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giovedì 13 Giugno 2013, 11:56

C’era un movimento, che cosa ci sarà?

Quando, più di cinque anni fa, andai per la prima volta – per vedere com’era – a una riunione del futuro Movimento 5 Stelle, furono molte le cose che mi colpirono positivamente e mi convinsero a crederci.

C’era un movimento pieno di idee e di visioni positive, che sognava apertamente un mondo migliore e sapeva anche spiegarlo, che dava speranza a chiunque vi si avvicinasse, che magari mandava affanculo l’establishment, ma non parlava solo di aggressioni e guerre e cattiverie altrui.

C’era un movimento che aveva per obiettivo non i voti ma il miglioramento culturale delle persone e della società, che è stato fondamentale per la mia crescita, e da cui ho imparato molto.

C’era un movimento che puntava a informare ed educare le persone per renderle cittadini consapevoli, basando la propria azione sul coinvolgimento di tutti.

C’era un movimento che manteneva attiva una discussione costante, tramite la rete e tramite i meetup, in cui tutto veniva raccontato e tutte le opinioni potevano esprimersi, magari in modo dispersivo e talvolta distruttivo, ma comunque aperto – e ogni tanto ci si incontrava a livello regionale e nazionale, e si diventava anche amici, e l’idea di buttarsi fuori a vicenda era sconosciuta.

C’era un movimento in cui la trasparenza era totale, in cui gli eletti erano i più capaci e attivi del gruppo, con anni di sbattimento alle spalle, eppure erano solo portavoce e tutti gli facevano continuamente le pulci in maniera quasi ossessiva, e non si sarebbero mai offesi per questo, né avrebbero pensato di scaricare Grillo in TV o di sentirsi più importanti degli altri.

Di tutto questo, ormai alla prova dei fatti resta sempre di meno: perché? In parte, il cambiamento è inevitabile: quando si passa dal progetto alla sua realizzazione si scopre che le cose sono un po’ diverse da come sono state immaginate, sicuramente più difficili, e le idee vengono riviste o adattate alla realtà. Tuttavia, lo status quo ha una forza immensa, ed è molto molto difficile (lo provo io sulla mia pelle) riuscire a conservare la diversità, non tanto nelle proposte ma nei metodi, che sono la nostra vera novità.

Il rischio, dunque, è che invece di dare forza alle nostre idee originali, adattandole solo per quanto necessario a realizzarle davvero, esse diventino un dogma da ripetere a parole, per poi agire in maniera ben diversa.

Per questo, è inutile disperarci, o dare la colpa a Grillo o a chi altro. L’importante è capire che c’è qualcosa da correggere e che bisogna ritrovare ciò che ci distingue dagli altri, perché è proprio la sua progressiva sparizione che ci svuota di significato e quindi di consenso. Tutto quello che c’era c’è ancora, sepolto sotto le difficoltà e le pressioni, ma serve uno sforzo consapevole per ritirarlo fuori, e una grande forza per mantenerlo al centro dell’azione, senza lasciarci spingere via.

E’ in questi momenti che serve il carisma delle persone di valore. Serve, però, per unire e non per cacciare, per affrontare i problemi e non per negarli. Serve per smettere di girare in tondo, di farsi catturare e rinchiudere in un gran lavoro istituzionale spesso completamente inutile, di perdere le priorità e i valori; serve per organizzare la sterzata che rimetta la barca sulla rotta giusta.

Serve, innanzi tutto, parlarci a quattr’occhi, trovare le soluzioni, motivarci a vicenda. Bisogna saper immaginare il Movimento dei prossimi anni: il suo ruolo politico, la sua strategia, la sua organizzazione. Serve pensarli con forza e perseguirli con attenzione, perché se non lo faremo verremo sbriciolati e mangiati, diventando un partitino stanco senza nemmeno accorgercene; non basta non voler essere un partito per non diventarlo, serve trovare esplicitamente una via nuova.

Il mio post sui quindici punti ha raccolto molti consensi da consiglieri comunali, da attivisti, da elettori. Ai livelli più alti del Movimento, però, paiono troppo impegnati per ascoltare, perché la priorità è cosa scriverà il giornale domani, non che movimento sarà tra cinque anni, e come fare perché esista ancora. Per chi è in prima linea è giusto che sia così, ma serve che, da qualche altra parte, si possa discutere e lavorare anche sulle questioni di lungo periodo, almeno tra le persone che hanno l’esperienza e la visione per farlo. Io però, oltre a dirlo, non posso farlo da solo.

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venerdì 31 Maggio 2013, 15:44

Inceneritore del Gerbido: rotto al secondo giorno

La battaglia contro l’inceneritore del Gerbido è da sempre una delle principali priorità del Movimento 5 Stelle a Torino; da anni spieghiamo come l’incenerimento sia il modo sbagliato di disfarsi dei rifiuti, perché l’errore sta nel consumare materie prime preziose, in esaurimento a livello planetario, per realizzare un oggetto che si usa una volta e poi si brucia, estraendone al massimo una piccola frazione dell’energia necessaria a produrlo e creando ceneri e scarti tossici che poi dovranno comunque essere interrati o smaltiti. L’obiettivo deve essere quello di buttare via il meno possibile, di riutilizzare le cose il più possibile e di riciclare la materia prima di ciò che si butta; obiettivo peraltro sancito da una decisione europea che prevede nei prossimi anni il divieto di bruciare qualsiasi materiale che sia recuperabile.

A fronte di questo, spendere mezzo miliardo di euro per costruire un inceneritore è una scelta sciagurata; nel resto del mondo, dove li hanno costruiti venti o trent’anni fa, se ne stanno disfando, e tra pochi anni, almeno se facessimo le cose secondo una logica europea, non ci sarà comunque più niente che si possa o si debba bruciare; ma noi avremo questi enormi forni sulle croste e dunque dovremo restare indietro, invece di sviluppare nuove tecnologie, perché non ce li siamo ancora ripagati. Infine, la raccolta differenziata porta a porta e il riciclaggio creano molti posti di lavoro, mentre all’inceneritore, nonostante il mega-investimento, lavorano una manciata di persone.

