderna, che pensa che i politici non mentano, quotidianamente, ordinariamente, “professionalmente” come parte del proprio lavoro?

Venendo all’Italia, è credibile che davvero Prodi non sapesse nulla dei piani di Tronchetti Provera sul futuro di Telecom, discussi o suggeriti dal suo braccio destro? E Tronchetti Provera davvero si è dimesso senza sapere nulla del fatto che di lì a poco sarebbe scoppiato lo scandalo delle intercettazioni? Scandalo che naturalmente è solo una pura coincidenza, e non ha alcun collegamento con lo scontro politico ed economico in atto per il controllo della principale azienda di telecomunicazioni (e centro di sorveglianza) d’Italia?

Naturalmente questo è solo un esempio; quante palle conclamate ed autoevidenti, o comunque ben presto svelate, ha detto Berlusconi? E Bush, sulle armi in Iraq e sull’11 settembre tanto per iniziare?

Qualche volta uno ci potrebbe anche credere, ma in certi casi è totalmente evidente a qualsiasi persona dotata di raziocinio che quello che ci viene fatto sapere è un gentile abbellimento della realtà, quando non una pillola blu vera e propria. Allora, che cosa è successo di speciale in Ungheria?

Probabilmente quello che succede è un fenomeno di rimozione collettiva. Sappiamo tutti che ci stanno prendendo per i fondelli, ma abbiamo già talmente tanti problemi da affrontare nel nostro piccolo che preferiamo mettere quelli di grandi dimensioni da parte. Poi, però, ipocritamente, quando ci spiattellano la verità così chiaramente sotto gli occhi non possiamo fare più finta di niente; e allora ci incazziamo, e mandiamo al rogo quello dei tanti mentitori che è stato così fesso (o così bellamente inchiappettato dai suoi compari) da venire sputtanato in pubblico. Anzi, la reazione è forse ancora più violenta, perchè dobbiamo sfogare la frustrazione di tutte le altre volte in cui ci hanno chiaramente preso per i fondelli senza che dicessimo nulla.

L’aspetto sinistro, però, è il fatto che forse non proprio tutte le bugie vengono dette per nuocerci. Per dire, quanti di noi avrebbero accettato il passaggio all’euro – una tappa inevitabile per la costruzione politica di una Europa capace di contare a livello mondiale, e probabilmente anche, nel lungo termine, di un mondo equilibrato e pacifico invece che succube dell’Impero Americano – se ci avessero detto chiaramente che ci sarebbe costato una inflazione reale del 50% nei primi tre anni? E se su questo argomento non avessimo tutti più o meno fatto finta di niente, accettando le cifre chiaramente taroccate di Berlusconi invece che quelle veramente sperimentate sulla nostra pelle, cosa sarebbe successo nelle nostre piazze?

Pensate solo a tutte le volte in cui bisogna costruire una infrastruttura necessaria ma sgradevole. A un chilometro da casa mia c’è il CPT di Torino, il centro di detenzione per i clandestini in via di accertamento, che si potè costruire solo raccontando ai residenti la chiara menzogna che sarebbe rimasto lì solo per un paio d’anni, il tempo di farne uno vero altrove; sono passati dieci anni ed è ancora lì, anzi lo vogliono espandere. Eppure, il CPT, almeno finchè non cambia la legge, da qualche parte si doveva fare; probabilmente sarebbe stato impossibile realizzarlo, senza raccontare bugie.

Io, personalmente, scelgo sempre la pillola rossa, quella che ti mette davanti alla dura verità, e non giustifico i politici che mentono troppo facilmente. Ma non sono sicuro che la società italiana sia sempre e comunque pronta per questo; e anzi credo che molti di noi, più o meno coscientemente, demandino ai politici proprio il compito di nascondere le verità meno gradevoli, magari per poi fare da capro espiatorio quando non potremo proprio più far finta di non vedere.

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venerdì 22 Settembre 2006, 14:47

Sarò licenziato per questo

Chi mi conosce più da vicino sa che io e il mio socio abbiamo alcune, ehm, lievi divergenze sulla concezione dei rapporti lavorativi all’interno di una azienda moderna.

Una delle cause di discussione più frequenti in questi ultimi mesi è stata la legittimità del fatto che io blogghi in orario d’ufficio. Per me è del tutto normale che una persona con un ruolo di dirigente (ma anche un normale tecnico, se la cosa non degenera) abbia una allocazione flessibile del proprio tempo, che include una certa percentuale di tempo dedicata ad attività pubbliche o all’autoapprendimento; questo tanto più se non è assunta ma è retribuita in forma di consulente. Al contrario, per un manager che viene dal marketing il fatto di spendere anche solo dieci minuti sul proprio blog tra le 9 e le 18 è non solo un tradimento del proprio dovere di buon lavoratore, ma addirittura potenzialmente una giusta causa di licenziamento o di rottura del contratto.

La discussione è interessante: come cambiano i diritti degli individui in un mondo del lavoro flessibile? La flessibilità va solo a danno del dipendente, o ci sono anche forme di flessibilità vantaggiose, come quella di poter fare ciò che si vuole del proprio tempo purchè si raggiungano gli obiettivi? Per tutti noi che svolgiamo di fatto un lavoro dipendente, a progetto o in partita IVA, senza essere assunti, fino a dove l’azienda ha diritto di pretendere il rispetto di un orario e di mansioni definite in modo “classico”? E se l’azienda lo fa, non dimostra intrinsecamente di nascondere un rapporto di tipo subordinato sotto la forma (detassata) della consulenza?

Io, come sapete, non sono affatto legato alle tradizionali forme di rapporto lavorativo, che considero anzi obsolete in moltissimi casi, e persino inique verso tutti quelli che, nella mia generazione, sono poi costretti a lavorare in modo totalmente precario per permetterne la sopravvivenza. Allo stesso tempo, trovo che la flessibilità debba valere in entrambe le direzioni; se un’azienda non vuole concedertela, può sempre assumerti.

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