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martedì 18 Ottobre 2016, 14:33

Domande frequenti su me e il M5S

Non ho più scritto post sulla mia vicenda politica personale ormai da mesi; mi sento costretto a farlo perché, di qualsiasi cosa io mi metta a chiacchierare su Facebook, c’è spesso qualcuno che salta su a dire che rosico e voglio distruggere il Movimento 5 Stelle; anzi, i primi a dirlo sono alcuni attivisti ed eletti del M5S, nonché gli immancabili leoni da tastiera (ecco un simpatico commento sotto un mio post di sabato scorso, con tanto di simbolo del M5S nell’avatar, slogan #IODICONO e “giudeo” usato come insulto; anche se a un certo punto ho sospettato che dietro alla tastiera ci fosse Crozza).

grillino-vb-giudeo

Siccome ora vorrei tranquillamente lasciarmi alle spalle questa fase della mia vita, ho pensato di mettere in chiaro alcuni punti a cui potrò rapidamente rimandare in futuro.

Non sono arrabbiato per non aver fatto il candidato sindaco. Ho sempre sostenuto, sin da ottobre 2015, che Chiara fosse il candidato più “votogenico” e che fosse giusto che lei facesse il candidato sindaco; non ho mai presentato il mio nome in alternativa a lei.

Non ho sostenuto Chiara per avere qualcosa in cambio. Sospettavo fin dal principio che alla fine mi avrebbero scaricato, ma credo comunque che Torino avesse un disperato bisogno di ricambio, dopo vent’anni di PD, e che sostenere Chiara fosse la cosa giusta da fare per la mia città. Pensavo onestamente che i primi mesi della nuova amministrazione sarebbero stati migliori, ma comunque non mi pento del sostegno pubblico che ho dato ad Appendino in campagna elettorale.

Non sono arrabbiato per non avere “avuto la poltrona”. Mi sarebbe molto piaciuto partecipare alla nuova amministrazione: sono uno dei fondatori del Movimento a Torino, ho dedicato otto anni della mia vita a costruire questa possibilità e ho in testa tanti progetti innovativi che mi sarebbe piaciuto portare avanti. Tuttavia, sono perfettamente in grado di vivere senza la politica, e anche la mia professione mi piace e mi gratifica; anzi, vista la piega che ha preso la nuova amministrazione cittadina, sul piano personale rimanerne fuori è stata la miglior cosa che mi potesse capitare.

Non sono un arrivista. Se avessi pensato solo a fare carriera politica, nel M5S avrei gridato slogan, condiviso propaganda, leccato sederi e dato sempre ragione a chiunque avesse il potere di farmi avanzare, come si usa in Italia; mi sarei messo in lista per il consiglio comunale e avrei facilmente preso più preferenze di tutti gli altri, andando poi a fare il presidente del consiglio; oppure, alla peggio, avrei accettato le numerose offerte di candidatura da parte di altri partiti. A me, quando ho iniziato tanti anni fa, interessava solo l’esperienza a tempo determinato da portavoce dei cittadini, cosa che ho fatto con grande soddisfazione; i continui complimenti dei torinesi, che ricevo tuttora per strada, sono la ricompensa migliore.

Non ho cominciato a criticare il M5S solo ora che non ho “avuto la poltrona”. Ho sempre detto apertamente quello che penso, nel bene e nel male, perché credo nell’idea di trasparenza e di dibattito collettivo in rete da cui ha avuto origine il M5S. E’ almeno dal 2012, dall’epoca delle parlamentarie, che lancio l’allarme su una serie di progressive degenerazioni che hanno trasformato il movimento delle origini, quello dei portavoce dipendenti dei cittadini e della battaglia culturale, in un partito di giovani leader in carriera che raccontano propaganda come tutti gli altri. Speravo che servisse ad arginare il trend e invece è servito solo a farmi cacciare.

Non faccio “solo critiche negative per distruggere il Movimento”. Sono molti, in questi anni, gli articoli in cui ho fatto proposte costruttive per salvare e migliorare il M5S; l’ultimo è di meno di due mesi fa. Negli anni, ho persino fatto consulenze gratuite alla Casaleggio Associati su come far funzionare la piattaforma di “democrazia diretta”… Il problema è che il Movimento non ha mai voluto prendere in considerazione le proposte costruttive, e non dispone nemmeno di un luogo virtuale in cui portarle in discussione; e forse, dopo anni di proposte cadute nel vuoto, non ha più molto senso perdere tempo a scriverle.

Quando critico il M5S, non sto “sputando nel piatto in cui ho mangiato”. E’ vero, per cinque anni ho vissuto con i 1500 euro al mese da consigliere comunale, che però sono meno della metà di quello che guadagnavo prima col mio lavoro, senza nemmeno considerare l’ulteriore carriera che avrei potuto fare in questi anni, e senza considerare tutti gli “autofinanziamenti a cinque stelle” a cui ho partecipato. A ben vedere, si potrebbe dire che è il Movimento 5 Stelle che ha mangiato nel mio piatto e ora ci sputa dentro, ma mi sembra veramente un piano di discussione inutile.

Sono stato io a scegliere di non rifare il consigliere comunale, ma non sono stato io a scegliere di lasciare il Movimento 5 Stelle. Ho già spiegato che altri cinque anni in consiglio comunale non erano sostenibili, ma mi sono messo a disposizione in ogni altro modo possibile: prima da vicesindaco, e come altro consigliere uscente mi sembrava logico, poi da assessore alla partecipazione e all’innovazione, avendo competenze di livello internazionale sul tema, e infine da collaboratore del sindaco, anche se fare il portaborse non era certo un grande avanzamento professionale.

