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Archivio per la categoria 'NewGlobal'


giovedì 10 Agosto 2006, 22:36

Chi ci terrorizza

Intendiamoci, sono assolutamente sicuro che questi tentati attentati con l’idraulico liquido esplosivo esistano veramente. Però c’è qualcosa che proprio non quadra.

Mettetevi nei panni del capo di un governo o di un servizio segreto: avete appena sventato degli attentati, state rastrellando i presunti terroristi nelle loro case, e insomma stavolta è finita bene. Dovete decidere cosa dire al pubblico; e non sarebbe naturale minimizzare, tenere le cose sotto silenzio, evitare una ondata di panico?

Certo che lo è, tanto è vero che, a bassa voce, si dice apertamente che di episodi simili ce ne sono stati oltre una decina, quasi sempre passati sotto silenzio. A meno che l’ondata di panico, abilmente rilanciata da tutti i mass-media, non sia un effetto collaterale ampiamente desiderato, forse lo scopo dell’intera operazione mediatica.

Del resto, eravamo nel mezzo di una crisi internazionale difficile. In cui Israele dopo vent’anni aveva invaso il Libano, bombardando bambini e funerali, e (giusto o sbagliato che sia) il suo governo era considerato dalla maggior parte dell’opinione pubblica, almeno in Europa, più o meno alla stregua di Bin Laden. In cui la popolarità di Bush era la più bassa di un Presidente americano da sempre. In cui l’unico serio alleato degli angloamericani, l’Italia, aveva cambiato governo e fatto enorme fatica a decidere di prolungare di sei mesi la missione in Afghanistan, figurarsi quella in Iraq. In cui alle Nazioni Unite si stava riproponendo la spaccatura tra USA/UK da una parte e Francia dall’altra, rendendo impossibile approvare risoluzioni favorevoli al “blocco del bene”. In cui diventava sempre più difficile, insomma, continuare in quel clima di guerra espansionistica premeditata all’estero, e di restrizione delle libertà civili in casa, che ha caratterizzato il mondo occidentale dopo l’11 settembre, a tutto vantaggio di chi vi detiene il potere.

E allora, guarda caso, salta fuori proprio l’unica notizia che può ribaltare la situazione: un altro mega-attentato. Sventato, eh: perchè siamo stati tanto bravi che nessuno ha visto niente, se non le immagini in TV di bivacchi all’aeroporto e pakistani arrestati. Ma un mega-attentato terribile, zilioni e zilioni di cattivissimi islamici carichi di esplosivo invisibile, alla faccia di tutte le misure di sicurezza, tutti attorno a noi pronti ad ucciderci perchè ci odiano. E’ proprio quel che serve per zittire il dissenso, distrarre l’audience e riportare l’ordine.

Quindi, manda il Libano in sesta pagina, e vai con la lotta al terrorismo; perchè se le nostre severissime, costosissime, durissime misure di sicurezza e guerre preventive si dimostrano platealmente incapaci sia di fiaccare la voglia degli estremisti di farci saltare in aria, sia di impedirglielo a forza, la soluzione è farne ancora di più. Elementare, Watson.

Ma io, alla lotta al terrorismo, non credo più. Non perchè non creda all’esistenza o alla pericolosità del terrorismo, ma perchè se il prezzo da pagare è farci dominare dalla paura, smettere di vivere, legittimare i nostri stessi atti di guerra, e cedere tutti i poteri a chi ci governa, penso che sia un prezzo troppo, troppo alto. E quindi, non credendo alla lotta al terrorismo, perdonatemi se divento anche sospettoso, quasi paranoico, di fronte ai suoi presunti “episodi”, e soprattutto a come vengono presentati dai media.

Del resto, la fine della civiltà occidentale (e sottolineo il termine civiltà), chiusa a morsa tra il panico verso nemici invisibili e la sorveglianza globale, è l’obiettivo dei terroristi, termine che indica coloro che volontariamente ci terrorizzano. Certo che, guardando solo ai fatti e a quel che ci propinano oggi i telegiornali, viene da chiedersi chi siano.

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martedì 1 Agosto 2006, 21:19

Agosto

Per noi italiani, è un periodo di vacanza assoluta: le città sono deserte, gli uffici sono vuoti, non si muove foglia, specie a livello di business.

