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Archivio per la categoria 'WeekBowl’s&Music'


giovedì 9 Novembre 2006, 19:27

[[The Kooks – Naive]]

Il trend del 2006 è che un gruppo, per avere successo, deve chiamarsi The Qualcosa. Non fanno eccezione i The Kooks; questo singolo a metà tra il rock e il funk però è carinissimo, e da qualche giorno non riesco a togliermelo dalla testa. (Il testo non c’entra molto con la calma piatta che regna nella mia vita privata, ma si può anche non starlo a sentire…)

I’m not saying it was your fault
Although you could have done more
Oh you’re so naive yet so
How could this be done
You’re such a smiling sweetheart
Oh and your sweet and pretty face
In such an ugly way
Something so beautiful
Oh that everytime I look inside

I know she knows that I’m not fond of asking
True or false it may be she’s still out to get me
And I know she knows that I’m not fond of asking
True or false it may be she’s still out to get me

I may say it was your fault
Cause I know you could have done more
Oh you’re so naive yet so
How could this be done
By such a smiling sweetheart
Oh and your sweet and pretty face
In such an ugly way
Something so beautiful
But everytime I look inside

I know she knows that I’m not fond of asking
True or false it may be she’s still out to get me
And I know she knows that I’m not fond of asking
True or false it may be she’s still out to get me

So how could this be done
By such a smiling sweetheart
Oh you’re so naive yet so
You’re such an ugly thing
Someone so beautiful
And everytime you’re on his side

I know she knows that I’m not fond of asking
True or false it may be she’s still out to get me
And I know she knows that I’m not fond of asking
True or false it may be she’s still out to get me

Just don’t let me down
Just don’t let me down
Hold on to your kite
Just don’t let me down
Just don’t let me down
Hold on to your kite
Just don’t let me down
Just don’t let me down
Hold on to this kite
Just don’t let me down

Just don’t let me down

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martedì 24 Ottobre 2006, 17:16

[[Keane – Crystal Ball]]

Ma quanto siamo meteoropatici noi esseri umani? Oggi finalmente su Torino è spuntato il sole, ed è una bellissima giornata d’inverno, di quelle senza una nuvola, col venticello che sa già di montagna, e col sole basso e giallo che illumina alberi e palazzi in orizzontale. E così stamattina ho inforcato la bici, e poi mi sono goduto il pranzo su una panca di piazza Castello, e il giro assolutamente felice e privo di obiettivi per luoghi del centro poco conosciuti, come piazzetta Mollino e la Cavallerizza Reale, e poi per i Giardini Reali e su lungo la Dora e via Stradella fino al mio ufficio. Anche essere disoccupati (pardon, liberi professionisti) ha i suoi bei vantaggi.

Pertanto, mentre voi commentate il post precedente, io mi prendo un attimo per bloggarvi questo pezzo, che è non il primo ma il secondo singolo dal nuovo album dei Keane. Di fronte al problema con la P maiuscola dei gruppi rock che hanno gran successo al primo colpo – quello di azzeccare il secondo disco per non diventare una one-hit wonder e scivolare nell’oblio – i Keane, per non sbagliare, hanno scelto di adeguarsi al sound elettrogalattico dei Coldplay di X&Y, che va di gran moda. Questo brano, però, con le sue infinite guitar (vent’anni dopo The Joshua Tree) e con il suo ritornello intersecato, è proprio carino; e poi ci sta bene, cercando di decifrare il futuro.

Who is the man I see
Where I’m supposed to be
I lost my heart, I buried it too deep
Under the iron sea

Oh, crystal ball (crystal ball,
save us all) tell me life is beautiful
Mirror, mirror on the wall

Lines ever more unclear
Not sure I’m even here
The more I look the more I think that I’m
Starting to disappear

Oh, crystal ball (crystal ball,
save us all) tell me life is beautiful
Mirror, mirror on the wall
Oh, crystal ball (hear my song,
I’m fading out) everything I know is wrong
So put me where I belong

I don’t know where I am
And I don’t really care
I look myself in the eye
There’s no one there
I fall upon the earth
I call upon the air
But all I get is the same old
Vacant stare

Oh, crystal ball (crystal ball,
save us all) tell me life is beautiful
Mirror, mirror on the wall
Oh, crystal ball (hear my song,
I’m fading out) everything I know is wrong
So put me where I belong

