Sky
Vittorio vb Bertola
Affacciato sul Web dal 1995

Dom 25 - 14:13
Ciao, essere umano non identificato!
Italiano English Piemonteis
home
home
home
chi sono
chi sono
guida al sito
guida al sito
novità nel sito
novità nel sito
licenza
licenza
contattami
contattami
blog
near a tree [it]
near a tree [it]
vecchi blog
vecchi blog
personale
documenti
documenti
foto
foto
video
video
musica
musica
attività
net governance
net governance
cons. comunale
cons. comunale
software
software
aiuto
howto
howto
guida a internet
guida a internet
usenet e faq
usenet e faq
il resto
il piemontese
il piemontese
conan
conan
mononoke hime
mononoke hime
software antico
software antico
lavoro
consulenze
consulenze
conferenze
conferenze
job placement
job placement
business angel
business angel
siti e software
siti e software
admin
login
login
your vb
your vb
registrazione
registrazione
sabato 21 Aprile 2018, 18:17

L’amaca e l’ostracismo dei buoni

Oggi Michele Serra è ampiamente deriso e insultato in rete per aver scritto un pezzo piuttosto banale che si limita a riproporre un luogo comune del pensiero conservatore universale, cioè che i poveri sono mediamente più ignoranti e più delinquenti dei ricchi (luogo comune che peraltro, se depurato da qualsiasi classificazione morale in termini di buoni e cattivi, riflette una oggettiva statistica sociale che però deriva dalle stesse condizioni ambientali che esamina). Probabilmente Serra se lo merita, anche se mi stupisce lo stupore di chi si stupisce perché un esponente della sinistra novecentesca si ritrova nel 2018 dal lato dei ricchi.

Ma questo nasconde effettivamente un problema più generale, che è ben riassunto da questo pezzo di un giornalista conservatore americano, assunto e subito licenziato da una rivista teoricamente “aperta a opinioni diverse” perché troppo conservatore, aggrappandosi a una battuta sulla pena di morte che era chiaramente una battuta ma che è poi stata ripresa, distorta e ingigantita apposta dai progressisti sui social media e sui giornali amici, senza nemmeno permettergli di spiegare davvero le sue idee.

Il problema più generale è che anche se sono state le politiche economiche di destra, molto più di quelle di sinistra, a garantire il successo globale dell’Occidente (e persino quello dell’Oriente, quando le ha infine abbracciate), l’egemonia culturale è però oggi in mano ai liberal, specie a quelli conditi in salsa di populismo, anticapitalismo e pauperismo; ed è molto difficile esprimere idee diverse sui media popolari e sui social, tanto più se scritte in modi letterari colti che facilmente si prestano al fraintendimento degli ignoranti e alla manipolazione dei furbi, senza essere sommersi di insulti e ostracizzati.

divider
domenica 18 Marzo 2018, 21:11

A qualcuno piace Londra

Ai turisti italiani piace Londra, nonostante non la conoscano, non la capiscano, non sappiano una mazza di niente della sua storia e della sua anima. Vivono in un territorio a scopettone che comprende la ferrovia da Stansted a Liverpool Street, la City e metà di Westminster. E pure di quello non sanno niente; per esempio, parlano del referendum sulla Brexit e si stupiscono del disastro senza sapere che la caduta di Londra era inevitabile sin da quando, un mese prima, la Pietra di Londra è stata tolta dal suo posto millenario in Cannon Street.

Per esempio, dalle finestre del ricevimento nell’albergone della conferenza, si vede la Westway intasata di macchine; un pezzo di Londra che è normale per chi ci abita, ma che nessun turista conosce. La Westway racconta di sogni anni ’60 della città dell’automobile, ma anche dei sogni anni ’90 dei Blur, e dall’anno scorso anche dei sogni di due ragazzi italiani emigrati a Londra come tanti. Quattro anni fa, stesso albergo e altra conferenza, la Westway non faceva tanta tristezza, ma era giugno e fuori la vita non sputava pezzi di ghiaccio in faccia.

Comunque, fatte le chiacchiere con le persone che dovevo trovare, alla fine esco; c’è troppa gente e troppa fame, perchè per qualche motivo sembra che, quando si tratta di buffet, la maggior parte dei nerd sia un pozzo senza fondo. Voglio comprarmi qualcosa per la colazione di domani, e così, nonostante la neve, allungo il giro prendendo la strada di Edgware verso il centro; se fossimo in due sarebbe un tentativo di marbolarci, ma anche se l’arco c’è non ci sei tu, e quindi si limita a essere un tentativo di raggiungere il Tesco Metro che sta a due terzi della strada.

Edgware Road, dal punto di vista architettonico, è una specie di Lorenteggio ai bordi del centro di Londra; specie sul lato di Bayswater, ci sono palazzoni anni ’70 che non sfigurerebbero in una prima cintura milanese. Dal punto di vista sociale, invece, è un territorio ufficialmente bilingue, inglese/ISIS; ma solo per qualche isolato, perché poi il Londonistan cede il passo al centro vero e proprio, in un rettangolo di confini invisibili che lo contengono nella via trafficata. Che poi, almeno stavolta non è così trafficata: quattro anni fa ero dovuto tornare in albergo a piedi, a causa della strada bloccata dai cortei di algerini che festeggiavano la qualificazione al Mondiale.

Peccato solo che il Tesco Metro sia chiuso: uno scandalo, pare che chiudano addirittura mezza giornata la settimana, la domenica dopo le cinque (gli Express, invece, sono in buona parte aperti 24 ore su 24). Sarebbe bello addentrarsi in Hyde Park nella tormenta di neve, ma è buio e potrei anche rimanerci congelato dentro, e così taglio dentro il labirinto georgiano dei palazzi ultrasignorili per tornare al mio albergo, che sta altrettanto signorilmente oltre Paddington. Attraverso uno scenario spettrale fatto di BMW X4 coperte di neve, aggiro la chiesa di Hyde Park Crescent dove bambini benissimo fanno non so cosa; non sono le mie zone, io di solito bazzico East London (anche se pure lì ormai bisogna sparare a vista alla gentrificazione), lì al massimo c’è la chiesa di San Botulfo fuori Aldgate, che tanto è sempre chiusa perchè vanno tutti alla non lontana moschea.

