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Archivio per la categoria 'WeekBowl’s&Music'


lunedì 25 Febbraio 2008, 14:22

[[Elio e le Storie Tese – Parco Sempione]]

Da qualche giorno è uscito in edicola il nuovo disco di Elio e le Storie Tese, calembouricamente denominato Studentessi. A primo impatto si rivela un po’ deboluccio; del resto è noto che tutti i gruppi rock sopra i quaranta scagazzano un disco ogni 4-5 anni, ma solo dopo aver spinto parecchio, e il risultato ne risente. Insomma, nonostante la solita infilata di ospiti stellari e la musica ovviamente complessa e suonata benissimo, nonostante un paio di ritornelli orecchiabili, un brano che cita la città di tre lettere, e l’apparizione di Guido Meda, nulla in questo disco ancora ha veramente catturato la mia attenzione; ad eccezione di un pezzo.

L’eccezione in questione non è nemmeno un inedito, visto che l’avevo già ascoltata nel concerto di quest’estate al manicomio di Collegno (o comunque l’abbia attualmente rinominato la locale amministrazione per renderlo più fico). Si chiama Parco Sempione ed è un capolavoro su vari livelli; musicalmente è un brano prog rock – ricorda un po’, per certi versi, Psichedelia, compresa l’apparizione del flauto di Elio nelle parti lente – mescolato a una base di percussioni e con un ritornello corale che ha la forza di una manifestazione di piazza.

Ciò che sorprende, comunque, è il tema: la canzone parte come una qualsiasi buffonata alla Elio e le Storie Tese, con le macchiette del tizio che suona i bonghi nel parco e del vecchietto che ne è disturbato; un tema universale che peraltro domina il dibattito politico delle nostre città, visto che, per esempio, qualche giorno fa su Specchio dei Tempi è stata pubblicata una lettera contro i bonghisti di piazza Castello, con tanto di endorsement pubblico da parte del giornalista della Stampa che cura la rubrica.

La canzone potrebbe quindi limitarsi a un po’ di banale ironia e presa per il culo di una situazione quotidiana, se non che, a tradimento, l’ultimo ritornello svolta completamente argomento e tono musicale, trasformandosi in una invettiva politica pesantissima sulla nota vergogna milanese del Bosco di Gioia, un fazzoletto di alberi in piena città, destinato esplicitamente a giardino per i degenti ospedalieri da un lascito ereditario, che, nonostante il vincolo e le proteste popolari, viene raso al suolo a fine 2005, per volontà della Regione e del Comune, che favoriscono la costruzione di nuovi palazzi su quel terreno. Nonostante proprio quella vicenda sia stata l’occasione per criticare il manicheismo piuttosto ipocrita di Grillo, pur facendo poi parziale ammenda, è indubbio che la continua cementificazione di Milano lasci tutti perplessi, anche se a noi torinesi permette un malcelato senso di rivalsa per come questi, pur avendo più soldi, più risorse e più peso politico, li usino per massacrare la propria città invece di migliorarla.

Bene, da quanto tempo è che non si sentiva in Italia una canzone – anzi, il singolo di un disco di un gruppo di primario rilievo – dare dei “figli di troia” a politici importanti come Moratti e Formigoni, pur non nominandoli esplicitamente? Gli Elii non sono nuovi a questi exploit, a partire dal famoso Sabbiature oscurato in diretta dalla Rai al concerto del primo maggio 1991 (accusava Andreotti prima ancora di Mani Pulite…). Questo però è un caso particolare, perché non si tratta di un testo politico su una base casuale, ma di una canzone politica organicamente concepita nel testo e nella musica e concentrata su un caso specifico, come non accadeva in Italia forse dagli anni ’70.

Negli ultimi vent’anni, per “canzone politica” in Italia si intendono cose come Cara democrazia (Ritorna a casa che non è tardi) di presunti guru come Ivano Fossati: gente politicamente ammanicata che produce un brano musicalmente scarsissimo, dal testo tanto pretenzioso quanto fumoso, che evita accuratamente di prendersela con qualcuno di riconoscibile o di esporsi in alcun modo, e viene quindi passato a ciclo continuo da media politicamente controllati come Radio Popolare finché le vendite del cantautore organico non sono sufficienti. Attaccare direttamente qualcuno, in Italia non si fa; che poi magari rischi ancora una denuncia, o di venire ostracizzato come “incontrollabile” e “agitatore” dalla tua stessa parte politica.

Per questo trovo questo brano così significativo, e ammiro il coraggio degli Elii nel proporlo, spinti probabilmente da una rabbia creativa che annulla le barriere inibitorie e garantisce anche un risultato artisticamente valido. In un paese tuttora doroteo, non è da tutti: complimenti.

