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Archivio per la categoria 'Tech&Howto'


lunedì 9 Giugno 2008, 15:29

Carta alla torinese

L’altra settimana ho perso il treno per andare a Milano: infatti sono arrivato alla stazione della metro per andare a Porta Susa, mi sono messo davanti alla macchinetta per comprare i biglietti, e ho scoperto di essere senza contante. Poco male, ho pensato: pagherò con le carte.

Infatti, nei miei giri per il mondo, quasi mai ho comprato biglietti di treni o di metropolitane con i soldi: ovunque, il meccanismo preferito sono i distribuitori automatici con carta di credito. Ecco quindi la versione standard internazionale di questa operazione: arrivi davanti alla macchinetta; scegli il tuo biglietto; infili la carta di credito nel lettore di tessere; la tiri fuori; la macchinetta stampa il tuo biglietto e te lo dà.

Ecco invece l’ineffabile versione torinese della procedura. Fino ad arrivare alla macchinetta e scegliere il biglietto, tutto bene; poi infili la carta di credito nel lettore di tessere, e già ci metti un po’ a trovarlo, perché è laterale e non sembra un lettore, sembra una specie di cassaforte dotata non della solita fessura ma di una fessura e di un intero tastierino di metallo modello Blade Runner, a parte il logo verdino Sanpaolo Shopping (sono sicuro che il Sanpaolo ha vinto la commessa presentando l’offerta migliore, non perché è era la principale banca cittadina, prima di essere comprata dai milanesi).

Comunque, metti la tessera e non succede niente; la estrai, la rimetti, niente. Provi col bancomat, uguale. Fai per desistere e andartene, tornando in superficie a cercare un bancomat per prelevare contante e pagare con quello; ma proprio in quel momento arriva un addetto alla manutenzione, che ti dice: “Guardi che si può pagare con carta, deve schiacciare il simbolino!”.

Tu non capisci, allora il signore ricomincia la procedura da capo, e ti fa vedere: nella schermata di pagamento, esattamente al centro del margine inferiore dello schermo, in mezzo ai loghi non cliccabili di GTT e altro, c’è una GIF 20×20 ingrandita a dismisura, contenente una ventina di carte riprodotte a risoluzione 2×2, in modo insomma da non essere minimamente riconoscibili come tali; a ben vedere, l’icona sembra un po’ come il contenuto di un cestino per la carta spatasciato sul pavimento, di sicuro non il classico rettangolo coi simbolini Visa e Mastercard che in tutto il mondo vuol dire “carta di credito”; né c’è una scritta o qualcosa che ti segnali che è possibile premere su quel disegnino. Schiacciando lì sopra col dito, ti fa vedere il signore, si attiva la procedura per il pagamento con carta… ora, già non ha senso che la si debba attivare esplicitamente; in più, tu hai una laurea in ingegneria e disegni applicazioni informatiche per mestiere, ma non ci saresti mai arrivato; figuriamoci l’utente medio.

Comunque, questo è solo l’inizio: inserisci la tessera, e non capisci. Già, perché d’ora in poi l’applicativo non comunica più tramite il monitor, ma tramite lo schermino LCD verde della pulsantiera in stile Blade Runner; e quindi devi capire che devi spostare lo sguardo e leggere lì sopra. Guardi lì, e ti dice: rimuovere la tessera. Tu rimuovi, e ti dice: inserire la tessera. La inserisci, e ti dice: rimuovere la tessera. Ti senti un po’ cretino, ma poi dice che sta iniziando l’operazione, e tu tutto contento aspetti… e poi ti dice: “operazione interrotta dall’operatore”, e tutto si resetta.

Bestemmi, provi un’altra volta, sempre così. Allora decidi di provare col bancomat, e dopo il solito balletto di inserimenti e rimozioni lo schermino LCD ti mostra due righe di cui una evidenziata: “Compagnia” e “Pagobancomat”. Tu intuisci che ti sta chiedendo qualcosa, anche se è la prima volta che un bancomat mi chiede se voglio pagare o se voglio semplicemente compagnia. Premi “Conferma” (o “OK”, non ricordo) e… l’operazione fallisce. Decidi che è perché hai chiesto compagnia, e quindi rifai tutta la procedura per provare invece a pagare; non è subito chiaro come fare a spostare da una riga all’altra il cursore evidenziato, ma poi hai un lampo di genio e capisci che per andare in basso devi premere il pulsante con la freccia a destra; confermi, e nemmeno così funziona.