Per me che traffico con l’estero, invece, oggi è stata una giornata tremenda; scadeva stasera il termine per presentare domanda per essere nominati in varie posizioni in ICANN; scade domani il termine per inviare documenti e contributi per il prossimo Internet Governance Forum delle Nazioni Unite, a fine ottobre ad Atene; alle 18, avevo una conference call del Policy Advisory Board del .mobi.

In più, sono anche in partenza: domani vado a Roma in vista di un incontro giovedì al Ministero dell’Innovazione, convocato in tutta fretta proprio in virtù di queste scadenze, visto che entro il 24 agosto bisogna anche organizzare gli eventi per Atene.

Insomma, il resto del mondo non ci pensa nemmeno, a fermarsi un mese all’anno: sarà anche per questo che cresce più di noi?

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venerdì 14 Luglio 2006, 23:59

Altri posti nel mondo

Ieri sera, prima di uscire per andare al concerto, ero tranquillo sul divano, col portatile, a leggermi la posta; quando mi si è aperta la finestra di Gaim, e un contatto sconosciuto mi ha detto “Ciao, come stai?”.

Ora, non si trattava di una eventualità strana; in realtà, in queste ultime settimane, mi succede anche più di una volta al giorno di venire contattato su ICQ da gentili donzelle di varie parti del mondo – tipicamente, Russia, altri paesi ex sovietici, Turchia o Serbia – attratte dal mio status di maschio italiano trentenne single. Non tutte hanno lo stesso approccio; ci sono quelle che entro il terzo scambio di battute chiedono “Marital status?”, e sono interessate soltanto a trovare un matrimonio con una persona qualsiasi purchè comprenda un visto per l’Unione Europea; altre sono semplicemente interessate a conoscersi, e poi si vedrà. (Su queste ultime faccio regolarmente colpo, visto che la chat aiuta a vincere la timidezza e mette in mostra soprattutto le qualità intellettuali; peccato che siano tutte così lontane…)

Comunque, ho controllato senza grande convinzione il profilo, e sono sobbalzato: difatti la provenienza non era la solita Mosca, ma Tuzla, in Bosnia-Erzegovina.

La Bosnia, si sa, è la cattiva coscienza delle nostre Fallaci furiose. Un’estate fa, in Lussemburgo per un meeting di ICANN, ci fecero mettere sull’attenti a mezzogiorno, due volte (una in ora locale, una in ora britannica), per onorare i cinquantasei morti della metropolitana di Londra; e per quanto l’onore fosse dovuto e sentito, a nessuno tranne a me venne in mente che era anche esattamente il decimo anniversario del massacro di Srebrenica, in cui i morti (musulmani, uccisi dai cristiani serbi sotto l’indifferenza della NATO e gli sguardi impotenti dei militari olandesi) furono oltre ottomila. (Questo è giusto per darvi un’idea.)

Tuzla, invece, è ricordata per il relativo massacro, dove i morti (sempre musulmani bosniaci) furono soltanto 71, quasi tutti ragazzi o giovani di vent’anni. Avere l’opportunità di parlare con una persona di quelle parti non è tanto facile, e così l’ho sfruttata al volo.

Il dialogo è stato inizialmente normale, ma, aiutato dall’italiano ancora imperfetto della mia interlocutrice, è scivolato presto nel surreale. Ad esempio, ho scoperto che lei non abita veramente a Tuzla, ma in un villaggio denominato Crno Blato; che “crno” volesse dire “nero” l’ho capito da solo, ma “blato”? Alla fine ho scoperto che il villaggio si chiama Fango Nero, e, stando alla sua risposta alla mia domanda, “Adesso ha solo quattro persone che vivono.” (adesso, non prima).

Del resto, ad una delle prime domande – “Si vive bene adesso?” – la risposta, folgorante nella sua incomprensione, è stata “Sì sì sono viva”.

Ora, non vorrei sembrare troppo drammatico; la guerra è finita, e anche da quelle parti, faticosamente, l’economia cerca di sollevarsi. La mia corrispondente lavora in una concessionaria Volkswagen (“Molte Volkswagen, non molte Fiat”) e studia italiano grazie ad amici cooperanti. E così, prima di andarmene dopo aver scambiato gli indirizzi di mail, ho chiesto anche cosa fa la gente a Tuzla di lavoro: il dialogo è stato più o meno il seguente.