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domenica 15 Ottobre 2006, 02:20

[[Bert Jansch – Moonshine]]

Stanotte avevo troppo rumore a rimbombarmi nella testa, e troppa confusione ancora. Avevo bisogno di una pace antica e perduta, e, per vie strane, l’ho trovata in un brano di ben 33 anni fa, poetico e stupefacente insieme. Si tratta di Moonshine di Bert Jansch, il chitarrista inglese che ha influenzato praticamente tutta la musica folk, progressive e rock da metà anni ’60 in poi (si dice che Jimmy Page abbia scritto la parte di chitarra di Stairway To Heaven copiando quelle dei suoi brani).

E siccome voi siete nati fortunati, potete addirittura ascoltare il brano in streaming via MySpace (cliccate per scegliere quello giusto)!

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giovedì 5 Ottobre 2006, 19:37

[[Pearl Jam – Army Reserve]]

Dopo i commenti al post di ieri stavo scrivendo un lungo post sulla finanziaria e le tasse, provocatorio come al solito, ma poi mi sono stufato da solo. Per cui, per oggi vi beccate questo pezzo di cui è da un po’ che volevo bloggare, dopo il concerto. E’ il solito genere della retorica dei fiori nei cannoni, ma è molto bello.

How long must she stand
Before the ground, it gives way
To an endless fall
She can feel this war on her face
The stars on her pillow
She’s folding in darkness, begging for slumber

I’m not blind, I can see it coming
Looks like lightning in my child’s eye
I’m not frantic, I can feel it coming
Violently shakes my body

Her son’s slanted
Always giving her the sideways eye
The empty chair where dad sits
How loud can silence get?
And mom, she reassures
To contain him – but it’s becoming a lie
She tells herself and anyone else
Father is risking his life for our freedoms

I’m not blind, I can see it coming
Looks like lightning in my child’s eye
I’m not frantic, I can feel it coming
Darling you’ll save me if you save yourself

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sabato 30 Settembre 2006, 08:43

[[Thom Yorke – Harrowdown Hill]]

Mettiamo subito in chiaro alcuni fatti per i meno esperti: sì, Thom Yorke è il depresso cantante dei depressissimi Radiohead, quelli che solo una settimana fa avevo promesso di non ascoltare più. E sì, ha rilasciato da poco un album solista, ma questo non vuol dire che i Radiohead si siano sciolti.

La cosa interessante del singolo del disco è che, invece della solita malinconia sentimentale o suicida, espone una devastante malinconia politico-esistenziale.

Yorke, difatti, è cresciuto e andato a scuola (tra gli altri posti: la famiglia si spostava spesso) nel piccolo villaggio di Standlake, a sud-ovest di Oxford, a pochi chilometri dal quale si trova una collinetta detta appunto Harrowdown Hill.

Su questa collina, la mattina del 18 luglio 2003, fu ritrovato il cadavere del dottor David Kelly, un dipendente del Ministero della Difesa inglese in quel momento sotto indagine pubblica. Kelly, in precedenza responsabile di ispezioni in Iraq, era accusato di aver fatto giungere alla stampa l’informazione che il dossier segreto secondo cui Saddam Hussein disponeva di armi di guerra batteriologica – la base su cui Blair chiese e ottenne l’invasione dell’Iraq – fosse chiaramente privo di fondamento, e che egli avesse dimostrato questo ai propri superiori ma fosse stato messo a tacere.

Stando alla versione ufficiale, accertata da una inchiesta sottratta alla magistratura ordinaria e gestita direttamente dal governo Blair, Kelly si suicidò per la vergogna dell’indagine, tagliandosi le vene dopo aver ingerito un analgesico per stordirsi.

Ma nonostante si sia ufficialmente tagliato le vene, non c’era sangue sul luogo del ritrovamento, e l’analgesico non era nemmeno digerito.

La caratteristica più geniale di questa canzone – che Yorke descrive come “la canzone più arrabbiata che abbia mai scritto” – non è tanto la rappresentazione dei pensieri di un uomo braccato e morente, o la furiosa denuncia del caso; è la descrizione della sensazione di impotenza che prova una persona comune di fronte al potere che calpesta con noncuranza un essere umano, e al fatto che tutti gli osservatori pensano la stessa cosa – che Kelly sia stato ucciso dai servizi segreti inglesi – ma non possono farci nulla: “We think the same things at the same time / We just can’t do anything about it”.

