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Archivio per la categoria 'TorinoInBocca'


venerdì 6 Settembre 2013, 15:31

Porta Nuova e Porta Susa, un disastro annunciato

Le stazioni ferroviarie sono ovunque uno dei luoghi di riferimento della città; in termini topografici – interi quartieri sono definiti come “vicino alla stazione” -, in termini di servizio di trasporto e anche, sempre più spesso, in termini commerciali. Torino ultimamente ha fatto grandi investimenti, con la nuova stazione di Porta Susa e con una ristrutturazione profonda di Porta Nuova, che mira a diventare il centro commerciale più centrale della città. La situazione, però, è più problematica di prima.

Dal punto di vista dei trasporti, pare non esserci una scelta chiara: la stazione principale sarà Porta Nuova o Porta Susa? Si è sempre detto che sarebbe stata la seconda, che però, con solo sei binari, ha una capacità limitata. Inoltre, spostando la stazione da piazza XVIII Dicembre al nulla di corso Bolzano la si è scollegata da tutto; a parte la metropolitana, tutto il resto del trasporto pubblico di superficie è scomodo e lontano. C’era un vecchio progetto di mettere i binari del tram sul corso e deviarci sopra il 13 (che ci arriverebbe passando da piazza Bernini e dal tribunale, allungando di molto il percorso) e il 9 (che percorrerebbe invece via Cibrario e corso San Martino), ma non ci sono e non ci saranno i soldi.

Sono state deviate lì un paio di linee di superficie alla bell’e meglio, in particolare il 57, che però passa davanti all’ingresso meridionale della stazione, nonché a quello della metro, senza fermare, andando poi a fermare a metà del corso davanti a un ingresso permanentemente sbarrato. Con una interpellanza abbiamo chiesto: ma che senso ha? Possibile che per trent’anni si costruisce da zero una nuova stazione, poi apre e nessuno ha pensato dove far fermare gli autobus, e poi gli autobus vengono messi in un posto scomodo perché è l’unico che si trova?

D’altra parte, Porta Nuova è tagliata fuori dal passante ferroviario e dunque dal servizio ferroviario metropolitano, salvo deviarci la linea che arriva da Orbassano, che così facendo però, stante che non ci sono i soldi per finire la stazione Zappata (che aspetta di essere finita da vent’anni), non fa coincidenza con niente. Abbiamo speso un sacco di soldi per ristrutturarla per poi vederla sempre meno usata, dato che anche il grosso del traffico di medio-lungo raggio va verso Milano e dunque è più comodo salire a Porta Susa.

Peraltro, anche i lavori di Porta Nuova sono ancora a metà; a causa del fallimento delle imprese, il parcheggio sotterraneo dal lato di via Sacchi – per il quale, come segnalammo già due anni fa, fu sacrificata a tradimento l’alberata storica – non è ancora finito e non lo sarà almeno fino alla fine del 2014, così come i lavori di risistemazione della facciata e anche del tetto. Segnalo una perla: siccome hanno avuto la brillante idea di ristrutturare prima l’interno e poi il tetto, il vecchio tetto ha fatto piovere sui nuovi interni che hanno già iniziato a deteriorarsi… E comunque, anche senza aver finito questi, ora vogliono dare il via ad altri lavori per un altro parcheggio sotterraneo dal lato di via Nizza: auguri.

Ma è dal punto di vista commerciale che la situazione è più preoccupante. Porta Nuova, a causa anche del ridursi del passaggio, è sempre più desolata; i negozi sono sempre vuoti e ovviamente chiudono. Avevo presentato già in primavera una interpellanza sulla situazione, che vedete nel video; dopo di essa, la crisi del supermercato si è conclusa con la chiusura. Anche il self service del piano superiore ha chiuso da un giorno all’altro, sfrattato per morosità. Il rischio è di avere una stazione senza negozi, scomoda e pericolosa per chi la usa e inquietante per chi arriva da fuori, per cui la stazione è il primo impatto con la città.

Porta Susa, però, non è meglio. Ci hanno detto che a breve dovrebbero aprire nuovi negozi, ma di fatto ci sono tre punti vendita dello stesso bar, un’edicola e nient’altro: la stazione è un enorme contenitore di cemento triste e vuoto, in cui è facile perdersi e sentirsi spaesati. Oltretutto, se nell’unico bar un panino costa quattro euro e mezzo, contando sul fatto che fuori c’è il nulla e che per trovare alternative bisogna fare cinque minuti a piedi, è facile prevedere che non ci sarà molto affollamento.

Nell’interpellanza noi abbiamo chiesto: ma scusate, visto che da trent’anni Città e ferrovie (Porta Nuova e Porta Susa sono gestite rispettivamente da Grandi Stazioni e da Centostazioni, società del gruppo Ferrovie dello Stato) si parlano e si accordano per il passante, possibile che nell’accordo non ci fosse un impegno per le ferrovie di garantire almeno un minimo di servizi commerciali ai viaggiatori e al pubblico? Non c’è, ma l’assessore sembrava trovarla una buona idea. Chissà se prima o poi ci arriveremo.

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venerdì 2 Agosto 2013, 13:32

Inceneritore, la fiducia bruciata

Mercoledì è stata una nuova giornata di protesta e informazione contro l’inceneritore del Gerbido: il comitato torinese ha ospitato gli omologhi di Parma e Firenze per una conferenza stampa e un presidio in centro, con un piccolo corteo.

Questi mesi di prova dell’inceneritore sono stati difatti piuttosto tormentati. Da maggio l’impianto è in esercizio provvisorio: si accendono una ad una le tre linee del forno, scaldandole per qualche giorno col metano, e poi si prova a bruciare un po’ di rifiuti.

Peccato che già il 2 maggio si sia verificato un incidente, di cui noi vi avevamo già ampiamente dato conto: alla prima pioggia, l’acqua era finita direttamente sulle barre a media tensione elettrica che alimentavano l’impianto, causando un blackout generale. L’incidente era stato tenuto sotto silenzio, comunicandolo soltanto all’Arpa e alla Provincia, finché noi, sulla base di indiscrezioni, non avevamo presentato l’interpellanza che vedete nel post linkato; solo allora, un paio di settimane dopo, l’incidente era stato reso noto sui giornali.