E nel frattempo, ecco qui sotto il (divertentissimo e pieno di add-on e intermezzi) video: quello che sventola Elio per poter entrare nel parco sarebbe un Ecopass

Parco Sempione, verde e marrone, dentro la mia città
metto su il vibro, leggo un bel libro, cerco un po’ di relax
all’improvviso, senza preavviso, si sente un pim pam pum
un fricchettone, forse drogato, suona e non smette più (bonghi)

Questo fatto mi turba
perchè suona di merda
non ha il senso del ritmo
e non leggo più il libro
quasi quasi mi alzo
vado a chiedergli perché
ha deciso che, cazzo,
proprio oggi niente lo fermerà

Piantala con sti bonghi, non siamo mica in Africa
porti i capelli lunghi ma devi fare pratica
sei sempre fuori tempo, così mi uccidi l’Africa
che avrà pure tanti problemi ma di sicuro non quello del ritmo

Dai barbon cerca de sonà mej
che son dree a fà ballà i pee
anca se gh’ho vottant’ann
voo giò in balera con la mia miee
ohé, che dò ball
te me s-ceppet l’oreggia
ti, i tò sciavatt e i bonghi

Caro signore, sa che le dico, questa è la libertà
sono drogato, suono sbagliato, anche se a lei non va
non vado a tempo, lo so da tempo, non è una novità
io me ne fotto, cucco di brutto, grazie al mio pim pum pam (bonghi)

Questa cosa mi turba
e mi sento di merda
quasi quasi mi siedo
ed ascolto un po’ meglio
forse forse mi sbaglio
forse ho preso un abbaglio
forse forse un bel cazzo
fai cagare, questa è la verità

Ora ti sfondo i bonghi per vendicare l’Africa
quella che cucinava l’esploratore in pentola
ti vesti come un rasta, ma questo no, non basta
sarai pure senza problemi ma di sicuro c’hai quello del ritmo

Ohé
te tiri una pesciada in del cuu
va a ciapà i ratt
te podet vend domà el tò ciccolatt

Ecco spiegato cosa succede in tutte le città
Io suono i bonghi, tu me li sfondi, di questo passo
dove si finirà?

Ecco perchè qualcuno pensa che sia più pratico
radere al suolo un bosco considerato inutile
roba di questo tipo non si è mai vista in Africa
che avrà pure tanti problemi ma di sicuro non quello dei boschi

Vorrei suonare i bonghi come se fossi in Africa
sotto la quercia nana in zona Porta Genova
sedicimila firme, niente cibo per Rocco Tanica
ma quel bosco l’hanno rasato mentre la gente era via per il ponte

Se ne sono battuti il cazzo, ora tirano su un palazzo
han distrutto il bosco di Gioia, questi grandissimi figli di troia

[tags]elio e le storie tese, studentessi, parco sempione, bosco di gioia, milano, bonghi, canzone politica, fossati, radio popolare, musica[/tags]

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venerdì 15 Febbraio 2008, 16:30

[[R.E.M. – Supernatural Superserious]]

Visto che è una bella giornata, il sole splende sui tetti e le montagne si perdono nella foschia, mi pare il caso di segnalare che sono usciti di nuovo i R.E.M., e mica con il solito noioso disco di suonini elettronici e ballatone lente: con un pezzo rock semplice semplice, allegro e bello tirato, con tanto di coretti e una linea di basso che sa di Mike Mills fin dalla terza nota. Parla dei ricordi dell’adolescenza, con un misto di magia stemperata e di contentezza per averla superata, e in questo contesto il titolo apparentemente inspiegabile acquista un vero significato.

E’ vero che potete anche montare il vostro video online; ma volete che il vostro blog preferito non ve lo faccia sentire?

Audio clip: Adobe Flash Player (version 9 or above) is required to play this audio clip. Download the latest version here. You also need to have JavaScript enabled in your browser.

Everybody here
Comes from somewhere
But they would just as soon forget
And disguise
At the summer camp where you volunteered
No one saw your face, no one saw your fear
If that apparition had just appeared
Took you up and away from this place and sheer humiliation
Of your teenage station
Nobody cares no one remembers and nobody cares

Yeah you cried and you cried
He’s alive he’s alive/a lie
And you cried and you cried and you cried and you cried

If you call out safe then I’ll stop right away
If the premise buckles and the ropes starts to shake
For the details mark with the stories the same
You don’t have to explain, you don’t have to explain humiliation
Of your teenage station

Yeah you cried and you cried
He’s alive he’s alive
Ah, you cried and you cried and you cried and you
Realized your fantasies are
Dressed up in travesties
Enjoy yourself with no regrets

Everybody here
Comes from somewhere
If they would just as soon forget
And disguise

Yeah you cried and you cried
He’s alive he’s alive
Yeah you cried and you cried and you cried and you cried
(Oh you cried and you cried)
(Oh you cried and you cried)
Now there’s nothing dark and there’s nothing weird
Don’t be afraid I’ll hold you near
From the séance where you first betrayed
An open heart on a darkened stage’s celebration
Of your teenage station

Zen experience sweet delirious
Supernatural superserious
Inexperience sweet delirious
Supernatural superserious
Wow

[tags]rem, r.e.m., supernatural superserious, accelerate, musica[/tags]

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venerdì 8 Febbraio 2008, 18:54

[[Mao – Piuma]]

Ho sempre pensato che Mauro Gurlino in arte Mao – cantante, VJ e conduttore radiofonico – fosse della scena torinese una delle espressioni meno interessanti. Eppure – dopo che è passato per un po’ in heavy rotation su Radio Flash, in vista del concerto di stasera a Hiroshima Mon Amour, in cui sarà presentato il suo nuovo disco – è due giorni che non riesco a togliermi dalla testa il suo nuovo singolo Piuma (in giro non si trova ancora, ma potete ascoltarlo dal suo maispess, come va ora di moda).

