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Archivio per la categoria 'NewGlobal'


domenica 27 Luglio 2014, 15:04

Lettera da un “razzista” a un antirazzista

Caro Carlo Gubitosa,

ti ringrazio per avere messo giù dettagliatamente tutte le tue osservazioni a quello che ho scritto l’altro giorno su Facebook sul CIE di Torino, aprendo così una discussione sul tema che, visti i commenti al mio post, è quanto mai necessaria; capisco anche che la cosa richieda da parte tua un certo coraggio, visto che impieghi cinque paragrafi di premessa per giustificare come mai tu accetti di parlare con un razzista a cinque stelle come me :-) Il problema principale, tuttavia, è che per buona parte del tuo articolo commenti cose che io non ho detto e non penso, ma ne parleremo nel dettaglio.

Il mio post, difatti, non è l’esposizione di una linea politica sull’immigrazione, ma il riassunto dei fatti che avvengono nel CIE di corso Brunelleschi e che sono stati raccontati nell’articolo di Quotidiano Piemontese che stavo commentando. Tra l’altro, QP è una testata locale di cui conosco personalmente direzione e redazione e che è tra le più serie e affidabili della città, come e più dei quotidiani.

Inoltre, fatti simili mi sono stati raccontati personalmente lo scorso autunno, quando sono andato in sopralluogo consiliare al CIE, direttamente dalle forze dell’ordine e dai volontari della Croce Rossa che ci lavorano dentro; peraltro gli stessi ragazzi dei centri sociali rivendicano abbastanza apertamente la loro opera di sostegno alle rivolte nel CIE, funzionale alla loro idea che i CIE siano lager da eliminare con la lotta.

Insomma, non capisco lo scandalo per avere riportato quella che è una realtà conosciuta da tutti quelli che seguono da vicino il CIE di corso Brunelleschi, compresi gli abitanti esasperati delle case circostanti, che hanno raccontato come alle due di notte vengano regolarmente svegliati dall’apparizione del centro sociale petardi alla mano.

O meglio, lo capisco in quanto sull’immigrazione da anni si svolge uno scontro tre metri sopra il cielo tra ideologie contrapposte, quella di chi dice che gli immigrati sono tutti buoni, compresi quelli che delinquono (povere vittime, scappano dalla fame, lo fanno per sopravvivere, sono sfruttati dagli italiani ecc.), e vanno fatti entrare in Italia senza limiti, e quella di chi dice che gli immigrati sono tutti cattivi e vanno cacciati a pedate, ovviamente dopo averli sfruttati il più possibile facendoli lavorare in nero e senza garanzie.

Ciascuna delle due parti si rifiuta di accettare l’esistenza nella realtà di fatti che smentiscano la propria posizione, e propone dunque politiche migratorie totalmente slegate dalla realtà dei fatti e quindi destinate al fallimento; e così siamo andati avanti per oltre vent’anni senza mai riuscire a gestire decentemente i problemi sociali connessi all’immigrazione di massa, che pure, come altri hanno ricordato nella discussione, molti altri paesi europei hanno accolto e gestito da ben prima di noi e con numeri ben superiori.

Certo, a questo punto mi viene da chiedere se negli altri Paesi europei, quelli già multietnici e integrati, le frontiere sono aperte a tutti gli aspiranti immigrati (no, bisogna avere un visto e chi non ce l’ha viene fermato ed espulso) e se ci sono i CIE (sì, ci sono, e dove non ci sono si usano direttamente le prigioni). Prova ad andare in Inghilterra o in Germania senza visto e senza documenti, senza essere un rifugiato politico, e vedi se ti trattano diversamente che in Italia.

Sicuramente nei loro CIE non ci sono disorganizzazione, mancanza di fondi e onesti cittadini locali con agganci politici che ci speculano sopra come succede in Italia, ma questo non toglie che in qualsiasi Paese europeo, se tu vieni trovato senza visto e/o senza documenti, vieni fermato, identificato e infine espulso; e, aggiungo io, la certezza delle regole, che loro hanno e noi no, aiuta parecchio anche l’integrazione, sia nella percezione da parte degli abitanti del posto che c’è qualche forma di controllo su chi arriva, sia nella percezione di chi arriva sull’opportunità di rispettare le leggi del posto in cui è giunto.

Comunque, questa frontiera ideologica che divide il mondo in due soli colori – da una parte chi vuole chiudere i CIE e aprire le frontiere senza condizioni, dall’altra “i razzisti” – è quella che spesso impedisce alle persone come te, pur animate dalle migliori intenzioni, di vedere la realtà. Per esempio, già all’inizio tu tiri in ballo i rom della Continassa, che non si capisce cosa c’entrino coi CIE, per provare che Torino è una città piena de “i razzisti”, che vanno a bruciare i rom per via di una falsa notizia letta sul giornale degli Agnelli. Io ti faccio notare che quelli che hanno bruciato le baracche erano ultrà della Juventus, e che anche grazie a quell’episodio due mesi dopo il consiglio comunale ha approvato tra gli applausi (noi esclusi) una “riqualificazione” che ha concesso quei terreni alla Juventus, cioè agli Agnelli, per 0,58 euro al mq all’anno, per realizzarci una lucrosa mega-operazione immobiliare; ma gli “antirazzisti” sono troppo presi a puntare il dito contro “i razzisti”, che vedono ovunque, per capire cosa succede veramente.

La coperta si estende anche alle parole; per esempio, tu mi dici, non bisogna usare il termine “clandestino” – che è, semplicemente, una parola come un’altra per indicare la condizione di chi si trova in un Paese senza averne titolo, e non implica affatto che chi la usa abbia la torcia in mano per andare a bruciare i rom – ma “irregolare”. Queste sono le battaglie che fanno impazzire di entusiasmo la sinistra italiana: quelle sulle parole. In effetti, dopo vent’anni la sinistra ha conseguito una grande vittoria: non si parla più di “immigrati” ma di “migranti”. Poi, nonostante numerosi governi di centrosinistra, i “migranti” continuano a essere trattati esattamente come quando erano “immigrati” e le tensioni sociali sono più alte che mai, ma la sinistra ha conseguito una grande vittoria a parole.

Ora, torniamo ai fatti raccontati nell’articolo di QP e riassunti nel mio post. L’articolo menziona esplicitamente che i “migranti irregolari” protagonisti della rivolta avevano diversi precedenti penali, che è quello che ho scritto; anche quando ho visitato il CIE, i lavoratori ci avevano raccontato che tipicamente le rivolte partono dagli immigrati con precedenti penali che finiscono nei CIE perché non hanno un lavoro regolare in quanto delinquenti, e che questa categoria costituisce una parte significativa degli ospiti del CIE, contrariamente a quanto spesso pensa l’opinione pubblica, che crede che nei CIE ci finiscano quelli appena sbarcati da Lampedusa.

Io non ho scritto da nessuna parte, come tu asserisci, che “più immigrazione uguale più criminalità”. Penso che la criminalità sia in aumento, sia da parte degli italiani che degli immigrati, perché abbiamo rinunciato a mantenere la legalità e, grazie a Berlusconi e ai suoi alleati del PD, abbiamo distrutto la giustizia, depenalizzato, amnistiato, e affamato le forze dell’ordine, che non sono tutte come quelle che vengono a manganellare in Valsusa; per la maggior parte si tratta di gente che rischia la vita per la collettività per uno stipendio da fame.

