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giovedì 14 Agosto 2008, 12:48

TIM e la matematica

Evidentemente TIM ha una concezione molto particolare della matematica.

Infatti, per potermi collegare con il PC dalla montagna usando il cellulare come modem, come ogni anno ho attivato l’offerta che per 20 euro ti dà 500 MB di traffico entro 30 giorni (sì, lo so che Wind ha una offerta simile che costa molto meno, ma in montagna da me prende malissimo TIM, figuriamoci Wind). Sul sito è scritto che per attivare l’offerta è necessario disporre di almeno 23 euro di credito; io ne avevo 3; uscendo di casa, ho ricaricato online per 20 euro; poi, giunto in montagna, ho acceso il telefono e ho mandato l’SMS per attivare l’offerta.

E mi è arrivato l’SMS che dice “Attenzione! Non possiamo attivare l’offerta – devi disporre di almeno 23 euro di credito.”, subito dopo l’SMS che diceva “Attenzione! Abbiamo effettuato la tua ricarica, il tuo credito è ora di 23 euro.”. (TIM ti spamma di messaggi per qualsiasi motivo, addirittura ti manda ogni volta un SMS per avvertire che qualcuno si è loggato col tuo utente sul 119 online…)

Così ho dovuto attendere un giorno, andare in paese, comprare dal tabaccaio una ricarica da cinque euro, usarla, e solo allora ho potuto attivare la mia offerta per collegarmi. Chissà, forse qualche quadro Telecom potrebbe insegnare al resto dell’azienda l’uso dell’operatore “maggiore o uguale”

[tags]tim, cellulari, credito, matematica[/tags]

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mercoledì 13 Agosto 2008, 12:38

Italiani olimpici

Le Olimpiadi sono iniziate da qualche giorno e, come ogni volta, è iniziata anche la retorica olimpica: i giornali si sono riempiti di articoli strappalacrime che narrano le storie di questi atleti di sport ingiustamente considerati minori, che una volta ogni quattro anni arrivano all’onore delle telecamere per le loro medaglie, e poi vengono riconsegnati all’oblio per far vedere soltanto gli spocchiosi e infantili calciatori. Compaiono quindi articoli come questo (peraltro molto interessante, specie nei commenti) che distinguono tra la solita Italietta dei politici e dei calciatori, e l’Italia vera, seria, devota degli schermidori e dei tiratori.

E’ un peccato che gli schermidori e i tiratori si siano prontamente dedicati a demolire questo mito, dichiarando come primo e massimo desiderio dopo aver vinto la medaglia una sola cosa: poter non pagare le tasse. E giù di piagnucolii, e le tasse sono alte, e le paghiamo già tutto l’anno, e lo Stato si porta via metà del nostro premio, e noi abbiamo fatto tanta fatica, e già il premio è solo centoquarantamila euro, una bazzecola.

In effetti, a vedere certe prestazioni olimpiche, a sentire certe storie di lavoro e preparazione, ci eravamo stupiti: sembravano quasi gli atleti di un altro Paese. Per fortuna ci hanno subito pensato loro a rassicurarci: no no, sono proprio italiani.

[tags]italia, olimpiadi, tasse[/tags]

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mercoledì 13 Agosto 2008, 10:55

Consigli per le sagre

Ieri sera, prima di partire per la montagna, abbiamo provato l’annuale Sagra dell’Agnolotto e della Grigliata di Cortanze (AT), che si tiene quest’anno da ieri fino al 17 agosto. Il paese non è lontano da Torino, ci si arriva in meno di un’ora o da Villanova via stradine e Montafia, o da Asti ovest per la comoda strada della valle, o dal traforo del Pino, Chieri e Andezeno per gli amanti delle statali. La sagra è nell’unica piazza del paese, anzi si lascia la macchina direttamente lungo la salita.

Vale la pena di andare solo per gli agnolotti, che sono eccellenti; ma ci sono tante altre cose buone, tra cui un’ottima caponata di zucchine e la grigliata. Noi abbiamo mangiato abbondantemente per 22 euro ciascuno, comprensivi di un antipasto a testa, una porzione e mezza di agnolotti a testa, una grigliata in due che constava di una bistecca, uno spiedino, due costine e due gnocconi di salsiccia speziata, più le patatine, poi un dolce a testa, un bicchiere di vino e acqua.