La canzone è breve e malinconica, e si intona quindi bene con il clima invernale; è minimalista e molto molto gazzosa (cioè nello stile di Gazzé quando ancora non aveva esaurito la vena creativa). E poi trovo geniale l’idea della canzone bistrato, con una cialda di plastica espressa da una drum machine fintissima, che però ogni tanto si buca in modo scomposto e lascia intravedere un cuore di pianoforte pesante.

Per fortuna che esiste ancora la piccola musica indipendente.

P.S. Come da regolamento del blog, accludo il testo.

Hai mai provato a sdraiarti sul ponte di una nave
e coprirti di aria e di cielo
quanto è strano poi tornare a dormire in una stanza

E fino a un momento prima
tutto va bene
poi all’improvviso
si alza un timore

Come un vento leggero
il freddo si infila nel letto
come passarsi una piuma sotto il naso
come quando dici che
tutto va male
poi all’improvviso
una sua frase
si trasforma in emozione e
in un brivido strano
e adesso hai in mano
una piuma
una piuma
una piuma
una piuma

Come quando dici che
tutto va male
poi all’improvviso
una
misteriosa e inattesa allegria
una
misteriosa e inattesa allegria
una
misteriosa e inattesa allegria
una
fastidiosa e inopportuna allegria

[tags]mao, piuma, gazzé, hiroshima mon amour, radio flash, musica[/tags]

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giovedì 6 Dicembre 2007, 22:23

Hairspray

Interrompo la sequenza di post sulla Cina (ma non ho ancora finito) per segnalare che sull’aereo ho visto Hairspray, edizione cinematografica uscita di recente di un musical di grande successo a Broadway. La storia è ambientata nell’America del 1962, dove una studentessa di liceo partecipa a uno show televisivo cercando di promuovere l’integrazione dei neri.

In pratica, fin dal primo secondo appare in scena una perfetta sconosciuta: tal Nikki Blonsky, diciottenne gelataia di Long Island, un metro e quarantasette per un’ottantina di chili. La presenza scenica certo non le manca; tuttavia la ragazza balla e canta alla grande, e nonostante le mettano a fianco nell’ordine:
1) John Travolta e perdipiù vestito da donna;
2) Christopher Walken;
3) Michelle Pfeiffer, che canta davvero bene;
4) Queen Latifah, che notoriamente ha una voce eccezionale;
5) Zac Efron, cioè il protagonista di High School Musical, idolo delle ragazzine;
6) James Marsden, aka Ciclope di X-Men;
7) e persino una “amica del cuore” alta un metro e ottanta, bionda e supergnocca nella persona di Amanda Bynes,
il film è completamente rapito dalla sua performance, tanto è vero che verso due terzi la devono portare fuori scena di peso per riuscire a far vedere un po’ anche il resto del cast, peraltro con esiti deludenti (il lunghissimo, inutile duetto tra Travolta e Walken è nettamente il momento peggiore del film).

In più, la colonna sonora è davvero bella, raccogliendo – oltre al classico rock’n’roll – un po’ tutto lo stile Motown, dagli esordi fino ai Jackson Five (e tra l’altro il ragazzino nero, Elijah Kelley, è veramente molto bravo); e i numeri sono ben coreografati. Insomma, vale la pena di vederlo, almeno se non siete tra quelli che sono intolleranti ai musical.

[tags]hairspray, musical[/tags]

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lunedì 26 Novembre 2007, 23:43

Ancora matrimoni

Oggi sono andato ad un inconsueto matrimonio feriale in quel di Borgone di Susa, uno dei paesi della media valle. Anche evitando accuratamente l’autostrada – uscendo cioè ad Avigliana ovest – per non pagare tre euro e quaranta per quindici chilometri di rettilineo, ci si arriva in mezz’ora; ed è stata una delle più belle mezz’ore degli ultimi tempi.

Infatti, dopo una settimana di pioggia, oggi il cielo era finalmente azzurro e luminoso, appena striato da qualche nuvola alta. Tutto ciò si rifletteva nel freddo intenso delle cime delle montagne già innevate, che mostravano interi versanti di neve bianca immacolata, che dissolvendosi poi nei boschi qualche centinaio di metri più in basso si specchiavano infine nei prati fangosi e giallini del fondovalle.

Effettivamente in giornate così gloriose si capisce come sarebbe opportuno evitare di rovinare anche questa valle; peraltro la sindachessa che ha sposato i miei amici è notoriamente una delle pasionarie del movimento No Tav. Sono stato tentato di trollare, ad esempio indicando il portone del municipio ed esclamando ad alta voce “Ma quand’è già che tirano giù ‘ste quattro baracche per farci la ferrovia?” (tra l’altro la sala del municipio di Borgone ha un soffitto bellissimo). Ma era un giorno di festa, suvvia.

