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venerdì 5 Ottobre 2007, 14:15

Novità a Torino

Oggi, nel mio consueto giro in bici per il centro di Torino, ho potuto scoprire parecchie novità.

La prima è che stavano inaugurando il tratto di metropolitana da Porta Susa a Porta Nuova; ovviamente attorno alle uscite era tutto sbarrato e piantonato dalle forze dell’ordine, visto che c’era persino Prodi (invitato con lo scopo di pietire altri soldi per completare l’opera, e sommerso di fischi da gente incazzata per vari motivi). Già da settimane avevano aggiornato i cartelli nella parte di metro già in servizio; da oggi pomeriggio alle 16 il nuovo tratto sarà aperto al pubblico, anche se si potranno usare solo le fermate di Vinzaglio, Re Umberto e Porta Nuova, perché la nuova fermata Porta Susa – in corrispondenza della futura stazione, che ancora non c’è – è fatta e finita ma resterà sigillata ancora per un paio d’anni almeno.

La metro sarà gratis da oggi pomeriggio fino a domenica sera, anche se immagino l’assalto. Comunque, è probabile che martedì debba farmi un giro a Roma in giornata, in treno, con l’unica coppia di pendolini che non passa da Milano, e quindi avrò modo di provare il nuovo tratto… almeno al mattino, visto che d’ora in poi alla sera la metro chiuderà alle 22:45 (1:30 il sabato, 21:00 la domenica).

Il tutto si inserisce nei festeggiamenti per il centenario dei trasporti pubblici torinesi, che prevede anche una mostra fotografica in vari portici della città.

In tutto questo, c’è un’altra novità: finalmente è sparito il cubo attorno al caval ‘d brons in piazza San Carlo, il che significa che il restauro – che i maligni dicevano avvenire con estrema lentezza, visti i bei soldi incassati dalle gigantesche pubblicità appiccicate alle impalcature – è finito. La statua è ancora coperta da un telo, ma si vede che è stata ricostruita completamente, aggiungendo anche la spada che tempo fa era stata portata via dai gobbi durante i festeggiamenti per un qualche scudetto (non ricordo più se uno di quelli dell’EPO o uno di quelli dei telefonini). Per vedere come è venuta, dovremo attendere che la scoperchino; sperando – solo per il suo bene, intendiamoci – che la Juve non rivinca uno scudetto tanto presto.

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giovedì 4 Ottobre 2007, 23:44

Teatro?

Oggi giornata piena, soprattutto perché finalmente sono riuscito a ridare indietro la Meriva e riavere la mia macchina – per qualche minuto, risalitoci dentro, mi è sembrato (con grandissima soddisfazione) di guidare un go kart.

Comunque segnalo di essere tornato dopo un paio d’anni al Teatro della Caduta, e di avere assistito (gratuitamente e nell’intimità della più piccola sala teatrale cittadina, meno di cinquanta posti e pure pigiatissimi) a un bello spettacolo di cabaret semi-amatoriale; semi perchè le tre ragazze, una delle quali è la sorella della ex storica del cantante del mio gruppo dei tempi che furono, sono già nel giro del sottobosco di Zelig.

In effetti, anche se ottanta minuti di umorismo demenziale senza pause sono duri da reggere, ci sono state varie battute piuttosto degne, ovviamente una più stupida dell’altra. Comunque vale sempre la pena di fare un salto a vedere che c’è, in quello che è tutto meno che un teatro come ce lo si immagina normalmente; è più un happening e insieme un continuo salto mortale senza rete. L’ingresso in genere è gratuito, anche se vi verrà chiesta una donazione libera a fine spettacolo; però, vista la capienza, è decisamente consigliabile prenotare.

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mercoledì 3 Ottobre 2007, 12:17

Concerti plastici

Ieri sera sono andato allo stadio delle Alpi (sì, esiste ancora) a vedere il concerto dei Fiction Plane, gruppo londinese emergente. Si tratta di un trio che ricorda molto i Police: cantante/bassista, chitarrista e batterista, e lo stile è simile, anche se è rivisto in funzione dei gusti musicali attuali, per cui gli arrangiamenti di chitarra sconfinano nel coldplayesco (cioè, diciamo nei Radiohead di Ok Computer, che la musica inglese degli ultimi dieci anni è nata da lì). Però il modo di cantare del tizio, dal timbro agli svisamenti, è proprio simile a quello del leader dei Police, e insomma ho pensato subito che questo ragazzo sia cresciuto coi poster di Sting nella cameretta, e che li abbiano selezionati per questo tour proprio per questo motivo.