Da giovedì ci sono anche i tradizionali involtini rumeni di carne e riso; da stasera c’è anche il ballo liscio (cioè, stasera c’è addirittura Tony D’Aloia, non so se mi spiego: l’equivalente piemonliscio degli U2). In alternativa potete fare un giro del paese, cosa che si può ottenere anche restando fermi al centro della piazza e girando su se stessi, che la dimensione è quella lì. Il castello però è carino, anche se al matrimonio per cui vi andammo mesi fa gli agnolotti non erano buoni come quelli della signora della sagra (che poi mi chiedo, ma a fare a mano gli agnolotti per sei sere per centinaia di persone a sera, ma quanto tempo ci vuole?).

Insomma, questo è il periodo delle gite fuori porta, cosa aspettate?

[tags]cibo, sagre, cortanze[/tags]

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martedì 12 Agosto 2008, 15:32

Scripta mutant

Oggi non volevo proprio bloggare sulle solite miserie italiche; volevo parlarvi della riforma delle Nazioni Unite e di altri temi che, nelle nazioni meno onfalofile della nostra, sono all’ordine del giorno. Solo che mi sono accorto che, quatta quatta, Repubblica.it ne ha fatta un’altra delle sue.

Stamattina, infatti, il quotidiano del Partito Democratico riportava con grande enfasi la notizia di otto ferrovieri genovesi licenziati per essersi fatti timbrare il cartellino da un collega, pur essendo assenti dal posto di lavoro. Qui trovate la prima versione della notizia, come apparsa anche in home page questa mattina: Repubblica la presenta (sia all’inizio che alla fine) come “effetto Brunetta”, parla di “duro provvedimento” e chiude evidenziando la protesta dei sindacalisti: “è una vergogna che li abbiate licenziati, stavano rubando lo stipendio ma non è poi così grave”.

Probabilmente Repubblica sperava in questo modo che i suoi lettori si indignassero contro il cattivo ministro forzitaliota che, poveretto, traumatizza i dipendenti pubblici licenziandoli se non lavorano. Qualcosa però deve essere andato storto: devono essersi accorti che persino i loro lettori progressisti trovano giusto che uno che si assenta di nascosto dal posto di lavoro venga licenziato.

E così, senza preavviso, nel giro di qualche ora è spuntata la seconda versione. Il primo paragrafo è quasi identico, ma poi sparisce qualsiasi riferimento sia a Brunetta che ai sindacati; in compenso, ora si racconta una storia strappalacrime secondo cui gli otto avrebbero in realtà svolto del duro straordinario, e si sarebbero fatti timbrare il cartellino dall’amico solo per non perdere il treno che, al termine del loro encomiabile sforzo, li avrebbe riportati a casa.

Che dire? Speriamo che ora i lettori si convincano, se no tra qualche ora Repubblica cambierà di nuovo l’articolo di soppiatto, e riporterà che gli otto avevano in realtà passato giornate senza dormire pur di riparare un intero Eurostar con il piccolo pezzo di filo di ferro a loro dato in dotazione dalle Ferrovie, e stavano correndo via senza timbrare, dopo diciotto ore di straordinario, soltanto per via di un terribile lutto in famiglia.

P.S. Ezio Mauro, vedi di non cambiare più niente, che ho fatto gli screenshot!

[tags]media, repubblica, ferrovie, brunetta, lavoratoooooriiiiii[/tags]

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lunedì 11 Agosto 2008, 17:29

Oltre (3)

Ci sono molte cose del Giappone che non ho ancora avuto tempo di raccontare. Oggi, per esempio, sento l’esigenza di farvi vedere qualche video tratto dalla mia passeggiata di domenica pomeriggio da Shinjuku a Shibuya, passando per il parco Yoyogi.

Non ho avuto tempo per attraversare per intero il parco, ma mi è bastato spingermi a pochi metri dall’ingresso principale per osservare tre diverse attrazioni. La prima sono i famosi rockabilly di Yoyogi: gente che non sa ballare, non sa cantare e non sa suonare, ma che è oltre. Molto oltre.

