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Archivio per la categoria 'TorinoInBocca'


mercoledì 19 Gennaio 2011, 17:18

L’ultima parola sul Movimento 5 Stelle di Torino

Sono lieto di pubblicare l’ultimo e definitivo aggiornamento sulla costituzione della lista del Movimento 5 Stelle per le elezioni comunali di Torino.

Come ricorderete, esistevano due aspiranti liste, a cui era stato dato tempo fino a fine dicembre per presentare i propri candidati, per poi svolgere una primaria online tra i simpatizzanti del movimento. Infatti, nel corso di dicembre noi abbiamo messo in piedi un sito di presentazione, cominciato a esporre in un blog alcune proposte per la città, e raccolto tutta la documentazione necessaria alla certificazione dei candidati.

Con nostra sorpresa, al ritorno dalle ferie natalizie lo staff di Grillo ci ha comunicato che l’altra lista non era riuscita a presentare un numero sufficiente di candidati (quello richiesto dalla legge per la validità delle liste alle elezioni comunali) e che la documentazione di molti loro candidati era incompleta (mancavano i certificati penali che ne provassero lo stato di incensurati).

Dunque, essendo noi la sola lista validamente presentata, non c’è stato bisogno di alcuna votazione online e noi siamo stati direttamente riconosciuti come Movimento 5 Stelle Torino; i nostri nomi sono ora elencati come candidati nello spazio ufficiale di Torino su beppegrillo.it. Pertanto, è stata definitivamente confermata anche la mia individuazione come candidato sindaco, cosa che prendo con contentezza ma anche con serietà, dato che è una responsabilità non indifferente. Da tutte le parti si dice che Torino ha bisogno di “un sindaco giovane e competente” e io spero di poterlo essere… certo più di un Fassino.

Quanto all’altro gruppo, non essendo stato certificato non è autorizzato a presentarsi come Movimento 5 Stelle o a usare il simbolo, e deve chiudere o rinominare i profili Facebook e il dominio Internet; questo non per cattiveria ma per chiarezza, dato che, per definizione, ci può essere una sola lista del Movimento in ogni elezione. Dopodiché, se vorranno aiutarci costruttivamente saranno benvenuti, e se invece vorranno smettere, o fare politica altrove, ci spiacerà ma sarà una loro scelta personale; l’unica cosa che non possono fare è continuare a presentarsi abusivamente come “Movimento 5 Stelle Torino” o varianti confondibili (anche perché a quel punto starebbero violando coscientemente sia le regole del Movimento che la legge italiana, e Grillo li denuncerebbe per tutelare il Movimento). D’altra parte, anche loro hanno sempre detto che l’importante sono le idee e non le candidature e che avrebbero accettato il risultato del confronto tra le liste: confido che manterranno la parola.

Comunque, abbiamo perso tantissimo tempo in questa vicenda e ora c’è da rimboccarsi le maniche e lavorare; abbiamo bisogno di aiuto e collaborazione da parte di tutti i simpatizzanti. A breve vi daremo modo di segnalare cosa potete fare per il Movimento: dallo spargere le nostre informazioni al venire a volantinare fino allo svolgere alcune delle funzioni più strettamente legate alle elezioni. E poi, se siete iscritti alla piattaforma nazionale, ci sarà la possibilità di dirci quali sono le proposte più importanti da inserire nel programma, e di farne di nuove. Da soli non possiamo fare molto; vorremmo davvero ridisegnare il futuro di Torino, insieme a tutte le persone di buona volontà.

[tags]movimento 5 stelle, torino, certificazione, beppe grillo, elezioni comunali, futuro[/tags]

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sabato 15 Gennaio 2011, 10:19

Mirafiori, sognando Hammamet

Io, ad Hammamet, ci sono stato anni fa: ci stavamo solo di notte, alloggiati lì per la grande conferenza ONU che si teneva a Tunisi. La Tunisia era un sultanato ordinato, pieno di viali di palme e asfalto nel deserto, se non fosse che Internet era filtratissima, che ovunque c’erano gigantesche facce di Ben Ali, e che io avevo dovuto offrirmi come scudo umano europeo in uno scontro tra la polizia e una associazione dissidente locale. (Ma non pensate che il resto del Nord Africa sia diverso: l’ultima volta che sono stato al Cairo, in una via laterale del centro, improvvisamente erano partiti gli scontri – non si sa nemmeno con chi e perché – e tutto era stato bruciato e raso al suolo, per poi ritornare spettralmente calmo in mezz’oretta.)