Non solo, ma a fronte di dichiarazioni minimizzanti da parte di chi teoricamente dovrebbe controllare, si è poi scoperto non solo che l’incidente aveva provocato lo sforamento dei limiti di legge sugli inquinanti, anche se la legge permette sessanta ore di sforamento l’anno in caso di incidenti, ma che addirittura il sistema di monitoraggio dell’inquinamento interno all’inceneritore era anch’esso stato vittima del blackout e non aveva misurato niente (per questo è stata anche aperta una inchiesta dalla magistratura).

Abbiamo presentato una seconda interpellanza, che vedete nel video, per chiedere spiegazioni su come mai questo non ci fosse stato detto in risposta alla prima; a quanto pare, la comunicazione era stata tale che nessuno aveva realizzato il problema. Inoltre, solo insistendo abbiamo avuto indicazioni rassicuranti sulla domanda fondamentale, cioé se in caso di blackout che mette fuori uso i filtri elettrici funzionino almeno i filtri a manica successivi, per evitare di sparare tutto l’inquinamento in aria.

Tutto a posto? Nemmeno per idea, perché, finite le verifiche e le polemiche dopo il primo incidente, il 9 luglio l’impianto è stato riacceso… e nel tardo pomeriggio del 10 luglio si è verificato un secondo incidente. In pratica, appena hanno provato ad avviare la linea, il monitoraggio ha indicato che l’aria che usciva dai filtri era troppo inquinata, oltre i limiti di legge; hanno provato a risolvere il problema, ma non riuscendoci hanno dovuto spegnere tutto il giorno dopo.

Anche stavolta, ci è voluto un po’ per avere informazioni su cosa fosse davvero successo; il 24 luglio, la commissione ambiente del consiglio comunale si è recata al Gerbido per visitare nuovamente l’impianto e avere spiegazioni sul nuovo incidente.

L’impianto, visto da vicino, è veramente impressionante: si tratta di una gigantesca “sfabbrica”, che invece di produrre distrugge. Più ci si avvicina e più ci si rende conto con mano che spendere mezzo miliardo di euro e costruire impianti, palazzi, capannoni per distruggere tonnellate di roba, non di rado perfettamente riutilizzabile, è un’assurdità. Dalle foto non è facile rendersi conto delle dimensioni gigantesche; per esempio, questo è l’interno all’inizio delle linee, e sopra le teste, là su quelle discese rosse, scorrono i rifiuti verso la griglia dove bruceranno.

Questa, invece, in tutto il suo nauseante splendore, è la fossa dei rifiuti; ognuna di quelle aperture sulla destra è grande come un camion, e lì i camion, fino a dieci in parallelo, si susseguiranno per scaricare i rifiuti; la fossa può contenere fino a seimila tonnellate di immondizia, pari a tre-quattro giorni di funzionamento.

Durante questa visita, abbiamo avuto una spiegazione dettagliata dell’incidente del 10-11 luglio. In pratica, accanto al filtro a maniche – che è il secondo stadio di filtraggio dei fumi – è stato costruito un condotto di bypass, di diversi metri di larghezza, perché se la temperatura del fumo per qualche problema fosse troppo alta il filtro a manica (che costa alcuni milioni di euro) si danneggerebbe; dunque esiste una paratia di lamiera che, se aperta, devia i fumi attorno al filtro invece che dentro, proteggendo l’impianto ma scaricando l’inquinamento nell’aria.

Il problema è che questa paratia di lamiera, nuova di pacca, appena messa in funzione si è deformata e ha lasciato un bel buco di alcuni centimetri di altezza per diversi metri di larghezza, tramite quale è passata una parte del fumo e dei reagenti usati nei filtri, i quali, aggirando il filtro a manica, sono arrivati fino all’uscita senza essere filtrati e hanno dunque reso l’aria inquinata.

In più, quando poi – a impianto fermo – sono andati ad aprire il bypass, anche a causa della differenza di pressione dell’aria, le scorie solide che si erano fermate nel condotto sono venute giù di botto; e dunque, in una parte dell’impianto, era in corso una bella attività di pulizia e raccolta scorie e polveri all’interno dei sacchi (aperti) che poi saranno in qualche modo smaltiti.

Anche in questo caso è in corso un’inchiesta della magistratura, in particolare sulle modalità di spegnimento dell’impianto che sono state diverse dalla procedura prevista, anche se TRM sostiene di averlo fatto per ridurre l’inquinamento prodotto (sarà la magistratura a valutare). Inoltre, TRM ha deciso di saldare la lamiera e chiudere completamente il bypass, anche perché il filtro a manica risulterebbe più resistente del previsto alle eventuali alte temperature, risolvendo alla radice il problema; ora prosegue il test delle altre linee, in attesa di capire se la soluzione adottata è gradita alla Provincia, responsabile del controllo.

Resta la questione di fondo: quanto ci si può fidare di un impianto che continua a registrare problemi? Se da una parte è normale che durante il collaudo non tutto funzioni al primo colpo, certo questi episodi non tranquillizzano sulla solidità e sulla corretta costruzione dell’impianto, appaltato a cooperative rosse (Coopsette e Unieco) politicamente amiche ma dalla situazione economica precaria e che certo non avevano soldi da sprecare.

Ma poi, quello che preoccupa è la mancanza di trasparenza, sono le mezze verità e le informazioni che arrivano per approssimazioni successive, dopo settimane di insistenza in ogni sede, mentre TRM – società ormai sotto il controllo privato di Iren – invece di spiegare pubblicamente e tempestivamente ogni cosa minaccia velatamente di denuncia chi chiede chiarimenti o riporta le voci dei tanti cittadini che segnalano, anche a noi, puzze, odori e fumi misteriosi provenienti dall’inceneritore. Questo dovrebbe preoccupare chiunque, compresi i sostenitori dell’incenerimento dei rifiuti e gli stessi politici che hanno voluto questo impianto.

Nel frattempo, noi continuiamo la nostra attività di controllo a vantaggio della salute di tutti, in attesa che chi ci governa rinsavisca e decida di adottare politiche di trattamento dei rifiuti adatte al ventunesimo secolo, e non risalenti agli anni ’70. Molti a Torino ancora non sanno che la nocività degli inceneritori è provata, che ci sono tecnologie alternative, che il mondo si orienta verso i “rifiuti zero”, che le norme europee tra breve metteranno fuorilegge l’idea stessa di bruciare materiale potenzialmente riciclabile. Spacciano il fuoco per modernità, quando la vera modernità sarebbe non sprecare più niente.