Altrettanto oltre era questo gruppo di ragazzi che poco più in là mettevano in scena un cosplay in piena regola. Purtroppo l’audio è scarso, perché non ho osato avvicinarmi e riprenderli da vicino; in pratica, dal radiolone sul davanti esce una base musicale pre-registrata, mentre loro recitano il loro dramma fantasy in costume secondo un copione ben studiato. L’impegno è ammirevole, il risultato… beh… è di nuovo oltre.

L’ultimo video è l’unico decente: sono gli Stereo Lynch, gruppo indipendente che dispone persino di un sito e di date nei locali alternativi di Tokyo. In effetti questi sapevano suonare e cantare, e così ho registrato un pezzo intero. Stavo quasi per comprargli il disco, poi ho realizzato che ero sotto l’effetto congiunto dei 35 gradi, del 99% di umidità e della Asahi Super Dry.

[tags]tokyo, yoyogi, viaggi, rockabilly, cosplay, stereo lynch[/tags]

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domenica 10 Agosto 2008, 16:10

Cinesi all’italiana

Si è sparsa in un lampo, ieri pomeriggio, la notizia secondo cui i provider italiani stavano provvedendo a censurare The Pirate Bay, il sito svedese che costituisce il più noto aggregatore mondiale di file torrent – i file che, semplificando, contengono i link che permettono lo scaricamento di film, musica e programmi dalla rete peer-to-peer BitTorrent. L’utente che scarica i file commette spesso violazioni del copyright (ma anche no, visto che su queste reti esistono anche molti file resi liberamente disponibili dagli autori); se ne sia responsabile chi fornisce i link che permettono tale operazione, è un altro paio di maniche. L’industria della musica lo vorrebbe, ma in Svezia la legalità di questo sito è stata più volte confermata.

Per qualche ora si è cercato di capire: pare che un magistrato italiano – il pubblico ministero Giancarlo Mancusi, già responsabile di indagini su altri siti del genere, che avevano portato al loro sequestro – abbia inviato ai provider un qualche provvedimento che li vincola a censurare il sito. I provider hanno aderito alla spicciolata; stando alle verifiche organizzate in rete, alcuni hanno provveduto a rendere inaccessibile il suo record DNS, mentre altri hanno bloccato il traffico diretto al suo indirizzo IP, e altri ancora non hanno fatto nulla, forse perché non hanno ricevuto alcuna ordinanza.

Già questo fa capire che questa storia è una barzelletta, visto che, a seconda del provider che vi capita, potreste vedere il sito oppure no. Si sa poi che questi provvedimenti sono inefficaci: e difatti, nel giro di poche ore gli svedesi di The Pirate Bay hanno cambiato l’indirizzo IP e si sono resi accessibili anche al nuovo indirizzo http://labaia.org/, in questo modo aggirando entrambi i tipi di blocco. Hanno poi pubblicato un duro comunicato accusando l’Italia di fascismo; in effetti, abbiamo un Presidente del Consiglio che è anche proprietario del maggiore conglomerato mediatico del Paese, che ha appena fatto causa a Google e che ha soltanto da guadagnare dalla chiusura dei siti che permettono forme alternative di distribuzione dei media.

Il vero problema, però, è che nessuno capisce cosa sia successo dal punto di vista legale. La legge italiana permette alla polizia postale di obbligare i provider a censurare dei siti, ma soltanto in caso di pedopornografia o di gioco d’azzardo non autorizzato. In questo caso, l’unica ipotesi credibile pare che questo giudice abbia ordinato il sequestro preventivo del sito in quanto strumento per commettere reati; ma un sequestro è un provvedimento oppugnabile che va inviato al responsabile. In base a cosa il giudice possa sequestrare un sito obbligando dei terzi a renderlo inaccessibile sfugge a qualsiasi comprensione giuridica.