Ho fatto tutto questo anche se venivo da due anni di mobbing assiduo nei miei confronti, di manipolazioni dei miei messaggi usate per farmi passare per razzista, di richieste di dimissioni, di processi di partito a porte chiuse, di insulti, minacce e anche qualche spintone; l’ho fatto per la mia città, sentendomi in dovere di rimettere a disposizione i cinque anni di esperienza maturata, e anche per il bene del Movimento, sperando di portare il mio contributo di consenso e di idee. Ho ricevuto solo porte in faccia; dunque, resto fuori con la coscienza a posto di chi le ha provate tutte per non rompere il legame.

A luglio non mi sono arrabbiato per “la poltrona”, ma per il modo falso e scorretto in cui sono stato trattato. Io avevo già deciso di lasciare la politica un anno fa, e sono stati loro a cercarmi. Prima Grillo a gennaio mi telefonò chiedendo di rimettermi a disposizione, ed è andato avanti a darmi rassicurazioni fino al giorno del voto (da allora è sparito). Poi fu Chiara a dirmi di mandare tranquillamente la domanda da assessore, che sarebbe stata considerata “meritocraticamente”, promettendomi una risposta in poche settimane, che però non è mai arrivata.

A maggio vennero da me tre parlamentari (Airola, Castelli e Della Valle) che mi pregarono di ritirare la domanda per il bene del Movimento, perché, alla faccia della meritocrazia, “il gruppo” non mi voleva ma Chiara non sapeva come dirmi di no; io accettai di non fare polemica e andai in consiglio comunale a ribadire pubblicamente il mio sostegno, e lì fu Chiara, leggendo a verbale un discorso scritto da non so chi, a dire di sua iniziativa frasi come “Vittorio sarà ancora al nostro fianco” e “il suo lavoro sarà riconosciuto”. Nelle settimane successive, nel clou della campagna elettorale, mi chiesero di farmi fotografare in riunione attivisti, di parlare all’ultimo comizio, di fare appelli al voto, cosa che io feci lietamente.

Subito dopo il voto, Giordana, il factotum di Chiara, mi disse che ero una risorsa importante da valorizzare, e chiese a me cosa volessi fare: io mi offrii di entrare nello staff a occuparmi della partecipazione, visto che sono competente sul tema e che la promessa di nominare un assessore specifico era già stata cancellata. Lui accettò, poi vidi Chiara e accettò anche lei, chiedendo solo qualche giorno per i dettagli tecnici. Di lì in poi loro sparirono e non risposero più ai messaggi, fin che scoprii dal giornale che non ero nella lista degli staffisti.

Dopo un’altra settimana passata ad aspettare almeno una telefonata di spiegazioni, sbottai su Facebook e la cosa fu subito usata contro di me sul giornale cittadino, facendomi passare come un poltronista: invece di scuse ho ricevuto infamie. L’unico che ebbe la cortesia di chiamarmi fu poi Della Valle, che ringrazio, che mi spiegò che c’era stata una riunione segreta tra Chiara, Giordana e i consiglieri comunali, nella quale, votando, avevano deciso di escludermi da qualsiasi coinvolgimento nella nuova amministrazione.

In pratica, sono stati loro a usarmi durante la campagna elettorale per portare a casa qualche voto in più, e poi a scaricarmi subito dopo le elezioni, senza avere nemmeno la decenza di dirmelo in faccia o di chiedere scusa, facendomelo scoprire dai giornali e pure pubblicando in giro mezze verità e commenti sgradevoli per non prendersi la responsabilità delle proprie azioni. Per buona misura, in questo modo mi hanno anche impedito di tornare per tempo alla mia professione, lasciandomi poi in mezzo alla strada, a 42 anni, senza alcun preavviso; e questo non è certo un comportamento corretto.

Non serbo rancore, ma allo stesso tempo non posso più avere fiducia. Se incontro queste persone per strada (è successo in aeroporto per il viaggio a Palermo) le saluto e ci chiacchiero senza problemi, non faccio certo l’offeso. Tuttavia, come potrei lavorare ancora in un ambiente che si comporta in questo modo? Se fossi Napalm51 direi che “SONO PERZONE FALZEE!!1!!”, almeno alcune di loro, quelle che guidano il gruppo. E come sono state false con me, inevitabilmente lo sono con gli altri e con la città; e questo non è il mio modo di fare politica.

Quando commento le azioni di Appendino sindaca non lo faccio per vendetta. Lo faccio perché sono un cittadino attivo da quando sono ragazzo e ho sempre commentato la vita politica della mia città (in rete sin dalla fine degli anni ’90, e via blog dal 2003). Generalmente parlo delle cose che non funzionano, più che di quelle che funzionano, perché quello è il tipo di “fiato sul collo” che spinge chi ha in mano il potere a darsi da fare. Del resto, “siate cittadini attivi e fate fiato sul collo” era il messaggio iniziale degli Amici di Beppe Grillo, e per me si applica allo stesso modo anche se il sindaco è M5S invece che PD.

Non spero che Appendino faccia disastri e vada a casa. Scherziamo? Questa è la mia città, sarei folle a sperare che finisca in un disastro. L’inizio è stato deludente, ma le do ancora qualche mese prima di esprimere un giudizio più fermo, confidando che alla fine riesca a cavarsela, per il bene di tutti noi. Al massimo, posso consigliare a lei, ai suoi consiglieri e ai suoi sostenitori di passare meno tempo su Facebook a pubblicare comunicati e propaganda o a cercare presunti traditori, giornalisti e complotti piddini; e di concentrarsi di più sul loro lavoro, che è quello di fare qualcosa di concreto per migliorare Torino.

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mercoledì 5 Ottobre 2016, 15:42

M5S e il paravento dal basso

Non ho ancora preso posizione sulle proposte di modifica allo statuto del M5S attualmente in votazione, perché non ho ancora avuto tempo e voglia di studiarmele nel dettaglio.