Il singolo Two Sisters ha un ritornello di quelli che entrano dritti nel cervello, un bello schitarramento reggae di sottofondo, e un discreto tiro; e la maggior parte degli altri pezzi hanno catturato il mio orecchio, specie Death Machine e il rompighiaccio Anyone. E così, stamattina sono andato subito a scarcomprare il disco, e mi sono anche documentato su Wikipedia, e così ho scoperto che il cantante/bassista non è cresciuto avendo nella cameretta i poster di Sting, ma Sting in carne ed ossa, visto che ne è il figlio. Insomma, a forza di vivere in Italia anche il signor Sumner ha scoperto il “tengo famiglia”, e suppongo che la presenza dei Fiction Plane sia stata una delle condizioni poste dal suo team di avvocati al team degli avvocati degli altri due per accettare la reunion.

Comunque, se vi piace il genere, il disco – pur se acerbo, e insomma, senza settantamila persone a battere le mani in mezzo ai giochi di luce non fa lo stesso effetto – è caruccio, e vale la pena di scarcomprarlo.

Dopo, comunque, hanno suonato anche i Police; a un certo punto temevamo non uscissero più, e che mandassero direttamente sul palco gli avvocati, per intrattenere il pubblico con un po’ di wrestling nel fango. Invece, alle 21,35 si sono presentati puntuali; almeno così mi dicono, perchè io, pur essendo seduto nella balconata del secondo anello della curva Maratona, vedevo a malapena la batteria, figuriamoci le facce; e i maxischermi erano grandi come il plasma di casa mia; insomma sembrava di guardare lo spot della 3 su un videofonino. Il mistero di come possano chiederti sessanta euro per “vedere” un concerto in questo modo è superato soltanto dal mistero di come io possa averli pagati.

Il concerto è stato carino, ma non eccezionale: era più una celebrazione storica che un concerto rock, e penso che vari pezzi dei Police possano anche prestarsi a uno stadio, ma solo se suonati alle tre del pomeriggio sotto il sole a picco e in mezzo ad un pogo intenso. Ieri, invece, il prato era pieno di circa quarantamila persone in piedi, dai trentacinque in su, completamente ferme; il massimo che è successo, a parte lamentarsi per il freddo e l’assenza del surround digitale 5.1, è stato che hanno battuto le mani, nemmeno a tempo perchè il suono si propaga troppo lentamente per poterlo fare in uno stadio. Certo, dal punto di vista commerciale è stato un successone: a parte la curva Primavera che era dietro il palco e quindi vuota, non ho mai visto il Delle Alpi così pieno, denso di gente in ogni dove, nemmeno per Toro-Ajax o per Toro-Mantova.

Alla fine, comunque, i tre hanno suonato per quasi due ore; in due ore non si sono mai detti nemmeno “ciao”, e non si sono avvicinati a meno di cinque metri l’uno dall’altro, se si escludono un paio di occasioni in cui Sting ha fatto finta di inchiappettare Andy Summers suonandogli dietro, però stando ben attento a non sfiorarlo, che se no l’altro avrebbe mollato lo strumento e si sarebbero pestati all’istante. Il team di avvocati di Summers, comunque, ha preteso che ogni canzone contenesse almeno dieci minuti di assolo fastidiosissimo, in cui il suddetto cerca di imitare Yngwie J. Malmsteen e poi di farsi dire dal pubblico che è bravo anche lui, e che il fatto che finiti i Police nessuno l’abbia più cagato neanche di striscio è soltanto un caso dovuto al destino cinico e baro.

E quindi, la prima parte è un po’ così, con ciascuna canzone rallentata e stiracchiata all’infinito fino ad un noiosissimo assolo. In più, Sting ha l’età che ha, ovvero 56 anni compiuti proprio durante il concerto; fa una cosa intelligente, cioè invece di sforzare taglia gli acuti uniformemente sulla maggior parte dei pezzi, riuscendo a conservare la voce per farne qualcuno anche sul finale (complimenti per essere riusciti a fare una versione di sei minuti di Roxanne mettendoci dentro una strofa sola: non tutti riuscirebbero ad aggirare così il problema).