Inoltre, è chiaro che questo provvedimento danneggia anche gli utenti finali; milioni di utenti Internet italiani che improvvisamente si ritrovano privi della possibilità di accedere a un sito, pur pagando un regolare abbonamento a Internet, che dovrebbe permettere di accedere a qualsiasi sito della rete. Come è possibile per un utente difendere i propri diritti, contro un provvedimento che non si sa cosa dica, a chi sia indirizzato, dove sia stato emesso? Il giudice aveva il potere di ordinare questa censura, e in base a cosa? Se non ce l’aveva, ed è stata una libera iniziativa dei provider, come faccio a denunciare la violazione del contratto di accesso?

Insomma, ciò che lascia davvero scoraggiati è che non siamo nemmeno buoni a censurare i siti in modo ben organizzato; un giudice di Canicattì o di Roccaperetola si sveglia e decide che un sito deve essere cancellato dalla rete, senza alcun contraddittorio o verifica; dopodiché i provider un po’ alla spicciolata fanno quel che vogliono, alcuni censurano in un modo, altri nell’altro, altri non fanno proprio niente; dopo mezz’ora il blocco è aggirato e il mondo ci ride dietro; nel frattempo il cittadino resta lì, con la propria libertà di informazione offesa (almeno teoricamente) e senza saper bene che fare. Cinesi, insomma, ma all’italiana.

Cercheremo di capire meglio come possa stare in piedi (se lo sta, e ne dubito) questo misterioso provvedimento; nel frattempo, chiunque si trovasse il sito oscurato farebbe bene a scrivere al proprio provider e lamentarsi duramente. Non paghiamo certo l’abbonamento ADSL per lasciare che il nostro provider decida a piacimento cosa farci o non farci vedere; almeno su questo, è il caso di insistere.

[tags]internet, pirate bay, censura, giudici, italia, cina[/tags]

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sabato 9 Agosto 2008, 18:52

La buona educazione

Supponete che sia da poco arrivato da voi in ufficio un nuovo collega. Viene da una famiglia umile ed è cresciuto nella miseria, ma ha faticato e ha fatto carriera, e da poco è riuscito ad abbrancare una posizione ben pagata. E’ un po’ spocchioso e primo della classe, però in fin dei conti è capace; ma non vi sta molto simpatico, un po’ perché vi conoscete poco e lui viene da un ambiente diverso dal vostro, e un po’ perché su di lui girano storie inquietanti, come il fatto che ogni tanto picchi la moglie.

A un certo punto il vostro collega annuncia di voler dare entro qualche settimana una grande festa per celebrare il fatto di lavorare ormai da alcuni mesi lì con voi e con un sacco di altra bella gente. E’ consuetudine che, un po’ a turno, qualche collega organizzi un party aziendale; certo, sulle prime alcuni storcono un po’ il naso all’idea che lo faccia questo tizio, e tra questi anche voi, ma alla fine accettate l’invito.

Dopodiché arriva il giorno della festa, e mentre voi mettete piede per la prima volta in casa sua, e lui è tutto orgoglioso di farvi vedere che bell’appartamento si è messo in piedi partendo dal nulla, voi non lo state nemmeno a sentire; mentre arraffate una birra, cominciate a gridare davanti a tutti: “Ehi, stronzo! Lo sappiamo che picchi tua moglie! Ti abbiamo fatto un favore a venire ma sei veramente stronzo!”. Poi, mangiucchiando le sue patatine, continuate a parlar male di lui con tutti gli altri, iniziando dalle foto della sua quinta elementare da cui evincete che, trent’anni fa, picchiava i compagni di classe; anzi, voi e i vostri colleghi più anziani formate un gruppetto in un angolo, isolando il padrone di casa in un angolino con qualcuno dei più giovani, e continuate a sparlarne per tutta la durata della festa, alla fine della quale, afferrando il regalino di benvenuto che lui vi ha porto all’ingresso, ve ne andate senza nemmeno ringraziare.

Ecco, questo non vi sembrerebbe un atteggiamento un po’ maleducato? Eppure è esattamente così che buona parte dell’Occidente si sta comportando con i cinesi in queste Olimpiadi: ha accettato l’invito e l’ospitalità, ma non perde occasione per offendere l’ospite.

