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Archivio per la categoria 'TorinoInBocca'


mercoledì 11 Giugno 2008, 15:43

MetroTorino linea 2

È stato approvato ieri il tracciato definitivo della seconda linea della metropolitana torinese:

2a61pif.jpg

(immagine cortesia di qualcuno sul Web, non so chi).

Il commento migliore che ho sentito è: essendo una linea che unisce i due principali cimiteri cittadini con tre ospedali, sarà finanziata in project financing da Giubileo?

In realtà, il tema è affascinante: avendo a disposizione una nuova linea, quali sono le zone da servire? Se sul tracciato verso sud-ovest c’erano pochi dubbi – anche se qualcuno avrebbe preferito coprire corso Agnelli e l’ingresso principale di Mirafiori, dove però si è già investito pesantemente per il maxitram-lumaca numero 4, quello che viene superato di slancio persino da chi fa jogging – la parte a nord era meno scontata.

In pratica, si è scelta l’ipotesi del riciclaggio: da corso Novara al capolinea Rebaudengo si può riciclare il trincerone dell’ex ferrovia merci, e il pezzo da scavare è decisamente più corto. In più, l’altra ipotesi – il più breve tunnel da piazza Castello a stazione Dora – sarebbe passata sotto la zona romana e poi sotto Porta Palazzo, ed era quindi a fortissimo rischio di inceppamento e di caos cantieristico. Non è comunque detto che non si prosegua: in un modo o nell’altro, l’idea è che da Rebaudengo si possa tornare in giù fino a stazione Dora e poi prendere l’attuale tunnel della Torino-Ceres, che è da buttar via causa abbassamento del passante ferroviario: un riciclaggio unico fino a Madonna di Campagna o magari a Venaria, anche se per arrivare da Venaria in centro si passerebbe per mezza Torino.

Il tutto naturalmente è soggetto all’ennesima speculazione edilizia, ovvero la costruzione di un altro nuovo quartiere sulla zona tra il cimitero e via Bologna. Vero è che stiamo parlando della fine del prossimo decennio, ma chissà chi ci andrà ad abitare…

L’unica perplessità restano le interconnessioni: in pratica le fermate saranno più rade in centro che in periferia, il che è un controsenso; in centro non ci sarà un interscambio comodo con il 4 e con l’asse di mezzi pubblici di via XX Settembre, visto che le fermate saranno una in fondo a piazza Castello e una in piazza Solferino; per andare a Porta Nuova o a Porta Susa bisognerà cambiare linea; l’interscambio con i mezzi su corso Peschiera è in dubbio, dipende se la fermata sarà all’incrocio del corso o davanti al Politecnico; e l’interscambio ferroviario con la nuova stazione Zappata sarà altrettanto lungo, visto che la stazione è relativamente lontana da largo Orbassano. Ma tanto, ci sarà ancora tempo di cambiare il progetto varie volte…

[tags]torino, metro[/tags]

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lunedì 9 Giugno 2008, 15:29

Carta alla torinese

L’altra settimana ho perso il treno per andare a Milano: infatti sono arrivato alla stazione della metro per andare a Porta Susa, mi sono messo davanti alla macchinetta per comprare i biglietti, e ho scoperto di essere senza contante. Poco male, ho pensato: pagherò con le carte.

Infatti, nei miei giri per il mondo, quasi mai ho comprato biglietti di treni o di metropolitane con i soldi: ovunque, il meccanismo preferito sono i distribuitori automatici con carta di credito. Ecco quindi la versione standard internazionale di questa operazione: arrivi davanti alla macchinetta; scegli il tuo biglietto; infili la carta di credito nel lettore di tessere; la tiri fuori; la macchinetta stampa il tuo biglietto e te lo dà.

Ecco invece l’ineffabile versione torinese della procedura. Fino ad arrivare alla macchinetta e scegliere il biglietto, tutto bene; poi infili la carta di credito nel lettore di tessere, e già ci metti un po’ a trovarlo, perché è laterale e non sembra un lettore, sembra una specie di cassaforte dotata non della solita fessura ma di una fessura e di un intero tastierino di metallo modello Blade Runner, a parte il logo verdino Sanpaolo Shopping (sono sicuro che il Sanpaolo ha vinto la commessa presentando l’offerta migliore, non perché è era la principale banca cittadina, prima di essere comprata dai milanesi).