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venerdì 26 Luglio 2013, 14:44

Arrivano le strisce blu

E così, dopo tanto parlare sui giornali, finalmente qualche giorno fa l’assessore Lubatti è venuto a presentare ai consiglieri comunali il piano per l’espansione delle strisce blu sul territorio cittadino, per circa venticinquemila posti auto che diventerebbero a pagamento.

Per chi ancora non l’avesse vista, questa è la (poco discernibile, ma è tutto quel che ci hanno dato) cartina delle nuove zone a pagamento, identificate in azzurro. Le maggiori espansioni sono lungo l’asse della metropolitana: attorno a corso Francia fino all’altezza di Pozzo Strada, nella fascia tra via Frejus-corso Peschiera e via Fabrizi-corso Lecce-via Medici-via Carrera; e a Lingotto fino all’altezza del sottopasso. Diverrà a pagamento anche Madonna del Pilone fino a corso Chieri, e poi le zone attorno al raddoppio del Politecnico e al nuovo campus Einaudi, quella del terminal bus di via Fiochetto, quella di piazza Zara e quella di Spina 1 a ovest di largo Orbassano.

Noi pensiamo che questa manovra sia sbagliata nel modo in cui è stata concepita e giustificata: incredibilmente, la motivazione ufficiale delle nuove strisce blu non è legata a valutazioni sulla mobilità cittadina, che si sarebbero potute discutere, ma al fatto che secondo la giunta GTT – da buon carrozzone politicizzato, aggiungo io – ha nel settore parcheggi troppi dipendenti rispetto al necessario. Siccome ora, per fare cassa, l’intero settore parcheggi sarà privatizzato, il privato non vuol certo pagare tutti i funzionari in eccesso assunti per logiche di consenso elettorale; allora, per garantire il posto a tutti, gli si concede un cospicuo aumento dei posti a pagamento, in modo da aumentare i ricavi del privato e la quantità di territorio da controllare.

Pertanto, se dici qualcosa in proposito, ti attaccano subito come “nemico dei lavoratori” che vuole mettere in mezzo alla strada i poveri dipendenti GTT. Nessuno apparentemente ha pensato all’aggravio di spesa per chi comunque è costretto a usare l’auto per recarsi in quelle zone, e nemmeno ai dipendenti delle attività commerciali che potrebbero essere messe in difficoltà dalle nuove strisce blu: non essendo fedeli elettori del centrosinistra non contano.

Le uniche consolazioni che posso darvi per ora sono che l’estensione non è comunque ancora del tutto certa, in quanto sarà il privato che compra i parcheggi GTT a valutare se conviene farla, e dati i costi elevati e gli scarsi ricavi di molte zone in periferia potrebbe anche lasciar perdere. Di sicuro non vedremo arrivare le strisce blu prima del 2014, visto che bisogna ancora concludere la privatizzazione; anche le tariffe non sono ancora state decise (passeranno comunque dal consiglio comunale).

Quanto ai residenti nelle nuove zone blu (tra cui il sottoscritto), potranno parcheggiare un’auto sotto casa illimitatamente per 45 euro l’anno, anche se nessuno sa bene come funzioneranno i permessi per residenti, attualmente gestiti dal servizio clienti GTT, quando i parcheggi saranno stati venduti a qualcun altro; nelle zone vicine alla metro, spesso usate da chi viene da fuori come parcheggio di interscambio, la disponibilità di parcheggio potrebbe anche aumentare.

Credo comunque, per onestà intellettuale, che sia necessario fare anche un discorso che so benissimo essere impopolare. E’ necessario, infatti, cominciare tutti insieme a riflettere sul fatto che parcheggiare in strada completamente gratis è una anomalia.

Difatti il Comune, che non incassa alcunché dalle varie tasse su auto e benzina, normalmente si fa pagare e non poco per qualsiasi uso privato del suolo pubblico, dai banchi del mercato ai box pertinenziali; il parcheggio in strada è praticamente l’unica eccezione. Finora è stato più o meno ovvio permettere a tutti di parcheggiare gratis perché tanto tutti avevano una macchina, dunque era una concessione che non creava particolari discriminazioni: tutti, con le tasse, contribuiscono ai costi di mantenimento del suolo pubblico, e tutti lo usano per la propria auto. Ma nel momento in cui una parte importante della collettività non vuole avere o non può più permettersi un’auto, è giusto che questa parte sovvenzioni l’uso del suolo di tutti per il parcheggio degli altri?

Per questo credo che sarebbe anche stato giusto espandere le strisce blu, anche con tariffe molto basse, se il ricavato fosse servito a migliorare i mezzi pubblici: in questo modo si sarebbe tassato il traffico privato per finanziare i mezzi pubblici, servendo le fasce più deboli della città e spingendo ad avere meno traffico e meno inquinamento. Ma così, invece, assolutamente no: purtroppo in questo caso l’espansione delle strisce blu servirà invece esclusivamente a far fare più soldi al privato che comprerà la sezione parcheggi di GTT…

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venerdì 19 Luglio 2013, 12:13

Ce lo chiede l’aeroporto

Del progetto del tunnel ferroviario di corso Grosseto vi parliamo da molto tempo, anzi io ne parlo da molto prima di fare politica (vedi un post del 2005 e uno del 2008); eppure, la maggioranza dei torinesi ancora non ne sa nulla.

Dovete sapere che l’aeroporto di Caselle è attaccato alla storica ferrovia Torino-Ceres, costruita nel 1869, che in origine partiva da Porta Palazzo. Alla fine degli anni ’80, per ridurre il disturbo della ferrovia, Stato e Comune decidono di investire circa 200 miliardi di lire per scavare un tunnel sotto via Stradella in cui interrarla, costruendo la nuova stazione Dora GTT, la nuova stazione Madonna di Campagna e la nuova stazione Rigola-Stadio (difatti una parte dei fondi arrivano dai mondiali Italia ’90), e abbandonando invece il tratto da Dora a corso Giulio Cesare. Già allora, il progetto è di collegare i binari al costruendo passante ferroviario, e far arrivare i treni dall’aeroporto a Porta Susa.