Il concerto si riprende però con qualche numero meno scontato – bella ad esempio Wrapped Around Your Finger con Copeland in piedi contro un set di percussioni, timpano, gong e xilofono grosso il doppio di lui – e poi, nel finale, con i pezzi più energetici, tra cui Can’t Stand Losing You, che a seconda di come la si suoni può essere il punto più alto del reggae anni ’70 oppure il punto più alto del punk anni ’70, e ieri li è stati entrambi.

Alla fine, comunque, è stato veramente più un evento televisivo che un concerto; valeva la pena di esserci soprattutto per poter dire di esserci stati, ché per quanto riguarda la musica non c’è più vita, e piuttosto conviene mettersi su i dischi dell’epoca, o ascoltare appunto i Fiction Plane.

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martedì 2 Ottobre 2007, 11:49

Meriva

Da tre settimane, come saprete, la mia Alfa 147 è in riparazione per via di un tamponamento. Pertanto, mi hanno dato una macchina sostitutiva; e dopo avermi detto che non c’era bisogno di prenotarla e che ne avrebbero trovata una sul momento, giunti al momento si sono poi accorti che non ce n’erano. L’unica disponibile in tutti gli uffici Europcar di Torino era una Opel Meriva, e così mi hanno dato quella.

Bene, dopo tre settimane di guida posso concludere soltanto una cosa: se odiate qualcuno moltissimo, regalategli quest’auto o, ancor più perfidamente, convincetelo a impegnare la casa e la moglie pur di comprarsela.

Si tratta di una specie di parallelepipedo grigio dalla funzione indefinita: troppo grosso per essere una utilitaria, troppo piccolo per essere un SUV, troppo alto per essere aerodinamico e troppo pesante per essere risparmioso. Hanno cercato di massimizzarne l’altezza, e certamente, se non vi siete abituati, vi farà piacere la sensazione di guidare dall’alto (ma a quel punto prendetevi un camion, o perlomeno la nuova Panda, che è tutta un’altra cosa). Peccato che, dal punto di vista pratico, a meno che voi di mestiere non trasportiate scatole di scarpe o altri oggetti rettangolari impilati l’uno sull’altro, l’altezza non vi servirà quasi mai.

In compenso, la macchina è lunghissima, al punto che parcheggiare in città diventa complicato; essendo anche alta, è praticamente impossibile capire dove finiscono le macchine attorno a voi (e il mio modello ovviamente non ha sensori di parcheggio). Per qualche misterioso motivo, però, dentro è piccola; ci si sta abbastanza pigiati e rigorosamente in verticale, certo non mezzi spaparanzati come sulle poltrone della 147.

Il grosso della lunghezza va nel baule, e considerato che io ho riempito il baule della mia (che è oggettivamente piccolo) una sola volta in un anno e mezzo, quando ho dovuto traslocare contemporaneamente quattro persone più una sala giochi e diversi chili di formaggio, non credo che sia una allocazione intelligente – a meno che, appunto, non vendiate scarpe al mercato.

Gli interni sono stati presi di peso da una Ritmo degli anni ’80, rigorosamente in plastica nera da dieci lire al chilo; persino le portiere sembrano di plastica (speriamo bene). L’estetica ti fa chiedere se l’abbia progettata un cieco.

E poi, dulcis in fundo, il motore. Va bene, probabilmente sono io che sono abituato bene, guidando abitualmente un 1.9 Multijet. Ma la ripresa di quest’auto è non pervenuta: persino le vecchie Uno la lasciano sul posto, e sperate di non fermarvi ad un semaforo in salita, perchè a quel punto correrete il serio rischio di spegnere il motore o perlomeno di dover evitare la cosa sfrizionando per far riprendere la coppia. Persino per accenderla bisogna far girare il motorino per parecchi secondi, non ne vuol proprio sapere.

Insomma, ho capito perché hanno speso miliardi in pubblicità (un paio di anni fa c’era scritto Meriva addirittura sulle maglie del Milan): era l’unica chance di vendere questo coso. Ma io non vedo l’ora che mi restituiscano la mia.