Che come dichiarazione militante di pessimismo cosmico sul futuro e sulla libertà dell’umanità, di questi tempi, non è male.

Don’t walk the plank like I did,
You will be dispensed with
When you’ve become
Inconvenient
Upon Harrowdown Hill
Where you used to go to school
That’s where I am
That’s where I’m lying down
Did I fall or was I pushed?
Did I fall or was I pushed?
And where’s the blood?
And where’s the blood?

But I’m coming home, I’m coming home
To make it all right, so dry your eyes
We think the same things at the same time
We just can’t do anything about it

We think the same things at the same time
We just can’t do anything about it

So don’t ask me, ask the ministry
Don’t ask me, ask the ministry
We think the same things at the same time
There are so many of us so you can’t count

We think the same things at the same time
There are too many of us so you can’t count

Can you see me when I’m running?
Can you see me when I’m running?
Away from them
Away from them
I can’t take their pressure
No one cares if you live or die
They just want me gone
They want me gone

But I’m coming home, I’m coming home
To make it all right, so dry your eyes
We think the same things at the same time
We just can’t do anything about it

We think the same things at the same time
There are too many of us so you can’t
There are too many of us so you can’t count

(It has me led into the backroom) Harrowdown Hill
(It has me led into the backroom) Harrowdown Hill
It was a slippery slippery slippery slope
It was a slippery slippery slippery slope
I feel me slipping in and out of consciousness
I feel me slipping in and out of consciousness
I feel me

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giovedì 21 Settembre 2006, 22:28

[[Radiohead – There There]]

Avevo promesso di eliminare completamente dalla mia discografia la musica depressiva: basta Muse, basta Radiohead, basta tutti quei pezzi cattivi che parlano di follia e tristezza. Ma poi stasera è bastata una conversazione a distanza per buttarmi giù di morale, e quindi ecco un pezzo che è talmente un capolavoro che all’epoca lo sentii distrattamente sì e no tre volte, eppure stasera mi è venuto subito fuori dritto dal fondo del cervello. Parla di solipsismo e del caso disastroso che ci aspetta e di come il seguire i propri sentimenti (che non sempre corrispondono alla realtà) porti invariabilmente al disastro.

Buona serata; per stasera chiudo andando a suonare Karma Police al piano, ma poi ci risentiamo domani mattina di buon umore.

In pitch dark I go walking in your landscape
Broken branches trip me as I speak
Just ‘cause you feel it, doesn’t mean it’s there
Just ‘cause you feel it, doesn’t mean it’s there

There’s always a siren
Singing you to shipwreck
(Don’t reach out, don’t reach out
Don’t reach out, don’t reach out)
Steer away from these rocks
We’d be a walking disaster
(Don’t reach out, don’t reach out
Don’t reach out, don’t reach out)

Just cause you feel it, doesn’t mean it’s there
(There’s someone on your shoulder)
(There’s someone on your shoulder)
Just cause you feel it, doesn’t mean it’s there
(There’s someone on your shoulder)
(There’s someone on your shoulder)
There there!

Why so green and lonely?
And lonely, and lonely, and lonely
Heaven sent you to me
To me, to me, to me

We are accidents
Waiting, waiting to happen
We are accidents
Waiting, waiting to happen

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mercoledì 20 Settembre 2006, 02:29

Pearl Jam, lo spettacolo del rock!

Questa sera a Torino, nel nuovo Palaisozaki (ma trovargli un nome no? casa mia mica la chiamo col nome dell’architetto), suonava uno dei gruppi storici della mia adolescenza, i Pearl Jam; una band che per qualche anno, diciamo la prima metà dei ’90, fu sul tetto del mondo del rock, e che poi sprofondò in una serie di dischi sempre più anonimi, finchè la persi quasi di vista.

Avevo sentito i due singoli del nuovo disco in radio, e mi erano piaciuti molto; eppure, fino a pochi giorni fa non sapevo nemmeno se andare. Mi ero appuntato la data, e mio zio mi aveva incuriosito offrendomi un biglietto per il parterre. Alla fine, mi sono messo d’accordo con un amico, ma avendo deciso che siamo troppo vecchi abbiamo optato per i posti a sedere, comprati via Internet, sperando che fossero decenti (non c’era nemmeno una piantina).