Oggi, però, Beppe Grillo spiega quali sono le vere ragioni di questo voto, con un post alquanto singolare in cui ammette che non si tratta affatto di condividere la gestione del movimento con gli attivisti, di sperimentare la democrazia online o di favorire la partecipazione dal basso. Il vero motivo per questa votazione è (parole sue) che “nessuno possa fare appello e io non riceva migliaia di denunce”, inserendo il regolamento dentro il “non-Statuto” e istituendo “tre probiviri che faranno da paravento anche a me, perché io ricevo una querela al giorno!”. In pratica, lo scopo di tutta l’operazione è “proteggere un po’ me” (sempre parole sue) dalle querele che sta ricevendo per le espulsioni illegittime che ha firmato negli scorsi anni.

Già, perché, per chi non lo sapesse, negli scorsi mesi alcune delle persone espulse dal M5S con una mail firmata “in nome e per conto di Beppe Grillo” si sono rivolte a un tribunale, che ha sancito che quelle espulsioni sono illegittime, in quanto il non-Statuto non prevedeva alcuna possibilità per lo staff o per il “capo politico” di espellere degli iscritti. Anche il cosiddetto “regolamento del M5S” promulgato sul blog un paio di anni fa, quello che istituiva il direttorio e la procedura di espulsione, è illegittimo e nullo, perché non è stato mai discusso, votato e approvato dagli iscritti del Movimento 5 Stelle.

Infatti, la legge italiana stabilisce che gli iscritti ad una associazione, persino una associazione non formalizzata, hanno dei diritti inalienabili. Gli iscritti possono essere cacciati da una associazione solo secondo quanto previsto dal suo Statuto, e lo Statuto può essere modificato solo da una votazione di tutti i soci in una assemblea fisica regolarmente convocata. Tutto questo fino ad oggi non è avvenuto, per cui tutte le espulsioni avvenute fino ad oggi possono essere riconosciute illegittime, come già sancito in un caso specifico dal suddetto provvedimento del Tribunale di Napoli.

Non solo: tutte le persone che sono state espulse hanno diritto a chiedere il risarcimento dei danni, da quelli di immagine a quelli esistenziali per le sofferenze patite e le ingiurie ricevute, e a questo punto hanno ottime possibilità di ottenerlo. E chi lo dovrà pagare? Chi ha firmato le espulsioni: Beppe Grillo di tasca sua. E siccome le quantificazioni variano da 10 a 150 mila euro a testa, e si dice che gli espulsi siano centinaia, stiamo parlando di milioni e milioni di euro.

Per questo ora Grillo corre ai ripari, cercando di modificare lo statuto della “non-associazione” M5S in modo che le future espulsioni siano regolari; e invita tutti a “votare votare votare”, perchè, secondo la legge (art. 21 codice civile), una delibera di modifica dello statuto associativo richiede il voto favorevole della maggioranza dei presenti in una assemblea a cui partecipino almeno tre quarti degli iscritti; e quindi, se non avranno votato almeno tre quarti degli iscritti al M5S, la votazione sarà senz’altro legalmente nulla (ma questo lui non lo dice). Questo probabilmente spiega anche perché, dopo anni di votazioni online annunciate a mezzogiorno con chiusura del voto a mezzogiorno e un quarto, stavolta ci abbiano dato per votare addirittura un mese (ma anche questo lui non lo dice).

Purtroppo per lui, la procedura che sta seguendo non è comunque valida, perché il codice civile non prevede la possibilità di tenere una assemblea in forma virtuale, né di tenere la votazione aperta per un mese; i tre quarti suddetti devono essere presenti tutti nello stesso luogo e nello stesso momento. Inoltre, anche se la deliberazione fosse valida, non si potrebbe comunque applicare alle espulsioni già fatte in passato. E poi ci sarebbero anche altre questioni: per esempio, sarebbe necessario rendere pubblico almeno ai soci l’elenco e il numero degli iscritti, per poter verificare il raggiungimento dei quorum. E sarebbe necessario far scegliere all’assemblea alcuni segretari per la votazione, che possano testimoniare il corretto conteggio dei voti. E così via.

Su tutto questo, le opinioni possono legittimamente variare: uno può comunque pensare che le espulsioni fossero giuste, che l’appellarsi alla legge da parte degli espulsi sia un attacco malevolo al Movimento e che Grillo vada dunque aiutato in questo tentativo di crearsi un “paravento dal basso”. L’importante è essere coscienti di tutto lo scenario.

La questione di fondo, infatti, è che non si può creare un movimento, partito, associazione o quel che sia (il nome, come stabilito dal tribunale, non fa differenza) senza rispettare i minimi principi di democrazia interna previsti dalla legge. Questo nel M5S non è mai avvenuto, e ora Beppe rischia di farne le spese.

Sinceramente mi spiace per lui, perché non era lui la mente dietro a questi meccanismi. La sua unica via d’uscita, ridicola ma sostenibile, era affermare di non aver mai davvero sottoscritto quelle espulsioni, insomma di avere cacciato la gente a sua insaputa; e in almeno qualche caso che conosco personalmente credo che sia proprio successo così. Qualcuno deve averlo mal consigliato, invece, e così ora cerca una via d’uscita molto difficile; il che è umano, se non fosse che non ha niente a che vedere con la partecipazione e con la democrazia dal basso.

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sabato 1 Ottobre 2016, 09:58

Sui nuovi assessori di Virginia Raggi

Va detto subito: chiunque la Raggi avesse scelto come proprio assessore, i giornali avrebbero trovato subito qualcosa da ridire. Eppure, una riflessione va comunque fatta.