Ti faccio notare che la tua statistica che dice che i reati non sono in aumento si ferma al 2003, e che credo che le cose siano molto cambiate negli ultimi anni, anche perché se provi a denunciare un microreato urbano spesso è la stessa polizia che ti manda via dicendo che non serve a niente, dunque tra reati denunciati e reati effettivi c’è una certa differenza. Tuttavia, non penso che l’aumento della microcriminalità sia legato agli immigrati. Al massimo, potrebbe essere diverso il tipo di criminalità: gli immigrati rubano i portafogli sul pullman, gli italiani rubano nella dichiarazione dei redditi, e i primi sono più visibili dei secondi. Al massimo, l’incremento della criminalità può essere legato – in subordine a quanto detto sopra, che è il fattore principale, e alla crisi economica – alla mancanza di politiche efficaci per l’integrazione, che mancano perché noi siamo ancora qui a discutere se chi non vuole bruciare i CIE è uno de “i razzisti” oppure no.

Quanto al tuo invito a considerare che nei CIE potrebbero esserci anche persone che non hanno fatto niente, non ce n’è bisogno perché lo so già; quando sono entrato in corso Brunelleschi, c’era una povera signora cinese che era stata spedita in Italia, aveva lavorato come schiava in un laboratorio cland… scusa, irregolare, e poi era stata trovata e messa nel CIE. Tuttavia, non sono questi quelli che avviano le rivolte descritte nell’articolo di cui stavo parlando, ovvero il soggetto del punto 1 del post.

Veniamo alla scheda telefonica: nel CIE, agli ospiti (detenuti? qual è la parola che devo usare per non essere chiamato razzista?) viene concesso di tenere un telefonino, purché senza fotocamera, e viene concesso di spedire i volontari della Croce Rossa a comprare le ricariche dal tabacchino di fronte, pagandole coi 3,50 euro di diaria che ricevono. Questo è un dato di fatto, anche questo raccontatoci durante la visita al CIE da chi lo gestisce. A me sembra giusto che chi viene detenuto in una struttura possa telefonare, sembra solo assurdo che possa telefonare per organizzare una rivolta, ma non saprei nemmeno come fare per impedirlo.

Anche il fatto dei contatti telefonici tra alcuni detenuti e il centro sociale di zona, con conseguente lancio di materiale atto alle rivolte da fuori a dentro il muro, ci è stato raccontato all’epoca; ho anche la foto (è nel post di novembre che ho linkato più sopra) di una cancellata di ferro tagliata durante un tentativo di fuga e poi rattoppata, e dato che non puoi portarti dentro il CIE uno strumento atto a tagliare una spessa cancellata di ferro, mi pare più che credibile che qualcuno gliel’abbia lanciato dentro (l’alternativa è che gliel’abbia dato la Croce Rossa, se preferisci).

Ora, capisco che per gli antirazzisti la polizia italiana e la Croce Rossa facciano senz’altro parte in blocco de “i razzisti” e dunque mentano, però le cose raccontate, confermate a molto tempo di distanza dall’articolo di Quotidiano Piemontese, mi sembrano perlomeno molto credibili; per smentirle vorrei qualcosa di più che una invettiva sul mio razzismo, non suffragata da alcun dato di fatto e piena di cose che non ho detto.

Veniamo infine alla questione politica. Ovviamente non esiste un complotto organizzato per cui il politico di sinistra chiama il centro sociale e organizza una rivolta al CIE. Se mai, esistono forze politiche, da SEL a FDS, che strumentalizzano qualsiasi occasione possibile, a partire da queste rivolte, per ripetere “votate per noi perchè gli altri sono tutti razzisti”, e vivacchiano facendo di questo uno dei propri punti qualificanti per ottenere voti e poltrone.

Peraltro, a giudicare dagli ultimi risultati elettorali, direi che ne ottengono anche pochi, e che questo atteggiamento sull’immigrazione è una delle cause primarie della sparizione della sinistra in Italia. E scusami se su questo mi incazzo e reagisco con post come quello di cui parliamo, un po’ tranchant, lo ammetto. Mi incazzo perché io nella sinistra ci sono cresciuto culturalmente e perché l’ho votata più e più volte, l’ultima ancora alle europee del 2009 – mentre il resto del mio partito, compresi quelli che ora vengono a dirmi che sono la vergogna del M5S e parte de “i razzisti”, votava per Giggino ‘O Manetta perché ci vuole ordine e disciplina – per sostenere una persona conosciuta direttamente che mi aveva molto ben impressionato, Ciro Argentino. Mi incazzo perché, fino a un po’ di anni fa, nella sinistra ci credevo, prima che si suicidasse da sola.

Insomma, la sinistra italiana è andata a puttane anche perché passava il tempo a dare dei razzisti a tutti gli altri, invece di contribuire a una soluzione razionale e concreta dei problemi che l’immigrazione crea, inevitabilmente e normalmente. Ma i problemi sono sotto gli occhi di tutti, e gli italiani vorrebbero vedere delle soluzioni; è proprio la mancanza di soluzioni che li fa diventare sempre più razzisti. Gli italiani non vogliono schierarsi tra un politico che grida “immigrati merde umane al rogo” e uno che grida “immigrati poverini venite tutti qui a milioni”, vorrebbero che chi viene qui per lavorare venisse accolto, protetto e integrato, mentre chi viene qui e delinque, spaccia, picchia il controllore che gli chiede il biglietto, venisse mandato via. Vorrebbero che anche gli immigrati fossero trattati da individui, in funzione di come si comportano individualmente, invece che come categoria astratta funzionale a una bella litigata a Ballarò. Non mi pare che chiedano troppo.

Ah, quanto ai CIE, io sono favorevole a chiuderli, e l’ho detto in tutte le salse; per questo mi sono stupito quando tu, invece di cogliere con me l’ennesima dimostrazione del fatto che i CIE non servono a niente – né per chi vuole più immigrazione, né per chi ne vuole di meno – ti sei messo ad accusarmi di razzismo. Peraltro, il brano di rapporto che tu citi a fine articolo non dice di chiudere i CIE e aprire le frontiere, dice di chiudere i CIE identificando gli “irregolari” in prigione; cosa che non si può più fare dopo avere abolito il reato di clandestinità.

Comunque, io sono favorevole a trovare una soluzione alternativa che permetta di gestire l’identificazione e l’espulsione di chi non ha titolo di restare in Italia in modo più umano. Non sono però favorevole a chiudere i CIE senza alternative, e non sono favorevole a farmi prendere in giro dal centrosinistra; per questo, quando mesi fa il consiglio comunale voleva “decidere di chiudere il CIE-lager e lasciare tutti liberi”, dopo che alcune mie proposte migliorative sono state respinte, ho votato contro.

Noto che dopo mesi è successo esattamente quello che avevo previsto all’epoca, cioè che i partiti che hanno proposto e votato quella mozione, pur essendo al governo nazionale, comunale e ora anche regionale, non hanno chiuso il CIE. Hanno preso in giro innanzi tutto te che hai particolarmente a cuore la sorte degli immigrati. Ma tu, a quanto pare, sei contento di farti prendere in giro, basta che ogni tanto ti diano un “razzista” da additare.

P.S. Inoltre, io sono anche un po’ stufo di sentirmi dare gratuitamente del razzista in pubblico, avendo anche una onorabilità da difendere. In particolare, sono stufo di trovarmi addirittura colleghi di Movimento che vengono sotto i miei post a promettere la mia espulsione.

Difatti, su questa materia non esistono posizioni nazionali del Movimento, dato che nel programma non se ne parla e che (salvo un solo caso) non ci sono stati pronunciamenti della rete; esistono posizioni individuali molto variegate, ma tutte legittime fin tanto che non escono dalla civiltà, dalla pace e dalla democrazia. Pertanto tutte le posizioni su questo argomento si intendono prese a titolo personale, e ognuno può legittimamente dire la propria.