La serata non inizia affatto bene; arrivo verso le 20,15 e tutto intorno alla zona olimpica è il caos. Mi reco a colpo sicuro a parcheggiare nel piazzale sterrato appena costruito come parcheggio dello stadio, e scopro che è incredibilmente sbarrato! Così mi tocca la banchina del controviale di corso Galileo Ferraris, e un discreto pezzo a piedi. Intorno ci sono le auto più varie: un discreto numero con targa francese, e altre ancora meno spiegabili (un taxi di Aulla?!?).

All’ingresso, ci sono tonnellate di bancarelle di magliette, ma solo due paninari, ovviamente presi d’assalto (il Comune sta cercando di sterminarli, e non si capisce perchè). E poi, c’è una sola biglietteria per tutto, residui, ritiro biglietti Internet, accrediti stampa… ovviamente c’è una fila enorme, che però si rivela piuttosto veloce.

Entriamo, e dentro è il caos; ci sarà una decina di migliaia di persone che ha il posto numerato, e non c’è praticamente alcun cartello per indicare i settori, se non delle decalcomanie appese nei posti meno visibili che si potessero immaginare. L’unico modo è chiedere agli steward, alcuni gentili, altri che non gliene può fregare di meno.

Arriviamo al nostro posto (secondo anello, settore 303) alle 21 in punto, e, orrore, è una vera piccionaia! Sembra il terzo anello del Delle Alpi, con il palco piccino picciò, e perdipiù coperto in parte da una barriera di plexiglass trasparente, ma solo in teoria. E’ la moda olimpica torinese: posti tutti a sedere ma da cui non si vede niente, perchè le barriere di plexiglass, i montanti di alluminio, i parapetti azzurrati, ai fini del calcolo delle visibilità vengono equiparati al vuoto, come se non ci fossero. Che il tutto funzioni lo crede solo Chiamparino.

Del resto, la scarsa visibilità comincia a esserci impedita da quelli che, ovviamente, si alzano e vanno ad affacciarsi al parapetto. Dovrebbero stare seduti, ma d’altra parte, signori, s’è mai visto un concerto rock dove la gente sta zitta e seduta, perdipiù in un posto dove si vede pochino? Ma chi le pensa queste strutture, un vecchio sessantenne che va a vedere solo Orietta Berti? Davanti a noi una famigliola insiste nello stare seduta ai propri posti e nel prendere a urlacci tutte le coppie di fighetti che gli si piazzano davanti, scambiando con loro risate di scherno, vaffanculi e insulti vari. Non scatta la rissa solo perchè la più accesa è una signora; il raro steward passa e fa finta di non vedere, direi che anche a lui frega solo di vedere il concerto.

Il quale concerto inizia puntualissimo, alle 21,05, cogliendo tutti di sorpresa; e la situazione peggiora. I Pearl Jam attaccano con qualche pezzo classico, tra cui Animal e Elderly Woman Behind The Counter…, ma è un disastro: sembra di sentire una radiolina messa di fronte a un muro di cemento, con un riverbero infinito. L’acustica, insomma, è orrenda, la visibilità è ridicola e sto per metterci una croce sopra: Palaisozaki mai; come l’Olimpico, tanto bello ma totalmente inadatto per quello per cui sarebbe stato costruito, un vero spreco di soldi pubblici.

Io e Andrea pensiamo già a come far causa per farci ridare i soldi, quando, tentare per tentare, decidiamo di provare ad andare in un altro settore. Basta già andare nella metà inferiore del secondo anello – quella in cui i numeri di settore iniziano per 2 – perchè le cose cambino nettamente. Lì, intanto, si è tutti in piedi (nonostante la teoria dei posti a sedere) e non ci sono scazzi; in questo modo, si può almeno cantare e ballare. Poi la gente è rada, perchè molti si sono spostati in basso, e si trova posto senza sgomitare. E comunque, la visibilità è buona, e anche l’acustica, probabilmente grazie anche a qualche aggiustamento dal mixer, migliora notevolmente.