Alla fine però ci sono riuscito; ho cambiato macchinetta, e su quella, al secondo tentativo, la carta di credito ha funzionato. Però ci ho messo quasi dieci minuti, e quindi ho perso il treno, arrivando sul binario di Porta Susa esattamente mentre chiudeva le porte. E mi chiedo: ma era così difficile comprare e installare una macchinetta vendibiglietti come quelle usate in tutto il mondo?

[tags]torino, metropolitana, metrotorino, biglietti, software, interfacce[/tags]

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mercoledì 28 Maggio 2008, 17:40

Premio produzione

Io, oggi pomeriggio, ho prodotto: se vi venisse utile una applicazione mistica delle regexp in Perl, a scopo split ed elaborazione di dati da file CSV con valori particolarmente eterogenei, sfruttando quindi un mix di zero-width assertion, look-ahead assertion e look-behind assertion, faccio che copiare e incollare l’espressione da usare:

/(?:^|(?<!\\)\”|(?<=;)|(?<=NULL));(?:$|\”|(?=;)|(?=NULL))/

Invece, sono incerto a chi attribuire il premio di produzione della giornata, relativo alle attività collaterali.

Potrei darlo alla mia assistente personale di Websella (peraltro molto solerte e gentile nel rispondere), che alla segnalazione del fatto che ieri mi veniva negata l’autorizzazione per pagare online con la carta di credito mi risponde: “Ma non si sarà mica smagnetizzata?”.

Credo però che la palma spetti all’impiegata dell’ufficio postale di via Nicola Fabrizi (niente affatto dissimile da quello di via Stradella già noto ai miei lettori) dove io sono entrato alle 13:35, cinque minuti prima dell’orario di chiusura. L’ufficio era deserto, e c’erano quattro sportelli aperti con le impiegate che spostavano fogli da un lato all’altro dell’ufficio, oppure guardavano decisamente il vuoto.

Dovendo pagare due bollettini, ho pigiato sul primo pulsante, quello blu e marcato “Pagamenti, versamenti…”, e mi è uscito il numero A099. Proprio allora una delle quattro signorine preme il pulsante, suona il beep, e si illumina la scritta A098. Nessuno si presenta; del resto l’ufficio è vuoto, dal lato del pubblico ci sono solo io. Attendo quindi che la signorina ripigi per permettermi di pagare, e invece… niente. Riprende a spostare fogli da un lato all’altro del suo tavolo, ogni tanto guardando la vicina. Passano dieci secondi, trenta secondi, un minuto… io sono lì con i miei bollettini e il bancomat già in mano; l’ufficio è deserto; non voglio infierire, ma comincio a chiedermi se sia una candid camera; a un certo punto decido che la pazienza è finita, e mi avvicino.

Appena mostro di avvicinarmi, la signorina smette di spostare i foglietti, preme il pulsante, fa comparire A099, e mi dice in tono sgarbato: “Guardi che per pagare i bollettini deve prendere i C!”. In pratica, verso il basso della distributrice di bigliettini, qualcuno aveva appiccicato un foglietto, con scritto a mano in una grafia da terza elementare “SOLO BOLLETTINI”, a cui corrispondeva un ulteriore pulsante.

Ora, se anche avessi visto quella scritta, io avrei pensato – come insegna la logica – che il pulsante “SOLO BOLLETTINI” può essere premuto solo da chi deve pagare bollettini, ma ciò non implica affatto che chi deve pagare bollettini debba per forza premere quel pulsante, visto che più in su nell’elenco c’è un altro pulsante intitolato “Pagamenti”, con il simbolo dell’euro e un elenco di sottovoci che comprende esplicitamente i bollettini.

Tutto questo ragionamento, però, diventa estremamente inutile nel momento in cui l’ufficio è vuoto e ci sono quattro persone allo sportello con niente da fare; in una azienda normale, farebbero a gara tra loro per servire prima il cliente. Probabilmente, però, premendo A invece di C io sono finito nella coda di quello sportello invece che in quella dello sportello a fianco; e quindi ho costretto la signorina del mio sportello a ben quindici secondi di lavoro – peraltro nel pieno delle sue lunghe cinque ore e venticinque minuti di normale orario di sportello quotidiano – che sarebbero altrimenti toccati alla sua collega.