Ora, io vorrei proprio sapere una volta per tutte se questa cosa è cambiata, e se invece l’unica posizione ammessa nel Movimento è quella che passa il tempo a cercare “i razzisti” in chiunque sollevi qualsiasi problema sull’immigrazione, perché sarebbe onesto dirlo chiaramente agli attivisti, ai portavoce e agli elettori che non la condividono.

Sono ancora più perplesso se sotto il mio post mi trovo un collega di Movimento che, oltre a chiedere la mia espulsione in quanto razzista, aggiunge affermazioni come “quelli della Croce Rossa sono sbirri infami” e “io raderei al suolo Israele”. Ecco, se mai queste sono posizioni che secondo me esulano dalla civiltà, dalla pace e dalla democrazia, e forse sarebbe ora di chiedersi se queste persone, invece che io, sono compatibili col Movimento 5 Stelle: credo sarebbe giusto per tutti saperlo.

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mercoledì 19 Febbraio 2014, 19:07

CIE, chiudiamo la demagogia

Il mio voto negativo alla mozione di SEL e PD sui CIE ha fatto molto discutere, e dunque ci torno sopra, anche se la mia posizione era precisa e già discussa in rete tre settimane fa; ma evidentemente ancora non è chiara.

Potete vedere nel video quello che ho veramente detto in aula. In breve, io condivido l’idea di chiudere i CIE, sia perché disumani che perché inefficienti, ma credo che i flussi migratori vadano regolati e dunque che ci sia bisogno di garantire che chi non è in regola vada espulso: è inutile darsi delle regole per entrare in Italia se poi non le si fa rispettare. Ho detto che avrei votato favorevolmente se i proponenti della mozione avessero accolto questa precisazione, che ho presentato come emendamento, ma loro hanno rifiutato e dunque ho votato contro, come avrei votato contro a una mozione altrettanto ideologica presentata dal centrodestra.

La mozione di ieri, peraltro, non decideva nulla, semplicemente perché non è il Comune a decidere se chiudere o meno i CIE. Vedrete che tra sei mesi il CIE di corso Brunelleschi sarà ancora lì (la prefettura ha pubblicato da poco la gara d’appalto per la gestione per il prossimo triennio…); se non lo sarà, sarà perché il governo ha deciso di fare qualche manovra ad effetto, salvo poi rifare una cosa simile con un altro nome da qualche altra parte.

Difatti, non esiste alcun Paese che sia privo di un modo per allontanare forzatamente chi non è in regola, e se questo modo non ci fosse il risultato sarebbe uno solo, ovvero le frontiere aperte per tutti; giacché non esiste un immigrato che se ne vada semplicemente perché riceve un foglio che gli dice di andarsene. E io credo che le frontiere aperte per tutti, tanto più in un momento di crisi, portino solo guerra tra poveri, sfruttamento e ulteriore razzismo.

E’ decisamente scorretto, come ha fatto Repubblica in questo articolo, scrivere che il M5S si schiera contro la chiusura dei CIE e basta, senza riportare che io – come vedete nel video – ho detto chiaramente di volerne la chiusura. Il Fatto Quotidiano spiega meglio, almeno nell’occhiello, che io sono favorevole alla chiusura ma contrario a una mozione che non presenta prospettive per gestire l’immigrazione, se non quella di rinunciare a porre qualsiasi regola all’immigrazione. Repubblica fa disinformazione contro il M5S, ma questa non è nemmeno una notizia.

Questa mozione è pura demagogia, come lo è praticamente tutto quello che i partiti, di destra e di sinistra, hanno detto e fatto in vent’anni sull’immigrazione, portandoci alla situazione che vediamo, e che danneggia in primo luogo gli immigrati regolari. Lo prova l’unico confronto che ho potuto avere con i proponenti, in particolare col capogruppo Curto di SEL, tra ieri e stamattina sulla sua bacheca Facebook (difatti non hanno nemmeno voluto discutere la mozione in commissione, portandola direttamente al voto in aula).

Alla fine, gli ho chiesto quali sono i Paesi che per loro sono il modello di politiche sull’immigrazione, quelli che puntano sugli immigrati per la crescita economica aprendogli le porte. La risposta è stata “i paesi sudamericani” e “la Francia e il centro Europa”, seguita da altri che dicevano “gli Stati Uniti”, “l’Inghilterra”, “la Spagna”.

Peccato che questi siano tutti Paesi in cui se ti azzardi a entrare senza visto vieni buttato fuori senza tanti complimenti; in Francia e in Spagna vige la stessa direttiva europea che la mozione definiva “una violazione inqualificabile dei diritti umani” e ci sono i CIE, anche più grossi dei nostri, mentre in Germania c’è direttamente la prigione; e negli Stati Uniti basta il sospetto che tu voglia lavorare illegalmente per farti finire in prigione e poi su un volo di ritorno. Non so quali siano i Paesi sudamericani che sogna Curto, ma pure lì devi avere un visto che dipende da chi sei e da cosa vuoi fare, e se non ce l’hai e ti beccano ti allontanano a forza.

Insomma, alla fine questa società fantastica in cui tutti i poveri del mondo entrano senza limiti e prosperano senza confini nella soddisfazione generale – una società per cui tutti potremmo fare la firma – non esiste se non nella loro testa, e come strumento di campagna elettorale demagogica. E io, mi spiace, non sono disposto ad unirmi al coro della demagogia sull’immigrazione, né in una direzione né nell’altra; e sarebbe davvero ora che così facessimo tutti.

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martedì 4 Febbraio 2014, 17:44

Lo Stato siamo tutti

Da tempo racconto con preoccupazione il clima di tensione e di rabbia che cresce nel Paese. La scorsa settimana, tuttavia, è avvenuto un salto di qualità in questo clima; lo percepisco ogni giorno per strada e su Internet.

In molti, a quanto pare, hanno perso la calma e si sono avviati a una specie di guerra civile a parole. Persone che conosco da anni, ex colleghi, amici, improvvisamente mi tolgono il saluto e cominciano a postare a ripetizione su Facebook link che denunciano il pericolo posto dal M5S alla democrazia, come se il M5S fosse la radice di tutti i loro problemi. Una signora con cui discutevo di tutt’altro argomento a un certo punto mi fa “e allora pensi che solo perché sono una donna sono una pom… come dite voi?”; un amico di vecchia data che non sentivo da un po’, invece di salutarmi e chiedermi come stavo, mi ha approcciato con “Vergognati, voi grillini fascisti siete la rovina dell’Italia!”. Tale è l’effetto della propaganda di massa, al punto da trasformare la tua persona anche agli occhi di chi ti dovrebbe conoscere bene.

Tutto questo, naturalmente, accade anche in senso opposto; Facebook è pieno di miei contatti che promettono battaglia senza quartiere a chiunque sostenga i partiti, e non abbiamo mai avuto tante richieste di partecipazione al Movimento 5 Stelle come in questi ultimi giorni. Molti hanno apprezzato la nostra lotta senza compromessi, senza farci annacquare dal sistema e allettare dalle poltrone, e questo è ottimo. Tuttavia, è come se fosse in corso una specie di arruolamento, una divisione profonda dell’Italia in eserciti contrapposti, una scelta obbligata, o da una parte o dall’altra; e questo mette paura.