“Che lavoro fa la gente?”
“Ci sono gente a Tuzla, ma non lavorano”
“Perchè?”
“Perchè industria non lavoro”
“Nessuna?”
“No, ci sono poche lavorano: fabbrica di scarpe, e fabbrica di sale.”

E io, senza offesa per nessuno, mi son chiesto se gli operai della fabbrica di sale bosniaca (a non più di quattrocento chilometri dal Bel Paese) si sarebbero lamentati del posto di direttore di filiale alla Lidl.

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lunedì 10 Luglio 2006, 01:14

Fratelli d’Italia

Bene, abbiamo vinto il mondiale di calcio; una cosa che capita, se va bene, ogni vent’anni.

E subito dopo, abbiamo scoperto Rino Gattuso (chapeau), che ha rilasciato una intervista a caldo che sotto l’accento calabrese aveva la raffinatezza, l’autoironia e l’acume di un corsivo di Gramellini; e tutti gli altri giocatori, che hanno detto quasi sempre cose più intelligenti, più argute, più interessanti di tutta la corte di pseudogiornalisti e pseudocommentatori che alle loro spalle parla dagli studi televisivi.

In generale, triste a dirsi, questi giocatori hanno mostrato per contrasto tutta la pochezza della nostra attuale classe politica; il presidente Napolitano che sembrava stare in piedi a stento e a malapena capire dove fosse, e i cui occhi dicevano “portatemi a dormire, non ne posso più”; l’imbellettata Melandri che ha detto qualcosa di talmente banale che non me lo ricordo nemmeno; e soprattutto l’ineffabile Mastella, che ha imposto la sua presenza (chiaramente ingiustificata, non essendo nè Presidente nè Ministro dello Sport) come un avvoltoio, costringendo a togliere la parola a Buffon, solo per parlare a sproposito di amnistie per “calciopoli” che persino i giocatori stessi si vergognano a ipotizzare, e probabilmente nemmeno vogliono.

Eppure, è difficile spiegare che cos’è una vittoria della Coppa del Mondo a chi non mastica la nostra cultura. Per me è diventata importante man mano, specie dopo aver assistito alle partite in un ambiente internazionale come il meeting di ICANN. All’inizio, l’antipatia per questi calciatori viziati di squadre corrotte era forte; eppure, alla fin fine, è pur sempre la mia bandiera che difendono, e il piacere di sistemare prima i tedeschi e poi i francesi, permettendomi due buoni anni di sfottimento continuo nei prossimi meeting, non ha prezzo. E se è così per me, immagino come dev’essere per i nostri emigranti; ma anche per i nuovi italiani, per gli immigrati di cultura nordafricana e lingua francese che stasera, a Porta Palazzo, tifavano Italia. O anche, semplicemente, per i ragazzini nelle nostre strade che tra trent’anni ricorderanno questa notte coi lucciconi agli occhi, o per la gente normale, che fatica a tirare avanti, ma che per una sera può sentirsi padrone del mondo.

Già so che in queste ore, sui blog italiani, compariranno vari commenti con la puzza sotto il naso; e tutto questo rumore per un pallone, e non si può dormire la notte, e che schifo il nazionalismo e l’amor di patria. Ma l’identità nazionale è un elemento fondamentale del proprio sè; in un mondo globale, dove amare la diversità è un obbligo e insieme un gran piacere, è anche necessario sapere da dove si viene, ed esserne orgogliosi.

Insomma, “ama il prossimo tuo come te stesso” è un comandamento fondamentale anche a livello di culture e di nazioni; e noi italiani, purtroppo, troppo spesso dimentichiamo di amare la nostra Italia. Se può essere una partita di calcio – suprema metafora della vita – a ricordarcelo, che ben venga un mondiale ogni tanto.

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martedì 27 Giugno 2006, 15:47

L’economia robotizzata

Oggi, per una volta, parliamo di cose serie: volevo introdurvi al meraviglioso mondo del pay-per-click e del suo ultimo figliastro, il domain tasting.