Ci sarebbe da sperare nell’informatica, se non fosse che Banca Sella ha appena abilitato la possibilità di pagare i bollettini postali dall’Internet banking, previa pagamento di una commissione di 1,25 euro che si somma all’euro chiesto dalle Poste. In pratica, far lavorare i computer invece che gli impiegati viene fatto pagare più del doppio, nonostante il costo per le strutture coinvolte sia un millesimo. Se questo è il privato, forse non era così scema la proposta elettorale di nazionalizzare le banche…

[tags]perl, italia, lavoro, banche, poste, fancazzisti, pubblica amministrazione mascherata da privato per non rispondere a nessuno[/tags]

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martedì 27 Maggio 2008, 14:49

Fast food, slow techies

Se per caso oggi steste cercando qualche informazione sulle zuppe e sui dadi per brodo, potreste rimanere delusi: questo è ciò che appare attualmente sulla home page del sito della Knorr:

screenshot-knorr-20080527_sm.png

Non ho idea di quale contenuto altamente tecnologico e webduepuntozero il sito della Knorr possa contenere, tale da richiedere un upgrade per cui “ci aspettiamo di finire, o di redirigervi a un sito temporaneo, entro il 19 maggio”, e nonostante l’avviso il sito sia ancora completamente “giù” il 27. Certo però che alla Algida – Axe – Ben&Jerry – Bertolli – Calvé – Cif – Clear – Dove – Findus – Flora – Impulse – Knorr – Langnese – Lipton – Lux – Lysoform – Pepsodent – Pfanni – Rexona – Slim Fast – Sunsilk – Vim (e qualche decina di altri marchi) potrebbero anche darsi un po’ più da fare…

[tags]unilever, web, manutenzione[/tags]

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mercoledì 2 Aprile 2008, 15:06

Marchettare

Oggi mi hanno girato il link ad un sito che mi ha lasciato senza parole: per questo ho pensato di scrivere un paio di paginate di commento.

Il sito si chiama Web al femminile ed è… è… ecco, non ho ancora capito cos’è. Un portale? (Nel 2008 ancora gente che mette su portali, a parte Rutelli?) Una guida pratica all’uso del computer? Una comunità? Una campagna politica? Una forma nascosta di pubblicità per Microsoft?

No, perché in home page non c’è uno straccio di paragrafo che spieghi cos’è il sito, chi l’ha fatto e perché, a parte un’infilata di loghi di corporation note per spacciare fuffa, da Microsoft ad Accenture passando per la temibilissima Buongiorno. A ben guardare, si trova un video intitolato “Scheda introduttiva” in cui, alternate a immagini di mani che digitano che nemmeno nella sigla del TG5, compare una signora di Microsoft, platinatissima e tailleuratissima, che declama come tutto ciò sia “il progetto che ha l’obiettivo di divulgare come la tecnologia può essere una straordinaaaria alleata delle donne”.

Tutto chiaro no? No? Bene, allora si prosegue spiegando: “Per le donne che sono in azienda e vogliono fare carriera, per avere un’arma in più”. Scusa? Per prima cosa, stai suggerendo che nel 2008 una donna che si presenta a un colloquio di lavoro non sa usare il computer, evidentemente avendo trascorso il proprio tempo tra pentole e candeggina; per seconda, che usare il computer non sia una abilità basilare per qualsiasi lavoratore maschio o femmina che sia, ma che per le donne sia un optional, evidentemente supponendo che le donne normalmente facciano carriera grazie ad altre abilità e non diciamo quali; per terza, che tale optional sia “un’arma in più”, come se il ruolo delle donne negli uffici fosse quello di sparare ai colleghi o comunque di sottometterli a mazzate.

Ma non è finita qui: la microsoftiana platinata aggiunge ancora che il sito è anche “per le studentesse”, e poi conclude in modo spettacolare dicendo: “Ma è anche per le donne normali, le donne comuni!”. Insomma, secondo Microsoft se una donna lavora o studia all’università è una anormale.

Va bene, ma allora quali sono i contenuti di questo meraviglioso progetto di divulgazione sulla tecnologia, per la donna moderna ed emancipata? Beh, la prima casellina sotto i video recita “Test: Il tuo è un buon personal trainer? Conosci le nuove tendenze? Siete complici o rivali?”. Segue poi “Focus on: Salute e benessere – Bellezza – Maternità”. Di fronte a queste perle di modernità – che peraltro confermano che per gli estensori del sito la donna italiana non solo vive tra pignatte e pannolini, ma a pignatte e pannolini deve essere educata, sia pur tecnologicamente – non possiamo che toglierci il cappello: per fortuna che c’è questo sito, se ne sentiva la mancanza.

Segue poi, finalmente, l’educazione tecnologica: che sarebbe? “Corsi formativi: Il mondo di Windows Live Messenger – Protezione in linea – Il mondo di Office – Antipirateria” Eh già, mica vorrai tu donna cadere vittima dei pericolosi pirati della rete: tra una peperonata e un bambino, non dimenticarti di comperare Windows, altrimenti come faremo a informarti sulle nuove tendenze primavera/estate?