Il matrimonio è sempre un giorno rischioso per tutti; non è un caso che nei millenni l’umanità abbia imparato a stenderci sopra strati e strati di pittura irrigidente, a base di riti, giuramenti e comandamenti, per evitare che il naturale e contrastante desiderio biologico degli esseri umani (della donna di riprodursi con sicurezza, e dell’uomo di spargere il seme il più possibile) provochi l’autodistruzione della specie a forza di coltellate e ratti delle Sabine, o più prosaicamente scoppi di rabbia o di desiderio all’interno della cerimonia stessa. Oggi però è andata generalmente bene, non tanto per me (non avevo dubbi) quanto per un paio di altre persone che, insomma, hanno telefonato molto, fatto qualche passeggiata e preso in prestito bambini altrui, ma in generale sono state bene.

Il matrimonio in questione, poi, era mezzo russo; io avrei anche provato a simpatizzare su falci e martelli, ma la cravatta rosso-bianco-azzurra del padre della sposa mi ha subito suggerito che forse non era il caso. Anche il cibo non è stato utile, visto che gli italiani hanno snobbato il borsc, mentre i russi sono rimasti istintivamente schifati dalla carne all’albese (“cruda?”). Però abbiamo simpatizzato lo stesso, e poi il gruppo maschi giovani ha messo in piedi pure la banda con tanto di batteria e amplificazione, tra le imprecazioni del gruppo anziani e un po’ anche del gruppo giovani madri abbandonate coi pargoli dai giovani maschi.

Devo però aprire una parentesi per lanciare un appello a tutti coloro che mettono musica ai matrimoni: come canzone conclusiva della festa, non è affatto appropriato scegliere Can’t Help Falling In Love di Elvis Presley.

Certo, è un pezzo romanticissimo e pieno di melensaggini, oltre che molto famoso e rifatto un po’ da chiunque. Peccato però che la canzone di Elvis (che era tanto bellino e certamente un animale da palco, ma non precisamente un gran compositore) sia una scopiazzatura dalla romanza classica Plaisir d’amour, composta nel 1785 dal tedesco Jean-Paul Martini su una melodia e un ritornello che secondo alcuni risalgono addirittura al medioevo; questa ne è l’esecuzione anticlassica (non impostata), basata sull’orchestrazione del Berlioz (1859), che ne diede il Maestro in Come un cammello in una grondaia:

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Purtroppo per i romantici, il testo originale di Jean Pierre de Florian è ben diverso:

Plaisir d’amour ne dure qu’un moment,
Chagrin d’amour dure toute la vie.

J’ai tout quitté pour l’ingrate Sylvie.
Elle me quitte et prend un autre amant.

Plaisir d’amour ne dure qu’un moment,
Chagrin d’amour dure toute la vie.

Tant que cette eau coulera doucement
Vers ce ruisseau qui borde la prairie,
Je t’aimerai, me répétait Sylvie,
L’eau coule encore, elle a changé pourtant.

Plaisir d’amour ne dure qu’un moment,
Chagrin d’amour dure toute la vie.

Suggerirei quindi che non è il caso… nè in termini di buoni suggerimenti aiuta il CD che avevo in macchina al ritorno, che ha tirato fuori People In Love degli Art Brut, che prima o poi meriteranno ancora un post a parte: People in love lie around and get fat / I didn’t want us to end up like that / To every girl that’s ever been with me: / I’ve got over you eventually.

Queste però sono soltanto alcune delle varie (per quanto non troppo) possibilità dei rapporti di coppia. Oggi in sala ce n’erano parecchie di migliori, e ciò costituiva una delle cose più piacevoli della festa; in fondo, al di là della cerimonia e del tentativo di instaurare vincoli, il punto più a favore del matrimonio è il sottolineare una fase bella della vita. A una certa età sappiamo già tutti che non sempre la vita è rose e fiori, e proprio per questo è bene evidenziare le parti che lo sono.

[tags]matrimonio, elvis, martini, battiato, art brut, borgone[/tags]

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domenica 28 Ottobre 2007, 02:48

Messaggio importante agli ISP

Dalla cerimonia di chiusura del cinquantacinquesimo meeting di RIPE, l’associazione delle reti europee, arriva un chiaro messaggio a chiunque si occupi di infrastruttura di rete: migrate subito a IPv6, per non dovervi poi pentire il giorno in cui i router moriranno.

A long long time ago
I can still remember
When my laptop could connect elsewhere
And I tell you all there was a day
The network card I threw away
Had a purpose, and it worked for you and me

But 18 years completely wasted
With each address we’ve aggregated
The tables overflowing
The traffic just stopped flowing

And now we’re bearing all the scars
And all my traceroutes showing stars
The packets would travel faster in cars
The day the routers died

So bye bye folks at RIPE 55
Be persuaded to upgrade it or your network will die
IPv6 just makes me let out a sigh
But I suppose we’d better give it a try
I suppose we’d better give it a try

Now did you write an RFC
That dictated how we all should be
Did we listen like we should that day
Now were you back at RIPE 54
Where we heard the same things months before
And the people knew they’d have to change their ways

And we knew that all the ISPs
Could be future proof for centuries
But that was then not now
Spent too much time playing WoW

Ooh there was time we sat on IRC
Making jokes on how this day would be
Now there’s no more use for TCP
The day the routers died

So we’re singing, bye bye folks at RIPE 55
Be persuaded to upgrade it or your network will die
IPv6 just makes me let out a sigh
But I suppose we’d better give it a try
I suppose we’d better give it a try

I remember those old days I mourn
Sitting in my room downloading porn
Yeah that’s how it used to be
When the packets flowed from A to B
Via routers that could talk IP
There was data that could be exchanged between you and me

Oh but I could see you all ignore
The fact we’d fill up IPv4
But we all lost the nerve
And we got what we deserved!