E così, comincia il vero concerto; proprio durante il trasloco Eddie Vedder legge un testo in pseudoitaliano, per spiegare che “in tempi di guerra, cantiamo parole di pace”. Attaccano quindi con i due singoli del nuovo disco, prima Life Wasted e poi World Wide Suicide; questo secondo, con mia sorpresa, mi esce fuori a memoria e lo canto tutto – ma sono le melodie vocali di Eddie ad essere straordinarie e a scolpirsi da sole in testa, con quella voce che ti riempirebbe di brividi anche se cantasse il bugiardino del Maalox.

Il gran tiro mi esalta e finisco già la voce, ma per fortuna i PJ vanno avanti e fanno quello che, direi, è l’ultimo disco (che non ho mai sentito) per intero o quasi. Temo la noia e invece queste canzoni, pur al primo ascolto, sembrano una più bella dell’altra. Certo, la gente non le sa, e solo un paio di manipoli di scatenati le cantano, in cima al parterre; ma l’atmosfera è bella, raccolta, con delle belle luci di coreografia, e si fa molto apprezzare. Passa un’oretta, e ne esco – oltre che rappacificato con l’Isozaki, che anzi sfoggia un bel colpo d’occhio e una ottima acustica nei pezzi meno rumorosi – voglioso di comprare il nuovo disco.

Poi, però, ci fanno capire di avere un po’ scherzato, e attaccano i pezzi vecchi; e il concerto si trasforma. Fanno Do The Evolution per scaldarsi, ma la vera svolta è quando attaccano Rearviewmirror, uno dei superclassici della mia adolescenza, che ho cantato e suonato da solo e in gruppo in tutti i modi e tutte le versioni possibili. Lo attaccano alla velocità della luce, quasi hardcore, con una chitarra anfetaminica costretta nevroticamente in un reticolo di pennate, che costruisce il riff ossessivo sotto la voce di Eddie.

In platea la cantano quasi tutti, ma il primo miracolo della serata deve ancora venire. La canzone ha una parte centrale – una manciatina di battute, sul disco – in cui rallenta di colpo, e diventa quasi una pila; dove l’energia si accumula in una sacca di sospensione per poi esplodere nel finale. Bene, qui tutto il palazzo è l’accumulatore, ed è l’energia dei nostri movimenti, contorti sotto una luce blu, ad impilarsi. Ma poi, invece di esplodere, loro rallentano, scemano, e vanno avanti per diversi minuti a guardarsi, improvvisare, fare assoli in questo ritmo che è foriero di attesa e di tensione insieme, come una delle infinite “scene prima del duello” che citavo giorni fa parlando di Sergio Leone. E quindi respiro, stacco la spina, resto sorpreso e un po’ sperso, e mi chiedo dove vogliono andare a parare, se attaccheranno qualcos’altro, se finirà così; e nel frattempo, piano piano, impercettibilmente, loro ricominciano ad accumulare e poi di botto attaccano, in un tripudio che scuote il palazzo, la parte finale, a velocità ancora più supersonica, “saw things, saw things, clearer, clearer, once you were in my rearviewmirror”, con quella scivolata subito dopo che sembra uno scordamento improvviso della tonalità, e un finale devastante, in cui loro pestano, tutti urlano e fanno i cori, e sembra un sacrificio umano e una rivolta di piazza contro la condizione esistenziale degli esseri umani, e bisognerebbe spaccare le chitarre per poterci stare dietro. Dopo un’altalena di emozioni io non ne ho più, e quando la canzone si sblocca di botto mi risalgono su dallo stomaco quindici anni di vita, i flash uno dopo l’altro, chiari e ben visibili, di tutto quello che è rimasto indietro nello specchietto; rischio seriamente il collasso psicoemotivo per improvviso vomito mentale. E difatti, dopo l’accordo finale, loro scappano esausti dietro le quinte per l’intervallo, e io quasi mi accascio sulle poltroncine.

Cinque minuti e la band è di nuovo sul palco; ora si fa sul serio. Questa musica mi riporta dritto ai miei terribili sedici anni, alla prima volta che sentii i Pearl Jam, presentati da Radio Rai come “una delle maggiori promesse dell’anno, segnalati come sicuro successo dalla Sony; era una sera in macchina all’inizio di corso Allamano, sul postale guidato da mio padre con cui io e mio fratello subivamo, quali pacchi, l’ordinaria riconsegna settimanale da un genitore all’altro. Non sono mai bei ricordi, l’adolescenza è tormentata di suo e la mia lo è stata probabilmente più della media; questo forse spiega come il trasporto emotivo di stasera sia prevalentemente sofferente.