Vi è mai successo di sbagliare a digitare un URL nel browser, o di provarne uno alla cieca? Molto spesso, invece di ricevere un errore, vi compare una pagina un po’ generica, e in genere ha sopra dei link. Si può trattare di una pagina di ricerca (ad esempio quella di MSN, che Internet Explorer mostra in automatico se il dominio che avete digitato non esiste), o di pura pubblicità, più o meno colorata e invadente; di solito si tratta di pagine generate in automatico.

Probabilmente, se vi è successo, vi sarete chiesti il perchè della fioritura di questo genere di pagine. La risposta è appunto il pay-per-click: perchè una parte non trascurabile degli utenti che arrivano lì sopra, spesso nemmeno capendo bene la differenza tra il sito che volevano vedere e quello che gli è arrivato, clicca su uno dei link che gli vengono presentati.

Questi link, a loro volta, sono generati da sistemi di advertising e contengono codici di affiliazione; il sito a cui portano si è impegnato a pagare un tot, anche solo qualche frazione di centesimo, per ogni utente che vi clicca sopra. Questa cifra viene raccolta da un provider di domain monetization, che a sua volta ne gira una parte al concessionario pubblicitario che trova i siti inserzionisti, se non è lui stesso; si trattiene la sua parte; e il resto va al proprietario del sito, che non deve fare nulla se non registrare un dominio inutile e affidarlo al suddetto monetizzatore.

Certo, direte voi, quanta gente mai andrà a digitare “yahii.com” invece di “yahoo.com“, e poi per giunta cliccherà su uno dei link? In percentuale, non molta, ma avete idea di quante persone usano Internet ogni giorno? (Oltre un miliardo.)

E così, sono presto nati i cosiddetti domainers, aziende che non fanno altro che registrare domini inutili e “metterli all’ingrasso” con un servizio di monetizzazione. Sono tutte potenziali miniere, non di pepite d’oro ma di briciole invisibili d’oro, che però messe insieme fanno un bel po’ di soldi. Già, perchè l’incasso è basso, spesso pochi dollari per dominio per anno, perchè se ne generasse di più ci sarebbe certamente qualcuno che registra quel nome per farci un sito vero; di solito si parla di domini che costano sei dollari l’anno (tariffa all’ingrosso da Verisign) e ne incassano tra i sette e i dieci. Basta però averne un milione…

A questo punto, però, si inserisce la competizione di mercato: come fare a trovare domini che siano liberi (impresa che, sotto .com – il TLD di gran lunga più usato – è praticamente impossibile per qualsiasi stringa sotto i dodici caratteri di lunghezza) ma che abbiano probabilità ragionevoli di venire digitati per sbaglio o a tentoni?

Beh, c’è un modo evidente: basta registrare i domini che scadono e non vengono rinnovati. Di sicuro in giro per la rete, nei motori di ricerca, in siti web, ci sono link a quei domini che sono ancora lì. Di sicuro ci sono persone, anche poche, che erano abituate a scrivere quel dominio nella propria barra degli indirizzi.

(In realtà, qui ho tagliato corto, perchè nel mondo reale, prima di quelli che comprano i domini scaduti per monetizzarli, ci sono quelli che li comprano per metterli all’asta, possibilmente al disperato ex proprietario che li ha persi per errore. Ma consideriamo solo i nomi troppo poco interessanti per essere messi all’asta.)

A questo punto, l’ingegno viene aguzzato dalla necessità: come fare ad assicurarsi il maggior numero di domini cancellati possibile? Beh, la data di scadenza di un dominio è pubblica; non lo è l’ora, ma basta accreditarsi per poche migliaia di euro come registrar (rivenditore di domini) – in modo da avere accesso diretto al registro, senza intermediari – e poi bombardare il registro di richieste, sperando di arrivare proprio nel momento in cui il dominio è stato appena cancellato.

Come risultato, si è arrivati, a fronte di una media di 20.000 domini .com scaduti e non rinnovati al giorno, a 120 milioni di richieste di loro registrazione al giorno, con una media di 6000 richieste al giorno per dominio. A questo punto, per ridurre il carico e il disturbo alle registrazioni “normali”, Verisign ha stabilito che tutti i domini scadono alle 14:00 EST, e le richieste si sono ridotte a 60 milioni, però tutte concentrate tra le 13:30 e le 15:30; molti registrar hanno reverse-ingegnerizzato l’algoritmo di cancellazione per stimare in quale preciso secondo un dato dominio verrà cancellato.