Comunque, le amministrazioni locali proseguono imperterrite sulla strada dell’incenerimento, e dunque l’impianto del Gerbido è arrivato alla fase di prova; il primo maggio è iniziato ufficialmente il regime provvisorio, in cui si bruciano rifiuti per provare l’impianto. Ebbene, il due di maggio si era già verificato un grave incidente, che ha costretto a bloccare tutto. In pratica, pioveva sui circuiti elettrici a 6000 Volt; un difetto da niente!

Ovviamente, alla prima pioggia un po’ intensa è saltato tutto, e poi… chi abita intorno all’impianto ha visto fumi grigiastri uscire dal camino per tutta la notte, ma, nonostante le promesse di controllo, trasparenza e sicurezza, non c’è stata alcuna comunicazione ufficiale sull’accaduto. Per questo sono arrivati i vostri consiglieri comunali preferiti, che hanno presentato una interpellanza costringendo l’amministrazione comunale a riferire in aula.

Nel video trovate i venti minuti di dibattito che ne sono seguiti, ma in breve ciò che abbiamo appurato è che l’incidente c’è stato, esattamente come descritto, e che di conseguenza vi sono state emissioni più alte del normale di vari elementi inquinanti, in un caso anche fuori dai limiti di legge; e che però questo non è un problema, perché la legge italiana consente agli inceneritori di sforare i limiti di legge sull’inquinamento per sessanta ore all’anno!

L’amministrazione ci ha garantito che sono state seguite tutte le procedure di emergenza, ma quello a cui non hanno risposto, e torneremo alla carica, è quali siano tali procedure. In particolare, a noi risulta che in mancanza di corrente non funzioni nemmeno il sistema di filtraggio dei fumi, che vengono dunque scaricati nel camino e nell’atmosfera senza essere depurati; e su questo la risposta non è arrivata. Se un incidente del genere al secondo giorno di test, a regime ridotto, è stato comunque sufficiente a far sforare i limiti di legge, cosa accadrebbe in caso di un incidente simile durante l’esercizio a pieno regime?

Nella risposta, ci viene detto che dopo l’incidente l’impianto è stato fermato. Eppure, i cittadini attorno all’impianto testimoniano, con tanto di foto, che in questi giorni i fumi continuano a uscire… di notte e fino all’alba. Pare, da quanto detto venerdì a una riunione del comitato di controllo, che in realtà l’esercizio di prova sia ripreso, ma soltanto di notte: per non inqiuetare l’opinione pubblica?

L’assessore Lavolta ha iniziato il suo intervento invitando a far circolare informazioni corrette; spesso i favorevoli all’inceneritore ci hanno infatti accusato di alimentare il panico. Noi siamo assolutamente a favore dell’informazione corretta, e proprio per questo abbiamo preteso la pubblica spiegazione che vedete nel video. Ma una gestione del genere, da poco venduta ai privati per necessità di soldi del Comune, e che in caso di incidente non rilascia informazioni al pubblico fin che non le chiedi formalmente, e che sembra spesso fare le cose un po’ di nascosto, che tranquillità dà ai cittadini?

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martedì 28 Maggio 2013, 09:28

Quindici punti per ripartire

Il risultato elettorale del Movimento 5 Stelle a queste elezioni comunali è tutt’altro che inatteso: alle elezioni amministrative il Movimento ha sempre preso molti meno voti che alle politiche, perché alle amministrative contano la conoscenza diretta dei candidati e le loro reti sociali, e su quello noi siamo deboli. Abbiamo comunque conquistato molti consiglieri a cinque stelle in città dove non eravamo presenti, spesso partendo da zero.

Tuttavia, una parte del calo rispetto alle politiche è anche dovuto ad alcune cose che, in questi primi tre mesi in Parlamento, non hanno funzionato a dovere. Sarebbe controproducente (purtroppo c’è chi lo fa) negare gli errori; ci vuole un po’ di autocritica. Per questo mi permetto di elencare quindici punti concreti su cui il Movimento può migliorare, sperando di aprire un dibattito costruttivo: nulla è perduto, a patto di darsi da fare.

1. Se gli elettori non ti votano, non puoi dare la colpa a loro. Se sono ignoranti, non sei stato capace a istruirli efficacemente. Se non ti capiscono, non ti sei spiegato bene. Se fai un post in cui dai alla gente un elenco di motivi per non votarti, poi non stupirti se non ti voterà più.

2. L’astensione è un messaggio anche per te. Se la gente ha preferito stare a casa invece che venire a votarti, non è perché è troppo legata al potere e ai partiti. Al contrario, non sei stato abbastanza credibile come attore del cambiamento proprio con quelli che i partiti non li vogliono più. Invece di arrabbiarti, chiedigli perché.

3. L’elettore medio non è l’attivista medio. Quello che è importante o gradito alle assemblee, ai consiglieri e ai parlamentari potrebbe non essere la cosa più importante o più gradita per gli elettori. Chi fa politica deve essere in grado di ascoltare gli elettori, non solo se stesso e il gruppetto di persone attorno a sé.

4. Meglio una sola ottima proposta che cento buone proposte. Se le prime proposte che presenti sono sui matrimoni gay e sul ritiro dall’Afghanistan, molti penseranno che non hai chiare le priorità. Se fai elenchi di tre pagine e video di mezz’ora con decine di proposte, nessuno li aprirà nemmeno. Presenta pure cento buone proposte, ma comunicane con forza solo una alla settimana… ma che sia ottima.

5. Parla di sostanza e non di procedure. Alla gente non frega niente di chi fa il presidente del Copasir e di quando partono le commissioni. Non frega niente nemmeno di diarie e scontrini, a meno che non ci sia qualcuno che si frega i soldi. Averci messo due mesi per arrivare al banalissimo concetto che non si possono rimborsare spese non sostenute, permettendo ai giornali di ricamarci, è una colpa grave dei nostri gruppi parlamentari. Ora basta. Però non fregatevi i soldi.