And while we threw our network kit away
And wished we’d heard the things they say
Put all our lives in disarray
The day the routers died

We were singing, bye bye folks at RIPE 55
Be persuaded to upgrade it or your network will die
IPv6 just makes me let out a sigh
But I suppose we’d better give it a try
I suppose we’d better give it a try

Saw a man with whom I used to peer
Asked him to rescue my career
He just sighed and turned away
I went down to the net cafe
That I used to visit everyday
But the man there said I might as well just leave

Now we’ve all lost our purpose
My Cisco shares completely worthless
No future meetings for me
At the Hotel Krasnapolsky

And the men that make us push and push
Like Geoff Huston and Randy Bush
Should’ve listened to what they told us
The day the routers died

So bye bye folks at RIPE 55
Be persuaded to upgrade it or your network will die
IPv6 just makes me let out a sigh
But I suppose we’d better give it a try

[tags]ipv6, ripe, the day the routers died[/tags]

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mercoledì 24 Ottobre 2007, 08:33

Blogstar

Ma secondo voi Mantellini s’offende se – dopo che lui ha dichiarato di aver scritto questo post sul famoso ROC, il registro dei blog proposto dal governo, solo per poterlo intitolare “ROC IN THE CASBAH” – io gli faccio notare che la famosissima canzone dei Clash si chiama in realtà Rock The Casbah, visto che in inglese to rock, quando ha significato di scuotere, è un verbo transitivo?

[tags]mantellini, blogstar, clash, internet tax[/tags]

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mercoledì 3 Ottobre 2007, 12:17

Concerti plastici

Ieri sera sono andato allo stadio delle Alpi (sì, esiste ancora) a vedere il concerto dei Fiction Plane, gruppo londinese emergente. Si tratta di un trio che ricorda molto i Police: cantante/bassista, chitarrista e batterista, e lo stile è simile, anche se è rivisto in funzione dei gusti musicali attuali, per cui gli arrangiamenti di chitarra sconfinano nel coldplayesco (cioè, diciamo nei Radiohead di Ok Computer, che la musica inglese degli ultimi dieci anni è nata da lì). Però il modo di cantare del tizio, dal timbro agli svisamenti, è proprio simile a quello del leader dei Police, e insomma ho pensato subito che questo ragazzo sia cresciuto coi poster di Sting nella cameretta, e che li abbiano selezionati per questo tour proprio per questo motivo.

Il singolo Two Sisters ha un ritornello di quelli che entrano dritti nel cervello, un bello schitarramento reggae di sottofondo, e un discreto tiro; e la maggior parte degli altri pezzi hanno catturato il mio orecchio, specie Death Machine e il rompighiaccio Anyone. E così, stamattina sono andato subito a scarcomprare il disco, e mi sono anche documentato su Wikipedia, e così ho scoperto che il cantante/bassista non è cresciuto avendo nella cameretta i poster di Sting, ma Sting in carne ed ossa, visto che ne è il figlio. Insomma, a forza di vivere in Italia anche il signor Sumner ha scoperto il “tengo famiglia”, e suppongo che la presenza dei Fiction Plane sia stata una delle condizioni poste dal suo team di avvocati al team degli avvocati degli altri due per accettare la reunion.

Comunque, se vi piace il genere, il disco Рpur se acerbo, e insomma, senza settantamila persone a battere le mani in mezzo ai giochi di luce non fa lo stesso effetto Р̬ caruccio, e vale la pena di scarcomprarlo.

Dopo, comunque, hanno suonato anche i Police; a un certo punto temevamo non uscissero più, e che mandassero direttamente sul palco gli avvocati, per intrattenere il pubblico con un po’ di wrestling nel fango. Invece, alle 21,35 si sono presentati puntuali; almeno così mi dicono, perchè io, pur essendo seduto nella balconata del secondo anello della curva Maratona, vedevo a malapena la batteria, figuriamoci le facce; e i maxischermi erano grandi come il plasma di casa mia; insomma sembrava di guardare lo spot della 3 su un videofonino. Il mistero di come possano chiederti sessanta euro per “vedere” un concerto in questo modo è superato soltanto dal mistero di come io possa averli pagati.

Il concerto è stato carino, ma non eccezionale: era più una celebrazione storica che un concerto rock, e penso che vari pezzi dei Police possano anche prestarsi a uno stadio, ma solo se suonati alle tre del pomeriggio sotto il sole a picco e in mezzo ad un pogo intenso. Ieri, invece, il prato era pieno di circa quarantamila persone in piedi, dai trentacinque in su, completamente ferme; il massimo che è successo, a parte lamentarsi per il freddo e l’assenza del surround digitale 5.1, è stato che hanno battuto le mani, nemmeno a tempo perchè il suono si propaga troppo lentamente per poterlo fare in uno stadio. Certo, dal punto di vista commerciale è stato un successone: a parte la curva Primavera che era dietro il palco e quindi vuota, non ho mai visto il Delle Alpi così pieno, denso di gente in ogni dove, nemmeno per Toro-Ajax o per Toro-Mantova.