I cinesi – tutti, dal primo all’ultimo, non certo solo il governo – vivono questa occasione come il proprio ballo dei debuttanti; il momento in cui possono dimostrare al mondo di avercela fatta, di essere riusciti a ridiventare una nazione grande e importante. Sanno che riceveranno critiche su ciò che ancora non va, ma si aspettano di ricevere con almeno altrettanta enfasi una pacca sulle spalle e un complimento per tutto ciò che sono riusciti a fare – e che è davvero stupefacente – in questi ultimi dieci anni: grattacieli, ferrovie, computer, razzi nello spazio, e centinaia di milioni di persone sottratte all’atavica miseria delle campagne per provare a costruirsi un futuro in nuove città tirate su in un attimo.

I cinesi si sentono in buona misura sotto esame; ma si aspettano che sia un esame oggettivo, non una bocciatura già pregiudicata. Invece, c’è il rischio che, dal loro punto di vista, gli ospiti occidentali si rivelino antipatici e prevenuti, lasciando in loro l’impressione duratura che siano irrimediabilmente stronzi e un po’ barbari proprio come, in Asia, si dice da decenni.

Tanto più che tutto questo accade a fronte dell’amico Putin che durante la cerimonia di apertura manda tank e bombardieri sulla confinante Georgia: e non una autorità occidentale che abbia detto mezza parola, non una bandierina o un girotondo a Piazza di Spagna. Tutti troppo occupati a essere maleducati coi cinesi?

[tags]olimpiadi, cina, russia, buona educazione[/tags]

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venerdì 8 Agosto 2008, 15:28

Nuovo cinema Lufthansa

Da qualche anno non vado quasi più al cinema; la mia principale sorgente di film appena usciti sono diventati i voli intercontinentali. Volevo quindi condividere qualche recensione di ciò che ho visto in questo viaggio.

All’andata, in realtà, non ho visto niente; avevo sonno e ho dormito per tutto il viaggio, e poi non c’era molto da vedere, a meno che non si fosse interessati a Gara di topa in costume, Scarlett Johansson contro Natalie Portman. Ho provato a dare una chance a Emmerich (L’alba del giorno dopo non era male) e ho fatto partire 10000 A.C.; il primo minuto era costituito da una carrellata panoramica, con una voce fuori campo che esponeva delle premesse di una banalità talmente irritante con una pomposità talmente ridicola che ho spento ed è finita lì.

E’ andata meglio al ritorno: mi sono svegliato e ho visto passare delle immagini assurde, una specie di partita a Super Mario Kart però con attori in carne e ossa e immagini super-realistiche in 3-D. Molti attori erano giapponesi e quindi ho pensato di aver beccato un qualche film locale; la trama era un fumettone impossibile sulle gare automobilistiche (fantastico il rally di Casa Cristo, ospitato in un piccolo principato europeo tra le montagne e il mare: solo un giapponese potrebbe trovare un nome del genere come parodia di Monte Carlo) e il montaggio compenetrativo stroboscopico era davvero incredibile, tanto che per i primi minuti ho avuto il mal di mare. Dopo qualche tempo però ho notato una tipa che sembrava tanto Susan Sarandon… e un vecchio panzone che era John Goodman coi baffi… e insomma, alla fine è venuto fuori che era Speed Racer, il nuovo film dei fratelli Wachowski. Merita, ma solo per vedere che anche alcuni occidentali riescono ad essere “oltre” come i giapponesi.

Subito dopo è passato Drillbit Taylor, una graziosa commediola con Owen Wilson che fa il fascinoso scavezzacollo (pare non sappia fare altro). Non passerà alla storia, ma per un’ora e mezza è stata piacevole.

Dopodiché, è arrivato l’ultimo film del programma: The Spiderwick Chronicles, un polpettone immondo e fastidioso che ho sopportato fino alla fine solo perché ero in volo da otto ore, non avevo più sonno e fare qualsiasi altra cosa avrebbe richiesto dello sforzo energetico. In pratica dovrebbe essere un fantasy-horror con acclusa morale e buoni sentimenti, se non fosse che la parte fantastica è originale come una maglietta di Giorgino Armandi, la trama non sta in piedi – mitico quando passano venti minuti a dirsi “ok, dobbiamo trovare Spiderwick” “sì è vero dobbiamo trovare Spiderwick” “oddio, come faremo a trovare Spiderwick?”, poi si mettono in cammino e quindici secondi dopo trovano Spiderwick – e la parte sentimentale è fotocopiata ed appiccicata con lo scotch. L’unico attore decente, Nick Nolte, compare per un totale di quarantacinque secondi e insomma l’unica cosa vagamente salvabile dell’intero film è la magliettina aderente della protagonista femminile.