Dieci anni dopo, nel maggio 1998, il servizio non è ancora pronto: come racconta La Stampa, la stazione Madonna di Campagna è ancora mezza da finire, e stanno appena iniziando i lavori per la faraonica (quattro binari) stazione dell’aeroporto. Nel frattempo, il comune di Caselle si lamenta per il “continuo passaggio dei treni” (un treno di tre carrozze ogni mezz’ora) e quindi si spendono altri soldi per interrare la ferrovia pure lì. I lavori, che devono chiudersi “entro il 1999”, vengono inaugurati a ottobre 2001 – dopo tre anni di nuovo fermo della linea – dall’allora presidente della Satti, un certo Davide Gariglio; il costo totale è nel frattempo salito a 345 miliardi di lire.

Peccato che, proprio mentre si finiscono questi lavori, il neoeletto sindaco Chiamparino abbia un’altra idea: stravolgere il progetto del passante ferroviario lungo corso Principe Oddone per farlo passare sotto la Dora anziché sopra. Vengono così spesi altri 150 miliardi, demolendo parte dei lavori già realizzati e mai inaugurati, ritardando di “due anni” i lavori, che naturalmente però saranno finiti per le Olimpiadi, anzi: “Se si realizzerà l’interramento, durante i giochi del 2006 non verranno interrotti i collegamenti ferroviari con Caselle”.

E’ solo un paio d’anni dopo, nel 2003, che i nostri brillanti amministratori si rendono conto che è esattamente l’opposto, per via di un piccolo problema: volendo abbassare la ferrovia sotto la Dora, in piazza Baldissera i binari che arrivano dall’aeroporto – appositamente rifatti solo dieci anni prima – si troveranno una quindicina di metri più in alto di quelli del passante, e diventa un po’ difficile far passare i treni dall’una all’altra ferrovia per mandarli a Porta Susa.

La soluzione è geniale: buttare via i lavori fatti nel 1990 e costati duecento miliardi e scavare un nuovo tunnel sotto corso Grosseto, dal costo dichiarato di altri 100 milioni di euro, naturalmente da finire entro il 2010. E dunque arriviamo ad oggi: il tunnel ancora non è stato fatto, il costo previsto è praticamente raddoppiato (siamo a 180 milioni di euro), e ora Comune e Regione vorrebbero dare il via a quest’opera.

Se facciamo i conti, per il collegamento ferroviario per l’aeroporto sono stati spesi o saranno spesi, in soldi di oggi, oltre 600 milioni di euro, in gran parte per opere che sono o saranno inutili. Il tunnel di via Stradella e le due stazioni Dora e Madonna di Campagna, costruiti a fine anni ’80 (quest’ultima finita a fine anni ’90), saranno abbandonati e buttati via. Alla stazione Rigola-Stadio fermano due treni al giorno, in sostanza è del tutto inutilizzata. I due binari extra alla stazione dell’aeroporto non sono mai stati usati e probabilmente non lo saranno mai, visto che comunque non ci saranno treni che faranno capolinea lì. E il nuovo percorso via corso Grosseto sarà pure più lungo di quasi tre chilometri.

Ci sono diverse alternative alla soluzione scelta da chi ci amministra. Per esempio, si poteva riscavare in discesa l’ultimo tratto del tunnel di via Stradella, abbassandone il piano del ferro. O si poteva realizzare un collegamento in superficie lungo la Stura fino a Borgaro, meno costoso e più diretto, e coi soldi risparmiati realizzare una linea di metropolitana sul tratto Borgaro-Venaria-stazione Dora.

Oppure si potrebbe valutare che di questi tempi è meglio spendere “solo” un milione di euro per rendere comodo il trasbordo pedonale a Dora, dal passante alla stazione attuale, e con i 179 milioni risparmiati – anche essendo obbligati a spenderli in infrastrutture – fare tante altre cose che aspettano, ad esempio le stesse stazioni Dora e Zappata del passante ferroviario (40 milioni), o la copertura di corso Principe Oddone (30-50 milioni), o l’acquisto dei treni per aumentare la frequenza del servizio metropolitano, o il rinnovo dei tram cittadini, o il bici plan, o anche molte di queste cose insieme, vista l’imponenza della cifra.

Ma la cosa più ridicola è spendere 180 milioni di euro per collegare più velocemente un aeroporto che da anni sta morendo perché non si trovano 3 milioni di euro da dare a Ryanair per realizzare una base low cost e far sì che abbia dei voli decenti e vagamente competitivi rispetto a Malpensa e a Bergamo. Avremo pure il treno che ci arriva in un quarto d’ora, ma che ce ne facciamo se poi non c’è un volo decente a prezzo abbordabile per praticamente nessuna destinazione?

In compenso, la realizzazione di questo tunnel provocherà, a cascata, altri problemi. Si tratta di chiudere per almeno tre anni la carreggiata centrale di corso Grosseto, spostando il traffico sui controviali, nei quali sarà vietato il parcheggio, che potrà invece avvenire in parte della zona centrale; ovviamente per i negozi sarà dura.

In più, prima di iniziare i lavori sarà necessario demolire la sopraelevata che collega il corso con corso Potenza (potrebbe forse sopravvivere solo la curva da corso Potenza verso corso Grosseto, in una sola direzione), e solo trascorsi i tre anni e se non finiscono i soldi si potrà fare un sottopasso, solo tra corso Potenza e corso Grosseto. Tutte le altre auto, comprese quelle che proseguono su corso Ferrara, convergeranno in una gigantesca rotonda di 100 metri di diametro che potrebbe diventare una piazza Derna al cubo: auguri.

Nel progetto, dato che si butta via la stazione Madonna di Campagna, è prevista una nuova stazione in corso Grosseto angolo via Lulli, nell’area occupata dal mercato. Questo vuol dire, anche qui, chiudere il mercato per alcuni anni e poi naturalmente “riaprirlo riqualificato”. Vedendo cosa è successo durante le riqualificazioni di vari mercati, da piazza Crispi a corso Taranto, è facile concludere che spenderemo milioni di euro per realizzare un nuovo mercato che poi non riaprirà mai per mancanza di clienti, i quali nel frattempo saranno passati ai tanti ipermercati che la città fa costruire a iosa.