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lunedì 1 Ottobre 2007, 01:04

Un derby con la D maiuscola

Certo, avrei preferito non perderlo, ma alla fine oltre che incazzato sono soddisfatto e orgoglioso: questo è un Derby con la d maiuscola, non più quelle schifezze degli ultimi anni.

Sì, perché il risultato più giusto sarebbe stato un pari, e forse, ai punti, avrebbe vinto il Toro, che specie nel secondo tempo ha condotto quasi sempre il gioco, con ripetute occasioni (anche se la Juve ha sciupato un gol fatto con Nedved). Ma, alla fine, io temevo che si rivelasse una disfatta, che la Juve fosse nettamente superiore. E invece, siamo ritornati alla grande; l’abbiamo giocato alla pari e l’avremmo potuto vincere, e ho l’impressione che almeno per un po’ non si vedranno più gli 0-4 indegni del periodo del sicario Cimminelli (a proposito, drughi, si scrive con due “m”; lo striscione “Ieri Ciminelli, oggi Cairo, domani Tutankhamon?” non faceva granché ridere, ma almeno potevate scriverlo giusto).

E insomma, siamo ritornati alla vera storia di molti derby: quella in cui il Toro fa un gran gioco, e la Juve vince con un gol di culo, al 94′, su un rimpallo e in fuorigioco di cinque metri (e certo i gobbi si appiglieranno all’infinito ai cavilli del regolamento; del resto anche Moggi diceva che le regole vanno “interpretate”). Questo derby è il prototipo della gobbitudine; i gobbi hanno fatto un’infamata andando (pare) ad aspettare il pullman dei nostri giocatori, e hanno cercato la violenza in ogni modo; come coreografia hanno fatto schifo, vestiti da steward e con una bandiera ogni venti persone; come tifo non ne parliamo, si sono sentiti solo per gli otto secondi tra il gol e il fischio finale; come gioco sono andati bene nel primo tempo, ma poi hanno subito per tutto il secondo; e poi hanno vinto rubando (se sia rubando per culo o rubando per dolo, poco importa). Per i gobbi l’unica cosa positiva è il risultato; e quindi, se domani un gobbo si vanta, lo lasceremo fare perché significa che non ha capito niente né di calcio, né di vita.

Mi dispiace per ragazzi e vecchi in lacrime, ma passerà; c’è un derby ogni sei mesi, e dopo stasera penso proprio che ce li giocheremo tutti, e magari con ancora più rabbia. Più preoccupante è il fatto che una partita finita così non farà altro che alimentare ulteriormente la violenza, che già è stata montata per mesi dai dirigenti e dai due giornali cittadini. Tra persone ragionevoli, i gobbi riconoscerebbero di aver vinto senza merito, e noi che nel calcio ci stanno anche partite così, e che per il primo derby del nuovo Toro possiamo accontentarci, pur se con amarezza, di una chiara vittoria morale. Invece, continueranno polemiche e accuse tra dirigenti e giornalisti, e di conseguenza anche gli scazzi e le violenze tra tifosi.

La rabbia è enorme, e persino io, stasera, ho fatto fatica a non rispondere davanti al tarro con la Punto modificata che sgommava con la sua bandierina di plastica in corso Ovini, gridando ai nostri tifosi “minchia vuoi la foto?”. Ma sono ulteriormente fiero di come nessuno, ma proprio nessuno, abbia detto una parola ai pochi disabili bianconeri che sono stati fatti uscire proprio in mezzo al flusso della massa granata. E ci mancherebbe, ma in una situazione del genere, a parti invertite, non sarebbe andata così.

P.S. Però lo striscione “ROCCHI COBOLLI E MOGGI LADRI DI IERI E DI OGGI” domenica va fatto assolutamente, perché va bene non soffiare sul fuoco, ma non bisogna neanche farsi mettere i piedi in testa: era fuorigioco di cinque metri!

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domenica 30 Settembre 2007, 16:52

Derby

Ebbene, alla fine il derby è arrivato, e come al solito siamo messi male: la squadra ha smesso di giocare da una decina di giorni, e poi non giocherà Rosina (ha contratto la rescissite; chi vuol intendere intenda). Stando ai pronostici degli scommettitori, la Juve vincerà con un paio di gol di scarto; e quindi, come sempre, si tratta di congiurare un miracolo.