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Ho conosciuto Massimo Colomban nel 2013, alla GAM; me lo presentò Casaleggio quando mi chiamò a partecipare al lancio del progetto che avevano costruito insieme, quello di una “Confindustria a cinque stelle” dedicata alle PMI. Il progetto non mi pare andato molto lontano, ma Colomban mi sembrò comunque una persona molto valida, però di un tipo particolare: il classico self-made-man del Nordest abituato a decidere tutto in prima persona, maneggiare soldi e affari e lamentarsi delle tasse e degli statali fancazzisti. Mettere una persona così nell’ambiente della politica romana è come versare l’acqua nell’olio bollente: vedremo sicuramente molti scoppiettii, ma l’esito è tutto da capire e il rischio è o di far evaporare lui in un attimo, o di bruciare la cucina.

Quanto a Mazzillo, il fidato collaboratore dietro le quinte ora messo sotto i riflettori come assessore al bilancio, il profilo mi ricorda molto quello di Paolo Giordana, il braccio destro di Chiara Appendino: una persona che è stata a lungo all’interno delle amministrazioni PD, non ha più trovato lì il suo spazio e lo ha poi trovato nel M5S. Questo non vuole dire che siano persone stupide (anzi, tutt’altro) e nemmeno che siano in cattiva fede, ma è preoccupante il messaggio che si manda: quello che il M5S non sia in grado di reperire al proprio interno o tra i propri simpatizzanti le professionalità necessarie, e che quindi, dopo tante promesse di “spazzare via” il vecchio sistema, per combinare qualcosa quando è al governo debba arruolare gente che viene dal PD, con tutta la rete di conoscenze e amicizie pregresse. A questo punto, il rischio è che la gente si chieda se non si faccia prima a rivotare direttamente il PD.

Per questo, al di là di augurarmi che la Raggi ora riesca a lavorare e a cambiare la sua città nei fatti, credo che sia urgente che il Movimento affronti la questione di come selezionare una nuova classe dirigente: perché presto governerà un po’ dappertutto, e le prossime volte sarà necessario essere più pronti.

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venerdì 30 Settembre 2016, 13:39

Una recensione su Villa Valguarnera

Come sapete mi piace viaggiare, e da qualche tempo, per passione e per ricambiare di un servizio di cui ho usufruito moltissimo, ho cominciato a recensire regolarmente le strutture su TripAdvisor. Stavolta però voglio lasciare la recensione anche qui sul blog, sperando di contribuire alla conoscenza di un luogo magnifico come Villa Valguarnera.

Come si fa a recensire con dei pallini il pernottamento in un luogo come Villa Valguarnera? Non si può, è fuori categoria: ci andate se capite e apprezzate ciò che è, nel bene e nel male, altrimenti andate altrove. Solo, non pretendete di valutare il soggiorno con i normali criteri di un qualsiasi albergo scelto a caso su Internet.

La villa, il suo giardino e le sue dipendenze (quelle in cui dormirete) sono, in sé, di una bellezza mozzafiato; un complesso settecentesco di grande armonia, incastonato nel paesaggio, che a noi torinesi ha ricordato molto la coeva reggia di Stupinigi. Sono anche rovinate dal tempo, ma non certo degradate o sporche; anzi, rispetto alle dimensioni e al fatto di essere completamente a carico della proprietà, sono ben tenute; e uno dei motivi per soggiornare qui è dare una mano coi vostri soldi al mantenimento e al restauro di un bene del genere.

Un altro motivo per soggiornare qui è sperimentare la sensazione di ripararsi in un’isola di bellezza, di cultura e di storia, assediata da un mare di degrado e di ignoranza. Non mi soffermerò troppo sull’immondizia, sugli edifici fatiscenti e/o abusivi (compresi quelli costruiti dalla mafia nel parco della villa), sulla musica tamarra sparata a tutto volume e sugli altarini al neon per Santo Padre Pio che caratterizzano il centro urbano di Bagheria, ma varcando l’imponente cancello si passa anche il confine tra il disagio e la tranquillità, tra il degrado e la speranza: può sembrare una sparata pomposa, ma provate e mi direte, e anzi questa è proprio la situazione giusta in cui percepire quanto la bellezza dell’ambiente e la bellezza dell’animo siano direttamente connesse, sia in positivo che in negativo.

Noi abbiamo soggiornato nell’appartamento più piccolo, quello da due persone, oggetto in un’altra recensione di critiche con tanto di foto. E’ vero, è un’antica dipendenza, ma proprio per questo è piena di carattere, pensata e arredata come tale. Vi troverete in un’ampia camera e un grande salone; e sì, le piastrelle dell’angolo cucina sono sbiadite dall’uso, l’arredamento affianca splendidi mobili antichi ad altri più anonimi, i muri sono un po’ scrostati; come indicato, si tratta di un appartamento privato messo in condivisione, non della stanza di un albergone. Tuttavia, tutto l’insieme è di grande fascino, di grande gusto, molto ampio, ed è anche comodo e fruibile, specialmente d’estate, dove godrete sia dell’ombra all’interno che del patio esterno; il letto è molto comodo, la doccia è stata rifatta da poco, e nel complesso ci siamo stati bene e senza la minima necessità di lamentarci (tra l’altro avendo avuto un’accoglienza gentilissima e molto disponibile).

Insomma, se venite qui con l’idea che trattandosi di una villa principesca troverete rubinetti d’oro, piscine idromassaggio e Ferrari nel cortile, avete guardato troppe fiction; ci troverete invece edifici vecchi di trecento anni con tutta la loro storia, e proprio questo è il bello. Qui non si viene per il lusso materiale, ma per quello mentale; per lo stimolo intellettuale ed estetico di stare in un luogo unico, parte della storia letteraria e culturale d’Italia, e questo è assolutamente impagabile.