Credo di avere spiegato perché questo progetto è una follia, a cui noi siamo contrari sin dal programma elettorale. Noi abbiamo presentato una mozione al consiglio comunale che chiede di soprassedere almeno per il momento, dando priorità a completare i lavori già aperti e mai finiti (persino corso Francia aspetta ancora dal 2006 la sistemazione definitiva dopo i lavori della metropolitana, da piazza Bernini a piazza Massaua).

Perché, oltre a tutti questi argomenti specifici, c’è un discorso generale: non si può più andare avanti a far partire megaprogetti, credendo che la colata di cemento sia il motore dell’economia cittadina, rimanendo poi sempre con opere monche, incomplete e in ritardo di lustri (come dicevo su Torinow, nel video, qualche settimana fa). Per una volta, potremmo spendere in modo più oculato i nostri soldi.

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giovedì 4 Luglio 2013, 10:33

Arriva il bici plan

Ho raccontato spesso che il momento in cui decisi di impegnarmi in politica a livello comunale fu quando, percorrendo per l’ennesima volta la pista ciclabile di corso Vittorio da piazza Rivoli a piazza Bernini, rischiai per l’ennesima volta di investire un cliente dell’edicola che il Comune vi aveva genialmente collocato in mezzo (da qui anche l’idea per il video di presentazione della lista).

Da quando siamo stati eletti solleviamo problemi relativi alla viabilità ciclabile, e da quando siamo stati eletti ci viene risposto che bisogna aspettare l’approvazione di un “bici plan” omnicomprensivo, in cui saranno contenute le soluzioni a tutti i problemi. Ci sono voluti solo tre anni e mezzo (la decisione di farlo risale a inizio 2010) ma alla fine ce l’hanno fatta, e qualche giorno fa i tecnici del Comune ci hanno ufficialmente presentato il piano.

Devo dire che hanno fatto un gran lavoro, creando effettivamente un documento articolato che arriva fino al livello di dettaglio di dove passeranno e come saranno fatte tutte le future piste ciclabili. E però, secondo noi può essere decisamente migliorato; restano diversi dei problemi che già segnalammo in questo post di un anno fa (con il video dell’indimenticabile pedalata di tre isolati di un terrorizzato Fassino).

In particolare, io vorrei che fossero incorporate le due mozioni che abbiamo presentato da molto tempo e che sono state sospese in attesa di questo momento: quella che stabilisce dei criteri costruttivi per i nuovi percorsi ciclabili, e quella che chiede un vero e proprio “piano parcheggi” per le biciclette (ultimamente, invece di metterne, li tolgono…) occupandosi anche di problemi come la riconsegna delle bici rubate e recuperate.

L’approccio della Città in questi anni, difatti, è stato quello di realizzare percorsi ciclabili un tanto al chilo, puntando più sulla quantità che sulla qualità e solo sui punti facili, tanto che spesso quelle che sui piani risultano linee continue sono in realtà percorsi che al primo semaforo o alla prima rotonda finiscono contro un gradino o direttamente nel nulla del traffico, proprio dove un percorso ciclabile separato servirebbe di più.

Per esempio, per non disturbare troppo le auto, molti dei percorsi recenti sono stati realizzati tirando una riga sul marciapiede con la vernice e mandando le bici a coesistere con i pedoni, spesso in punti strettissimi e trafficati (ad esempio davanti alle Nuove), creando una situazione pericolosa che esaspera la difficile convivenza tra chi cammina e chi pedala.

Anche molti dei progetti contenuti nel bici plan sono così: come è possibile pensare a una pista ciclabile sul marciapiede di via Lessona, che sopra ha di tutto, dalle fermate del pullman ai benzinai? I percorsi promiscui dovrebbero essere utilizzati solo come ultima possibilità, se proprio non ci sono alternative. Piuttosto, bisogna avere il coraggio di restringere lo spazio per le auto, anche a fronte del fatto che il numero di auto in circolazione è comunque in calo, mentre quello di biciclette è in forte aumento; bisogna riequilibrare gli spazi.

Ci sono tante osservazioni possibili, e per questo il nostro gruppo di lavoro sui trasporti invita chiunque a contribuire, lasciando commenti o partecipando direttamente all’elaborazione di proposte di emendamento sul suo wiki. L’ultima osservazione però la faccio io: che è tanto bello per l’amministrazione comunale elaborare un grosso libro dei sogni ciclistici, per poi tenerlo nel cassetto perché non ci sono soldi. E’ importante che si definisca fin da subito un piano di finanziamento e di realizzazione delle opere, che poi potrà anche venire aggiustato, ma che preveda di partire subito con qualcosa; altrimenti sarà soltanto stata una presa in giro.

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venerdì 28 Giugno 2013, 11:20

Un passo avanti per il piemontese

La festa di San Giovanni, patrono di Torino, è da decenni un appuntamento fisso per tutta la città; centinaia di migliaia di persone scendono in piazza per il corteo storico e per i fuochi. Eppure, non è sempre stato così; l’evento attuale è il frutto di una scelta di oltre quarant’anni fa, quando, in un periodo di grandi cambiamenti sociali, si volle rilanciare il festeggiamento di un appuntamento tradizionale.

Tuttavia, dopo quarant’anni, il corteo storico di domenica scorsa rischia di essere anche l’ultimo. Lo storico organizzatore, l’Associassion Piemonteisa, versa in condizioni economiche difficili, oltre che nella necessità di un rinnovamento generazionale che fatica ad avvenire.

In questi quarant’anni l’atteggiamento verso la lingua e la cultura del Piemonte è molto cambiato: in peggio. Scambiando la perdita di identità per l’arrivo della modernità, è diventato di moda liquidare la storia millenaria del Piemonte come un residuo del passato, un bagaglio culturale da “barotti” e da ignoranti, difeso solo da una manciata di associazioni, pro loco e gruppi folkloristici spesso impegnati a litigare tra di loro. Peggio ancora ha fatto la strumentalizzazione politica che ne ha operato la Lega Nord, confondendo il piano della difesa di una tradizione culturale con quello di insensate rivendicazioni separatiste.