Io son qui che mi preparo, dopo aver dormito quasi tutto il giorno per recuperare; tra un po’ si esce e si va al raduno, in ora non pubblicabile per motivi di sicurezza, convocato presso i tre cazzi della Maratona (mi scuso, ma il toponimo ormai invalso nell’uso comune è quello). Poi ci sarà l’ingresso in gruppo, perché noi abbonati di curva Primavera siamo stati sistemati nel settore ospiti, con ingresso da via Filadelfia a venti metri da quello della curva avversaria; per evitare imboscate, cercheremo di percorrere il giro attorno al PalaIsozaki tutti insieme. E poi, due ore di attesa punteggiate da scontri (verbali, si spera); e la partita in notturna. E poi l’uscita, sperando in un buon risultato.

Però, comunque, è bello ritrovare un derby vero, dopo le pantomime dei primi anni duemila – con un Toro ridicolo e venduto al nemico – e dopo quattro anni di buco (di cui uno, una volta tanto, non per colpa nostra). E quindi, mi sento di fare gli auguri ai cugini, sempre fonte di grande ispirazione. Spero anche oggi di vedere lo striscione che ci definisce “una curva di squatter, ebrei e comunisti”, come se fossero insulti; o qualche bella sgrammaticatura (in italiano o in piemontese non fa differenza, vedi sotto); o ascoltare cori con versi di intensa poesia come “Magica Juve / Resiste il mio cuore lontano da te / Soltanto se penso alla figa”. Il massimo sarebbe, per una volta, poter fare come in quella semifinale di coppa Italia in cui l’intera curva Maratona, per sfottere la Juve che non riusciva a segnare, intonò per un quarto d’ora “Eforzaggiuvafacciungoooooo!”. Allego sotto un piccolissimo estratto di questo album dei ricordi.

Insomma, comunque vada sarà una domenica da ricordare. Se però va male, non provatevi a sfottere: domani azzanno. Siete avvertiti.

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domenica 30 Settembre 2007, 09:07

Magica Trenitalia

Ok, sapevo che stanotte ci sarebbe stato sciopero dei treni; per questo motivo sono andato in stazione a Pisa a chiedere se il treno che volevo prendere io, l’intercity notturno delle 0:38 diretto per Torino, ci sarebbe stato, e la risposta è stata positiva.

Così mi sono presentato qualche minuto prima, ho fatto il biglietto, e la macchinetta mi ha regolarmente assegnato un posto nella carrozza numero 16: difatti alcune carrozze del treno vanno a Torino, mentre altre vengono separate a Genova e instradate per Nizza.

Sul binario, dopo essermi fatto fregare un euro e mezzo dalle mai funzionanti macchinette automatiche per bevande delle ferrovie italiane, sono andato verso il fondo della piattaforma, visto il numero della carrozza; poi ho chiesto a un signore del personale, che mi ha invitato a mettermi davanti perché la carrozza 16 sarebbe stata la prima. Raggiunto da Puria, ci siamo fatti di nuovo tutta la piattaforma all’indietro, e allora è arrivato il treno.

E la carrozza 16 non c’era.

C’erano solo cinque carrozze, di cui tre cuccette, e andavano tutte a Nizza.

Così chiediamo allo stesso signore di prima, che dichiara di essersi “dimenticato” di dirci che in realtà stanotte le carrozze per Torino non c’erano, e di metterci in un posto libero qualsiasi.

E così, dopo aver pagato intercity più prenotazione, siamo dovuti andare in un posto a caso, scendere a Genova Principe, dormicchiare per due ore sul pavimento della sala d’attesa piena di gente, e prendere poi un regionale che fermava persino a Trofarello.

Rimane un mistero: come ha fatto la macchinetta automatica della stazione di Pisa a venderci un posto su una carrozza che non esisteva, su un treno che era già fatto ed in marcia da quattro ore?