Più si va avanti nel sito, peraltro, e più si rimane perplessi: perché si scava nella fuffa, e si trova soltanto altra fuffa. Ad esempio, c’è una casella intitolata “Mostre / Eventi: Ogni giorno potrai visualizzare nuovi Eventi e Mostre basate sulla donna per un futuro migliore di pari opportunità.” Ma che cacchio vuol dire?? Che cos’è una mostra basata sulla donna? Mica stenderanno una donna per terra e le metteranno le teche appoggiate sopra? E cos’è un evento per un futuro migliore di pari opportunità? Si saranno mica riunite le dieci donne in tailleur dei vari video dell’home page, e avranno discusso due ore per partorire (no pun intended) una perla marchettara del genere?

E così via: cliccando qua e là potete trovare la pubblicità di una community che “si è rinnovata graficamente e strutturalmente nel 2006 ampliando orizzonti ed obiettivi per diventare più multimediale e partecipativa, con una redazione allargata e diffusa che la rende sempre espressione del mondo delle donne in perenne mutamento e alla sua evoluzione.” Oppure la presentazione di un laboratorio della Bocconi che “Nasce con l’intento di costruire un know how di gestione delle diversità nel mondo aziendale e di comparare prassi operative orientate al tema. L’obiettivo è quello di fornire modelli interpretativi e strumenti per affrontare, gestire e valorizzare le differenze individuali.” Insomma, un caleidoscopio di parole che non vogliono dire niente!

In sé, questo sito è agghiacciante: parte da una visione ottocentesca delle donne italiane, e prosegue promuovendo la visione più triste della parità di genere, quella secondo cui la parità consisterebbe nel far diventare le donne stronze, tirate e carrieriste quanto gli uomini.

Ma fosse solo questo: alla fine, gira che ti gira, mi è venuto un orribile sospetto. Vuoi vedere che anche ‘sta roba, raffazzonata a forza di banalità e di fuffa marchettara con la scusa delle pari opportunità, è soltanto un collettore privato di finanziamenti pubblici addomesticati?

[tags]web al femminile, marketing, donne, pari opportunità, microsoft, finanziamenti pubblici[/tags]

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lunedì 11 Febbraio 2008, 11:17

Logiche sarde

Non pago di aver cambiato indirizzo, sto cambiando anche le mie coordinate bancarie, approfittando dell’interessante offerta di Websella per chi, come me, opera soltanto online. (Poi, per aprire il conto e avere una carta di credito, ti chiedono di inviare decine di pagine di carta firmata in ogni dove, in due diverse ondate, a un indirizzo di Biella: ma vabbe’, sono pur sempre una banca.)

Mi sono quindi trovato nella necessità di entrare nell’area clienti di Tiscali, il mio nuovo fornitore di ADSL, per modificare le coordinate bancarie su cui addebitarmi il canone.

E così ho scoperto in sequenza che:

  • Per entrare nell’area clienti non basta lo username, ma serve il codice cliente, che ti viene fornito in unica copia nella pagina Web quando fai l’ordine online (per fortuna l’ho stampata).
  • Entrando con il codice cliente, ti dice che quello era un codice cliente provvisorio e ora devi usare il codice definitivo, che ti fornisce sul momento.
  • Per usare il codice definitivo, è necessario riautenticarsi usando il PIN.
  • Per poter usare il PIN, visto che nessuno te l’ha mai dato, è necessario inserirne uno in un’altra sezione del sito.
  • Per poter accedere alla pagina di modifica del PIN, è necessario rispondere alla domanda di sicurezza “Come si chiamava tuo nonno?”.
  • Ma se rispondi correttamente alla domanda di sicurezza, non ti autentica perché lui non sa come si chiamava tuo nonno; quindi, per poter usare la domanda di sicurezza è necessario prima andare a inserire la relativa risposta nella pagina dei dati personali (come logica di autenticazione non fa una grinza).
  • Se accedi alla pagina dei dati personali, compili tre schermate di fuffa tra cui il nome di tuo nonno, e la invii, il sito risponde che si è verificato un errore e di riprovare più tardi.

Sempre meglio di quei b******i di Wind/Infostrada che prima mi hanno aumentato il canone del 50% senza preavviso e senza possibilità pratiche di disdire, e poi mi hanno addebitato un mese extra così per gradire; però ho la sensazione che chiunque abbia progettato le logiche dell’area clienti di Tiscali sia in cura per severi disturbi mentali.