6. Più speranza, meno denuncia. Che i politici fanno schifo lo sanno tutti, non servono nuove prove e nemmeno ripeterlo. Continuare all’infinito a criticare gli altri fa sorgere il sospetto che tu non abbia niente da proporre. Invece di deprimere gli elettori con quanto fa schifo l’Italia, proponigli un futuro migliore; ma in maniera dettagliata, convincente e concreta, non soltanto per slogan.

7. Meno paranoia, più tolleranza. Non esiste una lista che prende il 10, 20, 30 per cento dei voti solo da persone che la pensano esattamente allo stesso modo. Più idee diverse ci sono nel Movimento, più aumenta la capacità di rappresentare uno spettro ampio e numeroso di elettori. La lista dei duri e puri prende solo i voti dei duri e puri: il due per cento.

8. Uno vale uno non vuol dire che uno vale l’altro. La qualità delle persone è fondamentale per ottenere voti, a partire dalle elezioni amministrative. I candidati vanno scelti con cura e per merito. Non puoi contestare incompetenza e nepotismo dei politici e poi presentare liste con persone impreparate o con coppie di parenti e fidanzati.

9. Meno dogmi, più merito. Alla gente non interessa se un candidato è un vecchio o nuovo attivista, se è già stato candidato o no, se è popolare tra gli attivisti. Alla gente interessa se è capace o no, se è onesto o no, se è convincente o no. Se fai regole che escludono tutti gli esponenti più conosciuti, tutti i nuovi attivisti, tutti i simpatizzanti e tutti i personaggi della società civile, inevitabilmente finisci per non presentare il meglio che potresti.

10. Il rispetto, la pacatezza e la buona educazione non sono brutte cose, ma lo sono l’arroganza, la superbia, la supponenza. Se la capogruppo alla Camera dice in modo sprezzante che prima di sostenere Rodotà deve leggere il suo curriculum, si rende ridicola. Se due settimane dopo dice che Rodotà adesso è il miglior presidente possibile, si rende ridicola due volte. E con lei tutto il Movimento.

11. Se vuoi il mandato per governare il Paese, devi essere credibile per governare il Paese. Questo vuol dire che devi presentare persone che siano conosciute per la loro competenza e capacità, o lavorare per renderle conosciute: nessuno affiderebbe il destino del Paese a uno sconosciuto venticinquenne senza curriculum e senza esperienza. Ma vuol dire anche che se ti offrono di fare un governo non puoi dare l’impressione di non essere interessato a priori.

12. La mancanza di struttura non implica la disorganizzazione. I parlamentari hanno a disposizione molti soldi per organizzare il lavoro e la comunicazione, se queste due cose non funzionano non ci sono scuse. Non è più accettabile che non ci siano piattaforme di dialogo con il cittadino e con i territori, e che gli attivisti e i consiglieri scoprano le cose dai giornali.

13. A domanda rispondo. Se un giornalista ti fa una critica, rispondi nel merito e smontagliela coi fatti. Gridargli che è un venduto o minacciarlo di querela funziona solo con i fedelissimi, gli altri dopo un po’ concludono che non rispondi perché non hai argomenti. E se la critica è fondata, non c’è niente di male a rispondere “hai ragione, ci lavoreremo”.

14. Non può sempre essere colpa degli altri. I giornalisti venduti esistono, ma alle volte siamo noi a non saper comunicare o a dire stupidaggini. I troll esistono, ma non tutti i commenti negativi vengono da troll. Molti italiani non ci votano perché fanno parte del sistema, ma molti altri non ci votano perché in piena libertà non ci stimano, o perché hanno paura del nuovo. Cerca di ascoltarli e di convincerli con umiltà.

15. Non perderti d’animo. Nessuno ha detto che sarebbe stato facile. Niente drammi. L’importante è imparare dalle sconfitte e dagli errori, senza far finta che non ci siano stati.

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venerdì 24 Maggio 2013, 14:00

Falda Falchera, un altro anno di prese in giro

Lo scorso anno, come forse ricorderete, eravamo andati a filmare l’incredibile “acqua alta di Falchera: da alcuni anni ogni estate le fondamenta, le cantine e i garage dei palazzi di una parte di Falchera si riempiono d’acqua, a causa della falda acquifera che risale. In parte si tratta di un fenomeno storico, dovuto alla chiusura delle industrie e alla conseguente forte riduzione del consumo dell’acqua sotterranea; eppure, a Falchera l’allagamento si verifica da quando è stato costruito il tunnel del tram 4, che sbarra lo scorrimento sotterraneo delle acque. Da allora i cittadini attendono che le istituzioni si facciano carico del problema, trovando il modo di far scorrere via le acque e potendo ritornare pienamente in possesso delle proprie case.

Noi ci occupiamo di questa questione da quando siamo entrati in consiglio comunale; ogni primavera puntualmente presentiamo l’interpellanza e chiediamo che cosa è stato fatto, per avere poi aggiornamenti durante l’anno. Anche quest’anno l’abbiamo fatto, e per fortuna: perché subito dopo l’acqua ha cominciato a salire, molto prima del previsto. Le grandi piogge di questa primavera hanno reso drammatica la situazione: lunedì scorso l’acqua è salita di oltre venti centimetri in una notte ed è arrivata al livello massimo degli anni scorsi, solitamente toccato solo in piena estate.

Nel video potete osservare come si è svolta la discussione: l’assessore Lubatti si è quasi offeso per la definizione di “presa in giro”, sottolineando come lui si sia dato da fare mentre la Regione latita. Il problema è che il cittadino non può stare a distinguere tra questo e quell’ente; il cittadino si interfaccia con lo Stato e vuole una risposta dallo Stato, non un rimpallo di competenze. E il cittadino in questo caso si trova a mollo da anni e non vede la fine del suo calvario, anzi vede delle vere beffe, come lo stanziamento di dieci milioni di euro per sistemare i laghetti e fare una nuova via davanti alle case: è vero che quei soldi non potevano essere spesi per la falda, ma nel complesso che senso ha che la comunità spenda per abbellire un quartiere in buona parte allagato, senza prima risolvere il problema alluvionale?