Siccome poi ogni registrar ha un tot prefissato di thread dedicati sul server di registrazione, per aumentare le probabilità si possono aprire nuovi registrar finti che si limitino a mandare richieste. Si stima che dei circa 600 registrar accreditati presso ICANN, 400 siano finte aziende create solo allo scopo di aumentare le probabilità di vincita dei domini cancellati.

Tutto questo è degenerato ulteriormente quando qualcuno si è accorto di una clausola delle regole di registrazione, che prevede che un dominio .com appena registrato possa venire cancellato dal registrar entro i primi cinque giorni, ricevendo indietro tutti i soldi. La clausola era stata introdotta per gestire errori, tipicamente casi di impazzimento del software automatico che invia le richieste di registrazione dal registrar al registro. Eppure, ai domainers offre una possibilità fondamentale: quello di registrare il dominio, tenere su la paginetta di link per cinque giorni, vedere quanti click genera, fare un rapido conto e capire se vale la pena di pagare i sei dollari per tenerlo per un anno: domain tasting, appunto.

A questo punto, potendo provare, si può anche andare oltre i domini scaduti: ad esempio, registrare tutte le stringhe di caratteri disponibili, o tutte le combinazioni di parole del dizionario, per vedere se si scopre qualcosa che la gente tende a scrivere di propria volontà più di frequente della media, e cercare subito di farci sopra dei soldi.

Come risultato, sul totale delle registrazioni di domini .com, ormai circa il 95% sono relative a prove che durano cinque giorni, mentre meno del 5% sono registrazioni vere. E se cercate di comprare un dominio .com, state attenti: è probabile che sia libero oggi, ma magari sparisca domani, per poi tornare disponibile la settimana prossima, facendovi impazzire.

E quindi, qui ad ICANN, si discute se tutto questo abbia senso, o se perlomeno non si possono trovare modi più efficienti di gestirlo, e regole più sensate… per quanto a questi americani l’idea stessa di avere delle regole dia fastidio; ed è tutto un fiorire di difesa della concorrenza e libertà di innovazione commerciale.

Ma a me questa cosa fa soprattutto pensare che l’economia occidentale ormai ha perso qualsiasi contatto con la realtà: va bene il passaggio all’era dell’informazione, ma qui mi sa che si sta passando direttamente all’era dell’economia robotizzata, in cui soldi veri passano di mano per eventi computerizzati che non hanno, nel mondo reale, alcun vero valore o significato.

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domenica 11 Giugno 2006, 16:33

Una domenica energetica

Vi scrivo, collegato via wi-fi, da un salone della Cittadellarte di Biella, la fondazione di Michelangelo Pistoletto che funge da punto di incontro e di scontro tra arte, società, politica, tecnologia…

E’ veramente una esperienza eccezionale, quella di potersi chiudere in un luogo carico di suggestioni e di suggerimenti, pieno d’arte e di cultura, a discutere con tante altre persone notevoli su come cambiare la società attraverso la tecnologia. Esco di qui con tanto entusiasmo e tante nuove idee, tante urgenze su quello che non va e che anche io, come tutti, ho la responsabilità di provare a cambiare.

Spero che a breve riusciremo ad uscire allo scoperto, a non rimanere confinati in una dimensione di gruppo pensante ma marginale, e ad usare la rete per permettere a chiunque di scoprire, di capire e di partecipare, liberando la potenzialità, che tutti noi abbiamo, di riprenderci il possesso della nostra società.

Ciò non toglie che, naturalmente, il mio pensiero vada sempre più alla partita di stasera. Se in TV vedrete le striscette di carta volare dalla curva Primavera, pensate che un po’ di quelle vecchie guide telefoniche le ho tagliuzzate io.

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giovedì 8 Giugno 2006, 14:40

Al-Zarqawi

Solo una breve postilla al post di ieri: oggi, a quanto pare, gli americani hanno seccato Al-Zarqawi, il presunto capo di Al-Qaeda in Iraq. Cosa cambierà adesso? Beh, la mia previsione è ovvia: nulla di significativo.