Comunque, metti la tessera e non succede niente; la estrai, la rimetti, niente. Provi col bancomat, uguale. Fai per desistere e andartene, tornando in superficie a cercare un bancomat per prelevare contante e pagare con quello; ma proprio in quel momento arriva un addetto alla manutenzione, che ti dice: “Guardi che si può pagare con carta, deve schiacciare il simbolino!”.

Tu non capisci, allora il signore ricomincia la procedura da capo, e ti fa vedere: nella schermata di pagamento, esattamente al centro del margine inferiore dello schermo, in mezzo ai loghi non cliccabili di GTT e altro, c’è una GIF 20×20 ingrandita a dismisura, contenente una ventina di carte riprodotte a risoluzione 2×2, in modo insomma da non essere minimamente riconoscibili come tali; a ben vedere, l’icona sembra un po’ come il contenuto di un cestino per la carta spatasciato sul pavimento, di sicuro non il classico rettangolo coi simbolini Visa e Mastercard che in tutto il mondo vuol dire “carta di credito”; né c’è una scritta o qualcosa che ti segnali che è possibile premere su quel disegnino. Schiacciando lì sopra col dito, ti fa vedere il signore, si attiva la procedura per il pagamento con carta… ora, già non ha senso che la si debba attivare esplicitamente; in più, tu hai una laurea in ingegneria e disegni applicazioni informatiche per mestiere, ma non ci saresti mai arrivato; figuriamoci l’utente medio.

Comunque, questo è solo l’inizio: inserisci la tessera, e non capisci. Già, perché d’ora in poi l’applicativo non comunica più tramite il monitor, ma tramite lo schermino LCD verde della pulsantiera in stile Blade Runner; e quindi devi capire che devi spostare lo sguardo e leggere lì sopra. Guardi lì, e ti dice: rimuovere la tessera. Tu rimuovi, e ti dice: inserire la tessera. La inserisci, e ti dice: rimuovere la tessera. Ti senti un po’ cretino, ma poi dice che sta iniziando l’operazione, e tu tutto contento aspetti… e poi ti dice: “operazione interrotta dall’operatore”, e tutto si resetta.

Bestemmi, provi un’altra volta, sempre così. Allora decidi di provare col bancomat, e dopo il solito balletto di inserimenti e rimozioni lo schermino LCD ti mostra due righe di cui una evidenziata: “Compagnia” e “Pagobancomat”. Tu intuisci che ti sta chiedendo qualcosa, anche se è la prima volta che un bancomat mi chiede se voglio pagare o se voglio semplicemente compagnia. Premi “Conferma” (o “OK”, non ricordo) e… l’operazione fallisce. Decidi che è perché hai chiesto compagnia, e quindi rifai tutta la procedura per provare invece a pagare; non è subito chiaro come fare a spostare da una riga all’altra il cursore evidenziato, ma poi hai un lampo di genio e capisci che per andare in basso devi premere il pulsante con la freccia a destra; confermi, e nemmeno così funziona.

Alla fine però ci sono riuscito; ho cambiato macchinetta, e su quella, al secondo tentativo, la carta di credito ha funzionato. Però ci ho messo quasi dieci minuti, e quindi ho perso il treno, arrivando sul binario di Porta Susa esattamente mentre chiudeva le porte. E mi chiedo: ma era così difficile comprare e installare una macchinetta vendibiglietti come quelle usate in tutto il mondo?

[tags]torino, metropolitana, metrotorino, biglietti, software, interfacce[/tags]

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domenica 1 Giugno 2008, 09:40

[[Enzo Maolucci РTorino che non ̬ New York]]

Questo meme ante litteram di “Torino che non è New York” riemergeva saltuariamente ma con tenacia e regolarità, ora in un articolo sul giornale, ora in un blog cittadino; eppure non avevo mai capito da dove arrivasse. Fortunatamente, grazie a Radio Flash, ora ho scoperto che ricorre il trentennale del brano d’origine della questione, tratto dal disco Barbari e bar di Enzo Maolucci.

E’ un disco curioso perché racconta direttamente della vita spicciola di Torino, in un modo peraltro apocalittico; si stenta a credere che la nostra sonnolenta e provinciale città – e se è provinciale oggi, figuriamoci trent’anni fa – potesse veramente essere un luogo di degrado e di violenza, tanto da meritarsi la fulminante chiosa “c’è chi ammazza e chi si ammazza e non so a chi dare torto”. Poi però, se si pensa che quelli erano gli anni dell’Angelo Azzurro e dei gambizzamenti proletari, la canzone acquista una sua credibilità.