Il concerto ricomincia con Jeremy, e anche qui è tutto un flashback. Quel video che durò un anno su tutti gli schermi fece il successo della band, con la sua storia violenta e malata che viene ricantata ora a memoria da quasi tutto il pubblico. Dopo il breve intermezzo di Lukin si torna ai classici, stavolta Better Man, una canzone struggente e anche l’unico singolo orecchiabile di Vitalogy, un disco per il resto duro e alienato, da veri nerd sospesi tra il tentato suicidio e la follia definitiva (resta tuttora il mio preferito). Ma Better Man è facile, inizia piano e poi si lancia a tutto vapore, e Eddie fa cantare due strofe al pubblico, che risponde subito, “she dreams in color she dreams in red, can’t find a better man”.

Penso che non si possa andare oltre, e invece, a sorpresa, arriva anche di meglio: attaccano Black, una canzone che sta nelle mie radici; quando suonavo in un gruppo, difatti, la facevamo sempre, ed era uno dei nostri pezzi più forti. E anche se all’epoca non potevo ancora capire fino in fondo la disperazione di cui parla (“All the love gone bad / turned my world to black”), la conosco ancora nota per nota, le svisate di basso, i legati di voce e poi ancora il finale lunghissimo e arroccato su quel motivo in falsetto che cantavo io, proprio io, e che ora cantano in ventimila all’unisono. Anche a noi succedeva che il pubblico si unisse al falsetto ed andasse avanti a cantarlo da solo, ma qui, quando loro infine smettono di suonare, noi non vogliamo lasciar scappare questa emozione; per parecchi secondi il pubblico continua a cantare e battere le mani a ritmo mentre loro stessi guardano stupiti ed Eddie si inchina sul palco.

Tremor Christ è un altro pezzo del quadro di Vitalogy, e uno di quelli piuttosto oscuri; anche qui la conosco nota per nota, ma si vede che non è una favorita del pubblico. A questo punto quindi loro giocano l’asso e attaccano Alive, forse la loro canzone più famosa, il cui ritornello viene cantato in coro da tutti i presenti, non uno in meno, ed è un muro di voci che non ho mai sentito, nemmeno allo stadio quando si fa “La gente”; una sensazione davvero impressionante.

Anche questo è un gran finale, e difatti escono; ma poi tornano di nuovo e attaccano Blood, di cui viene esaltata l’anima funky, mentre l’urlato di Eddie parte a un volume pazzesco (mixeriiistaaaa!). Tutto il palazzo si fa rosso sangue, mentre a un certo punto, su una delle varie riesplosioni della canzone, Eddie fa un salto con spaccata altissimo, davvero incredibile; se qualcuno fosse riuscito a fermare in una foto proprio quell’attimo, sarebbe la foto del rock al suo massimo.

Segue Even Flow, anche questa attaccata a una velocità incredibile, quasi speedcore; e non è la fretta di finire, e nemmeno l’abitudine che porta sicuramente a velocizzare i pezzi suonati e risuonati, ma veramente una carica energetica che deve scaricarsi, e che esce in un ritmo frenetico, negli assoli, nelle pose e nelle corse avanti e indietro per il palco. Nel lungo pezzo centrale un platinato Mike McCready si spara un assolo pazzesco scendendo addirittura giù dal palco, e per risalire suona una nota lunga e gonfiata che tiene con una mano mentre con l’altra si arrampica, per poi riprendere il resto dell’assolo come niente fosse. E subito dopo, Matt Cameron si produce in un assolo di batteria, signori un assolo di batteria nel 2006, ed è straordinario, mica una palla unica come buona parte di quelli di quando l’assolo di batteria era obbligatorio per legge.

Finisce che loro sono visibilmente contenti, e il pubblico è in delirio; potremmo andare avanti tutta la sera, a catarsi adolescenziali e cori generali, con grande soddisfazione. Eddie promette che non passeranno altri sei anni prima del prossimo tour europeo, e io penso che sono talmente preso da questo concerto che se domani non giocasse il Toro potrei andare fino a Pistoia per risentirli.