Non so come sia Hammamet oggi, penso come il resto della Tunisia: terra bruciata che esulta, all’alba di un dittatore fuggito (presumo perché scaricato da chi può, non fatevi illusioni sulle rivolte popolari).

Per il risultato del referendum di Mirafiori, invece, non esulta nessuno: il no ha perso, ma, rispetto ai risultati delle ultime elezioni sindacali della fabbrica, al fronte del sì manca quasi il 20%, e con una vittoria così risicata si annunciano tempi durissimi e scioperi continui. Perdipiù, tantissimi hanno detto di aver votato sì solo per costrizione.

La mia bacheca di Facebook è un fiorire di promesse come “Marchionne ti aspettiamo a piazzale Loreto” (con commento “lo vorrei vedere morto a testa in giu’ e riempirlo di calci e sputi o giocare a palla con la sua testa”) e “fossi quei 421 impiegati mi guarderei bene le spalle ad andare a lavorare e tornare a casa”; sulla bacheca dei viola è ripassato anche il pugno di Lotta Continua. Non a caso, stamattina è arrivata pure una nota di Bifo Berardi, fresco fresco dal ’68, che detta la linea: “dai tunisini dobbiamo imparare come si fa” perché “le formalità della democrazia ora non debbono interessarci più”.

Io, a questo, non ci sto; non voglio un agghiacciante ritorno degli anni ’70, delle gambizzazioni dei quadri Fiat e della “lotta extraparlamentare”, con conseguente e inevitabile nuova marcia dei quarantamila e altri trent’anni di craxoberlusconismo. Io sogno Hammamet: sogno una rivoluzione pacifica, attraverso i processi nei tribunali e la mobilitazione nelle piazze, che spinga la nostra classe politica ad andarsene in esilio, mentre noi realizziamo il progetto di pace e di giustizia che abbiamo in mente.

Quello che abbiamo visto a Tunisi può esaltare la rabbia, l’aggressività frustrata; lo capisco. Ma non è giusto lasciarsi andare, nemmeno a parole. Come dimostra il movimento No Tav, la lotta può essere dura senza arrivare alla violenza contro le persone; perché in democrazia la forma è sostanza; perché chi conquista il potere con la violenza raramente lo lascia con la democrazia.

[tags]mirafiori, torino, tunisia, hammamet, rivoluzione, terrorismo, lotta continua, sindacato, democrazia[/tags]

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martedì 11 Gennaio 2011, 19:19

La Regione dei picchiatori

Parlo abbastanza poco dell’attività dei due consiglieri regionali del Movimento 5 Stelle, un po’ perché lo fanno già loro sul loro blog, un po’ perché tanto tutti i link relativi circolano ampiamente sulla mia bacheca di Facebook. Tuttavia, quello che è successo ieri è davvero assurdo!

Probabilmente saprete del loro piccolo show di fine anno in consiglio regionale, con il lancio di banconote finte ai consiglieri dei partiti, per protestare contro la loro decisione di ridursi il loro stipendio (che consta di 6.500 euro più 10.000 di “rimborso” ogni mese) solo del 10% invece che del 50% proposto dal Movimento – decisione peraltro nemmeno spontanea, ma imposta da una legge nazionale. Alla provocazione pacifica hanno risposto meno pacificamente alcuni consiglieri, in particolare un agitatissimo Boeti (PD) e il consigliere pidiellino Motta, che è arrivato a tirare un calcio a Bono; cosa che non stupisce, dato che lo stesso Motta da giovane fu condannato a otto mesi, insieme al suo amico del cuore Agostino Ghiglia, per aver picchiato due liceali di sinistra.

Bene, direte voi, a questo punto la presidenza del Consiglio Regionale prenderà provvedimenti contro l’aggressione? Nemmeno per sogno: il presidente Cattaneo ha chiesto invece pubbliche scuse ai due consiglieri a cinque stelle, e inoltre ha modificato il regolamento del consiglio regionale per impedire anche ai consiglieri di riprendere ciò che avviene in aula, lasciando solo le immagini “ufficiali” della regia regionale. Infatti, senza le riprese alternative non si sarebbe visto così bene ciò che è successo…

Si può anche non essere d’accordo con la provocazione (personalmente non è il genere di comportamento che mi piace), ma una cosa è lanciare foglietti di carta, una cosa è inseguire e aggredire un avversario politico. La cosa giusta da fare è una sola: che sia la magistratura a valutare se sono stati commessi reati. Certo, Motta è recidivo e rischia conseguenze penali serie, ma non dubito che troverà un giudice disposto alla clemenza, come in Italia ai politici accade spesso.