Le esperienze stimolanti non mancano: per esempio la possibilità di camminare quanto volete nel meraviglioso giardino, respirare il profumo dei fiori, ammirare il panorama naturalmente splendido, devastato dal cemento degli uomini, che digrada fino al mare in due direzioni diverse. E poi la possibilità di fare due chiacchiere con la padrona di casa, che non solo risponde amabilmente al cellulare, ma vi racconterà le vicissitudini della sua lotta per difendere la villa, il suo rapporto con Tolkien (anche se, fossi in lei, mi sarei stancato da un pezzo di parlarne) e tante altre cose.

Purtroppo noi non abbiamo avuto modo di visitare l’interno della villa, ma torneremo senz’altro se ne avremo l’opportunità, perché per noi non è stato un pernottamento, ma una esperienza per i sensi e per il cervello. Se questo è ciò che vi interessa, venite a goderne anche voi.

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mercoledì 28 Settembre 2016, 15:11

Due parole contro la Bolkestein

Oggi in tutta Italia i mercatali manifestano contro la direttiva Bolkestein, che richiederebbe di mettere all’asta nel prossimo futuro tutti gli spazi attualmente assegnati nei mercati. E siccome ho già visto girare commenti con la puzza sotto il naso che accusano di “mafia” e “lobby populista” chi si oppone a questo ennesimo sprazzo di neo-liberismo, vorrei spiegare alcune cose.

Il problema della Bolkestein nei mercati è oggettivo: l’intero settore è in ginocchio da un pezzo per la crisi, e se liberalizzi e metti all’asta le licenze avrai migliaia di microimprese familiari che, non avendo i capitali per rilanciare e anzi avendo anni di debiti con Equitalia, chiuderanno e lasceranno il posto, mentre i mercati si trasformeranno in una appendice in bancarella delle varie catene di supermercati o perlomeno nel territorio esclusivo di pochi grandi operatori che al posto degli operatori indipendenti di oggi impiegheranno precari sottopagati e immigrati in nero.

Questo è talmente evidente che nei Comuni non si trova alcun partito che si dichiari a favore della Bolkestein, e persino l’assessore al commercio PD della scorsa consigliatura ha passato gli ultimi due anni a dire che Fassino sarebbe andato a Roma a discutere con Renzi come fermare l’applicazione della direttiva.

Dopodiché senz’altro esistono situazioni in cui l’assegnazione e la gestione delle licenze sul suolo pubblico è in mano a mafie e mafiette con la complicità di politici e funzionari conniventi o intimiditi, e il problema dei Tredicine a Roma (citato nei post critici) è reale, ma questo non cancella comunque il problema originario, che riguarda decine di migliaia di piccoli operatori in tutta Italia, e che andrebbe affrontato seriamente senza trasformarlo nella solita occasione per accuse strumentali tra partiti.

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martedì 6 Settembre 2016, 17:27

Caro Beppe, permetti un consiglio?

Caro Beppe,

come sai, nonostante le tue rassicurazioni e le tue pubbliche affermazioni di stima, io ho ormai un piede e mezzo fuori dal Movimento 5 Stelle, e non per scelta mia. Eppure, nonostante tutto, io al Movimento ci tengo ancora, e mi rattrista vederlo affondare nel caos e nel fango, perché è tuttora l’unica speranza di cambiamento che è rimasta agli italiani.

E allora, scusami se mi permetto: nulla è perduto, ma c’è bisogno di un cambiamento deciso di rotta per affrontare i problemi che sono emersi. Per questo, costruttivamente, mi permetto di darti un consiglio e un elenco di alcune cose da fare subito per salvare il Movimento.

1. Crea un contrappeso al potere dei leader politici. Le persone che fanno carriera politica nel Movimento, quelle che inevitabilmente acquisiscono visibilità, seguito personale e potere, non possono essere le stesse che ne decidono le regole, che giudicano sulle espulsioni, che scelgono cosa rendere trasparente e cosa nascondere al pubblico. Scegliti un tot di persone di tua fiducia, che abbiano la mentalità e l’integrità del Movimento delle origini e che non siano elette né candidate, e affida a loro il compito di discutere con te il modo di difendere i principi del Movimento, e di far rispettare le sue regole.

2. Rimetti al centro del Movimento la democrazia dal basso. La vera proposta rivoluzionaria del M5S era quella di attivare tutti i cittadini tramite la rete. E’ difficile, è utopico? Forse, ma è l’unico modo di cambiare davvero la politica. Negli ultimi anni le votazioni online sono diventate una farsa, annunciate e poi ritirate o modificate a metà, oppure studiate per ratificare decisioni già prese. Avvia un progetto serio su come usare la rete per dare veramente ai cittadini la possibilità di controllare i propri eletti, anche in Parlamento.

3. Rendi elettivi e temporanei i ruoli di leadership politica. Un direttorio sempre fisso dà per forza di cose luogo a correnti, a invidie, a lotte per il potere. Fai in modo che i suoi membri ruotino e che siano eletti ogni anno dalla base, e allo stesso modo obbliga a mettere ai voti sul portale le candidature principali, invece che farle decidere in una stanza chiusa da gruppetti di eletti e attivisti.

4. Imponi il rispetto rigido dei principi etici. Non vogliamo più sentire storie di parenti e fidanzati piazzati qua e là, e nemmeno vedere gente con vent’anni di dubbie frequentazioni riciclata in un attimo come assessore nel Movimento 5 Stelle (vedi Muraro). E non vogliamo più essere presi in giro raccontandoci balle, come è appena successo a Roma.

5. Crea un meccanismo di selezione e formazione della classe dirigente. Se quando vinciamo le elezioni l’inesperienza è un problema, la soluzione non è affidarsi ai riciclati, ma mobilitare le competenze migliori e assicurarsi di metterle nei posti giusti, specialmente quando si parla di cariche non elettive ma nominate; possibilmente muovendosi per tempo e garantendo la totale trasparenza dei meccanismi di scelta.