Ora, probabilmente, il Comune farà scavare un pozzo che dovrebbe ridurre un po’ gli allagamenti. Noi abbiamo ripresentato formalmente una mozione che chiede che i proprietari di queste case siano almeno esentati dall’IMU, per intero per i garage e le cantine che sono allagate sei mesi l’anno, e per una parte per gli appartamenti (che ovviamente sono deprezzati), anche perché il grosso delle spese di svuotamento e gestione dell’emergenza è sempre stato pagato da loro. Speriamo che questo possa essere almeno un segno di interesse da parte delle istituzioni, in attesa che finalmente il problema venga risolto.

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martedì 21 Maggio 2013, 23:13

In marcia per il Fila

So che molti non capiscono perché oltre diecimila persone – il doppio o il triplo di quelle che hanno manifestato contro l’inceneritore – possano scendere in piazza per la ricostruzione di un ex stadio, ora futuro campo di allenamento e centro culturale.

Molti, peraltro, non hanno nemmeno capito bene di cosa si tratti, spesso grazie ad azioni di disinformazione mediatica. Per esempio, molti pensano che là si voglia costruire “il terzo inutile stadio di Torino”, quando invece si costruirà un centro sportivo con due campi, di cui uno senza tribune e uno con una tribuna da massimo 4000 posti, come quella che si può trovare nei campetti di estrema provincia; nessuna partita del Toro, giovanili a parte, si disputerà mai al nuovo Filadelfia; vi sarà invece un’area culturale, museale e aggregativa, che giustifica l’interesse pubblico nel costruire quest’opera con gli oneri di urbanizzazione già pagati dai privati per risistemare la zona; e quanto alla provenienza dei fondi, vale la pena di rileggere la spiegazione di un anno fa.

Credo però che in questo momento sia opportuna una riflessione sul pregiudizio anti-calcio di una parte dell’opinione pubblica e della politica, anche dentro il Movimento 5 Stelle. In parte il pregiudizio è giustificato dalle mafie, dalle quantità abnormi di soldi, dall’antisportività, dalla violenza del calcio italiano; e però, stupisce la facilità con cui persone che magari sono pronte a difendere per ore (giustamente) i No Tav dall’accusa, letta su un giornale, di essere dei facinorosi violenti, sono poi pronte a credere allo stesso giornale quando attacca allo stesso modo i tifosi di calcio.

Una grande parte della tifoseria del Toro, in particolare, ha una tradizione di impegno civile molto lunga; la trovate in piazza non solo per il Fila, ma alle manifestazioni dei lavoratori e ai cortei contro il Tav. La trovate in mezzo a raccolte di beneficenza, attività sociali, e persino ad agitare polemicamente in curva le foto di Falcone e Borsellino durante il minuto di silenzio per Andreotti.

Per questo credo che sia sbagliato liquidare i diecimila di ieri come una cittadinanza minore, meno degna di ascolto; e che ci si debba liberare di un pregiudizio anticalcistico basato sulla non conoscenza delle cose, e purtroppo molto diffuso in politica, specialmente nella sinistra: quella che non a caso, dall’alto del proprio snobismo verso le grandi passioni degli italiani, perde sempre le elezioni.

So comunque che chi non ha sin da bambino la malattia granata, quella che ti porta a resistere stoicamente persino a vent’anni di Ipoua e Pellicori, non capisce cos’abbia di speciale quel pezzo di prato e cosa rappresenti per così tante persone. Non credo di poterlo spiegare; ma credo, perlomeno, di poter chiedere rispetto.

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venerdì 10 Maggio 2013, 13:51

Chiediamo per voi

L’attività consiliare non è fatta solo dei grandi temi, quelli che finiscono sul giornale, quelli a cui di solito dedichiamo i post e le discussioni più accese in rete. Ognuno di noi riceve ogni giorno parecchie segnalazioni di problemi e proposte, di solito accompagnate da una richiesta di incontro; alcune vicende riguardano situazioni personali, mentre altre hanno un valore collettivo. Noi cerchiamo per quanto possibile di dare ascolto e seguito a tutti, anche se questo spesso ci impedisce di approfondire tutto; spesso le segnalazioni potrebbero dare il via a indagini o studi interessanti, ma che richiederebbero ore o giorni da dedicare a quel singolo problema, cosa di cui non disponiamo; per questo chiediamo ai cittadini di attivarsi, ad esempio nei gruppi di lavoro.

Comunque, quando le segnalazioni riguardano problemi collettivi, spesso ci ritagliamo le ore necessarie per analizzarle e produrre una interpellanza, ovvero un atto che richiede alla giunta comunale di rispondere alle nostre domande ufficialmente, in aula, con ciò costringendo l’amministrazione a prendere atto del problema e “mettere la faccia” su promesse di risoluzione. Le interpellanze vengono trattate il lunedì mattina in un’aula solitamente deserta, dato che ognuno viene soltanto a sentire le risposte alle proprie, e che sono solo alcuni consiglieri, praticamente tutti di opposizione, a utilizzare regolarmente questo strumento. Noi, però, quando possibile estraiamo il video e lo mettiamo sul nostro canale Youtube; inoltre i video sono reperibili sul sito del Comune, nella sezione dei verbali del consiglio.

In questi due anni, io ho scritto e presentato 124 interpellanze, più un altro centinaio scritte da Chiara (ognuno di noi firma le interpellanze dell’altro) e qualcuna presentata insieme ad altri colleghi. Per darvi qualche piccolo esempio, qui sotto riporto i video di alcune delle interpellanze di cui mi sono recentemente occupato io, con una piccola spiegazione; così potrete capire che fine fanno le vostre segnalazioni, o le mie osservazioni di situazioni problematiche.