Per questo ci sono alcune cose che vorrei dire. La prima è che si può, anzi si deve, fare opposizione dura e inflessibile, anche manifestando in modo clamoroso come nei giorni scorsi, senza per questo insultare gli altri. La maleducazione, il sessismo, la violenza verbale squalificano chi li usa; se gli altri lo fanno, lasciamoglielo fare; saranno loro a doversene vergognare. Capisco benissimo che assistere in prima persona allo schifo e alla farraginosità della politica nazionale faccia perdere la pazienza, e umanamente succede (è successo anche a me) di sbottare o perdere la calma o rispondere pubblicamente in modo inopportuno, ma questo va evitato il più possibile perché permette agli altri di attaccarci strumentalmente, sfruttando i media al loro servizio.

La seconda è che io voglio cacciare i politici incapaci e corrotti che ci hanno governato; li voglio processare per i reati che possono avere commesso e, se giudicati colpevoli, punire come previsto dalla legge; gli voglio chiedere indietro i soldi che hanno sprecato o rubato. Non voglio mescolarmi a loro, ma non li voglio insultare, non li voglio picchiare, non li voglio uccidere; non mi piacciono gli eserciti e non voglio nessuna guerra né reale né metaforica.

La terza è che lo Stato non è un campo di battaglia che il proprio esercito deve conquistare annientando quello degli altri. Quello succedeva nell’epoca tribale o in quella feudale, non in democrazia. Lo Stato democratico siamo tutti, siamo i nove milioni che sostengono il M5S come i nove milioni che sostengono il PD, come quelli che hanno votato altri partiti e come la fetta maggiore, i tredici milioni di elettori che non hanno votato per nessuno. Lo Stato ideale abbraccia tutti i cittadini e considera con uguale attenzione le esigenze di ciascuno di loro, cercando di mediarle.

La stessa parola “Parlamento” nasce da un verbo preciso: parlare. Sorial e Boldrini, Dambruoso e Lupo, Moretti e De Rosa non sono pagati da tutti noi per andare lì a litigare, e nemmeno per portare avanti una battaglia tra di loro per chi ha più ragione; sono scelti e pagati per discutere e per prendere tutti insieme la scelta migliore nell’interesse complessivo degli italiani. Se chi governa attualmente agisce in maniera scorretta e per interessi privati, se non è disponibile ad accogliere le proposte che facciamo nell’interesse comune, noi dobbiamo continuare a denunciarlo e smascherarlo; ma dobbiamo sempre tenere presente che siamo lì per risolvere i problemi facendo il bene di tutti, rispettando anche i cittadini che la pensano diversamente da noi, e se mai cercando di convincerli con le idee e con i fatti.

Questo, in una democrazia, è il principio della politica; perché per affrontare i problemi solo con la rabbia, pur comprensibile e giustificata, non servirebbe un Parlamento.

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domenica 26 Gennaio 2014, 13:29

Sulla mozione per la chiusura dei CIE

In questo inizio di 2014, l’amministrazione di Fassino ha deciso di attaccare con rinnovato vigore i veri problemi della città. Bene, direte voi, allora di cosa si parla? Lavoro? Casa? Inquinamento? Traffico?

Beh, non proprio: dopo l’invito alla legalizzazione della marijuana e l’equiparazione delle coppie di fatto nell’accesso alle tombe di famiglia – provvedimenti che noi abbiamo pure condiviso, ma che forse non erano proprio la priorità numero uno – questa settimana l’urgenza individuata da PD e SEL è la chiusura dei CIE.

E’, secondo loro, talmente urgente che giovedì hanno scritto una mozione, venerdì l’hanno dichiarata (a colpi di maggioranza) di urgenza totale e imprescindibile e così domani la metteranno in votazione in consiglio comunale. E dunque, io e Chiara saremo chiamati domani a prendere una decisione su come votare, e per questo io dedico la mia domenica mattina a spiegarvi il problema affinché possiate esprimere una opinione.

Per prima cosa, comunque, vi rimando al post di novembre sulla mia visita al CIE, per farvi un’idea direttamente di cos’è e come funziona questa struttura.

A riguardo del testo della mozione, le mie prime considerazioni sono queste: gran parte delle premesse (direi il primo, secondo e quarto blocco) sono condivisibili, e riguardano il fatto che i CIE sostanzialmente non funzionino rispetto allo scopo per cui sono stati istituiti. Da una parte, infatti, rappresentano un ambiente degradato e degradante per persone che comunque non hanno commesso alcun reato, e che però, stando lì, diventano per forza di cose più furiose e antisociali di prima; dall’altra, non riescono ad espellere che metà circa delle persone che vi vengono inviate, per cui le altre alla fine escono e restano tranquillamente in Italia; tutto questo a fronte di costi esorbitanti, continui problemi di ordine pubblico e disturbo anche a chi ci abita attorno (a cui, quindici anni fa, era stato promesso che il CIE sarebbe stato lì soltanto per qualche anno). E dunque, la richiesta di chiudere il CIE di corso Brunelleschi, e in generale di abbandonare l’intero meccanismo dei CIE sostituendolo con qualcos’altro di più efficace, è secondo me condivisibile.

Quello che invece nella mozione io non condivido è l’approccio ideologico evidente nel blocco “ritenuto che” e nelle due richieste finali al sindaco e alle istituzioni nazionali. Tra le affermazioni e le richieste che si fanno in queste parti ci sono:

  • che è ingiusto detenere gli immigrati clandestini in attesa di espulsione, senza lasciarli andare in giro liberamente, e che questa è una “inqualificabile violazione dei diritti umani”;
  • che già che ci siamo, oltre a chiudere i CIE, dovremmo rivedere le leggi per dare anche la cittadinanza e il diritto di voto (agli immigrati clandestini?!?);
  • che la detenzione degli immigrati clandestini deve essere decisa solo da un giudice e non da un giudice di pace o da un provvedimento amministrativo.

Peccato che la detenzione degli immigrati clandestini fino a 18 mesi, su provvedimento anche amministrativo, sia semplicemente quanto previsto dalla direttiva europea sui rimpatri, che prevede che a fronte di uno straniero che non ha diritto di rimanere in Europa gli si dia (art. 7) un periodo da sette a trenta giorni per andarsene volontariamente, con la possibilità di imporre l’obbligo di residenza o eliminare questo periodo in caso di rischio di sparizione, finito il quale (art. 8) “gli Stati membri prenderanno tutte le misure necessarie per far rispettare la decisione di rimpatrio”; a questo scopo è prevista, con tutta una serie di salvaguardie, la possibilità di detenere lo straniero se non vi siano altre misure efficaci (art. 15), prevedendo un massimo di sei mesi che può essere esteso a diciotto se l’individuo o il suo Paese non collaborano al rimpatrio (difatti uno dei principali motivi per cui non si riescono a rimpatriare gli ospiti dei CIE è che diversi Paesi fanno di tutto per non riprenderseli).

Come mostra questa mappa, tutti i Paesi europei hanno centri di detenzione per gli immigrati clandestini, sia nella fase di prima accoglienza e identificazione che nella fase di partenza per il rimpatrio; Germania, Danimarca, Svizzera e Irlanda li tengono direttamente in carcere. A questo punto, o il Parlamento Europeo e tutti gli altri Paesi europei sono degli inqualificabili violatori dei diritti umani, o c’è qualcosa che non va nel ragionamento della mozione.

Tra l’altro noi pensiamo sempre a chi sbarca dai barconi, ma la grande maggioranza dei clandestini ormai sono persone precedentemente regolari che hanno perso il lavoro e non ne hanno ritrovato uno nel tempo concesso, e che quindi sono prive di mezzi di sussistenza e, non avendo alle spalle una rete sociale, hanno spesso poche alternative al finire a rubare o anche peggio.