Alla fine, camminando, arrivo da Micky’s: che è il fish & chips del quartiere, naturalmente venti metri dopo aver superato un nuovo confine invisibile che porta verso Praed Street e la confusione umana della stazione di Paddington. Micky’s rocks, anche perché sta fisicamente sopra alla Circle Line, sul trincerone costruito centocinquant’anni fa, e quindi ogni due minuti trema tutto. Micky’s non è fighetto come Poppies, che non a caso sta nella parte gentrificata di East London o in alternativa a Camden (Camden! finti alternativi sin dagli anni ’80). Micky’s è un fish & chips grezzo, vero, operaio, originale e veracemente britannico, a partire dal fatto che è gestito da una famiglia di turchi.

E però entro, e per dieci sterline mi faccio dare un merluzzo fritto benissimo, competitivo con quello di Poppies: la pastella è più unta, ma il pesce è perfetto, ancora morbido dentro. Certo, il posto è scrauso, del resto siamo in Inghilterra e pure la regina ha la moquette nel cesso; son sottigliezze. Poi dietro di me entrano tre francesi che riescono a ordinare “chickén burgère” e Fanta. In un fish & chips. Volevo pisciargli io nel piatto, ma son sicuro che l’abbiano fatto i turchi giù in cucina.

Ma chi se ne importa! Adesso ho in corpo tutto l’olio del mare del Nord, a tenermi caldo nell’ultimo tratto a piedi fino all’albergo. Non so se avrò ancora tempo di fare un giretto, nei prossimi giorni; nel caso, potrei anche non raccontarvelo.

divider
venerdì 16 Marzo 2018, 11:29

Si stava meglio quando si stava peggio

Da oltre dieci anni, in tutto il mondo sviluppato compresa l’Italia, esistono nei grandi depositi di merce sistemi di guida automatica dei magazzinieri basati sulla voce: invece di dare al lavoratore in mano un foglio, con il rischio che si sbagli a leggerlo o che non trovi subito la posizione giusta, un sistema informatico decide cosa deve fare e gli dà istruzioni tramite un auricolare, sistema che permette al magazziniere di avere entrambe le mani libere. Certamente questo riduce i tempi e permette allo stesso magazziniere di spostare qualche collo in più a parità di orario, ma gli semplifica anche la vita; il lavoro è comunque pesante, faticoso e mal pagato, ma non è certo il sistema di pianificazione a renderlo tale.

Dieci anni dopo, al Fatto Quotidiano qualcuno guarda per caso una trasmissione scandalistica della TV francese, scopre questa cosa e compie un atto di coraggiosa denuncia: “GUARDATE IN FRANCIA I TEDESCHI CHE SCHIAVIZZANO I LAVORATORI!!!1!! VERGONIA!!!1!!1!!!!”. E giù dozzine di commenti su questo tema (con condimento luddista, anti-globalizzazione, anti-Europa e anti-Germania), che francamente fanno più che altro concludere che in Italia qualsiasi lavoro che non sia prendere tremila euro al mese per non fare una mazza sia considerato schiavismo.

Intendiamoci, lo sfruttamento esiste, la grande distribuzione è uno dei luoghi dove spesso avviene, i manager stronzi e le richieste di produttività eccessiva sono reali: e la denuncia sarebbe sensata se solo si concentrasse su quello, invece che sulla tecnologia. Invece, spiace vedere come ormai anche il Fatto Quotidiano, come un Fatto Quotidaino qualsiasi, pompi sentimenti anti-progresso e tifi medioevo.

E comunque, il problema si risolverà da solo prima che intervengano i politici: nel giro di pochi anni tutti i magazzinieri saranno sostituiti da robot, così potranno stare a casa e non saranno più sfruttati…

divider
lunedì 5 Marzo 2018, 14:22

Un ripasso costituzionale

Siccome dopo i risultati delle elezioni se ne sentono già di tutti i colori, ecco un veloce ripasso costituzionale per tutti su come nasce un governo in Italia.

1. Le elezioni non sono il campionato di calcio, non c’è uno che arriva primo e quindi automaticamente gli danno la coppa.

2. Ma se anche ci fosse, dato che sin dal 1993 il sistema elettorale italiano è basato sulle coalizioni e non sui singoli partiti, la coppa andrebbe al centrodestra e al suo leader, che da stamattina è Matteo Salvini.

3. Incidentalmente, l’autore del sistema elettorale del 1993 che introdusse in Italia le coalizioni è un tal Sergio Mattarella, dunque credo sia difficile che il suo omonimo che attualmente presiede la Repubblica decida di comportarsi diversamente.

4. Perché possa esistere un governo, è necessario che esso riceva un voto di fiducia dalla maggioranza dei parlamentari in ciascuna delle due camere. Per quanto esistano trucchi che permettono di ottenere la fiducia con meno della metà dei voti favorevoli, essi richiedono comunque un accordo con altri partiti che li mettano in atto (es. non partecipando al voto). Dunque non può esistere alcun governo senza un accordo tra partiti che messi assieme dispongano della maggioranza assoluta dei seggi in Parlamento. Non è possibile prima andare al governo e poi fare accordi “di volta in volta”.

5. Per questo, è prassi che il Presidente riceva tutti i partiti prima di decidere a chi dare l’incarico di provare a formare il governo, e lo dia alla persona che ha le maggiori possibilità di mettere assieme la maggioranza dei voti in Parlamento. Se non ce n’è nessuna, egli può dare un incarico condizionato (o “preincarico”) a un esponente politico a sua totale discrezione, indipendentemente dalla posizione in classifica del relativo partito, o a una personalità fuori dai partiti che possa essere un compromesso accettabile per tutti.

6. Dunque la sequenza logica è: 1) accordo 2) incarico 3) governo, e non 1) incarico 2) governo 3) accordo.

7. A tale scopo, qualsiasi partito che desideri governare dovrebbe premurarsi di arrivare al momento delle consultazioni, tra circa tre settimane, avendo già stretto un accordo con un numero sufficiente di altri partiti per formare una maggioranza in Parlamento. Meglio ancora se, per trasparenza, venissero rese note sin da subito le alleanze che si proveranno a formare.