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sabato 29 Settembre 2007, 21:11

Hackmeeting 2007

Scrivo queste righe dall’Hackmeeting di Pisa, dove il servizio di DHCP umano è finalmente riuscito a suggerirmi di tirare a caso un IP, purché utilizzi un terzo byte sufficientemente alto (il mio innato senso di simmetria mi ha portato a scegliere 10.0.111.111).

Sta per iniziare la pausa cena, anche se nella sala principale è ancora in corso il penultimo seminario del pomeriggio – quello di Mayhem su tutti i modi per intercettare o prendere il controllo di una rete aziendale di telefoni VoIP; un consiglio, provate Oreka – e l’ultimo relatore sarà da qualche parte che frigge, oppure sarà andato a cena, chissà.

Del resto, quando mi sono presentato alle 16 nella sala che mi era stata assegnata per parlare, è arrivato anche Andy Mueller-Maguhn (chi si rivede) cercando di fare la sua presentazione: un chiaro caso di overbooking. Alla fine ci siamo accordati tra noi per fare un’ora a testa, e, in vero spirito acaro, mi sono procurato da solo pennarelli, scotch e cartelli da affiggere per gestire l’evenienza; e alla fine ho pure avuto la soddisfazione di scoprire che la sala era piena più per me che per lui.

Insomma, il mio seminario (quarta edizione) è stato un successone, tanto che sono dispiaciuto perché alla fine l’avevo preparato un po’ al volo, e non avevo delle grandi slide e nemmeno dei grandi aneddoti da raccontare. Pare comunque che sia piaciuto, sebbene le domande siano state più che altro richieste di informazione, e mi sono servite a capire come io sia, ecco, un po’ tanto specializzato sulla materia…

Però succedono anche delle cose preoccupanti; come quando, chiacchierando a fine seminario con tre o quattro persone, ho detto “Pensate che mercoledì ho persino infranto il monopolio di Sky, facendo la radiocronaca della partita dal divano di casa mia” e, invece di vedere facce stupite, uno dei quattro mi ha risposto “Ah sì, ma non era la prima volta, vero? L’avevi già fatto una volta, l’ho letto sul tuo blog”. Se mi leggi, kudos a te; io però mi coccolo il dubbio inquietante su quanta gente veramente apprenda le mie vicende personali da queste pagine.

Per il resto, l’Hackmeeting di quest’anno è spaziale, direi il migliore a cui sia stato. Il posto è raccolto ma bello, con un ampio cortile decorato da meravigliose pile di vecchi computer e altra ferraglia artisticamente rielaborata. Dentro c’è uno stanzone con file di lunghi tavoli, popolate di portatili e fissi stipati in ogni modo, con gente che si scambia in santa pace ogni sorta di file, e alcuni hanno anche messo su dei server per far scaricare il proprio materiale, e a fianco a me c’è uno che guarda i Griffin mentre mangia (una puntata in cui Brian e Stewie, persi nel deserto e assetati, pensano di salvarsi vedendo in lontananza un distributore automatico di Dr. Pepper; poi arrivano lì e si disperano, perchè in realtà era solo un distributore di RC Cola). E poi ci sono una cucina, svariati bagni neanche troppo di fortuna, e le sale dei seminari, e vari angolini in cui si smanetta con vecchi pezzi di computer e materiale di ogni genere, e ogni tanto si sparge nell’aria anche della dura musica sessantaquattrosa (grazie SID). Tutti sono gentili, amichevoli e interessanti (sarebbe diverso se fossi un giornalista…).

Tra gli highlight di oggi, c’è soprattutto il seminario in cui mi hanno fatto fare il pane; sono passato a prenderlo, cotto, a fine pomeriggio (ripartendo stasera, ho optato per il lievito di birra anziché la pasta madre), ed era buonissimo, meglio pure del preparato Lidl. Anche interessante il seminario in cui un ragazzo, lavagna e gessetto, dimostrava che l’algoritmo per verificare se un numero è primo è polinomiale; anche se dopo i primi quindici minuti di algebra dei campi mi sono dileguato. E poi, le chiacchierate con varia gente, come Emmanuel Goldstein e il suddetto Andy (Goldstein sembrava entusiasta dell’ambiente, che certo è ben diverso da quello degli hackmeeting tedeschi o americani, mentre Andy pareva un po’ perso nella totale anarchia); ho finalmente conosciuto Susan di persona; ho reincontrato varia gente di questo giro, come il suddetto Mayhem e il Dido, e conosciuto o ritrovato vari torinesi.