Per noi che non abbiamo vissuto quegli anni se non da bambini, resta la curiosità di capire i riferimenti nel testo; alcuni sono evidenti, e credo di averne individuata una buona parte, ma mi mancano il “letterato impotente”, la “vecchia checca” e il “furto Standa” e forse altri. Vediamo se qualcuno li sa.

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Si ammazzano a Torino, Torino che non è New York
si ammazzano a Torino, Torino che non è

Un letterato impotente ha fatto piangere ragazze della scuola
masturbando un’angoscia insolente da fine con trenta veramon in gola
ad altri basta invece un bianco secco senza poesia
ma ti pesa sai, gioia mia,
mentre scopi le tue notti e l’angoscia muore in gola
ma non fai piangere mai le ragazze della scuola

Si ammazzano a Torino, Torino che non è New York
si ammazzano a Torino, Torino che non è

La diva suicida arrapante ha fatto piangere presidenti americani
e la mezz’ala ammazzata per gioco demente ha fatto piangere i romani scemi
ad altri basta invece un bel maschiaccio senza poesia
ma ti pesa sai, gioia mia,
e ci crepi vecchia checca, sangue e rimmel tra le mani
tra le mani
ma non fai piangere Roma e presidenti americani

Si ammazzano a Torino, Torino che non è New York
si ammazzano a Torino sai, Torino che non è

Un cantautore perdente ha fatto piangere impiegati dell’industria canzoniera
ha sparato da solo nel posto sbagliato, Che Guevara da balera
ad altri basta invece un furto “Standa” senza poesia
e ti sparano sai, gioia mia,
e non ti compri più la Fender, joint e dischi di Santana
di Santana
ma non fai piangere impiegati e a Sanremo non fai pena.

Si ammazzano a Torino, Torino che non è New York
si ammazzano a Torino, Torino che non è

Un cantante di night arrivato ha fatto piangere Torino alcolizzata
si è sparato nel cranio una bottiglia di whisky e un’auto rosa di grossa cilindrata
ad altri basta invece un giusto odio per la gente scema e senza poesia
che ti pesa sai, gioia mia
ma si sparano allo specchio per vedere un uomo morto
c’è chi ammazza e chi si ammazza e non so a chi dare torto

Si ammazzano a Torino, Torino che non è New York
si ammazzano…

[tags]torino, musica, anni ’70, maolucci, new york[/tags]

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venerdì 30 Maggio 2008, 15:23

Vigili e multe

Qualche giorno fa, al mio vecchio indirizzo, è arrivato nella buca l’avviso di un atto giudiziario, che il corriere non era riuscito a consegnare. Mia mamma ha provato a contattarlo per sapere come ritirarlo; dopo varie telefonate, si appura che l’atto non è ritirabile da terzi presso il corriere, ma che sarebbe stato disponibile dalla settimana successiva presso l’ufficio comunale di via Bellezia. Giovedì della settimana dopo, mi reco in via Bellezia, e scopro che l’atto non c’è ancora: “come fa ad arrivare dal corriere a noi solo in cinque giorni” (eh, che pretese). Così torno una seconda volta, e ritiro il mio atto.

L’atto si rivela una multa. Con la mia auto, mia mamma ha parcheggiato sotto casa mia troppo vicino all’incrocio. Non so se la macchina sporgesse sulle strisce, se fosse oltre il limite di dieci centimetri o di due metri, ma è una violazione e può dare fastidio. L’entità della multa, però, è di 11,98 euro; le spese sostenute dalla collettività per notificare e incassare quella multa sono sicuramente molto superiori. Se veramente è una violazione che merita di essere repressa, forse dovrei pagare una cifra più congrua, tale almeno da ripagare i costi. Se no, mi viene il dubbio che nella scala dei possibili impieghi del vigile urbano Fasano D. ce ne fossero altri magari meno lucrativi ma più socialmente utili; oppure socialmente inutili ma almeno più lucrativi.