La questione di fondo, quindi, è molto semplice. Se uno crede che l’immigrazione, anche essendo una risorsa importante e positiva per un Paese, vada regolata, definendo un numero massimo di stranieri che è possibile accogliere in base alle necessità e alle disponibilità socioeconomiche della nazione e stabilendo dei criteri di ammissibilità, allora inevitabilmente esisteranno i clandestini, ovvero persone che provano lo stesso a entrare o rimanere nel Paese anche quando non rientrano nei vincoli posti; e in un Paese serio, che fa leggi non per dar fiato alla bocca e fare un titolo sul giornale ma per regolare la convivenza di tutti, una persona che non è autorizzata a stare lì deve venire espulsa; e poiché per forza di cose chi tenta di entrare non ha intenzione di farsi espellere, è quasi sempre necessario farlo con la forza.

Si può benissimo discutere su quali sono le condizioni per espellere qualcuno, e ad esempio essere più accoglienti con gli stranieri regolari che perdono il lavoro; si può, anzi si deve garantire un trattamento migliore e più umano per le persone soggette alla procedura di espulsione, che non può essere trascinata per mesi e mesi. Ma non si può prescindere da un sistema di trattenimento e accompagnamento forzato alla frontiera di chi va espulso, e dunque non si può fare a meno di qualcosa che funzioni come un CIE.

Se invece non si vogliono i CIE, e anzi si cerca di aggiungere ostacoli e cavilli alle procedure di espulsione, di fatto si sta dicendo che non si vuole espellere mai nessuno, e che si vuole una immigrazione incontrollata e senza limiti. Ma una immigrazione di questo tipo serve solo a qualcuno: a chi detiene il potere economico, a cui fanno comodo grandi masse di immigrati tenuti ai margini della società e disposti a lavorare a condizioni inaccettabili per gli italiani, creando una guerra tra poveri che permette di distruggere tutti i diritti sociali conquistati in cent’anni di lotte, e che offre facili capri espiatori della crisi economica alla gente comune, evitando che essa se la prenda con chi veramente la sfrutta.

Spiace che a portare avanti questa trappola siano i partiti cosiddetti di sinistra, ma delle due l’una: o non hanno capito niente del mondo globalizzato, o sono venduti al potere.

Per questo motivo, secondo me la mozione così come presentata non può essere votata; sono incerto se proporre la riscrittura delle parti che non condivido, operazione che tuttavia difficilmente incontrerà il favore dei proponenti, a maggior ragione vista l’ostinazione con cui hanno voluto votarla di corsa senza discuterla con calma. Ad ogni modo, siamo qui per ascoltare e dunque leggerò con piacere i commenti di tutti.

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mercoledì 8 Gennaio 2014, 12:38

L’Italia e l’Europa

Qualche giorno fa, Beppe Grillo ha rilanciato il manifesto del Movimento 5 Stelle verso le elezioni europee, già presentato un mese fa a Genova. Si tratta di sette grandi linee che non coprono tutto il dettaglio delle competenze dell’Unione Europea, ma che vogliono evidenziare alcune priorità: il referendum sull’euro, la lotta all’austerità imposta dalla finanza globale, l’investimento sull’innovazione e sull’autosufficienza alimentare nazionale.

Trasversalmente a queste priorità, tuttavia, resta da affrontare il discorso di fondo: quello del rapporto tra l’Italia e l’Europa. In questi vent’anni, difatti, i partiti italiani hanno abusato di questo rapporto; hanno contemporaneamente indicato l’appartenenza all’Unione Europea e all’euro come un dogma indiscutibile e scaricato sull’Europa la colpa di qualsiasi sacrificio venisse imposto agli italiani.

E’ chiaro che il risultato a medio termine di una propaganda di questo genere non può che essere la nascita di un forte sentimento antieuropeo, sempre più diffuso tra i cittadini, secondo il semplice ragionamento “se i sacrifici sono imposti dall’Europa, usciamo dall’Europa e non ci saranno più sacrifici”. E così, le elezioni europee rischiano di diventare uno scontro aperto tra chi dice che l’Unione Europea va bene così e chi vorrebbe distruggerla e basta.

Eppure, bisognerebbe ricordarsi che il processo di integrazione europea è nato per motivi più profondi di quelli economici. L’Europa unita nasce dalle rovine della seconda guerra mondiale, dai campi di concentramento e dalla distruzione di gran parte dell’intero continente, ridotto a giardinetto di due grandi potenze sostanzialmente estranee, potenze che erano a loro volta diventate tali grazie a un lungo processo di integrazione di stati o di popoli diversi. I singoli Paesi europei, se non si uniscono, rischiano di continuare a uccidersi in guerre fratricide o comunque a diventare sempre più marginali rispetto a Stati Uniti, Russia, e oggi Cina, e domani India e magari anche Brasile; nazioni che in gran parte avrebbero da guadagnare dall’esplosione dell’Unione Europea e dalla fine dell’euro.

La questione, quindi, è come unire i paesi europei in modo che nessuno, e nello specifico l’Italia, ne abbia a soffrire. Un conto, difatti, è un’Europa in cui l’unione fa la forza, e un conto è un’Europa in cui alcuni si arricchiscono e altri fanno la fame, e che invece di generare più ricchezza per tutti si limita a trasferire la ricchezza di un pezzo di continente verso un altro pezzo.

Noi italiani, innanzi tutto, dobbiamo assumerci la responsabilità dei nostri errori e delle nostre manchevolezze. Non è colpa dell’Europa se noi siamo uno dei Paesi più disonesti, corrotti, privi di meritocrazia, disorganizzati, ignoranti e manipolati dai media: è colpa nostra e della classe dirigente a cui abbiamo affidato questo Paese. Questa arretratezza è un elemento fondamentale del nostro impoverimento e non possiamo darne la colpa all’euro o ai tedeschi.

Allo stesso tempo, però, il modo in cui è gestita l’Europa, senza grande democrazia e senza mettere al primo posto il benessere dei cittadini, non è accettabile; serve un’Europa in cui i Paesi non siano in competizione tra loro, ma in collaborazione, e per questo serve un nuovo patto di convivenza in cui i Paesi in questo momento più forti sostengano i cittadini (non le banche) dei Paesi più deboli in cambio di riforme che, a differenza di quelle imposte in Grecia, affrontino alla radice i problemi culturali, sociali e civici del Paese per mettere le basi dello sviluppo futuro, invece di limitarsi al rientro dal debito a costo di un massacro sociale non solo metaforico.

Se però la disponibilità a questo patto non ci dovesse essere, se a conti fatti a noi dovesse convenire lo sgancio dalla moneta comune, possibilmente non da soli ma con un blocco di Paesi mediterranei tali da dare solidità a una nuova unione e una nuova valuta, non c’è alcun motivo per non farlo.

L’Italia è, difatti, uno dei Paesi meno capaci a difendere i propri interessi nazionali. In tutto il mondo ogni nazione regola i flussi di ingresso e uscita di capitali, merci, alimenti, energia e anche persone secondo l’interesse del proprio Paese; questo scontro di interessi si verifica anche nella definizione degli accordi europei che regolano la nostra vita. A forza di spedire a Bruxelles i trombati di ogni colore, gente che magari non sa nemmeno dire due parole in inglese quando incontra i colleghi e che vive l’Europa come un ripiego o come una pensione dorata, l’Italia si è spesso fatta fregare. Aggiungiamoci il fatto che da noi difendere gli interessi nazionali sembra spesso una vergogna, una roba da pezzenti o da fascisti: non possiamo stupirci se poi in sede europea abbiamo la peggio.

Per questo il Movimento 5 Stelle può offrire una prospettiva veramente nuova nel rapporto tra Italia ed Europa, come i partiti non hanno mai fatto; a patto che abbia chiaro quale Europa vuole costruire. E voi, che ne pensate?