Sarebbe finita qui, se non fosse che c’era ancora tempo e così, non annunciato, ci hanno messo su Kung Fu Panda. E’ due mesi che rido soltanto vedendo i manifesti che annunciano questo film in mezzo mondo; da “pandamonio” a “fenomeno pandanormale”, il panda Po è diventato una star prima ancora di comparire sullo schermo. (E di fronte a tutto ciò, con cosa risponde la Disney? Con un robottino che spala monnezza. Veramente!) Alla fine il film è proprio divertente, con alcune cose da applauso a scena aperta; forse non perfetto (ogni tanto il regista s’addormenta e il ritmo cala un po’) ma comunque decisamente la cosa migliore che mi hanno fatto vedere in tutto il viaggio.

[tags]cinema, 10000 ac, speed racer, spiderwick, kung fu panda[/tags]

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giovedì 7 Agosto 2008, 03:52

La storia vista dall’altra parte

Sono in partenza – domani mattina alle 6:30 devo lasciare l’albergo e andare a Narita per tornare indietro. Oggi ho perso un’ora alla stazione di Tokyo per capire come fare in anticipo il biglietto del Narita Express; se fare qualsiasi altro biglietto è semplicissimo, per i treni speciali non si possono usare macchinette e quindi mi toccherà fare la coda allo sportello (l’avrei fatta oggi ma non sapevo come comunicare che volevo un biglietto per il giorno dopo a una determinata ora…). Speriamo bene.

Nel frattempo ho scoperto un altro paio di cose interessanti. La prima è che anche in Giappone esiste il cielo blu; è apparso per la prima volta dopo otto giorni e in effetti è stato un po’ meglio, nel senso che il caldo faceva male alla testa (tipo 35 gradi e oltre) ma almeno c’era vento e non si soffocava.

La seconda è che, siccome dovevo già vedere Ginza e il palazzo imperiale, ci stava il tempo per un solo museo; vista la data, ho rinunciato al parco di Ueno e ho scelto lo Yasukuni-jinja, il tempio dedicato ai caduti per la patria sin dalle guerre civili di metà Ottocento; e l’annesso museo della storia militare del Giappone.

Nel tempio ero più fuori posto del solito; non c’era neanche mezza riga in inglese, nemmeno sulle mappe, e anche se non ero l’unico turista ho cercato di passare il più inosservato possibile. Ma il meglio è stato l’annesso museo, in cui, in venti sale, viene esposta con dovizia di particolari la storia militare del paese, partendo dall’epoca dei samurai (infatti ho visto esposte armature e spade davvero splendide).

Così, presto si arriva ai giorni nostri e si comincia a narrare: prima di come il Giappone, nel 1894, sconfisse la Cina per liberare la Corea e darle l’indipendenza, cosa di cui i coreani furono tanto grati che nel 1909 chiesero di propria spontanea volontà l’annessione al Giappone come colonia. Solo che pochi giorni dopo la vittoria contro la Cina i terribili russi dello zar si intromisero e, con la complicità delle altre potenze occidentali, obbligarono i giapponesi a restituire parte dei territori conquistati sul continente; ciò obbligò quindi i giapponesi a contrattaccare dieci anni dopo e sconfiggere i russi.

Dopodiché, nei decenni successivi, vengono riportati decine di “incidenti” in cui truppe giapponesi in vacanza in Cina vennero prese di mira dai cattivi nazionalisti, costringendo il Giappone a liberare la Manciuria e poi anche parti della Cina.