Alla fine, comunque, i tre hanno suonato per quasi due ore; in due ore non si sono mai detti nemmeno “ciao”, e non si sono avvicinati a meno di cinque metri l’uno dall’altro, se si escludono un paio di occasioni in cui Sting ha fatto finta di inchiappettare Andy Summers suonandogli dietro, però stando ben attento a non sfiorarlo, che se no l’altro avrebbe mollato lo strumento e si sarebbero pestati all’istante. Il team di avvocati di Summers, comunque, ha preteso che ogni canzone contenesse almeno dieci minuti di assolo fastidiosissimo, in cui il suddetto cerca di imitare Yngwie J. Malmsteen e poi di farsi dire dal pubblico che è bravo anche lui, e che il fatto che finiti i Police nessuno l’abbia più cagato neanche di striscio è soltanto un caso dovuto al destino cinico e baro.

E quindi, la prima parte è un po’ così, con ciascuna canzone rallentata e stiracchiata all’infinito fino ad un noiosissimo assolo. In più, Sting ha l’età che ha, ovvero 56 anni compiuti proprio durante il concerto; fa una cosa intelligente, cioè invece di sforzare taglia gli acuti uniformemente sulla maggior parte dei pezzi, riuscendo a conservare la voce per farne qualcuno anche sul finale (complimenti per essere riusciti a fare una versione di sei minuti di Roxanne mettendoci dentro una strofa sola: non tutti riuscirebbero ad aggirare così il problema).

Il concerto si riprende però con qualche numero meno scontato – bella ad esempio Wrapped Around Your Finger con Copeland in piedi contro un set di percussioni, timpano, gong e xilofono grosso il doppio di lui – e poi, nel finale, con i pezzi più energetici, tra cui Can’t Stand Losing You, che a seconda di come la si suoni può essere il punto più alto del reggae anni ’70 oppure il punto più alto del punk anni ’70, e ieri li è stati entrambi.

Alla fine, comunque, è stato veramente più un evento televisivo che un concerto; valeva la pena di esserci soprattutto per poter dire di esserci stati, ché per quanto riguarda la musica non c’è più vita, e piuttosto conviene mettersi su i dischi dell’epoca, o ascoltare appunto i Fiction Plane.

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sabato 18 Agosto 2007, 19:09

Guitar Hero s’ammoscia con gli 80’s

Come già vi dissi, lo aspettavo da quando è uscito, a inizio agosto; ora finalmente il pacco da Jersey è arrivato, nonostante in ufficio non ci fosse nessuno ad accoglierlo, e io ieri sia andato a pranzo nelle vicinanze in modo da darmi la scusa per andare a ravanare nella buca delle lettere. E così, posso recensire Guitar Hero Rocks The 80’s, primo del circondario ad averlo.

Ecco, come sapete io sono drogato da questo videogioco (più precisamente, sono drogato dalla musica rock), per cui l’avrei comprato comunque, e me lo godo comunque. Però è piuttosto chiaro che questo gioco è per Guitar Hero ciò che E.T. fu per l’Atari nel 1983: un disgustoso rip-off messo insieme in fretta, per soldi, prima che scada la licenza, e che farà inorridire e scappare tutti gli appassionati, costituendo una pessima pubblicità sia per Guitar Hero III (in uscita a fine ottobre) che per Rock Band, oltretutto entrambi solo per PS3 e equivalenti (quindi dovrei comprare anche la console).

Il punto è che il gioco è totalmente identico al secondo episodio, a parte un paio di texture nei locali; con solo trenta canzoni e nessun extra; con le canzoni spesso incise male e missate peggio; e soprattutto, con una tracklist che fa pietà, probabilmente guidata dal solo criterio di pagare i diritti il meno possibile.

Ok, c’è 18 And Life che da sola vale il prezzo, anche se per far sentire la chitarra acustica che suoni hanno inciso tutto il resto talmente basso che dovrebbero darti un cornetto dell’Amplifon. C’è Holy Diver che voi non conoscerete, ma che ha un riff solido come un camion e pesante come un chiodo dell’epoca, completo di accessori metallici. C’è Synchronicity II dei Police, che è sempre un bel pezzo, anche se io preferisco la versione uno. Ci sono Wrathchild degli Iron Maiden e No One Like You degli Scorpions, piacevoli ma certo non i loro pezzi migliori, anzi nemmeno uno dei loro dieci pezzi migliori. C’è Electric Eye dei Judas Priest, che mi veniva da piangere perchè nell’intro (che incidentalmente, cara Red Octane, si chiama The Hellion e sarebbe un pezzo separato) non hanno raddoppiato le chitarre dopo le prime due ripetizioni, insomma ne manca metà. Ci sono pezzi di gruppi che all’epoca non ascoltavo, ma che comunque erano di livello decente, tipo i Quiet Riot, i Poison o i Ratt.

Però, come si fa a fare una raccolta dei maggiori successi del rock degli anni ’80 senza includere, per dire, un pezzo di Bon Jovi? The Final Countdown? Owner of a Lonely Heart? Uno dei classici dei Metallica? O, per andare sul mainstream, un qualsiasi prezzo di A Kind Of Magic? Qualcosa dei Dire Straits, dove la chitarra non manca? Una hit dei Duran Duran? Non ditemi che le licenze dei Duran Duran costano ancora care…

In compenso, ci sono un pacco di pezzi di gente mai sentita prima, come tali The Go-Go’s che vincono a mani basse, signori, il premio per il pezzo rock più brutto della storia dell’umanità. Dopo averlo suonato, ho dovuto tirar fuori l’amuchina e disinfettare le casse.