[tags]tiscali, adsl, infostrada, logica, banca sella[/tags]

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domenica 3 Febbraio 2008, 20:41

Pomeriggi hi-tech

Oggi pomeriggio, probabilmente sull’entusiasmo per la vittoria del Toro, mi sono messo a lavorare sulla rete di casa; e ho perso circa tre ore, senza successo, per far funzionare:
1) la Airport Express – l’access point Apple – in modalità WDS, ossia come estensione del modem-router wireless che mi collega a Internet, in modo da poter condividere la rete con altri computer via cavo dalla porta Ethernet della Airport;
2) la tanto sbandierata condivisione in rete della stampante tramite la porta USB della stessa Airport Express.

Per la prima cosa, il risultato dell’applicazione o del buon senso o delle istruzioni reperite in rete è quello di far sparire dalla rete wireless uno o entrambi gli access point, e solitamente di far finire la Airport Express in uno stato in cui da una parte non riesce a connettersi alla rete, e dall’altra non è visibile per la configurazione remota, per cui l’unica soluzione è il reset hardware per poi ricominciare da capo.

Per questa seconda cosa, le istruzioni fornite da Apple sono:
“1) Collegare la stampante alla Airport con un cavo USB;
2) Accendere la Airport;
3) Accendere la stampante;
4) Funziona! Non è meraviglioso il mondo Apple?”

Ovviamente non solo non funziona, ma non dà alcun segno di vita. Non ho ancora smanettato più di tanto, ma mi sento già preso per il culo dagli uffici marketing di almeno tre diverse multinazionali.

[tags]tecnologia, marketing, apple, airport, wi-fi[/tags]

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mercoledì 30 Gennaio 2008, 13:46

I computer mi odiano

Cioè no, però ogni tanto il dubbio ti viene, quando succedono cose come quelle di stamattina:

1) Collegando con un normale cavo VGA il mio server Linux, che parte in una tranquillissima modalità testo 640×480, al nuovo schermo LCD Sony, dopo aver visto apparire il BIOS lo schermo diventa nero, e si ottiene una risposta di “Segnale fuori gamma” (ovviamente attaccandolo al vecchio televisore al plasma si vede benissimo).

2) Le mie connessioni FTP dal portatile restano misteriosamente piantate per interi minuti, tipicamente nella fase di apertura connessione o in quella di richiesta dell’elenco dei file nella directory. Eppure l’FTP a riga di comando funziona perfettamente; ma capite che se avete un cliente con un rollout previsto per stasera e una pioggia di bug funzionali legati alla sicura abitudine dell’utente medio di un sistema informativo pronto da sei mesi di rimandare le prove agli ultimi due giorni (e poi diventare aggressivo perché i problemi non vengono corretti in due minuti), dover aspettare tre minuti per poter aprire qualsiasi file sul server rende idrofobi.

E infine,

3) Il mio nuovo modem-router ADSL2 Siemens (di cui ho fatto male a non parlare ancora male come meriterebbe) ha, in una posizione annurca nella configurazione, una opzione “NAT” che dispone dei due valori “attivato” e “disattivato”; nel caso lo si attivi, compare una schermata che ti chiede di inserire l’indirizzo IP privato della macchina da abilitare a fare NAT. Di conseguenza, la conclusione logica – suffragata anche dalle prove di stamattina – è che non è possibile collegarsi a Internet da casa mia con più di un computer per volta, e anzi se si vuole cambiare computer bisogna riconfigurare e riavviare il router. Ma naturalmente, una “funzionalità” del genere sarebbe talmente cretina che ancora non ci posso credere: probabilmente è solo poco intuitiva la configurazione.

Resta la sensazione, che covo da tempo, che il nostro attuale livello tecnologico – specie nella telematica – ci sia sfuggito di mano, e che il fatto che più prodotti e servizi provenienti da fonti diverse, al di là dei bachi introdotti per errore dai tecnici e delle barriere introdotte appositamente dai marchettari, riescano a funzionare insieme, sia sostanzialmente un miracolo casuale: per cui spesso tocchi riarrangiare i vari pezzetti a turno finché funzionano, senza ben sapere perché.

[tags]tecnologia, adsl, router, siemens[/tags]

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domenica 27 Gennaio 2008, 12:01

Windows 2000 e ADSL

Tra le altre cose, ieri ho provato a spostare il mio server e quindi ad attaccare il vecchio modem ADSL (un Alcatel Speed Touch Home, Ethernet ovviamente), con la relativa connessione a Libero, all’altrettanto vecchio portatile di mia mamma.

E ho scoperto una cosa agghiacciante: nell’anno del signore 2007, Windows 2000 non ha ancora un supporto PPPoE nativo.

Voglio dire, capisco che il sistema operativo è vecchio e in dismissione, capisco che nel 1999 ADSL e PPPoE non erano tecnologie diffuse come oggi; ma allora questo cacchio di Windows Update con Genuine Stocacchio che ti impongono di far girare ogni cinque minuti a cosa serve?