Ad ogni modo, il comportamento della presidenza regionale (che fa il paio con quello della maggioranza piddina del consiglio comunale, che si è rifiutata anche solo di parlare con una delegazione di operai e sindacalisti FIOM) è indicativo di come si relazionano con l’esterno i politici: a meno che non si possa manipolare l’informazione, lo fanno il meno possibile.

[tags]consiglio regionale, piemonte, movimento 5 stelle, bono, boeti, motta, pd, pdl, picchiatori, fiom, informazione[/tags]

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lunedì 10 Gennaio 2011, 17:14

Marchionne, il sindacato e l’assenza di futuro

Sabato pomeriggio sono andato al presidio che la FIOM ha organizzato in piazza Castello per spiegare le ragioni del no all’accordo di Mirafiori. Abbiamo voluto esserci per dimostrare la solidarietà ai lavoratori (non tanto al sindacato in sé, istituzione la cui versione italica io non amo proprio), e nel frattempo io ho girato qualche immagine che vi lascio qui sotto.

Personalmente trovo l’accordo di Mirafiori scandaloso innanzi tutto nel modo in cui è maturato; è un ricatto con cui Marchionne dice “o lavorate a condizioni sempre peggiori o io chiudo le fabbriche italiane” (e non è detto che tra le due strade speri nella prima). Scandaloso, più ancora il fatto che Marchionne “ci provi”, è il fatto che il Paese si chini a novanta; che non ci sia una controparte seria in grado di giocare non in difesa, ma in attacco.

Già, perché il famoso progetto Fabbrica Italia, almeno per quanto riguarda Mirafiori, non mi convince proprio: che futuro può avere uno stabilimento che dovrebbe produrre SUV americani su licenza? E’ questo, secondo Marchionne, il veicolo del futuro, o è un modo per trascinare Mirafiori ancora per qualche anno in condizioni sempre peggiori, stile ThyssenKrupp, in attesa di poterlo chiudere per sfinimento?

Una delle cose più interessanti che ho fatto sabato è stata chiacchierare un po’ con un operaio dello stampaggio di Mirafiori. Mi ha detto più o meno “qui ci limano turni e pause perché saremmo troppo poco produttivi, eppure nel mio reparto il macchinario più recente ha almeno vent’anni e molti ne hanno quaranta; per cui, se in Volkswagen cambiano stampo in dieci minuti, noi ci mettiamo tre ore, periodo in cui la produzione resta ferma. Visto che ora la produzione è sempre più just in time e a piccoli lotti, questo vuol dire che per molto tempo la linea è improduttiva; ma non dipende dai lavoratori, ma dal fatto che la Fiat non ha mai investito per aggiornare tecnologicamente lo stabilimento”.

Ovvero, condizioni cinesi: io quest’estate ho visitato lo stabilimento Volkswagen di Shanghai e lì non ci sono robot o macchinari moderni, solo miriadi di operai con saldatori e persino cacciaviti in mano, come negli anni ’50. Evidentemente questo è il futuro che Marchionne ha in testa per le fabbriche italiane.

E qui, come dicevo, arrivano le magagne del sindacato: perché il sindacato ha passato gli ultimi trent’anni con la testa nella sabbia, confondendo la difesa dei lavoratori con la conservazione dello status quo, grazie a cui i sindacalisti hanno goduto di privilegi personali; e arrivando a difendere anche le inefficienze, come se il problema della competitività internazionale non si ponesse mai, come se non fosse inevitabile che in una fabbrica di auto arretrata e con prodotti poco competitivi presto non ci sarebbero stati più soldi per tutti, e che i tagli sarebbero stati scaricati sui lavoratori.

Io avrei voluto che fosse il sindacato a chiedere alla Fiat un piano industriale adeguato alla mobilità del “post petrolio”, basata su veicoli energeticamente efficienti e non inquinanti (e su una diversificazione verso settori attigui, come la cogenerazione) e su uno spostamento verso il trasporto pubblico e collettivo. La Fiat che idee ha per affrontare questa prospettiva? Apparentemente, nessuna. E la FIOM? Beh, temo, anche. E’ questo – non i dieci minuti di pausa di operai che peraltro lavorano già 40 ore settimanali contro le 35 dei tedeschi – che fa la differenza sulla competitività futura della nostra industria automobilistica.