Insomma, forse è solo che mi piacerebbe suonare un sacco di musica degli anni ’80, e avrei sperato di trovare qualcosa di meglio; suonandoli un po’, penso che anche molti di questi pezzi mi piaceranno di più, come già successo con gli episodi precedenti. Però più ci penso e più concludo che è ora che si cracchi sto aggeggio e si faccia seriamente una versione open source utilizzabile con i controller invece che con i tasti del PC… andrò a documentarmi su Frets On Fire!

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lunedì 13 Agosto 2007, 10:59

Una serata di rock

Qui è quasi l’una di notte, e sono seduto sul pensatoio della mia camera d’albergo per cercare di mettere giù almeno una pallida traccia di quella che è stata una serata eccezionale, che ricorderò a lungo.

Mi sono messo in strada quasi un’ora in ritardo, che si era accumulata nelle tappe precedenti – il Getty Center sulle colline di Santa Monica, e poi un’altra cosa che avevo nella lista di “da fare almeno una volta nella vita”, cioè guidare dall’inizio alla fine di Mulholland Drive; e poi il check-in in albergo -, e un po’ con l’angoscia di non conoscere la strada, che un percorso di ottanta chilometri visto su un atlante è una cosa, ma nella pratica può rivelarsi un trappolone. Per fortuna, le highway erano scorrevoli, tranne in un paio di punti, e così sono arrivato a Costa Mesa alle sette in punto.

Subita la coda per l’ingresso al parcheggio, e sganciati otto dollari per entrare – che si aggiungono a 60 di biglietto, 6 di prevendita, 4 di commissione, e un’ottantina tra auto e benzina – mi presento al Will Call, dove mi porgono un biglietto intestato a “Victorio Bartola” (per fortuna la carta di credito corrisponde). Mentre mi metto nella coda pedonale per entrare, strabuzzo gli occhi: c’è scritto proprio settore 2, fila D, posto 20. Come vi avevo detto, generalmente nei giorni precedenti Ticketmaster mi aveva prospettato le file dalla Q in su… entro sperando che sia veramente la quarta fila, e lo è, ed è pure al centro perfetto della platea! Davanti a me ci sono solo quattro file, più una decina di file di seggiole nella buca dell’orchestra; in poche parole, non solo sono perfettamente centrale e a non più di quindici metri dal palco, ma i miei occhi sono esattamente all’altezza degli occhi di chi sta sul palco. Stante che il posto è tutto pieno fino alla cinquantesima fila, devo aver avuto una botta di fortuna – tipo un blocco di biglietti rimesso in circolazione all’ultimo momento – che mi ha fatto finire lì.

Il Pacific Amphitheatre si rivela un posto da concerti, assolutamente perfetto. E’ fatto ad anfiteatro, ad arco con il palco al centro e in basso, e con le gradinate che salgono verso l’alto; noi dovremmo saperlo, visto che i teatri greci e romani erano così, e invece dove facciamo gli spettacoli a Torino? Beh, c’è ampia scelta tra gli stadi di calcio (con trenta – cento metri di prato in mezzo), una vasca piatta in un parco (vedi Traffic), un cortile ghiaioso di una ex fabbrica (Colonia Sonora), o, perchè no, un palazzetto rettangolare costruito per ospitare tre partite di hockey. Il problema è che la musica in Italia è un riempitivo; ci sono dei grandi spazi costruiti in modo scriteriato, qualcuno li deve riempire e così ci si ficcano dentro i concerti, senza nessun rispetto per chi li va a vedere.

Qui, invece, la visibilità e l’acustica sono perfette; tutti i posti sono a sedere e preassegnati; la prima fila è attaccata al palco, con le persone che potrebbero toccare i piedi dei musicisti, visto che il palco non è alto tre metri, ma cinquanta centimetri – tanto sono le gradinate a salire. In più, il teatro è all’aperto e scavato nel terreno, riducendo l’impatto visivo e sonoro sulla zona circostante, e migliorando l’acustica.

Ma veniamo al concerto; mentre entro e mi accomodo, sul palco c’è già un signore sulla sessantina, con i capelli bianchi e lunghi, accompagnato da una band di giovanotti. Non so chi sia – il programma prevedeva i Thin Lizzy, ma mi avevano detto che sarebbero stati sostituiti – però il tizio roccheggia e blueseggia che è un piacere, suonando un po’ di tutto, facendo gare vocali con il chitarrista, e cantando con una voce eccezionale. A un certo punto, verso la fine del set, comincia a parlare di una canzone famosa che ha scritto oltre trent’anni fa, e spiega che è stato il primo caso di qualcuno che abbia suonato sul palco con una tastiera a tracolla. Se la infila, attaccano il pezzo, e… oddio, è il riff di Frankenstein!