8. Le forze politiche che hanno passato anni a salire sui tetti in difesa della Costituzione più bella del mondo dovrebbero essere le prime a spiegare queste cose ai propri elettori e a darsi da fare per accordarsi con altri partiti e costruire una maggioranza, invece di vaneggiare di “incarico dovuto” e “convergenza sulle idee” e “cercare i voti ogni volta in Parlamento”.

divider
giovedì 1 Marzo 2018, 13:11

Cosa voterò alle elezioni

Non penso davvero che sia qualcosa che meriti una discussione pubblica, ma visto che da settimane me lo chiedono tutti e me l’ha chiesto persino un giornale locale, non ho problemi a dire chiaramente, alla fine, chi ho deciso di votare.

Naturalmente, visto lo scenario, è un voto al meno peggio. Sono andato per esclusione: l’astensione la capisco ma alla fine mi ripugna, non è nelle mie corde, è come gettare la spugna. Ho considerato seriamente anche il M5S: come ho scritto nell’analisi semiseria di un paio di settimane fa, ha tuttora diversi aspetti positivi; alla fine, secondo me, prenderà più del 30% e sarà il vincitore morale, anche se nessuno sa se riuscirà poi a costruire una maggioranza e andare a governare. Penso che si preparino invece a usare i voti ricevuti per andarsene tranquilli all’opposizione, naturalmente dopo una lunga sceneggiata napoletana – già anticipata in questi giorni – sulla democrazia violata e l’ingiustizia della repubblica parlamentare e del suo Presidente che non fa governare chi “vince” le elezioni, il che è un discorso profondamente eversivo, distruttivo verso la Costituzione che a parole dicono di tutelare, ed è già di per sé una ragione per non votarli.

In più, ovviamente nei ragionamenti entrano anche i candidati del collegio; fossi stato nel collegio di Alberto Sasso – uno che è vicino al Movimento fin dai tempi eroici, e che nel 2010 rifiutò persino la candidatura a presidente del Piemonte, lasciando la via libera a Bono – alla fine sarei stato molto tentato di votarlo. Ma a me hanno rifilato il professore universitario esperto di finanza islamica: anche no, grazie. Peggio ancora al Senato, dove c’è Elisa Pirro, un quadro di partito e una delle persone più arriviste e arroganti che abbia incontrato nel M5S (opinione personale, s’intende).

Del resto, tutti questi bei candidati dell’uninominale, dati alla mano, non hanno praticamente alcuna speranza di vincere il collegio, per cui i voti a loro sono in realtà voti per Laura Castelli e la stessa Pirro, e per tutti i fedelissimi piazzati nelle liste del proporzionale dopo aver superato il vaglio pro-indagati e anti-dissenso di Di Maio. L’unico candidato uninominale che può vincere è il nuotatore novarese a Torino nord, anche se io, se fossi l’abitante di una periferia disagiata, mi chiederei che razza di considerazione hanno di me per paracadutarmi uno sportivo da fuori, giusto per dargli il collegio sicuro.

Di base, per cultura, io sono un elettore irrequieto del centrosinistra; a seconda delle volte ho sempre votato qualcosa tra DS/PD, Verdi, le varie incarnazioni della sinistra e le varie incarnazioni dei Radicali. Certo, crescendo si diventa conservatori e non escludo più a priori il centrodestra (tra l’altro, ho conosciuto Marco Francia, il loro candidato a Torino centro, e mi ha fatto una buona impressione), ma alla fine chi voti: Berlusconi? i razzisti? i fascisti? Non è fattibile; quando ci sarà un serio partito laico e liberale in Italia, potrei votarlo senza problemi; per ora però niente.

Ora, volendo votare il centrosinistra ma non volendo assolutamente avere nulla a che fare con Matteo Renzi (anzi: sperando con forza che il PD vada ben sotto il 20% e lui sparisca per sempre), l’unica scelta possibile è +Europa: non ce ne sono altre. E a me sta più che bene; del resto, l’ultima cosa che ho votato (nel 2008) prima di entrare nel Movimento fu il PD proprio perché aveva Emma Bonino come capolista. Come ho scritto nell’analisi, non sono completamente d’accordo con tutto quel che dice; va bene l’austerità, ma senza esagerare; e vorrei molto meno entusiasmo per le frontiere aperte. Tuttavia, sono più preoccupato dalle sparate populiste, dallo scarso rispetto per le istituzioni e dalle promesse di spesa a debito che caratterizzano tutti gli altri.

Alla fine, in questo momento storico, l’Italia è davanti alla scelta se guardare alla Germania o al Venezuela; e io scelgo la Germania. So che è una scelta controcorrente, che molte persone (molti amici di sinistra, molti ex sostenitori del M5S) mi guarderanno come un traditore amico dei banchieri e del Blidrebregg; ma è meglio essere ultimi in Europa che primi nel Terzo Mondo.

C’è, comunque, ancora un però. Votare +Europa vuol dire votare all’uninominale i candidati del centrosinistra; e se alla Camera non ho alcun problema a votare Paola Bragantini – persona che conosce bene il territorio e con cui, quando ho avuto occasione, ci sono sempre state chiacchierate tranquille e piacevoli – al Senato dovrei votare Stefano Esposito. A Esposito posso riconoscere una qualità, quella di non aver paura di dire le cose come stanno; per il resto, però, ci sono troppe cose che ci dividono, dal Tav alla buona educazione.

Pensavo di risolvere il problema votando invece la persona: Enzo Pellegrin, un santo avvocato che, pur non essendo del Movimento, negli anni in cui ero consigliere si è fatto carico dei problemi legali di tanta povera gente che gli abbiamo presentato; ed è sicuramente, come spirito, molto più movimentista lui della Pirro. Peccato che la sua lista – il Partito Comunista di Rizzo – sia stata esclusa all’ultimo dai collegi piemontesi. E quindi, penso che annullerò la scheda.