In più, si sta a Pisa; l’aria sa ancora di mare e di estate recente, e non fa freddo. Valeva davvero la pena di fare questo giro: nonostante lo sbattimento della sveglia mattutina e il ritorno notturno che mi aspetta, con un treno in partenza a mezzanotte e mezza, è stato un intermezzo rilassante.

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venerdì 28 Settembre 2007, 22:55

Dal Campidoglio all’Hackmeeting

Pensavo di avere tempo di inviare oggi un resoconto della conferenza di Roma, e invece no; non sono riuscito ad alzarmi prima delle dieci e mezza, poi sono stato preso da incombenze e lavori di vario genere, e domani mattina ho di nuovo la sveglia alle cinque e un quarto, per andare a prendere il primo treno per Pisa, dove quest’anno si tiene l’Hackmeeting e dove, domani pomeriggio alle 16, terrò il mio tradizionale seminario su teoria e pratica della governance di Internet.

E’ sicuramente interessante passare in due giorni da una conferenza diplomatica internazionale nella sala aulica in cima al Campidoglio, con Veltroni, Nicolais, Gentiloni, Casini e Folena, a una riunione in un centro sociale occupato, con Armin Medosh, Andy Mueller-Maguhn ed Emmanuel Goldstein, più la crema dell’acarità italiana. Questo genere di mescolanze è ciò che, da buon hacker, apprezzo di più nella mia attività di perturbatore istituzionale a lungo raggio; e mi arricchisce enormemente.

Peraltro la conferenza di ieri – pur ben riuscita, importante, interessante – mi ha confermato una situazione che già conoscevo, presentando una contraddizione stridente tra gli interventi degli ospiti internazionali, sia governativi che non, sempre preparati, sul punto, consapevoli, e quelli degli italiani.

A parte quelli di uno sparuto manipolo di esperti del settore (e ormai tra noi ci conosciamo tutti, e saremmo anche un po’ stufi di discettare nel deserto), gli interventi degli italiani in occasioni come quelle di Roma si possono raggruppare in tre grandi categorie.

La prima è quella di quasi tutti i politici, che arrivano in sala, leggono un discorso pieno di grandi principi in cui magari credono sinceramente ma che non hanno idea di come far avverare, e un secondo dopo scappano via senza ascoltare nessuno, per “improrogabili impegni istituzionali”.

La seconda è quella di chi, in una conferenza dedicata alla questione di lungo termine dei diritti umani su Internet, prende la parola per criticare davanti ai politici questo o quel fatto di attualità, questa o quella proposta di legge, che certo può essere ricondotta al tema dei diritti umani, ma è comunque ben marginale rispetto al tema della conferenza; e questa è ancora la migliore, perché deriva da una frustrazione e da una persistente difficoltà a comunicare con le istituzioni su questioni concrete, anche se si dovrebbe capire che est modus in rebus.

La terza è di quelli che arraffano il microfono solo per parlare, esponendo una loro teoria completamente avulsa dalla realtà, un loro progetto mirabolante che in realtà non sta in piedi, o una loro meravigliosa scoperta concettuale che, per chi si occupa seriamente di queste cose, è scontata da anni, con tanto di tomi universitari. Perché purtroppo, in Italia, la selezione in base al merito e alla sensatezza dei propri discorsi non esiste; e così, non si nega un podio a nessuno.

E quindi, sono convinto che, parlando dei temi caldi di Internet, troverò a Pisa almeno altrettanto merito e altrettanta sensatezza che a Roma, e forse anche di più.

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giovedì 27 Settembre 2007, 23:52

Parcheggi a Caselle (2)

Solo per rimarcare il concetto, ecco i costi per lasciare l’auto dalla mattina presto alla sera tardi all’aeroporto di Caselle:

  • Parcheggio ufficiale, coperto multipiano: 22 euro (ventidue!);
  • Parcheggio ufficiale, scoperto a 500 metri dal terminal: 16 euro;
  • Parcheggio discount Parktofly, con navetta che ti lascia e ti riprende davanti all’ingresso: 8 euro.

Secondo voi dove ho parcheggiato?

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