Per chi non lo conoscesse, Frankenstein è un classico pezzo strumentale degli anni ’70, che non solo fa da colonna sonora allo sballo di Homer in una puntata dei Simpson, ma è uno dei brani più difficili di Guitar Hero I. Me lo ritrovo lì a sorpresa, ma se il pezzo è Frankenstein allora il tizio è Edgar Winter, di cui non avevo mai visto la faccia. L’esecuzione è eccezionale, dilatata a una decina di minuti; lui rifà tutte le parti del pezzo, cioè comincia con la tastiera, poi la posa e prende il sax ed esegue la parte di sax, poi lo posa e passa alle percussioni per fare l’assolo di batteria, poi si rimette la tastiera per il finale: tutto suonato benissimo. Ovazione!

Approfitto della pausa per spararmi un salsiccione in panino con peperoni e cipolle – qui non ci sono i paninari, c’è direttamente un barbecue ben organizzato all’ingresso – e torno giusto in tempo per la seconda band, i Blue Oyster Cult. Sono dei tizi che paiono più giovani, diciamo sui cinquanta, insomma in linea con l’età media della platea. Suonano un po’ come gli Scorpions dei primi dischi, anche se sono ben antecedenti e quindi saranno i tedeschi ad essersi ispirati. La platea conosce un buon numero di pezzi e si scalda parecchio. Io ne conosco solo uno… Godzilla, il secondo pezzo di Guitar Hero della serata. Tecnicamente comunque sono molto bravi, il chitarrista impressiona, il bassista pure… ottimo numero.

Poi, alle nove in punto (non alle undici e un quarto dopo essersi fatti pregare per novanta minuti, come succede in Italia) salgono sul palco i Deep Purple. Li vedo benissimo, posso contare i capelli rimasti e vedere ogni espressione: che godimento! Attaccano con Pictures of Home, un brano del periodo classico ma dei meno noti; segue un brano da Purpendicular, di quelli che servono a far scatenare la chitarra; è l’unico che non conosco. La platea si siede sul brano recente, ma sui classici si scatena; il terzo brano è Into The Fire, sempre dai dischi classici, un’altra chicca da intenditori. Il quarto poi è un superclassico, Strange Kind Of Woman, che addirittura ho suonato nei pub; la si canta tutti in piedi, e io ne conosco ogni singola nota…

Bisogna dire che Gillan è un po’ giù di voce, ma in realtà si sa che l’ha finita nel 1980. Morse, invece, è inarrestabile; non solo fa tutti gli assoli che faceva Blackmore nota per nota, ma ce ne infila anche altre in mezzo tra una e l’altra, così per spregio. E’ un vero mostro, e a tratti diventa quasi il protagonista unico, anche se gli altri seguono bene.

A questo punto fanno Rapture Of The Deep, il brano eponimo dell’ultimo disco, che io trovo bellissimo ma che quasi nessuno conosce, e tutti ascoltano un po’ distrattamente; peccato. Di lì in poi, però, è un delirio. La scaletta prevede Woman From Tokio, e poi una parte solista dove Morse pare voler suonare alla chitarra tutto il Clavicembalo Ben Temperato di Bach, però compresso in quattro minuti: un pezzo sinfonico come si usava negli anni ’70. Finito questo, attaccano Knocking At Your Back Door, e poi uno dei classici brani da concerto, Lazy, con tutti gli assoli e le pause e le note come nei concerti originali di trentacinque anni fa. Poi viene il momento del tastierista Don Airey, che si esibisce in un pezzo di piano classico a cui segue una girandola di suoni elettronici da cui esce fuori Perfect Strangers. E poi, due brani dall’energia devastante come Space Trucker e Highway Star, e lì la folla è veramente fuori di sè, tutti sono in piedi, cantano e urlano, e non ce n’è per nessuno, non ho mai visto un concerto così esaltante.

In effetti, a ben guardare, non si capisce bene quale sia il punto di forza dei Deep Purple, ciò che li rende dopo quarant’anni di carriera ancora il top assoluto dell’hard rock. I testi delle canzoni sono generalmente insignificanti; loro si sono presi e mollati decine di volte, e non sono certo un modello. Dev’essere l’energia che c’è in questi pezzi, la forza trascinante; e il fatto che – a differenza dell’altra volta in cui li avevo visti, nel 1992, in cui suonavano con lo scazzo ed ero rimasto molto deluso – in questi anni sembrano proprio divertirsi, godere di essere ancora su un palco a suonare davanti alla gente, ed esserne grati.

Chiudono il concerto portando sul palco Edgar Winter e chitarrista, e suonando insieme a lui Smoke On The Water; et voilà, terzo pezzo di Guitar Hero in una sera sola. Vanno fuori, tornano dentro e fanno il bis, Hush, con tutta la platea che fa il coro. Ne vorremmo ancora, ma hanno suonato un’ora e mezza e considerando che viaggiano sui sessanta e sono in tour dalla primavera, non si può fare di più. Salutano e scappano stremati, Paice ha allagato il palco dal sudore, Glover è secchissimo, privo di linfa.

Mentre mi sciroppo gli ottanta chilometri del ritorno in autostrada senza pena, accelerando al grido di “I’m an highway star”, penso che valeva assolutamente la pena di vedere questo concerto; tra il luogo esotico, la posizione perfetta, e la grande musica, una cosa così in Italia non la potrò vedere mai (purtroppo). Spero che esca il DVD, così almeno potrò conservare le immagini!

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