I) Qualche tempo fa, diversi cittadini si sono accorti che i nomi e i dati dei propri cari defunti erano stati riportati senza autorizzazione su un sito Web organizzato come “cimitero virtuale” da una società di origine americana, con tanto di offerte di servizi aggiuntivi a pagamento; i dati erano stati scaricati dal sito del Comune, che li pubblica in maniera aperta a tutti. Questa è la spiegazione data dall’amministrazione su come sia stato possibile: in pratica, attendono da un anno e mezzo un parere del garante della privacy sulla legittimità della pubblicazione, legittimità che secondo me, come sentite nella mia risposta, è molto dubbia.

II) Negli anni subito prima del 2006, corso Francia è stato oggetto dei lavori per realizzare la metropolitana; a fine lavori, solo il tratto fino a piazza Bernini fu risistemato, mentre il resto fu rappezzato alla meglio a titolo “provvisorio”. Tuttavia, da allora la risistemazione definitiva del tratto più periferico viene continuamente rinviata per mancanza di fondi, e allora noi abbiamo chiesto, per la seconda volta da quando siamo stati eletti, quand’è che pensano di farla, o se (come di fatto ci dicono) l’opera sia ormai passata in cavalleria, e in questo caso se non si possano almeno sistemare le buche e i punti pericolosi.

III) L’hitball è uno sport nato a Torino e che vanta in città un buon numero di praticanti, tanto che negli anni si era parlato di aggiungere una seconda sede all’unico impianto disponibile… fin quando non si è scoperto che la Città vuole sfrattare gli sportivi dall’unico impianto perché ha venduto l’area agli “operatori immobiliari”.

IV) Il fenomeno dei furti di rame e del commercio illegale di rame è in continua crescita, e viene spesso collegato nell’opinione popolare ai roghi nei campi nomadi: è vero? Cosa fa l’amministrazione per reprimere questi fenomeni, e quanto spesso interviene?

V) Con un blitz, alcune settimane fa i vigili urbani hanno fatto chiudere alcune copisterie in cui si fotocopiavano testi universitari; eppure le fotocopie sono l’unico modo con cui molti studenti possono avere accesso ai testi. Siamo sicuri che l’intervento sia stato fatto correttamente, e come possiamo aiutare il diritto allo studio?

[tags]interpellanze, consiglio comunale[/tags]

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venerdì 3 Maggio 2013, 11:51

La violenza

Come ormai sa tutta Italia, questa settimana sono stato processato dai media. Per aver lanciato un allarme sull’estensione della rabbia violenta contro le istituzioni, che chiunque può percepire da una qualsiasi conversazione per strada, sono stato accusato di fomentarla e di esserne contento; idem, ieri, per il professor Becchi. Da buona tradizione italica, difatti, il modo con cui lo Stato affronta i problemi è far finta che non esistano, almeno fin che non si arriva all’emergenza (una conclusione spesso voluta, dato che l’emergenza è una buona scusa per abolire controlli e garanzie e fare con la cosa pubblica ciò che si vuole). Eppure, bastava sapere l’italiano e leggere ciò che ho scritto.

La reazione scomposta dei media e dei partiti alle mie parole, comunque, dimostra non solo l’attitudine – ovvia e inevitabile in Italia, ma comunque riprovevole – a manipolare le parole degli avversari politici e mettergli in bocca cose che non hanno detto per poterli attaccare (e anche questa, per quanto verbale, è violenza), ma la spaventosa distanza tra i circoli della politica e dell’informazione nazionale e la realtà dell’Italia di oggi. Probabilmente queste persone non escono mai dalle auto blu, dai salotti e dagli studi televisivi, perché basta prendere l’autobus o fare due passi in un mercato o aprire un qualsiasi spazio di discussione politica in rete per toccare con mano ciò che io ho riportato. Le reazioni scandalizzate non risolvono la situazione, anzi la peggiorano, perché la radice della rabbia è proprio la sensazione di essere esclusi e non ascoltati dalle istituzioni.

A nessuno fa piacere essere sputtanato a reti unificate e a livello nazionale per qualcosa che non si pensa e non si è detto, specialmente dopo aver dedicato anni della propria vita al bene comune. Peraltro io ho imparato a ignorare i media; chi mi conosce sa come sono e certamente sa che non ho la minima simpatia per la violenza, né sarei in grado di praticarla. Mi ha fatto piacere la solidarietà o perlomeno la comprensione giunta da centinaia di cittadini e da ambienti anche ben lontani dal Movimento, da Nuova Società a esponenti di SEL e della sinistra passando per alcuni giornalisti dell’Espresso, e ovviamente quella di esponenti a cinque stelle di mezza Italia, come Alessandro Di Battista e Stefano Camisasso. Mi è spiaciuto un po’ per il silenzio quasi completo del resto del Movimento torinese, ma non mi aspettavo altro.

Tuttavia, pur capendo il desiderio di non farsi trascinare in polemiche strumentali, la controversa dissociazione di ieri (dei parlamentari da Becchi) mette in evidenza una timidezza dei vertici del Movimento che trovo preoccupante. Difatti, il Movimento 5 Stelle è l’alternativa democratica alla rabbia di piazza; quelli che più spesso fanno riferimenti violenti non sono gli elettori convinti del Movimento, ma quelli che ci credono poco, o più ancora quella metà o quasi degli italiani che non crede più nella politica, Movimento compreso, che non va più a votare e che non crede a una soluzione istituzionale della crisi. Guai se anche il Movimento cominciasse a non avere più empatia verso la rabbia degli italiani, a non comprenderla e non farla propria, calmandola e trasformandola in protesta istituzionale: vorrebbe dire perdere altri italiani alla dialettica democratica.