L’unico obiettivo pratico dell’uccisione di un presunto leader terrorista è quello di permettere a Giorgino Bush di andare davanti alle telecamere con faccia compunta e fare il Grande Leader In Guerra, per cercare di tirare un po’ su il suo inguardabile indice di gradimento.

Per una cultura iperindividualista e schwarzeneggeriana come quella americana, è difficile afferrare il concetto che, persino in una guerra, gli individui siano tutto sommato poco rilevanti, in un quadro di eventi determinato da motivi sociali e storici di massa.

Sono sicuro che gli americani immaginano ‘sto Zarqawi come il cattivo dei film di Stallone, un supernemico in armi che viene immancabilmente spianato nel finale. In realtà, Al-Qaeda è figlia dei tempi di Internet, opera per cellule diffuse e vagamente coordinate sparse in tutto il mondo, esiste perchè ne esistono le cause sociali e culturali, non perchè ne esistono i leader.

Del resto, le Brigate Rosse furono sconfitte quando il rapimento di Moro eliminò il supporto sociale diffuso ai loro obiettivi, e non certo quando la “prima generazione” fu catturata. E così, soltanto l’instaurazione di un governo che disponga di un largo consenso può salvare l’Iraq dalla guerriglia in cui è caduto; non certo la morte di qualcuno.

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mercoledì 7 Giugno 2006, 14:14

Islam batte Occidente

Probabilmente ce ne vergogniamo tanto da mandare questa notizia quasi sotto silenzio, ma l’avvenimento di politica internazionale dell’ultima settimana è stata la presa di Mogadiscio, capitale della Somalia, da parte delle truppe di milizie islamiche, che hanno definitivamente cacciato dal potere i cosiddetti “signori della guerra”, che lo avevano a loro volta ottenuto all’inizio degli anni ’90 esautorando il dittatore Siad Barre (grande amico di Bettino Craxi).

Ricordate la Somalia? Fu proprio in seguito a quella sanguinosa rivoluzione che le Nazioni Unite inviarono una missione di pace, prevalentemente costituita da americani. Ricorderete forse le immagini da film di guerra dello sbarco dei marines sulla costa somala. Ricorderete certamente anche la storia della loro precipitosa fuga, raccontata in quel gran film che è Black Hawk Down. E, nel mezzo, anche dei morti italiani, il checkpoint Pasta, Ilaria Alpi e Miran Hrovatin.

Quel fallimento, insieme a quello in Bosnia, segnò la fine delle missioni di pace delle Nazioni Unite, sostituite dalla NATO e dalle “coalizioni di democrazie”. Eppure, la storia si ripete: nessuno degli sforzi occidentali per “conquistare” questi paesi alla causa occidentale è riuscito ad avere successo nel lungo termine, nè in Afghanistan, nè in Iraq. E, oggi, è evidente, nemmeno in Somalia.

Dove i tank dell’esercito americano hanno fallito, hanno invece avuto successo gli insegnamenti del Corano. Perchè? Non lo so, ma il mio sospetto cade sull’idea che, invece di essere centrati sulla violenza, questi insegnamenti propongano un modello di vita; un modello di sviluppo che invece di prevedere la colonizzazione e lo sfruttamento delle risorse da parte di ricche elite “collaborazioniste” (vedansi gli sceicchi in Ferrari) dà delle risposte plausibili, per quanto a noi sgradite, alle masse che muoiono di fame.

Si può occupare un paese con la forza, forse anche sconfiggerlo, ma non lo si può tenere in eterno contro la sua popolazione: è la lezione che Napoleone e Hitler appresero in Russia, e che gli americani hanno appreso in Vietnam e in Iraq. O meglio, dovrebbero ma non hanno, visto che ora parlano apertamente di invasione dell’Iran, un paese di 70 milioni di abitanti, grande cinque volte e mezzo l’Italia.

Mi verrebbe da dire “Auguri”, se non fosse che queste sono le persone che guidano il nostro blocco economico e culturale, e che quindi, nel lungo termine, ne decreteranno il successo. O la sconfitta.