A tutto questo si aggiunge però un altro scandalo, quello dell’ingiustizia sociale. Se l’Italia deve accettare sacrifici per recuperare competitività, li devono fare tutti. Non è accettabile che si peggiorino le condizioni di vita e di salute degli operai mentre Marchionne guadagna 120 milioni di euro con le sue stock option, tassate perdipiù al 12,5%. A me piacerebbe fare il conto di quanti soldi ha dato alla Fiat la collettività con la cassa integrazione, con gli incentivi alla rottamazione, con le regalie tipo l’acquisto delle aree TNE (60 milioni di euro) o la svendita dello Stadio delle Alpi a scopo di centro commerciale. Facendo i conti, potremmo scoprire che Mirafiori in realtà dovrebbe già essere nostra.

[tags]fiat, fiom, auto, mirafiori, marchionne, industria, lavoro, operai, trasporti[/tags]

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venerdì 7 Gennaio 2011, 18:49

Meno 18

Ero bambino e il mio tram era il 6, quando i biglietti da dieci erano una striscia colorata lunga lunga a cui la macchinetta tagliava via ogni volta dal lato un pezzettino in più (di qui il nome “obliteratrice”). C’era l’inflazione a due cifre e dunque il colore dei biglietti e il relativo prezzo variava ogni anno o giù di lì.

Poi un giorno decisero che non c’era più il 6 ma l’1, e nemmeno andava più in piazza Castello, però era sempre lo stesso tram vecchiotto, non come quei nuovi mostri che giravano come “metropolitana leggera” (dall’accelerazione direi più “scassoni pesanti”) in corso Regina. Con la nuova “griglia” avevano promesso chilometri di binari nuovi, ma intanto quelli vecchi sparivano alla velocità della luce; e negli anni seguenti, con la sola eccezione del nuovo 9, non fu altro che un susseguirsi di linee teoricamente tramviarie gestite con gli autobus per anni.

Il tram, eppure, non è un residuo del passato; in tutto il mondo sta ottenendo un nuovo successo, essendo una sana via di mezzo tra il piccolo e inquinante autobus e la costosissima metropolitana. Certo i tram moderni non sono più le vetturette agili del Novecento, ma dei barconi simili a una portacontainer su rotaie; ma sono imbattibili per le “linee di forza” del trasporto di una media città come Torino. Ciò nonostante, godono di una immagine particolarmente negativa, che porta alla tranquilla esposizione in pubblico di idee che a una analisi più attenta sollevano perlomeno qualche dubbio, come quella per cui scavare un buco enorme a fianco della Gran Madre per farci un parcheggio sotterraneo non danneggia il monumento, ma il fatto che ci giri attorno il tram sì (in fondo sono solo centoventi anni che ci gira attorno).

Attualmente, la storia simbolo del disprezzo con cui vengono visti i tram è quella del 18, la linea che dal 1982 unisce la zona di piazza Sofia a Mirafiori passando per via Bologna, via Rossini, via Accademia Albertina, via Madama Cristina, via Nizza, via Passo Buole e corso Settembrini. Si chiama così perché è la somma delle vecchie linee 1 e 8 ante riforma, e in questi ultimi anni, per via dei lavori del sottopasso di corso Spezia e poi della metropolitana verso il Lingotto, è stata prima troncata in piazza Carducci, con una navetta bus da lì a Mirafiori, e poi sostituita completamente con il bus.

Adesso, il progetto del Comune è quello di accorciarla definitivamente, fermandola per sempre in piazza Carducci. La scusa ufficiale è che essendoci la metropolitana da piazza Carducci al Lingotto, e in futuro fino a piazza Bengasi, non ha senso che in quel tratto di via Nizza passi anche un tram. Peccato che il tratto sia in tutto di tre fermate, e che rappresenti solo un pezzetto della linea 18.

I veri problemi per cui si vuol tagliare il 18 sono altri: i lavori della metropolitana sono stati fatti senza un briciolo di buon senso, spostando le fogne e i relativi tombini proprio dove c’erano i binari, e dunque ora il tram non ci passerebbe più. A monte di questo, sta la decisione di mandare in pensione qualche anno fa alcune decine di tram della serie 3100 (i classici tram arancioni di Torino), che ora giacciono a marcire in un deposito, ufficialmente accantonati. E allora, adesso che varie linee di tram (13, 16) smettono di essere gestite con i bus per la fine dei lavori di metropolitana e passante ferroviario, si scopre che non ci sono più abbastanza tram per gestire un percorso così lungo (più lungo è il percorso e più tram servono per coprirlo a parità di frequenza).