Fatta l’agghiacciante scoperta, sono tornato al piano di sopra, ho rimesso su la rete nella vecchia configurazione, e ho cercato un po’; ho scoperto che lo strumento ubiquo per gestire la connessione – a parte quei programmi schifosetti che ti ammanniscono Alice e compagnia – è tal RasPPPoE.

Il quale si scarica e si installa con una procedura annurca, per non parlare poi della creazione della connessione, che prevede istruzioni come “Aprite un prompt dei comandi e digitate ‘raspppoe’ “, oppure “Cliccate su ‘Crea automaticamente una connessione dial-up per la scheda di rete selezionata’”: ok, io ce la posso fare, ma non vorrei essere l’utente casalingo medio.

E peraltro, alla fine non funziona: quando mi dice di cercare un servizio, io cerco e non trova nulla.

Ho provato a guardare sul sito di Libero, ma la guida online è scarsuccia: in pratica, se non hai uno dei loro modem in comodato, le istruzioni sono: 1) Accendere il modem; 2) Accendere il computer; 3) Effettuare la connessione; 4) Se non funziona, scassa le balle al produttore del modem e non a noi.

Frustrato e soprattutto privo di ulteriore tempo da perdere, ho rimesso su tutto come prima e ho scritto all’assistenza: vediamo se e quando rispondono. Ovviamente nel mio caso è per deformazione professionale, ma è ridicolo che risulti più facile metter su una banalissima connessione ADSL con Linux, a forza di file di testo e script vari, che con Windows…

[tags]adsl, libero, alcatel, raspppoe[/tags]

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lunedì 14 Gennaio 2008, 11:07

Skyfo (2)

La seconda parte del mio racconto su Sky rappresenta secondo me un utile esempio di come sopravvivere da utente in Italia.

Tutto comincia quando, nel bel mezzo della ristrutturazione della casa nuova, comincio a preoccuparmi dell’impianto satellitare: la casa nuova non ce l’ha, ed è uno di quei casi in cui da anni i condomini discutono se mettere l’impianto condominiale o no, senza mai accordarsi, per cui nel frattempo ci si arrangia. In più, c’è il problema che a sud della mia casa ce n’è una di due piani più alta, per cui non ci sarebbe visibilità del satellite.

Passo da un “punto Sky” vicino a casa mia per chiedere se possono fare un sopralluogo; mi rispondono che senza autorizzazione di Sky non possono muoversi, ma che Sky paga lo spostamento dell’impianto, basta chiederlo. Tutto contento, chiamo il solito 199 da 15 centesimi al minuto dove mi dicono che l’installatore si è bevuto il cervello. Ritorno al punto Sky e mi spiegano che a seconda dell’operatore si deve insistere, ma che insistendo lo devono fare perché “a mio cugino l’hanno fatto”. Richiamo due o tre volte ma gli operatori sono uniformi nel dirmi che non se ne parla nemmeno, che Sky mica può inseguire i propri utenti e che l’impianto gratis lo fanno solo ai nuovi clienti, il che peraltro sembra – in puri termini di business – piuttosto credibile.

A questo punto, prima di spendere venti euro in chiamate all’199, decido che tanto vale aprire un nuovo abbonamento, intestandolo a me: infatti quello della casa vecchia è di mia mamma. C’è oltretutto una promozione “presenta un amico” tramite la quale io potrei avere un mese di abbonamento gratis, che andrebbe a compensare il mese di doppio abbonamento nel caso in cui mia mamma decida di disdire quello vecchio via legge Bersani. Per usufruire della promozione, dice il sito, basta chiamare un altro 199 a cui ti daranno un codice da riportare sul sito quando si apre il nuovo abbonamento (vuoi mica che lo sconto te lo diano gratis?).

Pertanto, prevedendo di cambiare a gennaio, a inizio dicembre chiamo, così tanto per portarmi avanti. Peccato che si scopra che l’199 dedicato redirige a quello generico – tanto che l’operatore a un certo punto mi chiede “ma lei che numero ha chiamato?” – e in pratica che non ti dicono nulla se non gli dai i dati del nuovo abbonato, e che quando glieli hai dati ti dicano “Allora apriamo subito il nuovo abbonamento, va bene?”. Ok, era una trappola, ma contando che i tempi sono stretti decido che vale comunque la pena di far partire subito la pratica.