Scrivo tutto questo perché mai come nel lavoro del vigile urbano emerge tutta la schizofrenia nell’applicazione e nel rispetto delle regole basilari di convivenza nelle città italiane, che porta a continue accuse tra vigili e cittadini. E’ naturale che girino le scatole quando si prende una multa, ma sempre più spesso questo diventa occasione di delegittimazione tout court dell’idea stessa che ci siano regole da rispettare, o di una lamentazione del genere “ma non avevano niente di meglio da fare?”. D’altra parte, esistono anche casi evidenti di cattivo uso del potere da parte dei vigili, di mancanza di buon senso, di evidente irrazionalità o insensatezza delle regole.

Per esempio, nelle scorse settimane i vigili si sono dedicati a multare i ristoranti. Ma non per problemi di igiene o di rumorosità; sono andati da tutti i ristoranti che hanno la porta chiusa e un campanello da premere per farsi aprire, e li hanno multati perché secondo la legge un locale pubblico deve avere la porta sempre aperta. Quando La Stampa ne ha parlato, tutti sono rimasti allibiti: non solo è una violazione veniale, ma sempre più spesso la porta chiusa è un elemento di tranquillità, ad esempio proprio per la riluttanza dei vigili ad impedire la transumanza serale di venditori abusivi. Manco i vigili prendessero una percentuale dalla vendita di occhiali lampeggianti.

Oppure: ieri pomeriggio il semaforo di piazza Sabotino era rotto. Sotto un diluvio torrenziale, alcuni vigili – di cui ho ammirato l’abnegazione al dovere – facevano uno dei mestieri più orrendi che si possano pensare, quello del semaforo umano. Poi però, mentre ero fermo in attesa di passare, il vigile ha fatto nell’altra direzione un segnale che significava “giallo”. Stavano arrivando tre macchine di fila; lui ha puntato la terza, e si è letteralmente buttato sotto le sue ruote per fermarla, perché secondo lui il tempo del giallo umano era scaduto. La macchina è rimasta così bloccata nel bel mezzo dell’incrocio, con il vigile fermo davanti al muso a fare un cazziatone; nel frattempo, la sua collega ha dato il via nell’altra direzione, poi ci ha ripensato e si è rigirata, ma a quel punto eravamo tutti in mezzo. La vigilessa ci ha fatto gestacci visibilmente arrabbiati, come a dire “perché siete partiti?”; peccato che ce l’avesse detto lei. Insomma, ieri un pericoloso bruciatore di gialli immaginari è stato duramente punito con due minuti di cazziatone, ma nel frattempo si è creato un ingorgo che ha bloccato e asfissiato mezza piazza.

Stamattina, però, Specchio dei Tempi – che ultimamente ai vigili non risparmia proprio nulla – ha pubblicato la lettera di un venditore ambulante, che ha lasciato la macchina in divieto di sosta per mezza giornata perché “doveva lavorare”; e poi si è scandalizzato per la multa, anzi la rubrica ha pubblicato il suo accorato appello a “togliere la multa”. Ecco, lì si è andati troppo oltre; perché una cosa è il buon senso, cioè commisurare le multe al calcolo di costi e benefici e alla realtà di una città sovraffollata, dove talvolta la doppia fila o la svolta vietata sono il male minore rispetto a ingorghi e inquinamento; una cosa è lasciare che il buon senso si estenda oltre la ragionevolezza.

L’Italia è caratterizzata da un circolo vizioso: non si sa se quasi tutti ignorino le regole perché le regole sono troppe e troppo severe, o se le regole siano troppe e troppo severe perché tutti le ignorano. In questo circolo, da ambo le parti, la ragionevolezza svanisce, e ci si attacca alla lettera delle regole o al desiderio di non averne, invece che allo scopo per cui le regole sono state create. Io sostengo invece che di regole bisognerebbe averne poche ma chiare, e affidarsi di più al buon senso e alla responsabilizzazione delle persone. Ci hanno provato in Olanda e ha funzionato alla grande. Chissà se potrebbe funzionare anche a Torino.

[tags]torino, traffico, vigili, multe[/tags]

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mercoledì 28 Maggio 2008, 10:42

Informazione (2)

A seguito di questa vicenda, ricevo e volentieri pubblico le osservazioni di Richi Ferrero che La Stampa ha totalmente omesso di menzionare nel proprio articolo e non ha nemmeno voluto pubblicare sotto forma di lettera. Sono particolarmente contento del fatto che Internet possa diventare lo strumento per completare l’informazione parziale e controllata che ci danno i giornali e le televisioni, in modo che ognuno possa poi formarsi una propria opinione.