Quelle motrici sarebbero ancora recuperabili a costi senz’altro inferiori rispetto all’acquisto di altrettanti bus; e allora non si capisce perché si voglia a tutti i costi spendere dei soldi per comprare i bus, per poi costringere i passeggeri a cambiare da un tram a un bus in piazza Carducci. Visto che i binari ci sono già, perché non usarli? E’ quello che chiede una petizione di tecnici e appassionati, che io ho già firmato.

Ma gli sprechi inspiegabili non sono finiti: nel 2005 (a metropolitana già in costruzione) si sono spesi molti soldi per rifare l’impianto in tutto il tratto di via Passo Buole (già di suo un impianto relativamente recente, visto che fino agli anni ’60 la linea passava nel sottopasso del Lingotto): chilometri di binari che ora il Comune vorrebbe buttare per sempre.

Del resto, nel 2004 sono stati rifatti i binari del 18 anche in via Accademia Albertina; e anche quello rischia di restare uno spreco. Infatti, l’onnipresente lobby dei commercianti ha colto la palla al balzo per chiedere che il 18 diventi completamente bus su tutto il percorso. Perché? Perché così nel tratto iniziale di via Bologna le rotaie del tram, situate accanto al marciapiede davanti ai negozi, possono essere adibite a parcheggio, come già è in questo periodo di gestione bus provvisoria. E chi se ne frega dell’ecologia e dell’efficienza del trasporto pubblico.

[tags]tram, torino, 18, trasporto pubblico, sprechi[/tags]

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mercoledì 22 Dicembre 2010, 11:58

I conti che non tornano

Oggi il Comune di Torino ha annunciato sui giornali un nuovo provvedimento: le bollette del gas di tutti i torinesi saranno aumentate di circa 7 euro l’anno per costituire un fondo di 200.000 euro da dedicare all’assistenza sociale. I soldi saranno incassati dal proprio gestore del servizio del gas, che se diverso li girerà ad AES (che gestisce la rete dei tubi del gas cittadina), che a sua volta li girerà al Comune, sotto forma di aumento del canone che AES paga ogni anno al Comune per l’uso del suolo pubblico.

Peccato che a Torino ci sia un numero di appartamenti che non conosco, ma che certamente sta nell’ordine dei quattrocentomila: secondo il rapporto “Immobili in Italia 2010” dell’Agenzia del Territorio, pagina 20, in Italia ci sono 32 milioni di appartamenti residenziali per 60 milioni di persone, uno ogni 1,88 abitanti; con la stessa proporzione, a Torino ci sono almeno 450.000 alloggi. Dato che praticamente tutti hanno il gas, una banale moltiplicazione rivela che l’incasso aggiuntivo di AES sarà di oltre tre milioni di euro l’anno.

Allora, delle due l’una: o l’articolo di giornale è impreciso e la cosa non è stata spiegata bene, o viene il dubbio che in realtà la storia funzioni al contrario; AES – società privata di proprietà al 51% della famigerata Iren e al 49% dell’Eni tramite Italgas – aumenta le bollette ai torinesi di tre milioni di euro, e per “vendere” la cosa ai cittadini ci fa (con i nostri soldi) una elemosina di duecentomila euro, che il Comune provvede prontamente a magnificare a mezzo stampa, per nascondere il fatto di aver come al solito calato le brache di fronte ai grandi interessi economici e magari a una fetta della torta sotto forma di tasse aggiuntive. Chissà, secondo voi come stanno le cose?

[tags]torino, comune, gas, aumenti, bollette, aes, italgas, eni, iren[/tags]

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lunedì 20 Dicembre 2010, 18:19

Un centro per le persone

Stamattina ero in giro in bici per il centro e ho fatto più fatica del solito a districarmi nel traffico. Le piste ciclabili erano continuamente interrotte da furgoni in sosta “solo un attimino”; soprattutto, ho trovato un vero delirio di automobili ferme in coda in ogni strada, persino in ore non particolarmente di punta (tra le 10 e le 12).

Il che suggerisce varie cose; per esempio, non è vero (a parte la situazione poco sensata di soffocamento del traffico in attraversamento attorno a piazza Vittorio) che gli ingorghi sono creati dalla ZTL, visto che è stata sospesa da due settimane per volere dei commercianti. E non è nemmeno vero che l’accessibilità del centro alle auto renda il centro un luogo piacevole dove andare: io volevo scappare dopo cinque minuti.