Nel frattempo, però, attaccano Baba O’Riley degli Who, e io immagino mio zio, grande fan dei mezzi morti e mezzi quasi, in delirio là in basso nel parterre. Ok, è un bel pezzo, grazie, Eddie salta e si dimena in tutti i modi possibili, e nel frattempo accendono le luci e ci accingiamo ad andare… quando d’improvviso sul palco compare un contrabbasso elettrico e, a sorpresa, ci regalano ancora Indifference. Detto tra noi, la suonano maluccio, ma non importa; che emozione risentire il pezzo simbolo della depressione adolescenziale e post-adolescenziale, la canzone che ha inculcato in milioni di giovani di tutto il mondo un progetto di vita come questo:

Oh, I will stand arms outstretched, pretend I’m free to roam
Oh, I will make my way through one more day in hell…
I will hold the candle till it burns up my arm
Oh, I’ll keep takin punches until their will grows tired
Oh, I will stare the sun down until my eyes go blind…
I’ll swallow poison until I grow immune
I will scream my lungs out till it fills this room
How much difference
How much difference
How much difference does it make
How much difference does it make

Negli anni l’ho ascoltata in vasche da bagno di acqua ormai gelida, nella mia stanza con le luci rigorosamente spente, persino da ubriaco: ah, quanta depressione gratuita! In effetti dovrei fargli causa, ma stavolta la fanno con tutte le luci del palazzo accese, e la canzone diventa innocua, più un “come eravamo quando tu avevi la metà dei tuoi anni” che una vera minaccia.

Infine, il concerto si chiude davvero, con loro che si stringono e si abbracciano sul palco davanti a un meritatissimo, lunghissimo applauso.

Ho la sensazione che i Pearl Jam siano finalmente usciti dal tunnel, e siano diventati un gruppo maturo; che, anche come persone, abbiano superato le proprie disavventure e infelicità per diventare quarantenni solidi e adulti. E che quindi, come altri gruppi di spessore, siano pronti per regalarci altri dieci o vent’anni di buona musica, magari non più geniale, ma sempre di gran classe.

Se poi dal vivo continueranno a regalare serate come questa… che concerto, ragazzi! Onestamente non ne ho visti molti con questa energia e questa emozione, anzi forse non ne ho visto nessun altro! Dopo un concerto ROCK come questo, con la R la O la C e la K maiuscole, sarebbe da andare a scolarsi una bottiglia di Jack Daniel’s dal manico della chitarra, e che diavolo! In onore dei bei vecchi tempi in cui si è giovani e, con l’anima disperata e utopica del rock, si pensa di poter cambiare il mondo o in alternativa autodistruggersi prima di dovercisi adeguare, e poi invece non succede nè l’una nè l’altra cosa e ci si ritrova un po’ più delusi e cinici di prima, ma in fondo più sereni, e sempre pronti a roccheggiare quando ce n’è l’occasione. Sono carichissimo, ma mi bastano un paio di sorpassi alla GT4 in mezzo al traffico (che cazzo ti fai i fari, vecchio amante del liscio, con quella Panda di merda piantata a due all’ora in mezzo al corso!) per liberare l’energia senza danno alcuno. Lunga vita al rock’n’roll!

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martedì 12 Settembre 2006, 23:20

[[Honest Bob And The Factory-To-Dealer Incentives – Hey]]

Questa è la canzone conclusiva del concerto celebrativo in linea di oggi. Forse non capirete mai come ho scoperto gli Honest Bob And The Factory-To-Dealer Incentives, onesta band underground della scena di Boston, anche se non mancherò di bloggarne prossimamente. Sappiate però che ho sentito cinque secondi di questo pezzo, totalmente fuori contesto, e me ne sono subito innamorato; dopo averlo acquistato ho passato la serata a suonarlo! Ora, oltre a digitare quel riff semplice semplice e quell’assolino sghembo con grande goduria, ve lo propongo come sintesi occasionale ma sorprendentemente dettagliata di tutte le scene di questi nostri anni; perchè, in fondo, la vita è molto, molto, molto più semplice di come noi esseri umani ce la immaginiamo.

Riempitevi la testa di suono… Buon ascolto, e buona fortuna, di cuore, a tutti quelli che leggono queste righe!