“Al di là dei toni accesi che hanno visto il sottoscritto dibattere con la presidente della Regione Mercedes Bresso mi sta a cuore esprimere il pensiero che ha determinato il mio intervento.

Il finanziamento di un unico progetto, che presenta un pacchetto di acquisti, dove la maggior parte degli spettacoli vengono da oltreconfine mentre è risibile la presenza di piccole produzioni locali non mi sembra una scelta che possa far crescere, nel tempo, né una realtà produttiva specifica e ambiziosa, né sia in grado di formare un pubblico emancipato dal semplice consumo di prodotti culturali. Credo che sia necessario non trattare le persone come spettatori televisivi dove sono solo i numeri che contano e che decretano o meno il successo delle proposte come lo share televisivo. Il progetto presentato in questi giorni per le Regge Sabaude si colloca come progetto d’agenzia e mi pare dimostri la faccia di una politica culturale un po’ troppo facile, come per togliersi il problema.

Certo è più impegnativo dare vita e sostenere, non solo economicamente, ma politicamente, ad esempio, un Centro Studi per lo Spettacolo nelle Regge Sabaude che si distingua per capacità progettuale, in grado di realizzare allestimenti di alto livello certamente confrontabili con ospitalità italiane e straniere di altrettanto livello. Ci vuole tempo, bisogna mettersi in gioco, ma questa scelta mi sembra nel destino di un progetto così ambizioso, come quello che la Regione porta avanti con il recupero delle Regge. C’è un passato da rilanciare, c’è una storia straordinaria, di livello europeo, che ha visto Torino protagonista, con i suoi artigiani impegnati nelle realizzazioni di macchine pirotecniche progettate dal Guarini e dal Castellamonte per le feste, appunto sabaude, con il fiume Po come palcoscenico. Le celeberrime naumachie barocche. Non sono certo le fotocopie di quell’andare in scena che bisogna riproporre, ma è il laboratorio permanente, l’incontro operativo e creativo di artisti, architetti, ingegneri, tecnici che può generare un progetto che dia vita a un modo di operare, a uno stile, espressione del territorio. Di conseguenza anche le migliori forze creative del territorio stesso troverebbero il giusto habitat per crescere ed esprimersi.

Su questi temi il dialogo con l’assessore Oliva è troppo superficiale, di modo. Mi sembra che per fare politica bisogna essere un politico e lui non lo è. E’ un buon professore, è stato un buon preside, pubblica molti libri e quello deve fare. Quando dico che è da trent’anni che saliamo le scale degli assessorati alla cultura è per dire che non può sedersi dietro quelle scrivanie chiunque. C’è una competenza specifica, fatta di passione, una capacità di dialogo e confronto con gli operatori culturali, gli artisti, che è fondamentale per far nascere le cose.

Abbiamo avuto, nelle legislazioni precedenti, due assessori di schieramenti opposti che queste capacità le avevano. A proposito dell’osservazione dell’assessore Oliva sul fatto che il mio intervento trova ragione nella mancanza d’incarichi gli ricordo che c’è un mio progetto in corso, già approvato, per un allestimento museale alla Mandria in attesa di un finanziamento regionale.

Torino 22 maggio 2008
Richi Ferrero”

[tags]ferrero, oliva, bresso, arte, torino, venaria[/tags]

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giovedì 22 Maggio 2008, 15:36

Informazione

Per l’informazione giornalistica, questi sono anni neri: ciò che compare su giornali e telegiornali è attentamente selezionato in modo da non disturbare, fino a istupidirci con storielle amene e servizi di cinque minuti sulle nuove mode dell’estate, ma guardandosi bene anche solo dall’accennare a un qualsiasi fatto scomodo.

Oggi me ne è capitato sottomano un bell’esempio; e no, non è questo (via Pasteris), dove si narra per pagine e pagine di ogni possibile nefandezza fiscale che secondo un’indagine sarebbe stata compiuta da una grande azienda di telecomunicazioni, ma senza mai nominarla (ve lo diciamo noi, è Eutelia).