Al contrario, più si illudono le persone che si possa andare in centro città con l’auto e peggio la situazione diventa, perché il centro non è fisicamente in grado di contenere il numero di auto derivante da mezza città che vi si dirige con un veicolo a testa, né potrà mai esserlo.

La politica viabile del centro è, da sempre, figlia dell’assessorato al Commercio; allo stato attuale, retto da quello stesso Altamura che qualche giorno fa ha dichiarato che bisogna essere comprensivi con gli ambulanti che per vent’anni hanno evaso tasse e contributi (poverini, mica vorremo farglieli pagare adesso con tanto di more, no? in fondo a tutti succede di avere un momento di difficoltà e dunque di non poter pagare le tasse per una ventina d’anni, o in alternativa di dimenticarsene, che distratti!). Questo vi fa capire l’approccio del Comune di Torino con i commercianti: a novanta gradi.

Il problema è che le associazioni di categoria dei commercianti torinesi non sono nemmeno troppo sveglie, se è vero che si opposero all’epoca alla pedonalizzazione di via Garibaldi e si sono opposte per decenni a quella di via Lagrange, salvo poi scoprire che, caso strano, dopo averle pedonalizzate queste vie sono rifiorite.

A me piacerebbe allora sperimentare una soluzione di questo genere: intanto, pedonalizzare definitivamente via Roma, e poi chiudere decisamente il centro al traffico nei fine settimana prenatalizi, per trasformarlo in un centro commerciale naturale a dimensione umana, a cui accedere con i mezzi pubblici o al massimo lasciando l’auto nei parcheggi sotterranei. Tra Porta Palazzo, Porta Nuova, piazza Carlina e piazza Solferino tutti a piedi, magari aiutati da qualche navetta elettrica allestita per l’occasione. Una soluzione simile sarebbe sperimentabile anche per alcune vie di periferia a forte vocazione commerciale.

Che ne dite? Capisco lo shock iniziale, ma credo che sarebbe comunque meglio dell’ingorgo perenne che attornia il centro in questi giorni, e che alla fine anche gli incassi del commercio avrebbero delle liete sorprese…

[tags]torino, isola pedonale, centro, traffico, commercio[/tags]

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venerdì 3 Dicembre 2010, 16:42

La riconquista

Da anni, noi grillini teniamo spesso riunioni in una sala in zona San Salvario; e siccome le riunioni vanno spesso avanti fino a tarda notte, in genere ci vado in auto. Negli anni, ho dunque potuto seguire l’evoluzione della viabilità e dei parcheggi in una delle zone più difficili di Torino da questo punto di vista, anche per i lavori della metropolitana.

Fino a qualche mese fa, la situazione era ancora discreta; infatti il viale centrale di corso Marconi, chiuso al traffico di scorrimento per i suddetti lavori, fungeva da grande parcheggio, con le auto a lisca di pesce sui due lati e in una fila al centro.

Qualche tempo fa, però, il Comune ha avuto una interessante pensata: ha tracciato un’ampia pista ciclabile lungo uno dei due lati del viale centrale, eliminando di conseguenza il parcheggio sia su tale lato che al centro, riducendo dunque i posti auto a poco più di un terzo.

Ora, io mi sposto spesso in bici per Torino, e trovo la situazione delle piste ciclabili cittadine davvero scandalosa: quelle che esistono sono spesso inutili, abbandonate, ostruite da foglie e radici, bloccate da auto in divieto, e spesso vengono fatte passare sui marciapiedi, davanti ai portoni, in mezzo alle edicole e ai benzinai, per poi finire contro un gradino o contro un muro proprio nei punti più difficili e pericolosi.

Insomma, un piano serio di piste ciclabili – dove “serio” si riferisce innanzi tutto al fatto che esse devono coprire i percorsi di maggiore scorrimento senza interrompersi nelle piazze e negli incroci, anche a costo di sottrarre spazio alle auto – è una delle prime cose che vorrei che il Comune facesse; e l’obiettivo della pianificazione del traffico urbano deve senza dubbio essere quello di eliminare il più possibile le auto private, rendendole superflue ed economicamente sconvenienti.