Eppure la diversità culturale, in un mondo di globalizzazione e di massificazioni imposte dall’altro, è un tesoro fondamentale per chi ancora ce l’ha. E’ un tesoro anche economico: pensate a quanti turisti volano in Irlanda affascinati anche dalla cultura celtica e dalla lingua gaelica, la quale peraltro è parlata soltanto da poche decine di migliaia di persone, molte meno di quante parlano piemontese. E’ un carattere distintivo che, nella famosa “competizione tra territori” di cui spesso i politici si riempiono la bocca, può fare la differenza tra Torino e una qualsiasi altra città del mondo.

Basta varcare le Alpi per scoprire come la cultura tradizionale italiana, con i suoi mille campanili, sia considerata affascinante e preziosa. Si trovano rapporti e relazioni dell’UNESCO e del Consiglio d’Europa che non solo considerano il piemontese una vera e propria lingua, con tanto di sue varianti e dialetti locali in giro per la regione, ma ne segnalano con allarme il rischio di estinzione nel giro di un paio di generazioni: perché noi non lo tramandiamo più ai giovani e lo utilizziamo sempre di meno, e una lingua non usata regolarmente è destinata a morire. E se indubbiamente in questo momento le priorità sono altre, le persone senza lavoro e senza casa, l’orologio comunque va avanti e la tradizione si perde un po’ ogni giorno.

Bisogna dunque entrare in un’ottica europea, in cui la cultura tradizionale di ogni regione va difesa come una ricchezza, senza per questo pretendere inesistenti superiorità. Il piemontese non è meglio o peggio del friulano, del siciliano, dello yoruba parlato in Nigeria o del cantonese e dei suoi 70 milioni di nativi; però è storicamente radicato qui e dunque, se non lo difendiamo noi, non lo difenderà nessuno.

Eppure, a livello politico, siamo ancora fermi al riconoscimento del piemontese tra le lingue minoritarie italiane che necessitano di tutela, inserendolo nella lista della legge 482 del 1999, che al momento, per il Piemonte, contiene il walser, l’occitano, il francoprovenzale e il francese; lo deve fare il Parlamento. L’anno scorso è stata lanciata una campagna denominata Piemont482, che ha visto molti comuni medi e piccoli esprimersi a favore di questo riconoscimento. La Città di Torino, però, nonostante vari tentativi, non si era mai espressa a favore, spesso liquidando superficialmente la proposta come “leghista”.

Ci siamo infine riusciti noi; un paio di mesi fa, dopo un anno di iter, è stato approvato (anche con mia sorpresa) il nostro ordine del giorno con cui la Città prende posizione a favore di questo riconoscimento. E’ un gesto simbolico, ma è anche un passo avanti; sperando che agli auspici possano poi seguire anche i fatti.

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mercoledì 26 Giugno 2013, 17:55

La ballata dell’eroe

Trent’anni fa a Torino veniva assassinato il procuratore Bruno Caccia, magistrato integerrimo che aveva già segnato la storia della giustizia torinese, come pubblico ministero nel processo contro i capi delle Brigate Rosse, e poi indagando sul riciclaggio mafioso di denaro sporco tramite i casinò, sulla corruzione in politica (cadde la giunta Novelli, otto anni prima di Mani Pulite) e su tanti altri affari scomodi.

L’inchiesta concluse che ad ucciderlo era stata la ndrangheta, nella persona di Domenico Belfiore, poco più che un ragazzo. Ma quanto è credibile che un giovane esponente della ndrangheta, che non ha mai ucciso magistrati e tantomeno al Nord, prenda da solo una iniziativa del genere, perdipiù proprio la sera delle elezioni politiche, un’ora dopo la chiusura dei seggi?

Emersero storie inquietanti, connessioni con la mafia siciliana e i servizi segreti. Si scoprì che già allora la ndrangheta era ben introdotta a Torino, che almeno cinque magistrati, colleghi di Caccia, intrattenevano rapporti con essa. Tutto questo, però, finì in niente: a parte l’esecutore materiale, non si è mai scoperto chi ha deciso che Caccia doveva morire e perché. E, trent’anni dopo, si riscopre che la situazione è come allora, se non peggio: l’inchiesta Minotauro riporta alla luce i rapporti tra politica e ndrangheta, le telefonate per chiedere voti, interi quartieri costruiti in base all’accordo tra un sindaco e le locali calabresi; la criminalità organizzata che ritiene di avere le spalle coperte dal potere e dallo Stato che dovrebbe combatterla.

Oggi in Sala Rossa Bruno Caccia è stato commemorato con grande partecipazione, ma anche con un vago senso dell’assurdo, a sentire un esperto come il professor Sciarrone dire che non è credibile che i politici che telefonano agli ndranghetisti per chiedere i voti non sappiano con chi stanno parlando, a sentire Caselli ribadire (come stamattina al processo) che la politica fa troppo poco, e poi a sentire la prolusione del sindaco Fassino, cioé proprio un politico che, sicuramente a propria insaputa, è stato oggetto di una di quelle telefonate.

L’Italia è piena di storie così, di persone che “quando gli dissero di andare avanti” si sono spinte troppo lontano a cercare la verità, e per questo sono diventate eroi morti. Per gli eroi morti si celebrano i riti e a Caccia Torino ha dedicato una targa, una piazza e l’intero palazzo di giustizia, nonché la cascina sequestrata ai Belfiore e data in gestione a Libera. Per questo, se non tutti, molti sanno chi era Caccia: un magistrato ucciso dalla ndrangheta. Non sanno, però, su cosa aveva indagato, e che interessi stava toccando, e che quegli interessi non riguardavano solo quelli che nel gioco del potere hanno la parte dei cattivi, ma anche quelli che hanno la parte dei buoni. E’ proprio in questo oblio che la figura di Caccia viene ancora ed ancora privata della verità, e del pericolo che essa costituiva per una parte del potere.

Da trent’anni la famiglia di Bruno Caccia attende di sapere perché è morto; lo chiede ancora oggi, in una lettera aperta. Chiede una riflessione perché Bruno Caccia non resti soltanto un nome su una medaglia, perché si riapra la discussione scomoda su quale sia oggi il vero ruolo e il vero potere della criminalità organizzata rispetto allo Stato. Senza questa discussione, saremo condannati a vivere una bugia: quella per cui davvero, in Italia, le mafie e lo Stato siano sempre acerrimi nemici.