E’ invece questo articolo della Busiarda, comparso oggi in cronaca. Titolo sparato: “Richi Ferrero attacca la Regione” (Richi Ferrero, per chi non lo conoscesse, è uno dei più noti artisti contemporanei torinesi); e già qui, mi viene il dubbio se si tratti davvero di un “attacco” o magari non di una semplice critica. Bene, andiamo a leggere: dopo aver sparato i numeri della rassegna, il giornalista scrive: “Nel prendere la parola tra il pubblico l’artista Richi Ferrero ha attaccato l’assessore Gianni Oliva, di cui ha chiesto le dimissioni, e in generale la Regione Piemonte che, secondo lui spreca denaro pubblico nell’iniziativa.” – l’iniziativa in questione è Teatro a Corte, spettacoli teatrali nelle regge sabaude. Va bene, quindi adesso seguirà la spiegazione dei presunti sprechi, con qualche parola di Ferrero per illustrare la propria posizione, no?

No. Subito dopo si dice che Oliva non ha risposto, ma la Bresso sì; e il paragrafo successivo è tutto dedicato alla Bresso, che si difende dalle accuse, che però a questo punto ancora non conosciamo, sostenendo che i costi sono congrui e la rassegna è bellissima. Seguono altri tre paragrafi: adesso ci diranno quali sono i presunti sprechi? No: l’assessore Oliva, che non ha risposto, risponde, e per tre altri paragrafi magnifica il grande successo e ribadisce che i costi sono congrui. E poi, parlando di Ferrero, conclude: “Ci aveva presentato un progetto per l’inaugurazione della Reggia di Venaria che non andò in porto.”

Fine. Ci lasciano con l’insinuazione che Ferrero sia solo un rosicone deluso; magari è vero, magari questa rassegna è bellissima e perfettamente organizzata, però a me sarebbe piaciuto sapere quali sono gli sprechi che Ferrero ha contestato alla Regione, se ha delle prove a supporto, o anche solo in cosa sia stato speso il milionario budget della manifestazione. Invece, riempito l’intero articolo con le dichiarazioni dei politici, e ridotta a mezza riga incomprensibile la critica iniziale, il giornalista si ritiene soddisfatto.

E poi criticano Grillo

[tags]informazione, regione piemonte, teatro a corte, torino, venaria, ferrero[/tags]

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martedì 20 Maggio 2008, 19:36

Roma low cost

In occasione di questo giro a Roma, ho potuto provare il nuovo servizio di voli low cost tra Little Boxes e Little River. Da Torino a Roma, le alternative sono sempre state due: il treno, con un costo attorno ai 100-120 euro, e l’aereo, dove si poteva scegliere tra Air One e Alitalia, che si facevano “concorrenza” con prezzi tipo 165 euro una e 168 euro l’altra, fissi e costanti praticamente sempre. Ora, grazie alla compagnia romana Blue Panorama – originariamente specializzata in charter estivi – e al suo servizio low cost Blu-Express, esiste una soluzione che permette, comprando con anticipo, di fare andata e ritorno in aereo per 100 euro o anche meno.

Ci sono tre voli giornalieri, e il servizio è senza fronzoli; niente posti assegnati e cibo a pagamento. Gli aerei non sono nuovissimi, ma sempre meglio dei paleolitici MD-80 Alitalia; a Fiumicino si parte dal terminal AA, che sta all’esterno, subito a sinistra del terminal A. I miei voli erano puntuali, anche se quelli del parcheggio mi hanno detto che per il ritorno pomeridiano non è così frequente. Nel complesso, una buona soluzione, che però è ancora poco conosciuta (il volo di ritorno era pieno al 30%). Speriamo che duri.

[tags]voli, low cost, torino, roma, blu-express[/tags]

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sabato 17 Maggio 2008, 10:09

E poi chiudono gli asili

Non voglio fare sempre quello che l’aveva detto: ma quando ce vo’…

Oltre un anno fa, questo blog aveva denunciato la demenziale idea del Comune di spendere cinque milioni di euro per costruire un ulteriore impianto, sempre nella zona della Continassa, per ospitare fantasmagorici maxiconcerti che non si sarebbero più potuti fare al Delle Alpi. Idea demenziale per chiunque, tranne che per il genero di Castellani, che aveva prontamente ricevuto l’appalto.