Nel complesso, penso che queste elezioni sconvolgeranno lo scenario politico più di quanto non si creda; i sondaggi saranno in buona parte smentiti, come già successe nel 2014, ma stavolta in senso opposto. Se ci sarà un governo M5S, spero che ne emerga la parte costruttiva e riformista e non quella complottista, venezuelana o peggio che vuol semplicemente sistemarsi e poi fare le stesse cose degli altri (vedi Torino). Se ci sarà una grande coalizione, penso che il M5S vincerà alle elezioni successive, a meno che qualcuno non riesca davvero a costruire nel frattempo qualcosa di nuovo, serio e in linea col mondo sviluppato – e in quest’ottica, +Europa è l’unico potenziale seme. In ogni caso, speriamo che l’Italia se la cavi.

divider
giovedì 22 Febbraio 2018, 06:24

La regola del buffè

C’è una regola che dice che più fa schifo il cibo del buffè e più ne mangerai, preso da un istinto accaparratorio atavico acceso dalla scarsità. In questo caso, la serata sociale della conferenza ha lasciato a desiderare: non solo la sala era palesemente troppo piccola per tutti, non solo le due code erano troppo poche, ma delle sei opzioni in serie quattro erano impresentabili: un teorico panino di porco che dentro aveva solo insalata, un asparago bollito che mio dio non sono mica malato, riso bianco scondito che va giusto bene come padding per allineare gli spazi, e una roba di tofu e peperoni, mio Dio! tofu e peperoni, che solo in California possono essere così fighetti da mangiare sta roba, mentre nel resto degli Stati Uniti, e un po’ ovunque nel mondo civile, il tofu è cibo solo per mucche, comunisti e mucche comuniste (ma è un’ottima materia prima per la produzione degli pneumatici). Restavano i ravioli cinesi e il pollo, che infatti non facevano in tempo ad atterrare che venivano saccheggiati dalla folla. E non parliamo del bar! per avere una birra ho dovuto sgomitare che neanche un fantino al palio di Siena.

E comunque, l’albergo storico a cinque stelle proprio sulla cima di Snob Hill – è il posto dove hanno firmato lo statuto delle Nazioni Unite, per dire quanto è snob – offre solo la sala a tema isola polinesiana in cui ci troviamo. Per gli americani è una figata, ma boh: è talmente pigiata di gente che non si riesce a parlare, ti mettono al collo una ghirlanda di finti petali da cinque lire, e al centro c’è una piscina con una zattera su cui suona una band di cinesi – e penso che il batterista cinese che canta successi anni ’80, tipo Tutto Nylon di Laionel Ricci, o 666 di Mac & Jack, si stia comunque divertendo di più.

Ma non è un problema, che fuori c’è la città: l’unica vera città della California (San Francisco è una città, Los Angeles è una distesa di case). Ogni angolo è un panorama, ogni momento è un respiro di vento, ogni casa è una storia epica di frontiera e conquista e disastro e ricostruzione, e oggi anche di cinesi con QI > 150 che lavorano per Google. Basta mettere fuori il naso ed è subito meraviglia, specie su California Street, col tram a cavo che passa e anche quando non passa fa un casino tale che tiene sveglio il vicinato, ma è comunque un pezzo di Ottocento pionieristico proiettato verso il mare del Duemila.

Chissà se san Ginepro Serra, fondando la missione di San Francesco d’Assisi, avrebbe mai pensato che sarebbe finita così.

divider
giovedì 8 Febbraio 2018, 13:26

Guida rapida per scegliere chi votare

Anch’io, come tutti, sono tormentato dal dubbio su cosa votare il 4 marzo: quindi, per riordinare le idee, ho preparato un elenco poco serio (come tutta la situazione) dei pro e dei contro di ciascun partito. Condividendolo, possiamo aiutare l’Italia a scegliere bene!

(p.s. Se siete esponenti o sostenitori di uno di questi partiti non prendetevela, è satira)

SINISTRA

POTERE AL POPOLO

Pro:
Spaventare i borghesi

Contro:
I borghesi sono già tutti dentro Potere al Popolo
Da giovani abbiamo preso tutti il comunismo, poi però siamo guariti
E poi se proprio volessi votare comunista questo non è abbastanza comunismo, c’è mica ancora da qualche parte il PCL? ho guardato nell’armadio ma non l’ho trovato

LIBERI E UNITI

Pro:
C’è bisogno di attenzione al bene comune, all’ambiente, ai diritti e a tutte quelle cose che una volta erano di sinistra

Contro:
Si chiamano come uno shampoo
Lo shampoo è troppo grasso
Hanno già dato il via alle scissioni prima ancora di presentare le liste
Visto quanto litigano, non si riesce nemmeno più a dire il nome senza mettersi a ridere
E’ la solita ammucchiata elettorale di sinistra che serve solo a garantire un altro giro ai suoi capi
Tasse al 99% e debiti a manetta
Immigrati… immigrati ovunque… vengono fuori dalle fottute pareti!

CENTROSINISTRA

PD

Pro:
E’ come scegliere una macchina Fiat, un po’ funziona e un po’ no ma ce l’aveva tuo padre, ce l’aveva tuo nonno e più o meno va avanti
Gentiloni è il tipo di premier che vorrei

Contro:
Renzi deve morire
Renzi non è il tipo di premier che vorrei
Non si capisce cosa aspettino a far fuori Renzi e i renziani
E comunque hanno ancora troppi impresentabili

+EUROPA

Pro:
Sono l’unica vaga novità politica di queste elezioni
La Bonino è una delle poche persone di caratura internazionale che abbiamo
Sono gli unici laici e libertari in un mare di baciapile
Un po’ di liberismo ci farebbe bene
Fuori dall’Europa c’è solo il terzo mondo

Contro:
Ok, ho capito che siete liberisti, ma non è il caso di esagerare
Due cosette da cambiare nell’Unione Europea ci sarebbero
Magari poi l’austerità non mi piace

INSIEME

Pro:
In teoria dovrebbero esserci dentro dei verdi, ma l’etichetta non è chiara

Contro:
Si chiamano come una canzone di Toto Cutugno
Sono una triste ammucchiata elettorale di frattaglie
Ma chi cazzo siete?

PARTITO FIORE PETALOSO

Pro:
Hanno il simbolo più brutto della storia, meritano un premio per il coraggio

Contro:
Ma chi cazzo siete?