Hey, I saw you standing, I saw you smile
You look enchanting, let’s dance for a while
For a while

Hey, I know it ain’t easy, I know it’s hard
You leave yourself open, you’re gonna get scarred
Yeah I’m still scarred

I love everybody, I love you
You’re the only friend I got I wanna do stuff to

Hey, you took my soda, you stole my fries
I thought you were honest, but then I got wise
Yeah I got wise

Hey, let’s take a vacation, just me and you
Cause I got a secret and you have one too
Yeah you do

I hate everybody, I love you
We could save the world but we’ve got better things to do

Push me up and pull me down, kiss me underground
Throw me off and watch me drown, fill my head with sound
Push me up and pull me down, kiss me underground
Throw me off and watch me drown, fill my head with sound

You can fill my head with sound
You can fill my head with sound
You can fill my head with sound
My head with sound

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martedì 12 Settembre 2006, 21:38

[[Deep Purple – Clearly Quite Absurd]]

Questa ballata, oltre ad essere la colonna sonora per le montagne dell’Anatolia centrale, è un totale capolavoro, dalla scala in arpeggio al sabba finale passando per il testo; tutto questo nonostante i Deep Purple siano ormai oltre i sessanta, o forse proprio per quello.

After all we said today the strangest thought occurred
I feel I ought to tell you but it’s clearly quite absurd
Wouldn’t it be wonderful if you could read my mind
Imagine all the stuff that we could leave behind
How many words you waste before you’re understood
Or simply sow some seeds, you’d do it if you could
Let me take a moment of your time
Inside your mind

I know what you’re thinking but I don’t know what to say
The turmoil and the conflict, you don’t have to feel this way
Look into my eyes and feel my hand upon your heart
Holding us together, not tearing us apart
How many words we waste to justify a crime
Compare it to an act of love that really takes no time
Why not take a moment to unwind
Inside your mind

How many words I waste that you don’t want to hear
Why not sit in silence while the muddy waters clear
Why not take a moment to unwind
Inside your mind

After all we said today the strangest thought occurred
I feel I ought to tell you but it’s clearly quite absurd

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martedì 12 Settembre 2006, 20:14

[[Red Hot Chili Peppers – Snow (Hey Oh)]]

Forza, che non state ascoltando abbastanza!

Come to decide that the things that I tried
Were in my life just to get high on
When I sit alone come get a little known
But I need more than myself this time
Step from the road to the sea to the sky
And I do believe it, we rely on
When I lay it on come get to play it on
All my life to sacrafice
Hey oh listen what I say oh, I got your
Hey oh now listen what I say oh

When will I know that I really can’t go
To the well once more time to decide on
When it’s killing me, when will I really see
All that I need to look inside
Come to believe that I better not leave
Before I get my chance to ride
When it’s killing me, what do I really need
All that I need to look inside
Hey oh listen what I say oh, come back and
Hey oh look at what I say oh
The more I see the less I know
The more I like to let it go…hey oh, whoa

Deep beneath the cover of another perfect wonder
Where it’s so white as snow
Privately divided by a world so undecided
And there’s nowhere to go
In between the cover of another perfect wonder
And it’s so white as snow
Running through a field where all my tracks will
Be concealed and there is nowhere to go

When to descend to amend for a friend
All the channels that have broken down
Now you bring it up, I’m gonna ring it up
Just to hear you sing it out
Step from the road to the sea to the sky
And I do believe what we rely on
When I lay it on, come get to play it on
All my life to sacrifice
Hey oh listen what I say oh, I got your
Hey oh listen what I say oh
The more I see the less I know
The more I’d like to let it go…hey oh whoa

Deep beneath the cover of another perfect wonder
Where it’s so white as snow
Privately divided by a world so undecided
And there’s nowhere to go
In between the cover of another perfect wonder
Where it’s so white as snow
Running through the field where all my tracks
Will be concealed and there is nowhere to go
I said hey hey yeah, oh yeah tell my love now
Hey hey yeah, oh yeah tell my love now
Deep beneath the cover of another perfect wonder
Where it’s so white as snow
Privately divided by a world so undecided
And there’s nowhere to go
In between the cover of another perfect wonder
Where it’s so white as snow
Running through the field where all my tracks
Will be concealed and there is nowhere to go
I said hey hey yeah, oh yeah tell my love now
Hey hey yeah,

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