Bene, ieri persino La Stampa ha trovato il coraggio di segnalare lo scandalo: l’impianto, nel frattempo concluso, non sarà mai nemmeno inaugurato, o almeno non quest’anno, perché quei pochi megaconcerti previsti a Torino l’hanno evitato come la peste. Del resto, andate a vederlo: in pratica è un enorme spiazzo sterrato (ossia un mare di fango nei temporali estivi) con quattro lampioni in mezzo e due prefabbricati al bordo a fare da biglietteria. Come possa essere costato cinque milioni di euro è un mistero: lo costruivano tre romeni con una vanga in una settimana. Come si possa poi pensare di spendere cinque milioni di euro in una cosa del genere, quando il Comune dichiara di non avere i soldi per tenere aperti gli asili e per riparare le buche nelle strade, sfugge ad ogni logica se non a quella degli amici degli amici.

Speriamo che venga di nuovo Grillo in città, così Chiamparino avrà la scusa per darsi dei soldi da solo e organizzarci almeno la contromanifestazione…

[tags]torino, sprechi, arena rock, concerti[/tags]

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martedì 6 Maggio 2008, 18:25

Piangioccioni in rivolta

È un po’ che penso a come commentare non tanto i fatti di Verona – “normale” aggressione di naziskin – ma quelli di piazza Vittorio a Torino, con duecento persone che picchiano e cacciano i vigili intenti a far multe, e “liberano” la piazza (gridano proprio così, “libertà”: qui un video).

In un’altra discussione, l’ho definito come una pericolosa anteprima, quella della fine dello Stato di diritto. Perché abbiamo un sistema giudiziario e un sistema di ordine pubblico che non sono minimamente in grado di far rispettare le regole e di applicare le relative punizioni, quindi è come non averli. Il salto di qualità, però, avviene quando anche la gente “normale” – quella che finora ha sempre subito – capisce che non ci sono più vincoli, che si può fare qualsiasi cosa, basta essere in tanti ed osare.

Non si tratta più né di extracomunitari che fanno quel che vogliono ma dentro i loro ghetti, né di qualche ronda padana fatta per le telecamere, né della generica ignoranza del codice della strada, né di qualche stupro o pestaggio isolato come a Verona: semplicemente, duecento persone in una piazza hanno deciso che se le regole non valgono per gli altri allora non valgono più neanche per loro, e hanno cacciato i vigili urbani con la forza (se non scappavano sarebbero stati linciati senza il minimo dubbio), semplicemente perché facevano multe per divieto di sosta.

Ora, tutti a lamentarsi dei giovani bulli in branco, forti solo in gruppo e vigliacchi da soli, tutti pieni di soldi di papà, di macchinoni nuovi da parcheggiare in divieto e di vestiti firmatissimi, a coprire la loro profonda insicurezza e/o ignoranza. Io, però, li capisco. Li capisco in termini morali, nel senso che basta guardarsi attorno per trovare evidenti casi di gruppi sociali che se ne fregano delle regole, anche lì, anche nel sabato sera in centro, tra un venditore di occhiali fluorescenti che non se ne vuole andare e ti manda affanculo se non compri, e un parcheggiatore che ti riga il macchinone nuovo se non paghi; e allora perché, con questi esempi sotto gli occhi, i ventenni di oggi dovrebbero rispettare i divieti di sosta, o accettare di essere puniti quando non lo sono stati mai nella loro vita, quando non lo è più quasi nessuno, nemmeno i mafiosi, nemmeno gli evasori, nemmeno gli stupratori? E li capisco in termini comportamentali, perché hanno dimostrato che lo Stato batte in ritirata anche con loro, basta alzare la voce; e perché l’aggressività in branco è la risorsa del piangioccione mai educato a pensare con la propria testa e invece abituato a deresponsabilizzarsi e fare la vittima.

E’ giusto invocare una risposta durissima ad un evento come questo, che peraltro – come testimoniano le continue lamentele – si ripete su scala più piccola ad ogni angolo di strada, con il “popolo della notte” che sgomma e smarmitta alle tre di notte e i vigili che battono in ritirata per paura. Ma sarebbe praticamente ed eticamente sbagliato considerare la repressione del singolo episodio come una soluzione, e finirla lì: per prima cosa, lo Stato deve dimostrare che c’è. Deve smetterla di ritirarsi, e agire con tutta la forza che può, per rimediare a vent’anni di debolezza. Deve dimostrare che da domani le regole vanno di nuovo rispettate, ma da tutti, non solo dal torinese medio. Con equità ma con severità: come un buon padre, non come un padre di oggi.