SÃœDTIROLER VOLKSPARTEI

Pro:
In Alto Adige non c’è neanche una cartaccia per terra
Ottimo speck
Parlano tedesco, graditi alla Merkel

Contro:
Non si presentano nel mio collegio e in generale in nessun collegio in cui il tedesco non sia la lingua ufficiale, per cui per poterli votare bisognerà aspettare ancora una decina d’anni

DESTRACENTROSINISTRA

MOVIMENTO 5 STELLE

Pro:
Hanno anche dei candidati validi
C’è ancora gente che ci crede davvero
Non sono ancora abituati a rubare

Contro:
Hanno una tonnellata di candidati impresentabili, inclusi sciachimichisti, antivaccinisti e tantissimi arrivisti
Sono pronti ad allinearsi a qualsiasi potere forte pur di stare al potere debole
Al grillino medio bastano dieci minuti di bella vita e si attacca alla poltrona peggio di quelli prima
Di Maio presidente del consiglio saresse la barzelletta d’Europa
Se Appendino da laureata alla Bocconi in una città ben organizzata ha fatto disastri, che cosa potrebbe combinare uno steward dello stadio che non sa l’italiano, messo a governare il Paese?
Non solo fanno disastri, ma se ti lamenti ti fanno pure la morale
Tasse al 99% ma anche allo 0%, immigrati tanti ma anche pochi, insomma diciamo quello che vuoi basta che ci voti, tanto poi faremo quel che ci pare
Mai pensare di andare con gli ignoranti potendoli gestire, loro si organizzano e ti battono a colpi di pietre in testa

CENTRODESTRA

FORZA ITALIA

Pro:
Altri cinque anni di grande satira
E’ un pupazzo di gomma, quindi non può morire
Se ci va di culo ci toglie qualche tassa

Contro:
Vedi “Berlusconi” su Google
Dopo aver fatto le manifestazioni ad Arcore dieci anni fa, sarebbe duro ammettere che quel che è venuto dopo Silvio è stato peggio

LEGA BOH

Pro:
Basta immigrati
Basta immigrati
Basta immigrati
Basta immigrati
Basta immigrati
Magari con la Lega al 20% qualcuno lo capisce prima che sia tardi

Contro:
Come personale politico fanno spesso ridere
Epurano i dissidenti peggio che Di Maio
Dopo le elezioni Maroni si stacca e va con Berlusconi

FRATELLI D’ITALIA

Pro:
Sanno l’inno nazionale
Sanno usare Photoshop

Contro:
Sono fascisti ripuliti
Non si capisce a cosa servano

NOI PER L’ITALIA

Pro:
Rivedere ancora le giacche di Formigoni

Contro:
Sono democristiani ripuliti
Talmente riciclati che puzzano di discarica
La discarica è stata costruita su un terreno dell’Opus Dei che il Comune ha comprato a prezzo fuori mercato
Ma chi cazzo siete?

DESTRA

CASAPOUND

Pro:
Vedere la faccia degli intellettuali di sinistra con Casapound al 3%

Contro:
Sono fascisti

FORZA NUOVA

Pro:
Ci ho pensato mezz’ora e non me ne è venuto nessuno

Contro:
Sono fascisti
Menano
Aiuto

divider
sabato 13 Gennaio 2018, 12:47

Il grande successo, il grande tradimento

Come potete immaginare, conosco Deborah Montalbano da molti anni, da quando, qualche tempo dopo l’inizio della nostra avventura in Comune, si avvicinò al gruppo M5S Torino Circoscrizione 5, all’epoca l’anima dura e pura del movimento di periferia. Si è fatta strada nel gruppo semplicemente dandosi da fare per il suo quartiere, le Vallette, e per le persone che lo abitavano; in mezzo a tanti aspiranti ospiti di Santoro (pardon, Paragone), che volevano soprattutto conquistarsi un riconoscimento sociale e magari economico, lei si è sempre occupata davvero di chi aveva bisogno.

Il rapporto tra noi non è mai stato facile; eravamo troppo diversi, lontani anni luce per estrazione sociale, per cultura, per visione del mondo. A lei, come a tanti altri attivisti, io sembravo (e venivo fatto sembrare alle mie spalle) troppo pacato, probabilmente un venduto, visto che non urlavo mai in aula contro “i piddini” come invece faceva Chiara. Ero anche, nell’ultimo periodo, stanco, mobbizzato e francamente stufo, usato da Chiara e dallo staff del Movimento come discarica delle questioni che portavano tante rogne e nessuna visibilità; tra esse, il supporto alle persone senza casa o senza lavoro che Deborah invariabilmente ci segnalava era probabilmente la prima. Io ci ho messo comunque tutte le energie che ancora avevo, ma a lei, immagino, sarà sembrato che delle Vallette mi importasse poco, anche per il distinguo, che io cercavo sempre di tenere a mente ma che pochi altri capivano, tra aiutare un cittadino a far valere i propri diritti e aiutare un conoscente ad avere qualcosa grazie alla politica.

Dopo le elezioni, in cui Deborah dalle Vallette ha portato e ricevuto un sacco di voti, l’ho vista apparire come presidente della commissione sanità e servizi sociali. Poteva sembrare logico, perché era il tema per cui ha sempre combattuto; eppure, sin dal principio ho pensato che la cosa non avrebbe funzionato, anzi, che sarebbe finita in uno scandalo.

Infatti, nominare Montalbano presidente della commissione sanità e servizi sociali è stato come nominare primario di chirurgia del maggiore ospedale cittadino uno che ha subito tredici operazioni a cuore aperto: un errore di logica sin dal principio. Eppure, questa era l’idea del Movimento nella sua antica fase nobile: portare la gente nelle istituzioni, perché a differenza dei “politicanti”, la gente ha esperienza diretta dei problemi che vive. Detta in questo secondo modo, non sembra ragionevole?

Un fondo di ragione c’è: perché “la gente” sono anche i comitati, le associazioni, i gruppi che approfondiscono le questioni spesso molto più di quei politici e funzionari che cercano solo di raggiungere un risultato col minimo sforzo e non pestare i piedi a nessuno; sono molti di quella metà abbondante di italiani che non va più a votare, spesso per qualunquismo, ma spesso invece perché il livello della politica (tutta) è troppo basso rispetto ai loro valori e alle loro capacità. L’obiettivo di “far entrare i cittadini nelle istituzioni”, dunque, era sensato; purché fosse accompagnato da una selezione fatta nel modo giusto, per capacità e per merito.