Dopo qualche giorno mi arriva la chiamata dell’installatore che agisce per conto di Sky, e fissiamo l’appuntamento per l’installazione. Quel giorno si presentano due ragazzotti con un parabolone in braccio, e facciamo per andare sul tetto; chiedo le chiavi al custode, che mi risponde che l’amministratore – a cui pure io avevo comunicato che avrei fatto il lavoro – gli ha dato ordine di non darci le chiavi per accedere al tetto, perché “mica ogni proprietario può mettersi la parabola sul tetto”.

Al che io chiamo l’amministratore e gli spiego che sì, se il condominio non ha l’impianto centralizzato e se il comune (come per Torino) vieta l’installazione sul balcone, ogni proprietario può mettersi la parabola sul tetto, indipendentemente dalla volontà del condominio e dell’amministratore, basta che non lo danneggi; ci sono tonnellate di giurisprudenza in merito. L’amministratore insiste e mi chiede due o tre giorni per pensarci e capire come gestire il problema; non volendo litigare col condominio prima ancora di essermici trasferito, accetto la transazione e rimando via gli operai (sul modulo Sky “permesso negato da condominio” è la prima casellina nell’elenco “motivo della mancata installazione”; penso ci siano abituati).

Passa quindi una settimana in cui l’amministratore ci pensa, e parla con l’unico condomino nonché rappresentante di scala che ha già messo la parabola, visto che, tecnicamente, io potrei attaccarmi alla sua ed evitare di metterne una seconda. Io chiamo un paio di volte e mi sento snocciolare ulteriori problemi, e se bucano il muro, e se poi ci sono infiltrazioni, e poi è brutto, e così via.

Poi arrivano le vacanze; al ritorno richiamo e l’amministratore mi dice che si è risolto tutto, basta che io chiami l’antennista tal dei tali che è tanto di fiducia e sa già tutto. Ovviamente rispondo che non ho nessuna intenzione di pagare di tasca mia il lavoro ad un’altra ditta visto che Sky me lo fa gratis e che ho fatto tutto questo giro proprio per questo; lui mi risponde di chiamarlo.

Lo chiamo, e l’antennista mi spiega che naturalmente possiamo attaccarci alla parabola dell’altro condomino, ma solo se il lavoro lo fa lui, perché se no “il condomino non si fida”. Al che sollevo il problema del costo, e lui mi spiega che non c’è problema, perché anche lui è autorizzato Sky: basta che io parli con Sky e li convinca ad affidare il lavoro a lui.

Insomma, la morale è che ci sono sì un sacco di problemi se io voglio fare l’impianto di testa mia, ma affidando i lavori alla ditta amica dell’amministratore i problemi magicamente svaniscono.

Non solo: io provo a fare la richiesta a Sky aspettandomi resistenza, e invece loro rispondono “certo, non c’è problema, abbiamo aggiornato la pratica”; in sostanza salta fuori che questa è, se non la regola, perlomeno una situazione frequente.

Alla fine va meglio così: in effetti l’antennista conosceva già il palazzo, quindi ha trovato il modo di far passare il cavo nelle canaline, sostituendo anche il cavo del terrestre per farcene stare due. Mi ha lasciato il cavo penzolante fuori dalla presa sostenendo che il frutto nella scatola non ci stava, e non saprò mai se era una scusa per risparmiarne il costo, o se è vero (o meglio, lo saprò chiamando il mio elettricista). Io ho il mio decoder nuovo e attivato da qualche giorno, e visto che l’altro abbonamento finisce a fine mese, anche i tempi sono perfetti.

Certo però che in Italia bisogna faticare – e accettare compromessi – per qualsiasi cosa.

[tags]sky, satellite, installazione, antennista[/tags]

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sabato 12 Gennaio 2008, 19:21

Skyfo

In quest’ultimo paio di mesi ho avuto parecchio a che fare con Sky, per vari motivi: prima si è rotto il decoder di casa, poi ho dovuto attivare un nuovo abbonamento per la mia casa nuova, e poi disdire quello di mia mamma. Tutte e tre le operazioni sono andate meravigliosamente avanti all’italiana, per cui vorrei raccontarvele un po’, cominciando dalla prima e dall’ultima.

La prima è stata in buona parte colpa mia: dopo aver provato a resettare il decoder un paio di volte (di solito togliere e rimettere la spina fa meraviglie) e controllato diligentemente tutte le connessioni, mi sono rassegnato a chiamare il servizio clienti, il quale è ovviamente raggiungibile solo mediante un numero 199 da 15 centesimi al minuto (perché loro ai clienti ci tengono, non li considerano mica limoni da spremere). O meglio, c’è anche – ben nascosto e solo per utenti registrati – un modulo web per contattarli via mail, per poi ricevere dopo due giorni una risposta che dice “Non siamo autorizzati a dare assistenza via mail, chiami l’199.”