6. Ripristina il taglio degli stipendi. Le ultime ondate di eletti a cinque stelle paiono essersi dimenticate dell’idea che si possa fare politica anche senza guadagnare centomila euro l’anno, e ci sono ormai molti casi di eletti dallo stipendio di giada che non si tagliano più un bel niente. Con buon senso, magari con differenze tra i ruoli tecnici e quelli politici, ma assicurati di togliere i soldi dalla politica a cinque stelle, ma sul serio però.

7. Fissa una regola chiara e sensata sugli indagati. Siamo stati troppo giustizialisti in passato? Forse sì, ma ancora peggio, il vertice del M5S ha sfruttato gli avvisi di garanzia come una clava per colpire gli avversari interni ed esterni, per cui una indagine su Pizzarotti era “più indagine” di una indagine su un amico del direttorio. Questo deve finire: dimostriamo maturità, anche a costo di spiegare a qualche elettore esagitato che un avviso di garanzia non è una condanna; purché questo principio valga per noi come per i nostri avversari.

8. Smetti di criminalizzare il dissenso. Spiega tu a tutti che anche le persone che esprimono critiche (purché motivate e costruttive) danno un contributo al Movimento, e che il ruolo degli attivisti non è adulare gli eletti e farsi un selfie con loro, ma fargli fiato sul collo come e più che ai partiti. Smetti di cacciare (o far cacciare da mail semi-anonime) le persone che pensano e che osano sollevare le questioni di principio, e comincia a cacciare quelle che dicono sempre di sì e poi appena ti giri si approfittano della propria posizione. Spiega che se sui giornali escono racconti di comportamenti poco edificanti da parte di alcuni nostri eletti, la colpa non è dei giornalisti o di chi nel Movimento contesta questi comportamenti, ma di chi nel Movimento si è comportato in modo poco edificante.

Secondo me, se vuoi provare a salvare il Movimento, questo è ciò che devi fare. Altrimenti, il Movimento vincerà pure le prossime elezioni politiche, ma perderà l’anima; e alla fine in Italia cambierà poco o niente.

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venerdì 2 Settembre 2016, 11:55

Caro Stato, fatti i cavoli tuoi

Si sa, ogni giorno in Italia sui social network parte un’ondata di indignazione e di scherno contro qualcosa; talvolta meritata, talvolta no. Quella di ieri, meritata, è contro la ridicola campagna pubblicitaria del Ministero della Salute che vorrebbe convincere i giovani italiani a fare più figli; una campagna che è innanzi tutto una prova di incapacità amministrativa, dato che evidentemente è stata affidata a dei “professionisti” talmente scarsi da aver partorito slogan e immagini che hanno fatto ridere tutto il Paese.

Finito di ridere, però, è necessario comprendere il vero, grave problema che si ripete continuamente nella politica italiana: quello per cui chiunque abbia in mano il potere si sente in diritto di imporre agli italiani i propri valori e le proprie visioni della vita.

E’ vero, difatti, che la società nel suo complesso ha sotto molti punti di vista un interesse effettivo a promuovere un tasso di natalità più elevato, che vuol dire, banalmente, più contribuenti in futuro e più energie fresche per sviluppare il Paese; anche se il sospetto è che le considerazioni politiche dietro la campagna non siano tanto queste, quanto il desiderio degli alleati centristi di Renzi di appagare il Vaticano e quell’elettorato cattolico integralista che ormai è ridotto a un manipolo di ultrà adinolfici, ma che nella testa dei politici è ancora dilagante.

Ma anche lasciando perdere la questione se la soluzione migliore al calo della natalità sia una pubblicità su Facebook, il problema è che in una società libera l’individuo ha innanzi tutto il diritto di fare scelte che non perseguano l’interesse e il benessere collettivo, ma il suo individuale; e lo Stato può limitare o contrastare questo diritto solo là dove lede direttamente l’uguale diritto degli altri, ma non, invece, per imporre all’individuo di allinearsi a un modello di vita che non condivide.

Se non si parte da un principio libertario come questo, si va verso società totalitarie in cui l’interesse collettivo giustifica qualsiasi prevaricazione; non solo, come una volta, il matrimonio obbligato e pianificato in funzione dell’accrescimento della numerosità e del patrimonio familiare, ma pure l’eugenetica (perché è interesse sociale non avere individui deboli al proprio interno), l’omofobia (perché non funzionale alla riproduzione) e così via.

In questo tipo di società, chi è al potere segue una ideologia che descrive il modo “corretto” di vivere, e la impone a tutti i cittadini. Purtroppo, questa mentalità è molto diffusa in tutta la politica italiana, vecchia e nuova, perché non c’è differenza concettuale tra promuovere la fertilità per rafforzare numericamente la popolazione e promuovere il veganesimo per ridurre l’impatto ambientale dell’alimentazione; o impedire alle famiglie di dar da mangiare ai bambini a scuola quello che vogliono, montando una serie di scuse organizzative e pseudo-sanitarie per nascondere il fastidio di non poter obbligare i figli degli altri a essere tutti uguali e allineati al modello che si vuole imporre.

Il messaggio post-ideologico del Movimento 5 Stelle, in origine, era anche questo: l’ideologia di Stato e di partito limita la libertà degli individui di essere felici e vivere come meglio credono, per cui perseguiamo una società senza ideologie. In questo senso, il M5S delle origini era una speranza per i laici e libertari, e spiace vedere che il M5S di oggi, come già tutti gli altri partiti, abbia completamente abbandonato questa idea.