E’ solo più tardi, durante la metamorfosi movimentista dell’assalto al Parlamento, che questo obiettivo è stato reinterpretato nel modo che portava più consenso, quello della cuoca di Lenin; quello per cui chiunque può amministrare un Paese, e a maggior ragione tu, sì tu che sei un precario o un disoccupato e che, detto col massimo rispetto, non sai fare granché, non hai avuto l’educazione e le opportunità e non capisci i problemi complessi della nostra società, ma come una Eliza Doolittle o un Billy Ray Valentine della politica puoi venire rapidamente trasformato in uno statista di primo piano dall’alto, per volere di qualcuno nell’élite.

Paradossalmente, riuscire a mettere una come Montalbano in quella posizione è stato un grande successo del M5S; la dimostrazione che pigmalionare la politica è tecnicamente possibile. E però, è anche la dimostrazione che fatta così, con un giacobinismo dei poveri invece che con un percorso strutturato di crescita e di trasformazione personale, alla fine non può funzionare.

E non funziona anche per un motivo molto più serio di questi che sono usciti sui giornali, dell’auto blu presa una volta per emergenza o dei duecento euro di taxi; perché il cittadino che ha subito tredici operazioni a cuore aperto, costruendosi per forza di cose nel frattempo una rete di amici che ne hanno subite cinque o sette o trenta, messo a governare la sala operatoria finisce per dimenticare le questioni di sistema e ragionare soprattutto sulle operazioni proprie e dei propri amici, senza una visione terza; inevitabilmente, confonderà il portare una voce con il doverla ascoltare e mediare con tutte le altre e con l’interesse collettivo. Avere una presidente di commissione servizi sociali utente degli stessi, che vive in una casa popolare di cui fa fatica a pagare l’affitto, che ha amici e conoscenti continuamente in attesa di una casa o di un sostegno, costituisce un conflitto di interessi mostruoso messo in mano a una persona che difficilmente, e non per colpa sua, avrà i mezzi culturali per gestirlo.

Dunque, era chiaro sin dal principio che Deborah non doveva essere lì e che messa lì avrebbe combinato disastri. Eppure, trovo troppo facile quello che ora Chiara Appendino e il M5S torinese (per non parlare di Di Maio, al quale interessa solo l’immagine pubblica) stanno facendo nei suoi confronti.

Deborah, la sua attività, il suo quartiere, sono stati il cuore della campagna elettorale di Chiara Appendino; lo strumento scelto astutamente per spezzare nell’immagine la distanza siderale che oggettivamente esiste tra Chiara, ragazza bene della Torino benissimo, e la cosiddetta “gente comune”. Le cose che ha fatto Deborah sono probabilmente indifendibili sul piano legale e certamente lo sono su quello politico e su quello sostanziale, le sue dimissioni sono inevitabili, ma io non riesco a prendermela più di tanto con lei, che è solo un pesce piccolissimo e inconsapevole in un gioco molto più grande.

Me la prenderei di più, invece, con chi ha usato la gente come lei per ottenere il supporto delle periferie, promettendo di cambiare tutto, e poi non solo non ha mantenuto la promessa, ma, dopo un po’, scopre che quelli delle periferie sono gente problematica, impresentabile ai salotti buoni, e tutto sommato non servono più (mentre, per dire, quel Ceresa prima dirigente di Fassino e ora di Appendino, che si interessava alle multe degli amici, e soprattutto che ha guidato GTT nel percorso verso l’attuale quasi bancarotta, è ancora lì).

E allora, la vicenda della popolana esibita, lasciata a se stessa e poi scaricata rappresenta il vero, grande tradimento di questa storia: quello che il Movimento 5 Stelle, ormai arrivato al potere, ha compiuto nei confronti della gente semplice che ci ha creduto e che ce lo ha portato, e delle sue richieste di un cambiamento che al massimo riguarderà gli eleganti problemi di noi ciclisti borghesi (e per ora nemmeno quelli), ma che non scalfirà minimamente le gerarchie sociali della città di Torino.

divider
mercoledì 10 Gennaio 2018, 15:20

Le coperture fuffa di Pietro Grasso

Se avete seguito la mia bacheca Facebook, sapete che l’idea di abolire le tasse universitarie per tutti, proposta da Liberi & Uguali (che non è uno shampoo, ma è l’ex MDP/SEL/Possibile/Tsipras/Rivoluzionecivile/Rifondazione/robe così), mi sembra una stupidaggine. Non solo va a facilitare i più ricchi, invece di alzare a loro le tasse per finanziare gli altri; ma, sapendo come vanno le cose in Italia, finirebbe così: lo Stato vieta alle Università di incassare le tasse, ma poi non è in grado di rifinanziarle adeguatamente, lasciando gli Atenei con le casse vuote e molti più studenti da gestire, quindi peggiorando la qualità della didattica, dei servizi e del diritto allo studio a danno innanzi tutto dei meno abbienti, che ne hanno più bisogno.

In una discussione, ho incontrato un esponente di quel partito che ha invece rivendicato come i soldi ci siano, e lo stesso Grasso in un tweet lo abbia indicato: questa, e le altre misure di equità a spese pubbliche che questo nuovo partito vuole introdurre, sarebbero finanziate recuperando 16 miliardi all’anno di “mancati introiti, sgravi fiscali e sussidi indiretti a attività dannose per l’ambiente”, più tardi riassunti come “incentivi ai combustibili fossili”.

Io mi sono incuriosito, e mi sono messo a cercare di capire cosa siano concretamente questi “incentivi ai combustibili fossili” che L&U vuole tagliare; ho fatto una ricerca e ho trovato solo un comunicato di Legambiente di due anni fa, che passa due pagine a scagliarsi contro questi incentivi per poi dire che però è difficile sapere esattamente quali e quanti siano, anche se, naturalmente, è un complotto dei petrolieri: “Per Legambiente, siamo di fronte a un gravissimo caso di censura ed è chiara la volontà di fare in modo che di questo tema non si parli affinché nulla cambi” (giuro, non è un parlamentare grillino a parlare, è proprio Legambiente).