Bene, chiamando l’199 risponde una gentile signorina che ti fa effettuare alcune lunghissime prove (e tu paghi) per poi farsi dire i codici d’errore, e concludere che c’è bisogno di sostituire il decoder. Essendo in attesa di disdirlo, ho deciso di lasciar perdere… è solo un paio di giorni dopo che, per caso, ho scoperto che durante le pulizie si era piegato l’allacciamento del cavo del segnale dentro la spina nel muro, non abbastanza da far smettere completamente il decoder di funzionare, ma abbastanza da confonderlo e farlo comportare come un ubriaco.

L’altra operazione è stata invece divertente come una corsa nei sacchi: difatti sul sito ci sono abbondanti istruzioni per richiedere qualsiasi opzione aggiuntiva, ma neanche una riga su come chiuderlo. Chiamo l’199 (ma come farò adesso, che non avrò più il fisso e ho il cellulare disabilitato ai numeri premium?), seleziono l’assistenza commerciale, risponde la signorina e dico: “Vorrei disdire l’abbonamento.” La signorina, senza dire nulla, mi riattacca bellamente in faccia: riparte la musichina d’attesa. Dopo dieci secondi, risponde un signorino; ridico la fatidica frase, e lui risponde deluso “Attenda”, e riattacca pure lui.

Al terzo tentativo, risponde finalmente una gentile samaritana – sarà la responsabile dei casi scottanti – che mi degna di attenzione, e mi spiega che l’abbonamento può essere chiuso soltanto alla scadenza annuale, dopo parecchi mesi. Io rispondo “Ma scusi, ma non c’era la legge Bersani, che…” A quel punto, pronunciata la fatidica parola Bersani, suona il cicalino: e la signorina mi dice “Ah, certo, se vuole avvalersi della legge Bersani allora può disdirlo subito, bastano 30 giorni di preavviso e ci deve pagare i costi tecnici.” Se non l’avessi già saputo, me l’avrebbero detto?

In effetti, come ho poi scoperto, in un angolino di una pagina al quarto livello del sito c’è un minuscolo link che recita “Adeguamento delle condizioni contrattuali satellite a partire dal 15 giugno 2007”, che fa aprire un popup con una pagina che spiega che Sky deve sostenere dei costi, poveri loro, per premere un bottone e rimuovere la tua smart card da quelle abilitate a vedere i programmi. Il bottone, però, deve essere ben complicato, visto che il costo varia a seconda del tipo di contratto e addirittura del numero di anni da cui sei cliente. Immagino che sia che devono trasmetterti dalle profondità della galassia una martellata virtuale, e quindi, visto che notoriamente le smart card si usurano col tempo, disabilitarne una più vecchia deve essere più facile. E quindi, il costo di premere il bottone è di 30 euro se sia l’impianto che il decoder sono tuoi, ma arriva magicamente a 225 euro (un anno e tre mesi di contratto, cioè più della durata del contratto stesso) se sei un cliente recente e se ti hanno dato un decoder in alta definizione… che peraltro sei tenuto a restituire a tue spese!

Insomma, io ho mandato la raccomandata a fine anno, rientrando fortunatamente nella categoria dei 30 euro, e attendo la disdetta per fine mese: e sono curioso di vedere se la staccheranno veramente o se si inventeranno ancora qualcosa. E’ però evidente che, almeno in questo caso, la legge Bersani è una grande presa per i fondelli: e vorrei ringraziare per questo i profumatamente pagati superburocrati dell’Autorità Garante per la Concorrenza e il Mercato – che perlomeno ha un numero verde, attivo ben quattro ore a settimana, che cercherò volentieri di usare – e soprattutto dell’AGCOM, quella che emerge dai cumuli di monnezza napoletana soltanto per difendere i cartelli delle telecomunicazioni ai danni dei cittadini, sventolando la trita scusa di milioni di posti di lavoro in pericolo (in realtà ad essere in pericolo sono i milioni di euro annualmente sottratti agli italiani dagli operatori con trucchetti di vario genere).

Sky, oltre a non trasmettere un film decente manco a pagarlo (nel senso che fanno pietà pure quelli in pay per view), è un orrido monopolio autorizzato dalla politica italiana, che ha peraltro investito centinaia di milioni di euro nel digitale terrestre, ma mica per creare concorrenza a Murdoch: per costringerlo a spartire la torta con Mediaset e Laset. Certo, in Las Vegas si vedono un sacco di bei culi, ma sono contento di aver deciso di prendere un abbonamento meno ricco da Sky, e spendere i soldi risparmiati in una ADSL più veloce.

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