Capita quindi tristemente a fagiolo quest’altra storia, il disgustoso top del piangioccionismo: la ragazza venticinquenne che, di ritorno da una festa, alle dieci del mattino e ubriaca, investe e uccide un ciclista. L’impatto avviene in pieno giorno, ed è talmente violento che l’auto perde il parabrezza, e inoltre, stando ai testimoni, la bici della povera vittima rimane sul cofano per centinaia di metri, prima di scivolare giù; insomma, non un fatto di cui ci si possa non accorgere, nemmeno se si è alticci. Eppure, come da manuale, la reazione è far finta di niente e trovare una scusa, prima di tutto con se stessi; di assumersi le proprie responsabilità non se ne parla proprio.

E così, la ragazza non si ferma nemmeno, lascia lì il ciclista morente, riparte, arriva a casa, e racconta di aver investito un cinghiale; e poi se ne va bellamente a dormire. Quando la beccano i carabinieri, insiste: io? Io ho soltanto investito un cinghiale; no no, non mi ero accorta di niente! Purtroppo non è marmellata, ma sangue; ma molto si capisce leggendo l’intervista del padre, tutta concentrata sul difendere la “bambina”, che poveretta lavora la sera, e poveretta quando smonta alle 4,30 del mattino avrà pur diritto di andare in discoteca e bere qualcosa, e poi sicuramente avrà avuto un colpo di sonno, quindi la colpa non è sua, è del sonno. Anzi no, è del drink. Bastardo di un drink che con le sue gambette si è arrampicato sulla ragazza e le si è infilato in bocca a forza.

In attesa che inventino il sacrosanto reato di omessa educazione dei figli e mettano in galera metà degli attuali cinquantenni, ci tocca pensare con terrore a che cosa faranno i ventenni d’oggi quando diventeranno a loro volta genitori.

[tags]piangioccioni, educazione, giovani, torino, piazza vittorio, vigili, multe, rivolta, incidente, responsabilità[/tags]

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giovedì 1 Maggio 2008, 22:53

Dichiarazioni dei redditi 2005 online e scaricabili

Questo blog crede nella trasparenza, e nei miracoli sovversivi che fa Internet. E’ per questo motivo che qui o qui (NOTA: file completo e definitivo, link aggiornato il 3/5 alle 18:30) – se superate con pazienza tutte le prove che i siti di hosting gratuito di file impongono agli utenti, non registrandovi e non pagando – troverete le dichiarazioni dei redditi 2005 di tutti i torinesi (per ora mancano ancora i cognomi da ZAG in poi, che da Emule non sono ancora arrivati). Io, a leggere i redditi di certe persone (meno del previsto comunque), mi son già fatto crasse ma amare risate. Domani il commento a tutta la vicenda, e magari qualche altra città; comunque non avete bisogno di me, attaccatevi a un qualsiasi peer-to-peer e ringraziate che esista.

P.S. Se qualcuno si lamenta della cosa, ricordo che questi dati sono già pubblici; solo, prima per consultarli bisognava andare in Comune. Lo stesso Garante per la Privacy oggi ha “consigliato” di non pubblicarli in rete, proprio perché non ha alcun appiglio per ordinarlo…

Aggiunta: Dopo aver letto un po’, mi è venuto in mente che forse non a tutti può essere ovvio il significato dei numeri nelle tabelle. In pratica, per chi ha un lavoro dipendente o precario si trova il reddito lordo nella prima colonna e la tassa pagata nella seconda. Chi invece ha una partita IVA o un’impresa ha il fatturato nell’ultima colonna, e il reddito lordo nella penultima, anche se in vari casi c’è scritto zero, compresi casi in cui il reddito non è affatto zero (tipo il mio) – quindi non so bene con che criterio la riempiano o meno. Ovviamente qui non compaiono le rendite finanziarie; inoltre ci sono casi di persone che conosco e che so che hanno presentato la dichiarazione, in cui la riga però è vuota. Insomma, comunque questi numeri vanno presi con le pinze, anzi forse a questo punto sarebbe bene che l’Agenzia delle Entrate ce li spiegasse…

Aggiunta 2: E’ comparsa anche Milano. Se ne vedo altri di grandi città li linkerò qui dentro, ma consiglio a tutti gli interessati di cercarseli da soli: in rete è pieno di istruzioni su come installare Emule per il vostro sistema operativo, e Repubblica spiega come fare a trovare i file.

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