La violenza è sbagliata verso chiunque e non ha mai risolto niente, non va tollerata e non va nemmeno giustificata. Va però capita, nella sua forma moderna e spaventosa che non è più la violenza di massa, ovvero un terrorismo organizzato e controllato ideologicamente che può essere individuato e infiltrato, ma la violenza di moltitudine, ovvero una grande quantità di individui che agiscono da soli in maniera imprevedibile e incontrollabile. L’unica soluzione è eliminare le cause prime della rabbia, che non sono le parole violente – altrimenti a forza di fucili di Bossi saremmo già nel caos da vent’anni – ma le difficoltà economiche della crisi, che portano milioni di italiani alla disperazione.

E dunque, cari governanti, invece di indignarvi e di rafforzarvi le scorte, trovate i soldi per garantire a tutti gli italiani almeno la sopravvivenza; risparmiateli, prendeteli a prestito, stampateli, non importa, basta che li tiriate fuori qui e subito; perché nessun ordine sociale è mai sopravvissuto a lungo alla fame dei propri cittadini.

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venerdì 26 Aprile 2013, 11:03

Falsi flop e veri problemi del Movimento 5 Stelle

Ha fatto un certo scalpore, qualche giorno fa, il risultato elettorale del Friuli Venezia Giulia, dove il Movimento – che alle politiche di febbraio aveva preso il 27% – non è andato oltre il 14% come lista e il 19% come presidente (la differenza è data da voti disgiunti degli elettori del centrodestra contro il loro candidato ufficiale). Subito i giornali hanno titolato “flop del M5S, voti dimezzati”. Ma è vero?

In realtà non è proprio così; il problema, se mai, è che alle elezioni amministrative il M5S prende sempre molti meno voti che a quelle politiche. Già il 24 e 25 febbraio, dove si votava contemporaneamente per le politiche e le regionali, il risultato era stato simile: in Lombardia avevamo preso il 19% alle politiche e il 13% alle regionali, in Molise il 27% e il 16%, nel Lazio il 27% e il 20%. Perché? Perché sul piano nazionale sono più forti sia la rabbia contro i partiti che il traino di Beppe Grillo, mentre a livello locale gli elettori sono più legati a esponenti di partito direttamente conosciuti e con una rete consolidata sul territorio, a cui noi opponiamo persone magari bravissime ma sostanzialmente sconosciute.

Bisogna se mai chiedersi come mai in Friuli, dopo tutta la vicenda del Quirinale, così tante persone deluse dai partiti sono rimaste a casa, invece di venire a votare per il M5S. Che cosa non le ha convinte della nostra azione in questi due mesi, e come possiamo migliorare per il futuro?

Non possiamo certo gettare la croce addosso ai nostri parlamentari, che stanno dando il massimo in condizioni difficili, lavorando giorno e notte; pur con l’ostruzionismo del sistema, a partire dal mancato avvio delle commissioni parlamentari, hanno presentato già moltissime proposte e si stanno facendo valere. Tuttavia, è indubbio che certe cose non hanno funzionato.

La prima è la comunicazione: sono state fatte tantissime iniziative, ma nessuno lo sa. Va bene avere i media contro, ma non lo sanno nemmeno gli attivisti e i consiglieri sul territorio… Anche nell’altro senso, il coinvolgimento degli attivisti nei lavori parlamentari ancora latita. Chi conosce direttamente i parlamentari può ogni tanto cercare di chiamarli e riceve ogni tanto aggiornamenti e richieste di aiuto, ma per tutti gli altri è il buio: urge realizzare strumenti di comunicazione fissi e uniformi (blog, newsletter…) e occasioni regolari di confronto coi cittadini.

Anche dal punto di vista della tattica politica, l’inesperienza si paga. L’unica scelta di successo, quella delle “quirinarie” e della candidatura di Rodotà, è passata sopra la testa dei parlamentari, venendo organizzata da Grillo e Casaleggio e finalizzata dalle scelte intelligenti della rete e dei singoli candidati coinvolti. Anche così, se Gabanelli e Strada non avessero rinunciato sarebbe finita come per la presidenza del Senato, con il M5S a votare all’infinito un candidato senza speranza salvo qualcuno che si smarca al momento del voto, magari per candidati ben peggiori di Rodotà. Ma questo non è il modo di fare politica, almeno se ogni tanto si vuole portare a casa qualcosa; restare sulla prima scelta rifiutandosi di convergere sulla seconda o sulla terza, ottenendo così solo la decima o la centesima, non è coerenza ma stupidità.

Un altro problema emerso con chiarezza è quello delle persone, ben esemplificato dal caso Mastrangeli. Chi sta nel Movimento conosce Marino Mastrangeli da anni; lo conosce come una persona spasmodicamente in cerca di visibilità, ad esempio attraverso lo “spamming” di messaggi e iniziative sui meetup di mezza Italia (alcuni l’avevano direttamente bannato). E’ chiaro che una persona così non ha le caratteristiche per reggere all’allettante prospettiva di finire permanentemente in televisione, a costo di farsi strumentalizzare contro il Movimento. Ma allora, come mai l’abbiamo candidato?

Abbiamo un bel dire che i nostri eletti sono portavoce scelti e controllati dal basso; in realtà, una volta entrato in Parlamento uno fa quello che vuole fino alla fine della legislatura, ed è impossibile farlo dimettere contro la sua volontà; al massimo lo si può cacciare, ma ne ha più danno il Movimento che lui (anzi, un nostro parlamentare una volta cacciato potrà cominciare a tenersi l’intero stipendio…). Per fortuna si tratta di pochi casi su 160 eletti, ma possiamo fare meglio?

Del resto, quello delle persone da candidare è veramente a mio parere il maggiore problema del Movimento. A questi livelli è molto difficile essere in grado di risultare convincenti, competenti e simpatici, perdipiù avendo i media contro; se poi in testa si hanno i microchip o non si è in grado di scrivere in italiano corretto, il disastro è probabile. La stessa Roberta Lombardi, un’attivista storica, preparata e riconosciuta da tutti, che umanamente ha tutta la mia solidarietà per essersi fatta carico di una missione impossibile, messa nel tritacarne dei media si è fatta triturare, venendo fuori come una persona spocchiosa e antipatica.