Il problema politico, dunque, ritorna a essere generale: quello dell’italiano che deve difendersi dallo Stato e dai politici non solo sul piano dell’incompetenza e della disonestà, ma anche su quello del vedersi consigliare o direttamente imporre grandi e piccole scelte di vita. Chissà se e quando gli italiani riusciranno ad avere la meglio.

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martedì 16 Agosto 2016, 13:56

Un disastro certificato

Qualche giorno fa, mi è arrivato l’avviso di scadenza della mia casella di posta elettronica certificata, che avevo aperto tre anni fa presso le Poste.

Ora, la webmail PEC di Postecert è una cosa orripilante, con una interfaccia che pare ferma al 1999 e all’era dei CGI, con font piccolissimi e illeggibili, pulsanti indistinguibili, nessun tipo di responsività… un disastro di interfaccia utente. Però funziona, e per le tre volte l’anno che mi serve va bene, per cui mi loggo, entro e… nell’account non c’è il pulsante di rinnovo e nemmeno alcun avviso di scadenza.

Allora rileggo la mail, e scopro che per rinnovare la casella PEC bisogna andare su un altro sito, loggarsi con un altro account con diverso username e password, ed effettuare la procedura. Digito l’indirizzo, e il browser resta appeso, dando infine errore; solo dopo un paio di tentativi capisco che il sito è solo HTTPS e non c’è la banale redirezione automatica dall’HTTP, ma bisogna inserire “https” a mano.

Mi viene allora fuori una pagina in Times New Roman, priva di CSS, nella quale (dopo aver recuperato da vecchie mail i dati) effettuo il login e avvio il rinnovo, ma senza che mi venga detto quanto costa. Mi viene presentato un form (altro che 1999, siamo a metà anni ’90) nel quale ci sono tutti i miei dati e, con un elegante dropdown, posso scegliere la durata del rinnovo. Soltanto nell’ultima schermata di conferma compare la cifra, peraltro inserita in mezzo al form tra tutti gli altri dati, e per sapere quanto costano le varie opzioni disponibili devo tornare indietro e reinviare la form scegliendo ogni volta una durata diversa…

Alla fine rinnovo, pago (su un altro sito ancora) con carta di credito, non mi arriva nemmeno una mail di conferma ma penso sia andato tutto a buon fine. Però mi chiedo: ma se i maggiori servizi digitali del Paese sono messi così, dove pensiamo di andare? E dire che di persone in grado di progettare un servizio web almeno decentemente usabile ormai ce ne sono molte, e ne conosco qualcuna che pure già lavora con le Poste, ma allora come è possibile che in questo settore l’approssimazione continui a dilagare?

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mercoledì 3 Agosto 2016, 09:54

Sul MOI facciamo chiarezza

Oggi torna sui giornali l’argomento dell’ex MOI, occupato da più di tre anni da centinaia di immigrati, e di come liberarlo dall’occupazione, che – al di là degli alti e bassi, dei reati più o meno gravi che lì si sono compiuti e delle esperienze di comunità che vi si sono costruite – non può certo durare in eterno, anche perché la proprietà ha ottenuto da tempo dalla magistratura un ordine di sgombero la cui esecuzione, finora sospesa per motivi di ordine pubblico, non può essere rinviata all’infinito.

L’argomento è delicato e divide trasversalmente le idee e le coscienze; divide anche il Movimento 5 Stelle, tanto che in consiglio comunale io e Chiara ci esprimemmo diversamente, e che nel programma elettorale si è stati ben attenti a non essere troppo chiari su ciò che si vuole fare, usando gli stessi giri di parole che ritrovo negli articoli di oggi.

Difatti, sul fatto che l’occupazione vada superata siamo tutti d’accordo, ma ci si divide sul come: dando una casa o una sistemazione agli occupanti, al di là del fatto che ne abbiano o meno diritto, pur di scongiurarne le proteste; oppure agendo se necessario con la forza per allontanarli, ma senza concedere loro un trattamento diverso da quello di chiunque altro?

Il problema di fondo, infatti, è che gli occupanti appartengono sostanzialmente a queste quattro categorie:
1) profughi che hanno completato il ciclo di accoglienza, sono già stati mantenuti dallo Stato per un paio d’anni e poi sono rimasti in Italia regolarmente ma senza lavoro e sostegno, lasciati in mezzo a una strada (parecchi dei primi occupanti del MOI erano ex occupanti di via Asti e prima della Clinica San Paolo);
2) finti profughi, ovvero richiedenti asilo la cui domanda è stata bocciata e ora sono in Italia come clandestini;
3) clandestini “semplici”, ossia persone entrate in Italia irregolarmente o il cui permesso di soggiorno è scaduto, e che non sono mai state richiedenti asilo;
4) immigrati regolari rimasti senza lavoro e senza mezzi di sussistenza (che, presumibilmente, diventeranno clandestini alla prossima scadenza del permesso di soggiorno).

Nessuna di queste quattro categorie avrebbe diritto ad alcun sostegno da parte dello Stato o del Comune, a parte forse qualcuno delle ultime due se si scoprisse che ha i requisiti per essere un profugo senza aver mai richiesto tale status (ma è un caso raro, perché chi può fa subito la domanda).

C’è, però, un primo “ma”. La maggioranza uscente decise, nel dicembre 2013, di concedere anche agli occupanti abusivi la residenza a Torino, istituendo l’indirizzo fittizio di “via della Casa Comunale 3”. Quella fu una delle occasioni in cui io e Chiara ci dividemmo; lei era favorevole, io astenuto (potete leggere qui i riassunti dei nostri interventi in aula e anche il mio post dell’epoca).