Ciò nondimeno, non essendo un integralista, sono il primo a dire che la pista ciclabile di corso Marconi è una cagata pazzesca: non solo serve un corso a basso traffico che non porta da niente a niente (anche perché nessun ciclista farebbe corso Marconi per poi infilarsi nel cantiere stile Camel Trophy di via Nizza), ma è su un percorso che era già tranquillamente percorribile in bici senza grandi problemi, dato che il viale centrale era privo di traffico a parte le auto che entravano e uscivano dal parcheggio.

Per settimane dunque ho visto le auto girare in tondo senza requie, spuzzettando e rumoreggiando qua e là nel buio della sera per cercare un parcheggio inesistente, mentre la pista ciclabile ovviamente rimaneva completamente vuota.

Ieri sera però, andando all’ennesima riunione, è successo un fenomeno strano. Mi sono immesso sul viale, e, incredibilmente, la pista ciclabile era completamente piena… di decine di auto parcheggiate. Non c’erano altri cambiamenti, o nuovi segnali stradali, o altro di particolare. E’ come se tutto il quartiere, di colpo, avesse deciso di averne abbastanza e silenziosamente, dal basso, si fosse riappropriato dei propri parcheggi, fino all’ultimo centimetro.

Non ne gioisco, perché l’azione dal basso meriterebbe migliori cause (anche se niente a Torino è odiato come le strisce blu, lo sentiamo anche noi parlando costantemente con la gente), ma ne prendo nota: attenzione alla pianificazione urbana scriteriata, perché prima o poi la gente s’incazza.

[tags]traffico, parcheggi, piste ciclabili, torino, san salvario, auto, bici[/tags]

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mercoledì 1 Dicembre 2010, 16:37

Parlando di zingari

Stamattina tornavo in treno a Torino sul solito regionale da Milano, carico di tutte le masserizie per il viaggio da Roma – zaino, borsa del computer e giaccone bagnato. Dopo Chivasso, a un certo punto passa per il vagone una zingara; si ferma davanti alle persone sedute e comincia a chiedere l’elemosina. Davanti a me si ferma un attimo in più, io rispondo di no, lei insiste, alla fine se ne va.

Dopo tre o quattro minuti ne arriva un altro; ha in mano un foglio piuttosto lercio, dentro una busta di plastica trasparente, sul quale c’è la foto di un bambino e un testo abbastanza lungo che racconta di varie sofferenze e chiede una donazione. Arrivato vicino al mio sedile, si ferma e si sporge (io sono seduto vicino al finestrino) e comincia a insistere che vuole un euro. Lo dice una volta, lo dice due, spinge questo foglio proprio sotto al mio naso, chinandosi in avanti. Io dico di no una volta gentilmente, la seconda lo ripeto, alla terza capisco che qualcosa sta andando orribilmente storto, perché una insistenza così non si spiega. Alzo la voce e lo zingaro infine se ne va.

Prima ancora che possa controllare, la coppia di ragazzi marocchini seduta dall’altro lato del corridoio mi dice subito di controllare la borsa. Infatti lo zaino, posato sul sedile accanto a me, è aperto – e io sono sicuro di averlo chiuso. Loro parlottano in arabo, presumo dello stupido italiano che non sa neanche guardarsi le sue cose; per fortuna però devo essermi incazzato in tempo, perché non manca niente (del resto nello zaino non c’era niente di valore, se non il borsello con la macchina fotografica che però è piuttosto pesante e ingombrante).

Il trucco di mostrare un foglio tenuto sulla mano, mentre sotto si armeggia nelle borse con l’altra, è vecchio come il mondo (ma vale la pena di ribadirlo); questo caso però dev’essere particolarmente raffinato, visto che probabilmente al primo passaggio viene aperta la borsa, in modo che al secondo passaggio si possa frugare più facilmente.

Ora, come catalogare questo evento, che morale trarne? Io non lo so: agire per induzione, generalizzare in base a un episodio singolo, è un istinto umano ma porta a conclusioni del tutto irrazionali. Certo, basta aprire i giornali – anche quelli non di destra – per trovare casistiche molto più ampie; solo nelle ultime due settimane, solo a Torino, i rom sono finiti tra le notizie per un caso di morte accidentale durante furto di rame; per la contemporanea raccolta di firme contro i miasmi tossici che escono dal campo nomadi di strada dell’Aeroporto, quando i cavi rubati vengono bruciati per eliminare la plastica e recuperare il rame; e per l’arresto di una banda di rom dedita al racket del parcheggio. Un mese fa aveva fatto scalpore il caso del muro interno al campo per separare zingari bosniaci da zingari serbi.