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martedì 18 Giugno 2013, 10:46

Piedi preziosi

Ha fatto piuttosto scalpore la notizia, riportata ieri con evidenza dal quotidiano cittadino, di uno spiacevole inciampo: quello della vicepresidente del Senato Valeria Fedeli, senatrice del PD, che domenica mattina alle nove in piazza Carignano è inciampata in una buca dovuta ai sampietrini mancanti, cadendo e ferendosi al viso.

Bene, persino La Stampa, normalmente allineatissima all’amministrazione comunale, non può nascondere lo stupore: nella città delle buche eterne e selvagge, un’ora dopo, alle 10 di domenica mattina, c’era già una squadra di operai a riparare il selciato.

C’è però un retroscena che vorrei svelare. Tra le tante cose che sottotraccia faccio il più possibile in consiglio comunale, c’è anche quella di prendermi cura delle vostre segnalazioni e delle mie osservazioni sulle piccole cose che non vanno – e tra queste ci sono le buche.

Per questo, in data 19 dicembre 2011 (un anno e mezzo fa), ho protocollato una interrogazione avente ad oggetto “Pavimentazione dissestata in piazza Carignano”, che segnalava proprio quelle buche, chiedeva conto dell’esecuzione dei lavori e sollecitava una sistemazione.

Il 30 gennaio 2012 l’assessore Lubatti rispose così: i lavori sono stati eseguiti bene ed è normale che ogni tanto alcuni sampietrini si stacchino, ma purtroppo “nell’ultimo periodo, la riduzione delle risorse economiche, in particolare per la manutenzione ordinaria, non permette la necessaria azione preventiva di mantenimento”.

Naturalmente, ci si chiede perché riempire il centro cittadino di porfido, un materiale costoso che crea problemi a diversi utenti della città, dai disabili alle biciclette, se poi non si hanno i soldi per mantenerlo: ma nella logica della politica l’importante è avere i soldi per una magnifica “piccola grande opera” da inaugurare davanti ai media, e non importa se poi chi arriverà dopo non saprà come mantenerla…

Da allora, ogni volta che passavo in piazza Carignano, buttavo un occhio e notavo come ci fossero sempre diverse buche; non so se siano le stesse o se ogni tanto chiudano le vecchie e se ne aprano di nuove, ma il giornale cittadino ha contato 35 rattoppi; anche se nella didascalia alla foto tentano di salvare la faccia al Comune dicendo che “quasi sicuramente il problema è frutto delle ultime piogge ma non era ancora stato affrontato”, mi sembra probabile che, nonostante la mia segnalazione di un anno e mezzo prima, nulla fosse mai stato rattoppato… fino a quando a inciampare non sono stati i comuni piedi di un torinese qualsiasi, ma i piedi preziosi della vicepresidente del Senato, nonché compagna di partito del sindaco.

E allora non so se essere contento e chiedere all’onorevole Fedeli di venire a inciamparsi più spesso a Torino, o se sentirmi indignato come consigliere comunale, che svolge il proprio ruolo di segnalazione senza venire degnato di attenzione fino a quando non ci scappa il morto o il coinvolgimento di un potente (vedi anche la storia degli attraversamenti pedonali); o direttamente come cittadino, il cui eventuale incidente per il Comune vale meno di quello di una senatrice in visita.

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venerdì 24 Maggio 2013, 14:00

Falda Falchera, un altro anno di prese in giro

Lo scorso anno, come forse ricorderete, eravamo andati a filmare l’incredibile “acqua alta di Falchera: da alcuni anni ogni estate le fondamenta, le cantine e i garage dei palazzi di una parte di Falchera si riempiono d’acqua, a causa della falda acquifera che risale. In parte si tratta di un fenomeno storico, dovuto alla chiusura delle industrie e alla conseguente forte riduzione del consumo dell’acqua sotterranea; eppure, a Falchera l’allagamento si verifica da quando è stato costruito il tunnel del tram 4, che sbarra lo scorrimento sotterraneo delle acque. Da allora i cittadini attendono che le istituzioni si facciano carico del problema, trovando il modo di far scorrere via le acque e potendo ritornare pienamente in possesso delle proprie case.

Noi ci occupiamo di questa questione da quando siamo entrati in consiglio comunale; ogni primavera puntualmente presentiamo l’interpellanza e chiediamo che cosa è stato fatto, per avere poi aggiornamenti durante l’anno. Anche quest’anno l’abbiamo fatto, e per fortuna: perché subito dopo l’acqua ha cominciato a salire, molto prima del previsto. Le grandi piogge di questa primavera hanno reso drammatica la situazione: lunedì scorso l’acqua è salita di oltre venti centimetri in una notte ed è arrivata al livello massimo degli anni scorsi, solitamente toccato solo in piena estate.

Nel video potete osservare come si è svolta la discussione: l’assessore Lubatti si è quasi offeso per la definizione di “presa in giro”, sottolineando come lui si sia dato da fare mentre la Regione latita. Il problema è che il cittadino non può stare a distinguere tra questo e quell’ente; il cittadino si interfaccia con lo Stato e vuole una risposta dallo Stato, non un rimpallo di competenze. E il cittadino in questo caso si trova a mollo da anni e non vede la fine del suo calvario, anzi vede delle vere beffe, come lo stanziamento di dieci milioni di euro per sistemare i laghetti e fare una nuova via davanti alle case: è vero che quei soldi non potevano essere spesi per la falda, ma nel complesso che senso ha che la comunità spenda per abbellire un quartiere in buona parte allagato, senza prima risolvere il problema alluvionale?

Ora, probabilmente, il Comune farà scavare un pozzo che dovrebbe ridurre un po’ gli allagamenti. Noi abbiamo ripresentato formalmente una mozione che chiede che i proprietari di queste case siano almeno esentati dall’IMU, per intero per i garage e le cantine che sono allagate sei mesi l’anno, e per una parte per gli appartamenti (che ovviamente sono deprezzati), anche perché il grosso delle spese di svuotamento e gestione dell’emergenza è sempre stato pagato da loro. Speriamo che questo possa essere almeno un segno di interesse da parte delle istituzioni, in attesa che finalmente il problema venga risolto.

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venerdì 8 Marzo 2013, 12:33

Annacquare l’acqua pubblica

Lunedì scorso, il consiglio comunale di Torino si è finalmente espresso sulla proposta di delibera di iniziativa popolare per ritrasformare Smat in una società pubblica, proposta dai comitati referendari per l’acqua pubblica e sostenuta dalle firme di centinaia di torinesi.