La conseguenza più importante di questa decisione è che nel prossimo inverno centinaia di occupanti del MOI (un anno fa risultavano essere per l’anagrafe oltre 700) matureranno tre anni di residenza a Torino, e come tali avranno il diritto di ottenere una casa popolare, probabilmente passando in cima a tutte le graduatorie visto il loro stato di nullatenenti assoluti (tra l’altro, la legge regionale esclude dalle case popolari chi occupa abusivamente una casa popolare, ma non chi occupa abusivamente altri tipi di alloggi). E dato che a Torino sono disponibili 400-500 alloggi ATC l’anno, se le cose rimarranno così, è probabile che per un anno non ci siano case per nessuno se non per gli ex occupanti del MOI.

All’epoca si disse anche che le regole regionali sarebbero state riviste per “diluire” questo flusso, evitando una paralisi del sistema che avrebbe facilmente portato tensioni sociali; non so se sia stato fatto o se intendano farlo ora, viste anche le recenti dichiarazioni di Fassino sulla doppia graduatoria. Questo, però, rende ancora più urgente mettere mano alla situazione del MOI.

Soluzioni facili non ce ne sono; gli articoli parlano di un modello simile a quello usato per Lungo Stura Lazio. Lì, però, la situazione era diversa; non si parlava di occupanti abusivi organizzati di edifici altrui, ma di persone che si erano accampate dove e come potevano; i clandestini erano pochissimi, e molti invece erano cittadini italiani o europei, anche con un lavoro per quanto misero e precario, con diritti già maturati e con pieno diritto a rimanere in Italia; inoltre, c’erano cinque milioni di euro messi a disposizione dallo Stato centrale. Qui, se non arriva uno stanziamento specifico da parte del governo, soldi non ce ne saranno, a meno che il Comune non li reperisca di suo, dal proprio bilancio, togliendoli a qualcos’altro.

Si capisce che il pericolo di uno sgombero senza paracadute sia grave: cosa farebbero centinaia di persone senza nulla da perdere, una volta allontanate da lì, perdipiù assistite da centri sociali e organizzazioni pro migranti? Occuperebbero qualcos’altro, manifesterebbero in blocco per il centro? Da qualche parte dovranno pur andare.

D’altra parte, anche stabilire il principio che chi occupa in blocco prima o poi sarà sistemato, al di là dei propri diritti, è molto pericoloso. A quel punto cosa impedirebbe a una parte delle centinaia di migliaia di clandestini o di profughi che vivono in Italia di occupare in blocco edifici fatiscenti per farsi sistemare dal Comune di Torino? Chi convincerebbe i profughi che hanno terminato il ciclo di accoglienza, di solito senza conquistarsi alcuna sistemazione o autonomia economica, ad uscire pacificamente e arrangiarsi? E a cosa servirebbe sgomberare il MOI con tanta fatica, col rischio che un mese dopo ci siano altre 800 persone accampate lì in attesa di farsi sistemare?

Qualunque scelta si faccia i problemi sono grandi, e questo è innegabile. D’altra parte, è anche bene che le scelte siano chiare; e per ora non lo sono. Non si è capito, infatti, quale delle due strade voglia percorrere l’amministrazione; se vuole fare un censimento per aiutare solo quelli che ne hanno diritto in quanto profughi non ancora accolti, già sappiamo che saranno una sparuta minoranza e che resterà il problema di tutti gli altri; se invece vuole sistemare tutti gli occupanti, o anche solo inserire nelle case popolari quella grande maggioranza degli occupanti che ha avuto la residenza, perché “siamo tutti esseri umani, la casa è un diritto di tutti e sogniamo un mondo senza frontiere”, come sentivo ripetermi dagli esponenti del M5S che ora si occupano della materia, allora vorrei capire come potrà spiegare la cosa alle migliaia di famiglie italiane e straniere che vengono sfrattate ogni anno e che finiscono in mezzo a una strada o si arrangiano come possono, aspettando per anni una casa senza occupare alcunché.

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sabato 30 Luglio 2016, 19:04

La pace è fuori dalle chiese

Fa piacere che, con spirito di pace, molte comunità musulmane in Italia e in Europa (anche se, ho letto, non quella torinese) domani mandino dei rappresentanti ad ascoltare la messa nelle chiese cattoliche.

Eppure, al di là dello spirito di pace, a me l’aspetto simbolico dell’iniziativa convince poco; per prima cosa, perché l’integrazione avviene alla pari e non costringendo gli uni a partecipare al rito religioso degli altri. Questo però si può risolvere: basta che la settimana prossima siano i cattolici ad entrare nelle moschee.

Ma più ancora sono perplesso perché l’integrazione non riguarda solo i fedeli delle due religioni, ma tutta la società; riguarda anche i fedeli delle altre religioni meno praticate, e riguarda chi non si riconosce in alcuna religione; pezzi di società che dalla strombazzata iniziativa di domani sono apertamente esclusi.

Il luogo giusto per l’integrazione, simbolica e pratica, non è un luogo di culto, ma è la sede laica dell’istituzione pubblica; è la scuola, è il posto di lavoro, è la politica, è il teatro e lo stadio. Quelle sono le sedi dove tutta la società si deve unire al di là delle differenze, non una chiesa, che per definizione, in una società laica e multireligiosa, accoglie solo una parte della cittadinanza.

Perché altrimenti il rischio è che il tema di importanza storica dell’integrazione degli islamici in Europa venga sfruttato da una parte del mondo religioso cristiano, quello che non a caso spesso promuove e organizza l’immigrazione senza se e senza ma, per un proprio obiettivo politico di parte: reintrodurre la religione nel cuore dello Stato, rimetterla al centro di una vita pubblica e politica da cui, per uguaglianza e rispetto di tutti i cittadini, dovrebbe essere stata allontanata ormai da molto tempo. Così, almeno, deve essere se l’obiettivo è una società laica, tollerante e libertaria, anziché una società vincolata da precetti più o meno rigidamente interpretati di libri religiosi di epoche antiche.

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