Alla fine, nella parte finale dell’articolo, si arriva a un elenco discorsivo che comprende le seguenti voci:
1) 4,6 miliardi di euro annui di “sconti sulle accise sui carburanti”, di cui 1,8 sono agevolazioni agli autotrasportatori e gli altri boh, non si sa cosa siano ma sicuramente ci sono;
2) 0,8 miliardi annui (4,8 miliardi in sei anni) di incentivi CIP6, che sono per le fonti “rinnovabili o assimilate”, e sicuramente in quell’assimilate si sono infilati tutti, a partire dagli inceneritori e probabilmente anche impianti a combustibile, ma quanto di quella cifra vada veramente a impianti a gasolio o gas non è dato sapere;
3) 0,03 miliardi annui di sussidi alle centrali a gasolio nelle isole minori;
4) una cifra imprecisata di “sussidi indiretti alle fonti fossili sotto la forma di sconti ai grandi consumatori di energia”, cioè gli sconti a volume che le grandi aziende negoziano sulla bolletta elettrica in regime di mercato, che secondo Legambiente sono un sussidio al petrolio;
5) 0,6 miliardi annui per il costo del servizio di interrompibilità istantanea, che è quello che permette di staccare alcuni carichi industriali quando la rete è a pieno carico evitando un blackout generalizzato;
6) 1,5 miliardi annui da sconti alle trivellazioni, cioè secondo Legambiente chi trivella in Italia paga troppo poco, quindi basta aumentargli le royalties dal 7% al 50% per incassare 1,5 miliardi in più;
7) 2,2 miliardi annui (6,5 miliardi in tre anni) di esenzioni/riduzioni sulle accise sui carburanti non meglio precisate (ma non erano già il punto 1?);
8) 2,2 miliardi annui di “finanziamenti internazionali”, che sarebbero i contributi italiani ai progetti di sviluppo delle estrazioni petrolifere in Africa e nel Terzo Mondo;
9) 4,15 miliardi annui (8,3 miliardi in due anni) di finanziamento di nuove strade e autostrade.

Sorvolo sul fatto che quasi tutte queste cifre sono di diversi anni prima, vengono da fonti terze e incoerenti tra loro, sono correlate da “si dice” e “pare che” e che in fondo all’articolo c’è una tabellina riassuntiva in cui molte delle stesse cifre, incluso il totale, sono diverse da quelle citate nel corpo dell’articolo: prendiamo per buoni i 16 miliardi annui della lista discorsiva (è la stessa cifra che fa Grasso, dunque penso che la sua fonte sia questa).

Ora, vediamo cosa succederebbe abolendo le varie voci di spesa:
1) Migliaia di posti di lavoro persi nell’autotrasporto e corrispondente rincaro diretto di tutte le merci nei supermercati, che in Italia viaggiano quasi sempre su gomma;
2) Aumento della bolletta energetica (se si eliminano i sussidi impropri per incamerarli, ammesso che ci siano), oppure nessun risparmio (se, come sarebbe logico, gli incentivi risparmiati su impianti fossili venissero reinvestiti davvero nelle rinnovabili);
3) Aumento della bolletta energetica per gli abitanti delle isole minori;
4) Questo è ridicolo: non si capisce come farebbe lo Stato a vietare gli sconti sul libero mercato energetico e soprattutto a farsi dare poi dalle grandi aziende la cifra equivalente allo sconto che avrebbero avuto;
5) Rischio di blackout generale stile 2003;
6) Qui sarei anche d’accordo, ma non è che se io aumento le tasse ai privati dal 7% al 50% il gettito aumenta in proporzione; è probabile che molte attività estrattive non sarebbero più convenienti e si fermerebbero, quindi bene per l’ambiente ma nessun incasso per lo Stato;
7) Boh? non si sa che cavolo siano e se esistano veramente;
8) Perdita di ricchezza e posti di lavoro nel Terzo Mondo (alla faccia di “aiutiamoli a casa loro”, L&U vuol tagliare la cooperazione) e perdita di commesse e lavoro per le aziende italiane che partecipano a questi progetti;
9) Tutti chiusi in casa o bloccati nel traffico; magari sarebbe giusto investire di meno in autostrade, ma in tal caso bisogna investire in mezzi di trasporto alternativi, dunque quei soldi non sarebbero disponibili (senza parlare del fatto che questi sono progetti di lungo periodo già in corso, quindi non li si può cancellare dall’oggi al domani).

Insomma: forse forse da questi 16 miliardi si può ricavare qualcosa, ma non ho trovato una sola voce che mi convinca davvero (forse la sesta, ma certamente per un importo molto inferiore agli 1,5 miliardi dichiarati). Certamente non sono coperture credibili; sono fuffa esattamente come quella sparata da tutti gli altri partiti, che in questo periodo hanno bisogno di spararle grosse per farsi notare. E dunque, permettetemi di concludere ancora una volta che la proposta di Grasso mi pare non solo sbagliata, ma pericolosa per la stabilità dell’Università italiana.

divider
domenica 24 Dicembre 2017, 13:10

Una favola politica natalizia

È un po’ che non scrivo sul blog, ma oggi è la vigilia di Natale e una mail che ho ricevuto mi ha fatto venir voglia di raccontarvi una favola. In realtà, la favola è veramente accaduta, ma dato che non mi interessa dire che Tizio è buono e Caio è cattivo, ma piuttosto trasmettervi come in ogni buona favola natalizia una morale, anonimizzerò tutto il racconto, anche se chi è pratico dell’ambiente politico cittadino riconoscerà almeno alcuni dei personaggi.

Questa favola inizia a Natale 2009, quando un giovane movimento rivoluzionario, nato sotto cinque stelle comete, si stava preparando al suo primo grande appuntamento elettorale: le elezioni regionali del marzo 2010. Tra gli esponenti più attivi a Torino, c’era un giovane trentenne esperto di marketing e comunicazione, di cui traspariva subito l’intelligenza, ma anche l’ambizione.

Personalmente penso che l’ambizione non sia in sé malvagia; e quasi tutti coloro che entrano in politica hanno ambizioni personali, un bisogno di approvazione da soddisfare, una tradizione familiare da proseguire, l’aspirazione a una fonte di reddito in più; l’importante però è che l’ambizione non vada a danneggiare la missione collettiva. In questo caso, purtroppo, l’ambizione era forte, e si tradusse in una serie di comportamenti sgradevoli; ricordo un comizio a Bussoleno in cui il giovane trentenne si offrì volontario per distribuire i volantini del Movimento alla folla, e poi scoprimmo che li dava insieme al suo santino personale. Nonostante questo, alla fine ci fu un solo eletto, e lui arrivò soltanto a metà classifica.