Smat, difatti, è una società interamente posseduta da enti pubblici (il socio maggiore è il Comune di Torino, col 65% circa), ma è una società per azioni di diritto privato; come tale, potrebbe facilmente essere privatizzata. C’è già anche l’esempio dell’inceneritore: anche nello statuto di TRM, la società che lo costruisce, c’era scritto che la proprietà doveva restare pubblica, ma quando hanno dovuto fare cassa hanno semplicemente cambiato lo statuto e proceduto velocemente con la vendita ai privati. Per questo, l’unica vera garanzia contro la privatizzazione dell’acquedotto torinese è che Smat venga trasformata in una azienda speciale consortile di diritto pubblico.

Peccato che l’amministrazione di Fassino sia assolutamente contraria a questa trasformazione, come ammesso in aula dal vicesindaco Dealessandri in risposta a una nostra interpellanza. Per questo motivo, l’amministrazione comunale ha frapposto ogni genere di ostacolo al cammino della delibera.

In particolare, i dirigenti comunali hanno espresso già mesi fa un parere tecnico negativo, sostenendo che la trasformazione proposta sia illegale in quanto non prevista dal codice civile. Eppure a Napoli l’hanno appena fatta, con tanto di delibera validata dal segretario comunale e di atto notarile registrato dal presidente dell’ordine dei notai; molte altre città (Palermo, Belluno, Vicenza, Piacenza, Reggio Emilia) hanno già deliberato di procedere sulla stessa strada; non si capisce come a Torino la legge possa essere diversa dal resto d’Italia.

Tuttavia, in questo modo il Comune ha fatto melina per mesi; prima hanno detto che non si poteva, e i comitati hanno portato il parere di alcuni professori di diritto che smentivano la cosa; allora hanno detto che si sarebbe potuto, a patto di aspettare il 19 febbraio, data in cui si sarebbe formalmente concluso l’iter della trasformazione napoletana; poi, arrivato il 19 febbraio, hanno detto che comunque non si poteva e che a Napoli “sono passati col rosso e sono stati fortunati che il vigile non li ha beccati”, anche se un atto societario non è come guidare per strada, visto che bisogna per forza passare dal segretario comunale e dal notaio che devono validarlo.

Comunque, con questa scusa sono riusciti a tirarla in lungo fino a dopo le elezioni, nonostante l’attivismo e le manifestazioni dei comitati referendari, a cui abbiamo partecipato anche noi; in una occasione abbiamo anche esposto la bandiera dell’acqua sul balcone del Municipio, ricordando che l’acqua pubblica non è un simbolo di partito o comunque un principio di parte, ma un valore di tutti riconosciuto all’articolo 80 dello Statuto della Città.

Forse speravano che dopo le elezioni si sarebbe potuto bocciare la delibera con meno rischi, e invece, grazie all’onda dello tsunami, il clima è cambiato. Che fare? Non potendo farsi la figura di bocciare la proposta, ecco un’idea da politici professionisti: riscrivere il testo con ben 12 emendamenti che la snaturano in più parti, indebolendone il valore e inserendo tutta una serie di verifiche e ostacoli al futuro procedimento. Addirittura, il centrosinistra vota anche un emendamento del centrodestra che introduce come condizione quella di ottenere il via libera preventivo di tutti e 285 i Comuni soci di Smat, anche quelli che possiedono solo pochi euro di quote; una richiesta burocraticamente ingestibile, e un bell’accordo PD-PDL per annacquare l’acqua pubblica.

Gli stessi comitati per l’acqua pubblica hanno denunciato questo comportamento e il Movimento 5 Stelle in aula ha attaccato duramente la manovra, perdipiù dopo che il PD, per spostare l’attenzione, ha cominciato ad attaccare Pizzarotti e l’inceneritore di Parma (a proposito, ha risposto anche il comitato no inceneritore di Parma spiegando che il sindaco sta facendo tutto il possibile per fermare l’impianto e che loro sono soddisfatti del suo operato). Se mi provocano, mi arrabbio: il resto lo vedete nel video.

Il comportamento del centrosinistra è stato imbarazzante, non solo per la mancanza di una linea comune – divisi tra quelli che, come sindaco e vicesindaco, rivendicano orgogliosamente la gestione privata e di mercato dei beni comuni, e quelli che a parole vorrebbero un modello diverso ma poi tanto votano con gli altri – ma per la faccia tosta con cui hanno cercato di manipolare le cose, con l’aiuto dei media amici. Il PD è arrivato a fare un comunicato stampa intitolato “IL PD IN PRIMA FILA A FIANCO DEI COMITATI PER L’ACQUA PUBBLICA”, una strumentalizzazione tale che i comitati hanno reagito con un comunicato intitolato “Il colpo di mano del PD”.

Comunque, la battaglia continua e, a forza di premere, li stiamo costringendo ad andare ogni volta un po’ più in là. Per esempio, abbiamo approfittato della situazione per presentare una mozione che impegna Fassino a non intascarsi gli utili di Smat per finanziare la spesa comunale, usando il servizio idrico come un bancomat, ma a utilizzarli per fare investimenti o ridurre le tariffe, secondo il principio per cui sull’acqua non si lucra, neanche se a lucrare è una pubblica amministrazione.

Anche qui, si è verificato un inciucio tristissimo, con l’ex capogruppo PDL Tronzano che si alza in aula e si rivolge al PD dicendo di non capire il senso della mozione, così il PD risponde che è una bandierina dei grillini, visto che il PD è sempre stato d’accordo col principio e non c’era bisogno di ribadirlo. Peccato che alle ultime assemblee di Smat sia stata proprio Torino a schierarsi contro comuni come Rivalta e Avigliana che chiedevano di non distribuire gli utili, imponendo come socio di maggioranza la distribuzione di oltre 10 milioni di euro.

E così, mentre i partiti dicono il contrario di quello che pensano e fanno il contrario di quello che dicono, noi abbiamo portato a casa un altro punto, passo dopo passo. La prossima scadenza è, tra 90 giorni, il risultato della verifica aggiuntiva di fattibilità che hanno inserito con i loro emendamenti (come se non avessero avuto già un anno per farla): li attendiamo al varco.

[tags]acqua pubblica, fassino, torino, smat[/tags]

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