Dopodiché, per circa quattro grandi sale, si narra la seconda guerra mondiale, riportando ogni campagna e ogni battaglia con mappe, reperti, descrizioni e foto dei generali coinvolti (ci sono alcuni bellissimi oggetti, come un aereo-kamikaze e un siluro-kamikaze – sì, li facevano anche sottomarini). E poi, nell’ultima didascalia dell’ultima sala, c’è scritto qualcosa tipo “comunque, alla fine, gli Stati Uniti lanciarono bombe sul territorio giapponese, comprese due bombe atomiche: una a Hiroshima e una a Nagasaki. Così il Giappone si arrese.”. Punto. Fine del museo.

Cioè, non c’è nemmeno una foto, un oggetto, niente che riguardi le bombe atomiche se non quella frase e un paio di didascalie in piccolo di una frase l’una. Seguono solo cinque stanze (un quarto del museo) piene zeppe di migliaia di piccole foto di tutti i singoli militari giapponesi di ogni ordine e grado che sono onorati nel tempio.

Avevo già avuto qualche sospetto che certi argomenti fossero ancora tabù, tanto più se da descrivere in inglese e quindi agli occhi degli stranieri: ad esempio nel museo civico di Otaru si narrava per una intera parete del molo ferroviario sospeso sul mare, orgoglio della nazione, che fu costruito negli anni ’10 e svolse la sua funzione di carico delle navi con grande perfezione finché “it ceased to exist in 1945”. Anche qui, punto e fine spiegazione.

A ben pensarci, trattandosi di un museo di storia militare, credo che parlare e mostrare al suo interno la sconfitta sarebbe vissuto come un insulto ai caduti: il museo vuole onorarli e per il giapponese la sconfitta è il massimo disonore. Certo che – anche avendo letto l’ultimo pannello, che dice qualcosa tipo “le conquiste giapponesi non avvennero invano, perché cacciando gli occidentali e mostrando la potenza di un paese asiatico finirono per portare all’indipendenza di tutti i paesi dell’Asia, quindi l’indipendenza dei paesi asiatici è essenzialmente merito del Giappone” – si capisce perché i vicini abbiano spesso protestato contro la cultura storica dei giapponesi.

[tags]giappone, viaggi, storia[/tags]

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mercoledì 6 Agosto 2008, 01:19

Prospettive di vita giapponese

Oggi ho fatto proprio bene a mettere in programma due cose che i visitatori di breve periodo a Tokyo normalmente non fanno, perché ho avuto un’illuminazione.

La prima cosa è stata quella di investire un po’ di yen in un tour guidato fuori dalla città, a vedere le pendici del Monte Fuji e la zona termale elegante di Hakone. Il tour in sé non è stato il massimo, perché il tempo era coperto e il Fuji si è visto ben poco, ma alla quinta stazione (quasi 2400 metri di altitudine e 28 gradi di temperatura pur in un giorno senza sole) ho di nuovo assaggiato la strabiliante densità di questo popolo: era come andare ad un qualsiasi rifugio alpino di quell’altitudine in estate, solo che invece di esserci un rifugio c’erano sei palazzi di quattro piani, e invece di esserci qualche decina di persone intente a prendere il sole o a partire per le salite più serie ce n’erano probabilmente oltre un migliaio: erano tutti vestiti tecnicissimi da scalatori provetti, ma il sentiero alpino che porta in cima al Fuji era più o meno come via Garibaldi il sabato pomeriggio.

Uscendo dalla città, ho scoperto che il Giappone ha sì 120 milioni di abitanti in un territorio grande come la Germania, ma questi abitanti sono concentrati nel 25% del territorio costituito da pianure o da fondovalli; il rimanente 75% sono montagne praticamente disabitate. Per questo motivo, finché si sta in pianura non si vedono che case, case, case e case a perdita d’occhio per decine e centinaia di chilometri, al massimo – dopo i primi 30-40 km di allontanamento dal centro – inframmezzati da qualche timido campo di riso (non risaia, che a quanto pare qui non li allagano, ma seminano a giugno e raccolgono a ottobre; tanto c’è abbastanza acqua nell’aria per tutta l’estate, è come se le piante fossero a mollo).