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martedì 24 Dicembre 2013, 17:21

Una maledetta parola (Intervento sulla residenza ai profughi)

“La politica di diritti ne promette a iosa, perché c’è questa abitudine della politica italiana di promettere diritti a tutti, anche se non siamo in periodo elettorale – anzi, forse ormai siamo in periodo elettorale sempre -, comunque di fare una dichiarazione di principio, condivisibile e giusta fin che si vuole, ma poi di non preoccuparsi della possibilità effettiva di implementare quello che si promette.

E’ questo il problema, perché poi il risultato pratico di un approccio di questo genere è che il costo di questa accoglienza, giusta e sacrosanta eccetera, non lo pagherò io, non lo pagherete voi, non lo pagheranno quelli che si incatenavano né quelli che non si incatenavano, perché tutti noi torneremo a casa, mangeremo il nostro panettone, siamo tutte persone che bene o male non hanno problemi ad arrivare a fine mese; lo pagheranno quelli che veramente sono nelle nostre periferie e aspettano l’accoglienza e non riescono ad averla perché lo Stato italiano non ce la fa più ad accogliere le persone che perdono il lavoro, che perdono la casa.

E soltanto la settimana scorsa si è impiccato un signore di cinquant’anni perché ha avuto lo sfratto, in questa città, e io non ho sentito una maledetta parola in questo consiglio comunale per questa persona.”

Alla fine, come già vi avevo anticipato, mi sono astenuto a riguardo della concessione della residenza ai profughi, non perché non condivida il principio, ma perché non condivido l’ipocrisia con cui la politica italiana affronta queste cose. Come sempre, io sono un portavoce dei cittadini e credo che il complesso del mio voto astenuto e del voto favorevole di Chiara rispecchi le diverse visioni che il Movimento ha in materia.

Comunque, per questa scelta, anche da persone del Movimento 5 Stelle, sono stato chiamato xenofobo, disumano, “di destra” e così via. Alcuni hanno chiesto le mie dimissioni. Il mio mandato è come sempre a disposizione, ma credo che sia necessaria una riflessione pubblica e profonda sul pluralismo interno al Movimento.

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giovedì 19 Dicembre 2013, 14:11

Sull’accoglienza dei profughi

Domani pomeriggio, o al più tardi lunedì, il consiglio comunale dovrà esprimersi su una delibera che istituisce l’indirizzo fittizio “via della Casa Comunale 3” e lo attribuisce come residenza ai profughi e richiedenti asilo che dimorano abitualmente a Torino, tra cui gli attuali occupanti del MOI (ex mercati generali di via Giordano Bruno). Data la complessità della questione, io vorrei raccontarvela con calma e chiedere un parere al fine di determinare il mio voto personale in consiglio comunale, visto che, trattandosi di materie esterne al programma comunale, non siamo vincolati da una posizione pregressa.

Innanzi tutto, non parliamo di immigrati clandestini, ma di persone che, pur entrate in Italia (spesso coi barconi) senza permesso, sono state riconosciute come profughi o meritevoli di protezione umanitaria, in quanto scappano dalla guerra o dalla fame; oppure sono in attesa di risposta alla loro domanda. L’Italia ha firmato diversi trattati internazionali che la impegnano ad accogliere queste persone, in particolare la Convenzione di Ginevra del 1951 che, al capitolo IV, stabilisce che queste persone hanno diritto a casa, istruzione e assistenza come se fossero cittadini italiani.

A Torino, tuttavia, ci sono centinaia di profughi che non hanno mai ottenuto quanto sopra, arrangiandosi per anni a sopravvivere in qualche modo e spesso stabilendosi in immobili occupati, in condizioni di vita spaventose; i più “anziani” sono passati già dalla Clinica San Paolo di corso Peschiera, poi dalla caserma di via Asti, poi dalla ex sede dei vigili di corso Chieri e adesso dalle palazzine del MOI. Il principale motivo è che la Città si è sempre rifiutata, per anni, di riconoscere queste persone come residenti torinesi, iscrivendole nelle liste anagrafiche; e dato che ogni Comune si occupa del welfare dei propri residenti (italiani o stranieri che siano), se non sei residente in alcun Comune nessuno potrà mai darti assistenza pubblica.

Queste persone sono dunque sopravvissute in un limbo, grazie ad aiuti di benefattori e associazioni varie (es. Banco Alimentare); non avendo la residenza, non hanno nemmeno potuto provare a rendersi autonomi, perché non possono accedere a un lavoro non in nero, iscriversi al collocamento o anche solo mettere un indirizzo su un curriculum. Dare la residenza a queste persone (la Città non sa stimarne il numero, ma solo al MOI risultano vivere circa 450 persone) ha dunque una doppia valenza: da una parte aggiunge alcune centinaia di persone a carico dello stremato welfare comunale, dall’altra però può essere un modo per avviarle all’autosufficienza.

Difatti, la situazione attuale comunque non è sostenibile, per loro e per la città, che vede spuntare ogni tanto un nuovo ricovero di centinaia di sconosciuti disperati, con gli inevitabili problemi di convivenza con chi ci abita vicino, e con la totale incapacità di controllare chi ci vive e cosa succede all’interno, nel bene e nel male; il Comune deve affrontare il problema, e su questo in passato abbiamo presentato più di una interpellanza.

Il motivo esposto dalla Città per non concedere la residenza è sempre stato proprio quello che non la si può dare in stabili occupati illegalmente; punto ribadito per iscritto non più di due mesi fa, in risposta a una nostra interrogazione in circoscrizione 3. Adesso, improvvisamente, l’amministrazione comunale ha invertito completamente la rotta; in commissione ci è stato detto che la Città è obbligata per legge a dare la residenza a chiunque dimori abitualmente sul suo territorio, anche in luoghi occupati, e addirittura che i profughi, tramite avvocati benevolenti, sono pronti a denunciare il Comune per questa inadempienza.

L’urgenza da parte della maggioranza nel far approvare questa delibera starebbe comunque nel fatto che a fine anno scade il permesso di soggiorno umanitario ai profughi della cosiddetta “Emergenza Nordafrica”, ovvero quelli che sbarcarono in Italia nei primi mesi del 2011 allo scoppio della guerra civile in Libia. Queste persone sono state accolte e mantenute per un anno e mezzo, con una spesa complessiva da parte dello Stato (a livello nazionale) stimata in un miliardo e mezzo di euro, che oltre a vitto e alloggio avrebbero dovuto coprire percorsi di integrazione e avviamento all’autosufficienza.

In realtà, è stata una grande abbuffata di fondi pubblici (vedi ad esempio questo articolo o quest’altro), di cui hanno goduto tutti tranne i profughi, ai quali, “finita l’emergenza” lo scorso 28 febbraio, sono stati dati in mano 500 euro a testa per “tornare a casa”. Ovviamente a casa non ci è tornato nessuno, e ora sono tutti accampati qui; se non gli si dà la residenza, a quanto ci è stato detto, non possono lavorare regolarmente né rinnovare il permesso di soggiorno e dunque diventeranno clandestini a tutti gli effetti, da espellere a partire dal primo gennaio.

La concessione della residenza pone problemi non indifferenti, in primis perché va comunque legata alla presenza sul territorio. Persino per i senzatetto, a cui da anni viene data la residenza in “via della Casa Comunale 1”, viene richiesto di fornire l’indicazione di una panchina o di una macchina in cui dimorano abitualmente; se per un po’ di volte i vigili non li trovano, vengono depennati dalle liste.