Nonostante l’idea del portavoce, la maggior parte degli elettori vuole fidarsi di una faccia e non di un simbolo; di una faccia che risulti convincente per migliaia di elettori e non solo per qualche decina di iscritti durante le parlamentarie, magari organizzati da uno dei tanti gruppetti di amici in carriera che inevitabilmente si sono formati. Quando le persone che esponiamo fanno una gaffe dietro l’altra o non sembrano all’altezza, non si può sempre dare la colpa ai giornalisti cattivi. Se non siamo in grado di presentare una nuova classe dirigente che non solo sia all’altezza, ma che anche lo sembri quando appare in pubblico e in televisione, non saremo mai credibili come forza di governo.

Veniamo così all’ultimo problema: la capacità di fare autocritica e di gestire una dialettica interna. Non si può pensare di costruire una forza politica del 30% in cui però tutti siano sempre d’accordo su tutto, e non si può reagire alle critiche e alle richieste di spiegazioni dal basso con accuse di “fare polemica” o di tradire la causa; non si può rimandare la discussione a un fantomatico “dopo” che poi non arriva mai. Troppa gente nel Movimento si è fatta prendere la mano dalle dichiarazioni bellicose di Grillo e pensa di stare in un esercito, spesso autonominandosi generale, e magari uscendosene con uno snobismo veramente fuori posto (l’altro giorno c’erano nostri esponenti che volevano “abolire il calcio perché solo gli idioti lo seguono”: una cosa che può dire un partitino dell’1%, non certo una forza politica che aspira ad essere di massa in Italia).

Serve una maturazione generale, e serve in fretta. Io spero che sia possibile discutere di tutti questi problemi con tranquillità, e cominciare presto a risolverli.

[tags]movimento 5 stelle[/tags]

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lunedì 22 Aprile 2013, 17:37

Non vogliamo Napolitano

Non è facile esprimere la rabbia e lo sdegno che una grande parte dell’Italia sta provando in questi giorni, dopo il colpo di mano che ha portato alla rielezione di Napolitano, una vera e propria dichiarazione di guerra dei partiti agli italiani, il trionfo estremo dell’inciucio.

Il Partito Democratico, messo di fronte alla scelta tra Rodotà e Berlusconi, tra Prodi e Berlusconi, ha scelto Berlusconi; la rielezione di Napolitano, come proclama apertamente Fassino nell’ennesima telefonata imbarazzante, è una proroga di qualche anno che garantisce un governo PD-PDL, l’immunità giudiziaria per Berlusconi (magari tramite una nomina a senatore a vita) e facilmente, visto che Silvio farà presto cadere il governo per vincere le elezioni passeggiando sulle rovine del PD, la sua successiva ascesa al Quirinale.

E’ anche un colpettino di Stato; perché se è vero che quanto avvenuto è formalmente in regola con la Costituzione, è altrettanto vero che l’Italia è una repubblica parlamentare, non presidenziale. Qui abbiamo un Presidente della Repubblica che sceglie a suo piacimento i futuri ministri, gli fa scrivere il programma del futuro governo, si fa rieleggere e poi nomina quello che tutti senza pudore definiscono “il governo del Presidente”, con lui di fatto a capo; e questo non per la prima volta, visto che già per Monti era stato più o meno così.

Napolitano, che negli anni ’80 era l’amico di Craxi nel PCI (e già allora Silvio lo sponsorizzava), ora è l’amico di Berlusconi nel PD. Per lui parla ciò che ha fatto, dagli allegri rimborsi spese quando era al Parlamento Europeo fino alla battaglia per far bruciare le intercettazioni tra lui e Mancino, che ci avrebbero finalmente permesso di saperne di più sulla trattativa Stato-mafia. Napolitano è il perfetto presidente dei partiti, acclamato dalla propaganda dei giornalai che cerca di cancellare il dissenso.

Per questo, come mai accaduto prima, le piazze in questi giorni si sono riempite spontaneamente di italiani indignati che protestavano contro il nuovo presidente, e noi siamo stati sommersi di richieste di manifestare. Nel video in alto vedete qualche immagine del corteo spontaneo di sabato a Torino (qui un video più completo), a Roma ieri c’era una folla talmente ampia e variegata che Grillo non ha potuto parlare (per i giornali ovviamente è stato un flop).

Non è facile, per chi come me riveste un ruolo istituzionale, decidere come porsi, stretto tra l’indiscutibile fedeltà alla Costituzione e la necessità di combattere chi la rispetta solo di facciata. Ci avviamo verso un periodo sempre più difficile, in cui il dialogo tra i cittadini e le istituzioni sempre più diventa odio reciproco. Colpiscono le migliaia e migliaia di unanimi insulti rivolti a qualsiasi dirigente del PD osi mettere il naso in pubblico, così come colpiscono le risposte dei politici e dei giornali di regime che dicono che bisogna chiudere la rete e ascoltare ancora meno i cittadini. Più questa gente resta nelle istituzioni democratiche, e più le istituzioni democratiche saranno delegittimate: il rischio è veramente che, quando il tutto crollerà, insieme alla casta si butti via anche la democrazia.

Ma a tutto questo c’è una sola soluzione: che questa gente vada via. A tutti quelli che alle ultime elezioni hanno votato PD, io chiedo una sola cosa: mai più. Giurate che non vi farete mai più abbindolare, anche se questi adesso cambieranno forma, nome, facce per ripresentarsi belli belli tra pochi mesi promettendo di essere cambiati. Alle brave persone che stanno nella base di quel partito chiedo di smettere di legittimare tutto questo con la propria faccia.

Infatti, c’è ancora una speranza. In questi giorni il Movimento 5 Stelle è diventato un “Movimento 5 Stelle Più…”, perché nelle piazze c’era anche SEL, c’erano tanti ex elettori del PD, c’erano tanti cittadini privi di partito ma incazzati neri. Anche se ognuno ha la propria identità, anche se il M5S non è nato per fare alleanze, è importante che nel Paese si allarghi il blocco sociale di chi non ci sta più, per costruire una opposizione al regime che possa infine vincere le prossime elezioni; e dell’analisi di Travaglio sottoscrivo tutto, anche l’invito a Grillo a essere più statista. Serve una unione nazionale tra persone diverse, nel nome della vera democrazia, quella che mette al primo posto l’interesse degli italiani; se c’è un fatto positivo, è che in questi giorni finalmente ha iniziato a nascere.