Poi, d’improvviso, si arriva al bordo della montagna; e di botto le cose cambiano. Lì gli insediamenti umani sono piccoli villaggi che si fanno faticosamente strada in mezzo a una vegetazione lussureggiante, densissima, quasi impenetrabile; che siano foreste (come per la maggior parte) o prati di erba alta mezzo metro, la natura crea un intrico misterioso che respinge. In più, l’orografia del territorio è labirintica, perché il Giappone non è stato creato da uno scontro di continenti con successiva erosione delle acque, ma da eruzioni vulcaniche che ogni tanto, anche in tempi geologicamente recenti, creavano una nuova montagna dove prima non c’era, in un luogo più o meno casuale.

Si capisce insomma come i giapponesi da una parte si schiaccino in pianura, e dall’altra abbiano questo rispetto atavico per la natura che ce li schiaccia: vorrebbero allargarsi, ma vulcani, terremoti e foreste glielo impediscono.

La sera, poi, sono andato a cena a casa del mio amico Izumi; è un’opportunità molto rara perché non è facile essere invitati in casa da un giapponese. Io mi ero preparato, mi ero portato il regalo, mi ero anche tenuto da parte un paio di calze nuove, ma ero piuttosto teso all’idea di confrontarmi con tutti i vari tabù dei giapponesi, pur se il mio amico ha girato il mondo e in patria è considerato molto occidentalizzato. Invece è stata una bella serata, soprattutto perché ho scoperto un ulteriore livello della cortesia dell’ospite: se il tuo invitato scatarra nel bicchiere perché non sa che è maleducazione (è solo un esempio, non l’ho fatto…), tu non devi semplicemente fingere che vada tutto bene; devi prendere il tuo bicchiere e scatarrare anche tu giurando che quella è la normalità delle buone maniere locali. In alcuni casi ha usato anche l’inganno, ad esempio insistendo perché ci trovassimo alla stazione di Meguro per andare insieme a casa sua, per poi scoprire che casa sua è a 10 euro di taxi, che lui si è fatto una volta per venire a prendermi e una seconda per riportarmi indietro (la terza l’ho pagata io).

Però ho capito una cosa importante: che quel che si vede dall’esterno, cioè la folla inimmaginabile, i formicai umani, il rumore, le luci, la confusione e l’intruppamento, ha un suo contrappeso non evidente nello spazio privato, che pure esiste, nelle viuzze semideserte e silenziose di periferia, e nelle case piccole ma accoglienti che ci si affacciano sopra. Anche esse stracolme di roba, affastellata in modo incredibile, tanto che alla fine mi sono un po’ preoccupato perchè il mio regalo occuperà una trentina di centimetri di diametro e in quella casa è una percentuale significativa dello spazio disponibile. Però tranquille, ben studiate, piene di vecchi mobili di legno o magari di plastica.

La vita è dura per i giapponesi, e noi bene abituati non sappiamo nemmeno immaginare quanto: io sono andato via alle undici e mezza e la figlia più piccola del mio amico, vent’anni e qualcosa, non era ancora tornata dal lavoro come commessa in palestra; i giapponesi lavorano sei giorni su sette, per tutto il giorno e spesso anche la sera, e per riprendersi hanno una settimana di ferie l’anno. Non è un caso che sui treni del sistema ferroviario più efficiente del mondo, dove nulla si rompe mai e un minuto di ritardo vale le scuse in ginocchio dell’intera azienda, si leggano continuamente nei pannelli informativi, tutti i giorni, uno dietro l’altro, annunci di questa o quella linea bloccata per “incidente”. Dopo dieci minuti, pulito il sangue, i pendolari ricominciano a scorrere.

In origine, dal dopoguerra fino agli anni ’80, tutto questo sacrificio – quello che ti viene richiesto in quanto piccola rotellina senza spazio di manovra, ma con l’orgoglio di contribuire al fatto che la tua comunità primeggi nel mondo – era ripagato da una grande ricchezza collettiva, che faceva essere i giapponesi danarosi quasi quanto gli arabi. Da quindici anni, dopo la crisi e la globalizzazione e l’esplosione degli odiati cugini cinesi, non si vede nemmeno più bene il perché di tutto questo; se non, forse, per godersi per sei o sette ore al giorno – tra vita, pasti e sonno – quei pochi metri quadri di periferia.

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