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martedì 6 Giugno 2006, 20:53

Concorrenza in percorrenza

Quando arrivate a Manchester, c’è una cosa che subito vi colpisce. Non è un monumento e nemmeno una persona; è il trasporto pubblico.

A Manchester, non solo il trasporto pubblico è privato; ma, a differenza di Londra, hanno deciso di applicare fino in fondo il sacro principio di Adam Smith, e di promuovere una vera concorrenza.

La linea 42 – il numero, penso, non è scelto a caso – e le gemelle 43, 44, 45, 46 fanno su e giù lungo uno dei principali assi di scorrimento: la Oxford / Wilmslow Road, una strada nord-sud che collega il centro, la zona universitaria, e una serie di sobborghi dove vivono gli studenti (l’Università, difatti, è diventata la principale industria cittadina, dopo la chiusura delle grandi fabbriche).

E così, questa linea cruciale è servita non da una, non da due, ma da ben quattro compagnie diverse: tutte e quattro mandano i giro i propri autobus 42, tutti di colore diverso, tutti in lotta per caricare passeggeri.

Già, perchè se andate a vedere il sito ufficiale del trasporto mancuniano, troverete meravigliose descrizioni di pass, abbonamenti, orari. La realtà, però, è molto diversa: ciascuna azienda emette i propri biglietti, tra di loro incompatibili (altrimenti che concorrenza sarebbe?). L’utente, quindi, può scegliere quale autobus abbordare e a chi pagare il proprio biglietto.

Da una parte, il sistema ha l’effetto sperato: il servizio è continuo, perchè ciascuna di queste compagnie tenta di mandare per strada il maggior numero possibile di autobus, in modo da catturare più clienti; e le tariffe sono basse, tre sterline per un settimanale (a Londra un singolo viaggio in metro ne costa due).

Vi sono però anche altri effetti. La strada è stretta, a una sola corsia per senso di marcia, e piena di curve, scorre tra case e passaggi pedonali e auto parcheggiate; in tutto questo, questi enormi autobus a due piani fanno a portellate per passare, cercando di superarsi l’uno con l’altro per essere più veloci. Fermano un po’ dove capita, come gli viene comodo. E poi, al posto di un autobus ce ne sono quattro, ciascuno dei quali solitamente semivuoto; la strada si intasa subito, senza parlare del costo ambientale.

E naturalmente, essendo autobus per studenti e dovendo contenere i costi, gli autobus sono luridi, vecchissimi e scassatissimi; si dice che le compagnie del posto acquistino gli autobus che, dopo quarant’anni di servizio, a Londra stanno buttando via.

Infine, è inutile aspettarsi orari prevedibili; i pullman passano quando capita – ma spesso, alle fermate più frequentate, si fermano ed aspettano per parecchi minuti, in modo da riempirsi un po’ e non fare il viaggio a vuoto. D’altra parte, abbiamo dovuto attendere l’autobus per l’aeroporto quasi mezz’ora: in teoria un autobus su due dovrebbe andarci, in pratica quasi tutti accorciano il percorso solo ai sobborghi più popolati, perchè l’aeroporto è lontano lontano.

Insomma, alla fine non ho un giudizio definitivo su questo sistema, ma credo di preferire ancora il buon vecchio trasporto pubblico unificato e gestito dallo Stato…

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giovedì 1 Giugno 2006, 22:47

Fidanzatemi

E’ da un po’ di tempo che pensavo di fare per me stesso una cosa come questa (il sito è qui, anche se pare che abbiano fatto un po’ di casino con le configurazioni). In fondo, sarà poco romantico, ma un buon accoppiamento è anche frutto dell’incremento del numero puro e semplice dei casi possibili.

Del resto, il business più in crescita su Internet negli ultimi anni è quello dei siti di incontri, naturalmente suddivisi in quelli che puntano a trovarti l’anima gemella e quelli che puntano al puro sesso da una sera e via il prossimo (anche se, per motivi di pudore, la maggior parte di quelli del secondo tipo si traveste da sito del primo tipo). Non so se voglia dire che sono in crescita anche la solitudine, l’impazienza, l’insoddisfazione e la frammentazione dei rapporti del giovane medio, o se invece voglia dire che è un sistema che effettivamente funziona.

Comunque, da lì al sito personalizzato il passo è presto fatto. Che dite: ci provo?

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