Ma questo accade perché statisticamente i rom hanno tassi di criminalità e di turbolenza sociale superiori alla media, o perché i giornali sono interessati solo alle cattive notizie? E se hanno tassi di criminalità superiore, è colpa loro che hanno una cultura in cui certi comportamenti per noi inaccettabili sono normali, o colpa nostra che li emarginiamo?

Le istituzioni scelgono la via della tolleranza e li giustificano: per esempio, il nuovo vescovo Nosiglia ha esplicitamente citato i rom tra i suoi “figli prediletti”. Il Comune investe soldi nei campi, paga i danni e le bollette, promuove il volontariato e l’assistenza, mantiene un ufficio di undici persone solo per loro, che pubblica peraltro un rapporto molto interessante. Eppure, nonostante le conclusioni dello stesso rapporto rivendichino “il ruolo d’eccellenza che il Comune di Torino ha saputo conquistarsi nell’ambito delle iniziative e delle politiche rivolte ai Rom ed ai Sinti”, i risultati in termini di integrazione e di soddisfazione dei torinesi non sembrano esaltanti.

[tags]zingari, rom, sinti, torino, furti, integrazione, comune, vescovo[/tags]

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lunedì 29 Novembre 2010, 14:45

Profumo di cambiamento

La lettera con cui il Rettore del Politecnico Profumo comunica la sua indisponibilità a fare il sindaco segna probabilmente un momento di svolta negli equilibri geopolitici di Torino. Detto che su questo genere di cose giravolte e ripensamenti sono all’ordine del giorno, il messaggio che ha mandato ieri il Rettore è molto chiaro: “io l’avrei anche fatto, mi ci sarei messo seriamente, ma voi avete cominciato a litigare e allora non ci sto”.

Il “voi” in questo caso è la classe politica cittadina, da Chiamparino in giù; che poi vuol dire, vista la calcolata inconsistenza del centrodestra a Torino città, soprattutto il PD. Con Castellani prima e con Chiamparino poi, il PD è stato organico al blocco socio-economico che controlla la città: è stato fedele alleato della Fiat sia sul piano industriale che su quello dell’immagine (compresi i mondiali di sci e le Olimpiadi); si faceva scrivere i piani strategici dal Sanpaolo; ha permesso ai palazzinari (talvolta amici, talvolta parenti) di cementificare le periferie; aveva dalla sua parte anche gli accademici, non solo gli intellettuali di Palazzo Nuovo, ma addirittura quei “confindustriali” del Politecnico.

Ora, però, questo asse si è incrinato. Da una parte il potere economico ha spinto Profumo in tutte le maniere; se riprendete in mano le prime pagine della cronaca cittadina della Stampa, quasi ogni giorno per tre mesi c’è stato un articolo su cosa faceva Profumo, cosa pensava Profumo, quanto era figo Profumo. Dall’altra la politica cittadina ha detto no: chi più chi meno, i vari capetti del PD hanno detto “con Castellani ci avete preso alla sprovvista, con Chiamparino ci avete marginalizzato, ora tocca a noi”; hanno detto che la “società civile” deve stare al suo posto, e che l’amministrazione delle istituzioni compete ai politici professionisti.

Questo esito rafforza, se ce ne fosse bisogno, il ruolo di una lista civica come la nostra; una lista che, pur facendo parte di un movimento nazionale, non aspira a formare politici di professione, ma piuttosto a portare un gruppo di persone comuni nelle istituzioni. Il nostro gruppo è particolarmente variegato; ci sono i “meetuppari” classici, gli esperti di decrescita, di energie alternative, di mobilità sostenibile, di GAS; ma ci sono anche persone che sfuggono a questa classificazione, imprenditori, liberi professionisti, persone che vogliono soprattutto una gestione di Torino migliore, orientata al bene comune invece che agli interessi di pochi.

Se questa varietà può far storcere il naso a chi intende il Movimento come un club di puri, essa è invece per me un grosso valore: vorrei che fossimo noi la vera “alleanza per Torino”, quel movimento di persone che non vogliono fare politica per mestiere ma che, venendo da esperienze molto diverse, si radunano su un programma di rinnovamento e rilancio della città. Più ampio e variegato sarà il fronte che riusciremo a costruire, migliori saranno le nostre chance di ottenere dei risultati: questa è la nostra sfida dei prossimi mesi.

[tags]torino, sindaco, elezioni comunali, politecnico, profumo, movimento 5 stelle[/tags]

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