Il simbolo di tutto questo è una persona eccezionale che mi onoro di conoscere e ammirare da molti anni: Stefano Rodotà. Non nascondo che quando ho dichiarato pubblicamente il mio sostegno per lui diverse persone, nel Movimento torinese, mi hanno guardato storto: “ma è un vecchio politico”, dicevano. I fatti hanno dimostrato che Rodotà era la persona giusta.

Credo di poter ora raccontare un piccolo aneddoto. Venerdì alle 9:30 mi è squillato il telefono, rispondo e mi sento dire: “Ciao, sono Stefano Rodotà, scusami, ti posso disturbare?” Aveva semplicemente bisogno di parlare urgentemente con i nostri capigruppo, e siccome il cellulare di Vito Crimi era spento ha chiamato me per far riportare il messaggio; ma che una persona invocata da milioni di italiani e in ballo per diventare Presidente della Repubblica chiami un italiano qualsiasi e per prima cosa chieda se può “disturbare” vi dice quanto incredibilmente umile sia.

In quella telefonata, il professore mi ha raccontato quanto la mobilitazione trasversale a suo sostegno lo avesse commosso, e mi ha detto che, comunque fosse andata, essa gli avrebbe dato la carica per continuare la sua battaglia decennale in difesa dei diritti. Ecco, io credo che per scalzare questo sistema fortissimo e onnipresente ci sia bisogno di Grillo, ma ci sia anche bisogno di Rodotà; e se sapremo costruire una alleanza a prima vista così improbabile, mettendo insieme persone così diverse, facendo in modo che comincino a capirsi e apprezzarsi al di là dei pregiudizi e delle differenze, lasciando perdere colori e ideologie e concentrandoci sui valori essenziali della democrazia, come accadde subito dopo la caduta del fascismo, non potremo che giungere alla vittoria.

[tags]napolitano, rodotà, repubblica, costituzione, politica, pd, parlamento, m5s, grillo[/tags]

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martedì 16 Aprile 2013, 12:28

L’impresa

Giovedì scorso, in commissione Lavoro, abbiamo parlato del Centro Agroalimentare Torinese (CAAT), ovvero i nuovi mercati generali, costruiti negli anni ’90 tra Grugliasco e Rivalta. Su richiesta di alcuni consiglieri della maggioranza, i dirigenti del centro sono stati sottoposti a due ore di terzo grado perché La Stampa aveva riportato che nel centro lavorano degli immigrati sfruttati, che di notte si infilano clandestinamente e vengono impiegati in nero da una delle quaranta cooperative o da uno dei cento imprenditori grossisti che lavorano nel centro.

Per due ore si è parlato di come reprimere questo fenomeno, attribuendone la colpa esclusivamente alle imprese. Si è parlato di maggiori punizioni da infliggere a chi viene trovato a impiegare clandestini (da sette a quattordici giorni di chiusura dell’attività), di come buttare fuori immediatamente le aziende che non hanno pagato i contributi, di ulteriori adempimenti burocratici da richiedere alle imprese per provare di non essere mafiose. In sostanza, per l’intera seduta il consiglio comunale si è dedicato a come creare nuove complicazioni e nuovi controlli, basati sull’idea che un imprenditore sia di base un potenziale criminale, e che debba essere lui a provare continuamente di non esserlo.

Sabato, uno di quei cento imprenditori del Caat si è suicidato: tra crisi, controlli, tasse, banche e burocrazia, non riusciva più a tenere in piedi l’azienda.

Questa lugubre coincidenza fa davvero molto riflettere sul pessimo rapporto tra la politica e le imprese; quelle che, bene o male, tengono in piedi tutto il resto. Quelle che sono sempre e solo viste come vacche da mungere, con una pressione fiscale e un carico di adempimenti legali fuori da ogni logica, salvo poi stupirsi e indignarsi se qualcuno di loro cede e sposta le attività all’estero, dove gli fanno ponti d’oro. Quelle per cui non vale la presunzione di innocenza, ma la presunzione di colpevolezza: se uno è imprenditore, di sicuro evade o elude le tasse, e comunque sfrutta la gente per arricchirsi.

In un Paese normale, a chi ha il coraggio di intraprendere verrebbe dato un premio: non tanto perché crea ricchezza per sé, ma soprattutto perché la crea per gli altri. I 16 milioni di pensionati, i 3 milioni e mezzo di dipendenti pubblici, i 13 milioni di adulti disoccupati o inattivi e gli 8 milioni di bambini e ragazzi si mantengono tutti sulla ricchezza creata dai 19 milioni di lavoratori privati, senza la quale non ci sarebbe niente da tassare e dunque nessuna risorsa con cui pagare pensioni, stipendi pubblici e welfare. Ma un rapporto numerico del genere quanto può essere sostenibile?

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Ieri a Torino il Movimento 5 Stelle ha incontrato Confapri, un forum di imprenditori che non ce la fanno più. Abbiamo ascoltato le loro storie, che sono poi tutte simili: tasse che non si riescono a pagare, una burocrazia infinita che si autoalimenta, le banche che strozzano peggio degli usurai. Gianroberto Casaleggio ha illustrato le proposte che il Movimento 5 Stelle ha fatto e che presenterà come proposte di legge; tutti erano d’accordo, ma con una sola postilla: fate presto.

In questo momento, difatti, tenere aperta in Italia un’impresa è già un’impresa di per sé; se non facciamo presto, potremo discutere all’infinito di grandi diritti e di grandi principi, ma l’economia del nostro Paese sarà talmente desertificata che non ci saranno mai più i soldi per garantirli.

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