Pertanto, i vigili dovrebbero poi andare al MOI a controllare se i profughi abitano veramente lì; e ovviamente chi si oppone alla delibera sostiene che i vigili non entreranno certo in un posto occupato da centinaia di persone, magari spalleggiate dal centro sociale di turno, a chiedere i documenti, e quindi che il Comune darà la residenza a chiunque la chieda, compresi profughi pronti a spostarsi a Torino per il tempo necessario da altre città meno disponibili. Va però anche detto che diverse altre città italiane hanno iniziato a dare la residenza ai profughi, magari presso la sede delle associazioni umanitarie.

L’altra preoccupazione di chi si oppone alla delibera è la sostanziale mancanza di fondi per affrontare un nuovo carico di persone sul welfare comunale: la delibera difatti riconosce la residenza, ma non prevede alcun tipo di finanziamento aggiuntivo al welfare. Il problema maggiore è legato alle case popolari: la legge regionale (proposta da Bresso e votata da Cota) attribuisce cinque punti aggiuntivi ai profughi in virtù del loro status, il che, sui 12 che servono per avere la casa, vuol dire che i profughi finiranno in massa davanti a tutti, una volta maturati i tre anni di residenza torinese richiesti dalla legge, e che – visto che ogni anno si rendono disponibili al massimo alcune centinaia di alloggi – per un periodo di uno o due anni nessun altro riuscirà ad avere una casa popolare. E poi naturalmente queste persone entreranno in lista per tutto: collocamento, sussidi, asili e così via.

La prospettiva, in sostanza, è che si scateni una guerra tra poveri, e che il costo pratico e sociale dell’accoglienza dei profughi non venga scaricato, come dovrebbe essere, sulla fiscalità generale e sulle tasche di tutti a partire dai più ricchi, ma vada a pesare solo su quelli che si troveranno scavalcati nelle liste per l’accesso all’assistenza. Non saremo certo noi consiglieri comunali che dobbiamo esprimerci sulla delibera a pagarne le conseguenze, ma saranno i poveri delle nostre periferie (italiani e stranieri) già provati dalla crisi; poveri che, molto spesso, non sono stati mantenuti dalle casse pubbliche per un anno e mezzo e non hanno mai ricevuto 500 euro in mano dallo Stato per fare alcunché.

Per questo, pur condividendo il principio, a me questa delibera sembra inaccettabile perché incompleta; perché un modo serio di affrontare il problema sarebbe quello di avere dei dati su quante sono queste persone, su quale sarà il loro impatto (magari meno di quanto si pensa, chissà), su quali servizi andranno potenziati, su dove reperire nuove case, su come finanziare tutto questo e su come evitare che vada a discapito di chi c’è già (quando ho chiesto se i nostri servizi erano in grado di sostenere l’afflusso, la risposta dei dirigenti è stata che all’anagrafe ci sono tanti sportelli; non commento per decenza).

Eppure, la delibera è stata presentata per la prima volta martedì pomeriggio, discussa frettolosamente e portata a forza in aula per votarla domani; non c’è stata nessuna disponibilità della maggioranza ad esaminare concretamente il problema. Questo, onestamente, sembra più che altro uno spot natalizio per permettere al sindaco e ai suoi consiglieri di complimentarsi sotto l’albero su quanto sono stati buoni, umani e accoglienti coi poveri profughi.

Io sono favorevole al riconoscimento di un principio di accoglienza per chi fugge dal disastro, a cui comunque siamo tenuti dall’umanità prima ancora che dalle leggi, e all’inizio di un percorso che possa portare queste persone dal degrado all’integrazione, in cui con il loro lavoro e le loro capacità possano ricambiare l’accoglienza, ma sono contrario alle buone intenzioni portate avanti in modo astratto e ideologico, col solo risultato pratico di scaricare i costi dell’accoglienza sui più deboli e di fomentare la rabbia nelle piazze; per questo motivo la mia intenzione è quella di astenermi, presentando inoltre delle proposte per potenziare il welfare in modo che ce ne sia per tutti (ricorderete la nostra mozione sulla casa). Tuttavia, da buon portavoce, ci tengo a dare a tutti voi fino a domani pomeriggio per concordare con me o per convincermi con i vostri commenti a cambiare orientamento.

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venerdì 28 Giugno 2013, 11:20

Un passo avanti per il piemontese

La festa di San Giovanni, patrono di Torino, è da decenni un appuntamento fisso per tutta la città; centinaia di migliaia di persone scendono in piazza per il corteo storico e per i fuochi. Eppure, non è sempre stato così; l’evento attuale è il frutto di una scelta di oltre quarant’anni fa, quando, in un periodo di grandi cambiamenti sociali, si volle rilanciare il festeggiamento di un appuntamento tradizionale.

Tuttavia, dopo quarant’anni, il corteo storico di domenica scorsa rischia di essere anche l’ultimo. Lo storico organizzatore, l’Associassion Piemonteisa, versa in condizioni economiche difficili, oltre che nella necessità di un rinnovamento generazionale che fatica ad avvenire.

In questi quarant’anni l’atteggiamento verso la lingua e la cultura del Piemonte è molto cambiato: in peggio. Scambiando la perdita di identità per l’arrivo della modernità, è diventato di moda liquidare la storia millenaria del Piemonte come un residuo del passato, un bagaglio culturale da “barotti” e da ignoranti, difeso solo da una manciata di associazioni, pro loco e gruppi folkloristici spesso impegnati a litigare tra di loro. Peggio ancora ha fatto la strumentalizzazione politica che ne ha operato la Lega Nord, confondendo il piano della difesa di una tradizione culturale con quello di insensate rivendicazioni separatiste.

Eppure la diversità culturale, in un mondo di globalizzazione e di massificazioni imposte dall’altro, è un tesoro fondamentale per chi ancora ce l’ha. E’ un tesoro anche economico: pensate a quanti turisti volano in Irlanda affascinati anche dalla cultura celtica e dalla lingua gaelica, la quale peraltro è parlata soltanto da poche decine di migliaia di persone, molte meno di quante parlano piemontese. E’ un carattere distintivo che, nella famosa “competizione tra territori” di cui spesso i politici si riempiono la bocca, può fare la differenza tra Torino e una qualsiasi altra città del mondo.

Basta varcare le Alpi per scoprire come la cultura tradizionale italiana, con i suoi mille campanili, sia considerata affascinante e preziosa. Si trovano rapporti e relazioni dell’UNESCO e del Consiglio d’Europa che non solo considerano il piemontese una vera e propria lingua, con tanto di sue varianti e dialetti locali in giro per la regione, ma ne segnalano con allarme il rischio di estinzione nel giro di un paio di generazioni: perché noi non lo tramandiamo più ai giovani e lo utilizziamo sempre di meno, e una lingua non usata regolarmente è destinata a morire. E se indubbiamente in questo momento le priorità sono altre, le persone senza lavoro e senza casa, l’orologio comunque va avanti e la tradizione si perde un po’ ogni giorno.

Bisogna dunque entrare in un’ottica europea, in cui la cultura tradizionale di ogni regione va difesa come una ricchezza, senza per questo pretendere inesistenti superiorità. Il piemontese non è meglio o peggio del friulano, del siciliano, dello yoruba parlato in Nigeria o del cantonese e dei suoi 70 milioni di nativi; però è storicamente radicato qui e dunque, se non lo difendiamo noi, non lo difenderà nessuno.

Eppure, a livello politico, siamo ancora fermi al riconoscimento del piemontese tra le lingue minoritarie italiane che necessitano di tutela, inserendolo nella lista della legge 482 del 1999, che al momento, per il Piemonte, contiene il walser, l’occitano, il francoprovenzale e il francese; lo deve fare il Parlamento. L’anno scorso è stata lanciata una campagna denominata Piemont482, che ha visto molti comuni medi e piccoli esprimersi a favore di questo riconoscimento. La Città di Torino, però, nonostante vari tentativi, non si era mai espressa a favore, spesso liquidando superficialmente la proposta come “leghista”.