L’anno successivo, ci furono le elezioni comunali; e molti non si fidavano ad avere tra i candidati quella persona. Alla fine, però, il candidato sindaco era notoriamente un buono, e si decise di perdonarlo; tuttavia, fu scritto un bel regolamento che indicava a tutti i candidati cosa potessero o non potessero fare. La fiducia si rivelò infine mal riposta; la persona in questione, insieme al suo compare attivista capellone (lui mi scuserà, non lo dico in senso negativo; è che, come nei manga, per distinguere i personaggi serve un tratto visuale forte), avviò un proprio gruppo di attivisti separato, chiamandolo in modo che lo si confondesse con quello ufficiale; cominciò a fare spamming a migliaia di potenziali elettori, inviando fotomontaggi di se stesso a fianco di Grillo da cui poteva sembrare che Grillo lo consigliasse; insomma, ne fece un po’ di tutti i colori.

Oddio, visti oggi, quei comportamenti fanno sorridere; oggi, praticamente qualsiasi parlamentare ed esponente di rilievo del M5S ha una pagina personale sponsorizzata a pagamento su Facebook e uno staff proprio, e pensa soprattutto alla promozione personale. Allora, però, eravamo giovani e puri e così l’ultimo giorno di campagna elettorale, prima ancora di vedere i risultati, quella persona fu cacciata dal movimento cittadino; e non andando di nuovo oltre il quarto-quinto posto, non essendo stata eletta, così terminò l’avventura politica sua e del suo amico capellone.

Questo, almeno, era ciò che credevamo. Un anno e mezzo dopo, infatti, ci furono le parlamentarie. A Torino e provincia, nelle liste bloccate decise dal voto online, il M5S elesse sei parlamentari; e se tre di loro erano quelli che “dovevano” uscire negli auspici dei vertici, cioè staffisti del consigliere regionale da mandare in Parlamento, e altri due erano attivisti ben conosciuti e stimati, la sesta fu una sorpresa per tutti: una persona che di lavoro faceva la portinaia in un elegante stabile del centro, quello in cui abita tuttora una attivista storica e ora presidenta di commissione comunale; una persona che era sì attivista ma che non avevamo mai visto fare alcuna proposta concreta, e che nessuno pensava capace per il ruolo.

Le cose diventarono più chiare quando, subito dopo le elezioni, la neo parlamentare assunse come portaborse romano proprio lui, l’ex attivista marchettaro cacciato; si capì che era stato lui a organizzarle la campagna elettorale personale, e che ciò che non era riuscito a fare per sé l’aveva fatto per lei. Ci fu una sommossa degli attivisti, guidata da una giovane futura sindaca che in una infuocata assemblea intimò alla parlamentare il licenziamento immediato del portaborse sgradito, pena la cacciata. L’intero movimento cittadino chiese al gruppo parlamentare di cacciare la deputata; il gruppo parlamentare romano, a dire il vero, aveva già problemi suoi e se ne fregò abbastanza, ma alla fine, com’è come non è, la parlamentare finì nel primo gruppo di dissidenti, Alternativa Libera.

Anche qui, col senno di poi, la situazione era meno netta di quel che ci sembrò all’epoca; forse non ci sarebbe stato tutto questo zelo moralista se la parlamentare non fosse stata estranea al gruppo di potere dominante, e comunque i voti che prese non furono “manipolati” ma dovuti all’abile presentazione. Del resto, scoprii poi che uno degli elettori della parlamentare in questione fu addirittura lui, Gianroberto, che essendo residente a Settimo Vittone votò alle parlamentarie torinesi; mi disse che aveva votato “un no tav, una astrofisica e una operaia”, scelti tra quelli col cognome che iniziava per A o B perché non aveva avuto tempo di scorrere la pagina più sotto. Probabilmente, le bastò dunque fare un bel video e autodefinirsi “operaia” nella colonna “professione” per raccogliere abbastanza voti da entrare in Parlamento.

Tutto chiaro? Ecco, qui comincia la morale di questa storia; perché fino a questo punto i ruoli sembrano chiari, i buoni da una parte e i cattivi dall’altra. Se non che, un anno dopo, subentra in consiglio comunale un nuovo consigliere, già eletto in precedenti legislature; un ex del centrodestra transitato al centrosinistra e ora in maggioranza. Detto così, ne penserete subito malissimo; ma io faccio amicizia con tutti, e ci chiacchiero un po’.

Una volta in commissione si parla degli homeless, e discretamente viene fuori che il consigliere partecipa ad attività di volontariato sul territorio che se ne occupano. Ora, se vi dicessi i partiti per cui è transitata questa persona, sono gli ultimi a cui pensereste freghi qualcosa dei barboni o degli ultimi in generale; e invece… Ma non finisce qui: lui mi dice, io mi occupo in privato dei senza casa da tanti anni e non ho mai praticamente visto un grillino; ce ne sono solo un paio, ma li avete cacciati. Chi sono, chiedo io? Ovviamente erano l’attivista capellone e il giro del portaborse.

E qual è la morale di questa storia? Beh, è che alla fine, specialmente in politica, quelli che più parlano di aiutare gli ultimi sono spesso quelli che meno fanno in concreto, e viceversa; che però anche chi fa beneficenza in privato può comportarsi male in pubblico, provando ancora una volta che i buoni e i cattivi in senso assoluto non esistono; che comunque contano molto di più le persone del partito a cui appartengono, e giudicare le persone in base al partito di appartenenza è sbagliato; e che chi davvero vuole fare qualcosa per gli altri, più che impegnarsi in politica mirando a grandi rivoluzioni che non arrivano mai, farebbe meglio a concentrarsi sulle piccole azioni sotto casa propria. Buon Natale!

divider
 
Creative Commons License
Questo sito è (C) 1995-2024 di Vittorio Bertola - Informativa privacy e cookie
Alcuni diritti riservati secondo la licenza Creative Commons Attribuzione - Non Commerciale - Condividi allo stesso modo
Attribution Noncommercial Sharealike