Ci siamo infine riusciti noi; un paio di mesi fa, dopo un anno di iter, è stato approvato (anche con mia sorpresa) il nostro ordine del giorno con cui la Città prende posizione a favore di questo riconoscimento. E’ un gesto simbolico, ma è anche un passo avanti; sperando che agli auspici possano poi seguire anche i fatti.

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martedì 9 Aprile 2013, 11:36

Il mio Presidente della Repubblica

Tra qualche giorno il Movimento 5 Stelle offrirà agli italiani un’altra storica prima: la possibilità di scegliere dal basso, con un voto online, il proprio candidato a Presidente della Repubblica, usando la stessa piattaforma già usata per le parlamentarie (se qualcuno non è ancora iscritto o non ha mandato il documento, ormai è tardi per questo voto ma fatelo subito per i prossimi, qui trovate le istruzioni).

Ci sono tanti possibili criteri per scegliere chi potrebbe essere un buon Presidente, e, ragionando in senso astratto, sarebbe bello se il prossimo fosse finalmente una donna. Tuttavia, io vorrei dichiarare in pubblico il nome per cui io voterò, che è quello di Stefano Rodotà.

Il motivo primario per cui lo farò è che conosco Rodotà personalmente, avendo collaborato con lui per molti anni, prima di fare politica, al progetto della Carta dei Diritti della Rete (in cui ho ritrovato il video del 2006 che vedete sopra) e in generale a varie battaglie per le libertà digitali; e ne ho grandissima stima. Oltre ad essere uno dei nostri migliori giuristi, noto in tutto il mondo, è una persona estremamente umile e lontana dall’arroganza del potere; pur essendo culturalmente legato al centrosinistra, è sempre stato indipendente, è fuori dalla politica di partito da vent’anni e sarebbe in grado di ragionare sopra le parti. E’ anche una persona dallo spirito giovane e aperto alle novità, nonostante l’età; del resto ha passato gli ultimi dieci anni a occuparsi di Internet.

Ma, oltre alla stima per la persona, c’è anche un ragionamento politico. So che moltissimi nel Movimento penseranno invece a scegliere personalità completamente slegate dalla politica, come Dario Fo, che già una volta Grillo indicò come papabile, o come Gino Strada. Sento anche parlare di vari magistrati, come Ferdinando Imposimato e Gherardo Colombo. Tuttavia, in questo momento così delicato io penso che una personalità senza una solida esperienza politica rischi di fare danni, e inoltre la sovrabbondanza di magistrati in politica (che peraltro raramente fanno bene) mi sembra più preoccupante che positiva.

Ma soprattutto, penso che sia sbagliato proporre anche in questo caso, come già per le presidenze delle Camere, un candidato di bandiera, ovvero una persona che, per quanto validissima, non possa raccogliere su di sè i voti necessari per essere eletta. Il probabile risultato di una scelta del genere sarebbe quello di votarci il nostro candidato per un po’ di volte per poi assistere all’inevitabile inciucio PD-PDL, e trovarci come Presidente un D’Alema o un Amato, o un Napolitano-bis; e magari nel frattempo finire pure per farci di nuovo del male da soli, con una parte dei nostri parlamentari pronti a spaccare il gruppo pur di non rischiare l’elezione dello Schifani di turno.

Credo che, per una carica che per definizione deve mettere d’accordo tutti il più possibile, sarebbe molto meglio proporre una personalità che possa essere condivisa dalla maggioranza del Parlamento; e che sia piuttosto il PD a spaccarsi, prendendosi la responsabilità di non votare una personalità di alto livello e della propria area culturale, pur di tener fede all’inciucio con Berlusconi a cui stanno lavorando da settimane.

Come sapete ho sostenuto sin dal principio che noi non possiamo dare la fiducia a un governo del PD, e non ho cambiato idea. Credo però che, visto il momento, sia necessario cominciare nei fatti a fare ciò che abbiamo sempre detto, ovvero trovare accordi per il meglio su singole questioni; questa può essere la prima. E anche se questo approccio dovesse essere impopolare per gran parte del Movimento, io credo che sia l’unico che può fare il bene del Paese.

[tags]presidente della repubblica, rodotà, movimento 5 stelle[/tags]

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venerdì 22 Febbraio 2013, 10:40

L’immaginazione al potere

«Io so che voi li calcolate niente visto che la corte è armata, ma vi supplico di permettermi di dirvi che li si dovrebbe calcolare molto, tutte le volte che calcolano loro stessi come tutto. Sono a questo punto: essi stessi cominciano a calcolare i vostri eserciti come niente e la disgrazia è che la loro forza consiste nella loro immaginazione; e si può dire in verità, che a differenza di tutte le altre forme di potenza, essi possono, quando sono arrivati ad un certo punto, tutto ciò che credono di potere» (Il cardinale di Retz parla del popolo, dalle Memorie, 1675, via Barravento)

Sarà stata l’apparizione di Dario Fo, ma l’ultima accusa che l’apparato del PD ha trovato da tirarci contro è quella di essere sessantottini alla D’Alema, giovani rivoluzionari che poi occuperanno le poltrone e non le molleranno più; il che è alquanto buffo, dato che D’Alema è tuttora uno dei loro padroni del partito e dato che noi abbiamo una regola per cui nelle posizioni elettive, quelle che controllano tutto, si può stare solo per un periodo strettamente limitato.

In realtà la situazione di oggi è molto diversa, ma c’è un elemento che ricorda quell’epoca: la voglia, anzi la necessità, di immaginare un mondo nuovo, senza i dogmi di allora, ma con cinquant’anni di esperienza in più.

Esistono dei momenti storici in cui l’ordine sociale va in crisi e non regge più; questo è uno di quelli. Il comunismo e il capitalismo, modelli sociali fondanti da centocinquant’anni, hanno fallito entrambi; deve nascere qualcosa di nuovo, che contemperi la libertà e il benessere con la solidarietà e la giustizia, trovando un punto medio compatibile con un’epoca in cui le risorse disponibili saranno molto più scarse di adesso, e non potranno essere sprecate né suddivise in maniera troppo sbilanciata.

Il Movimento 5 Stelle è, in queste elezioni, l’unica opzione per immaginare un mondo nuovo, invece che aggrapparsi disperatamente alle rovine del vecchio. E’ ovvio che nessuno sa dove finiremo, e saremmo dei pazzi a dire che abbiamo le ricette per tutto, che sappiamo già tutto, che tutto funzionerà a meraviglia. Ci aspettano comunque anni di fatica e sofferenza, di tentativi non sempre riusciti, ma un conto è percorrerli senza speranza e senza equità, un conto è percorrerli come inizio di una strada nuova.

Per questo, nei pochi minuti che ho potuto avere sabato scorso, e che vedete nel video, ho voluto parlare dei poveri e di una società migliore. Nel servizio che mi avete affidato in questi anni, quella è stata la parte più difficile e insieme più toccante: visitare comunità per disabili, residenze per anziani, case alloggio per donne vittime di violenza, persino la strada con le prostitute, incontrare persone senza casa e senza lavoro, e sentire tante vite difficili senza poter dare risposte.

Voterò Movimento 5 Stelle per immaginare un mondo migliore. Del resto, avrebbe senso, qui e oggi, porsi un obiettivo meno ambizioso di questo?

[tags]immaginazione, politica, mondo, società, d’alema, dario fo, movimento 5 stelle, marcuse[/tags]

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