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sabato 4 Agosto 2012, 12:53

L’aria pulita dell’alessandrino

Nel Nord Italia, si sa, le grandi città sono inquinate: è per questo che in questo periodo chi può cerca di andare al mare, in campagna o in montagna, in modo da respirare un po’ d’aria buona.

Peccato che anche le grandi aziende abbiano seguito lo stesso ragionamento; anzi, nel periodo del tanto rimpianto “boom economico” e nei successivi anni ’70 e ’80 ogni angolo del Bel Paese reclamava la sua fabbrica. Sono nati così dei veri mostri in posti meravigliosi: oggi tutti parlano dell’Ilva di Taranto, ma ricordo lo shock che provai quando, giunto a Catania per lavoro e avendo una giornata libera, presi il treno per Siracusa e mi trovai di fronte a una baia magnifica completamente ricoperta di impianti petrolchimici, per chilometri e chilometri: uno scempio indicibile, coronato dalla storia terribile di Marina di Melilli.

Dalle nostre parti non si sta meglio, ed è per questo che non mi stupisce sentire le intercettazioni telefoniche dei dirigenti della Solvay di Spinetta Marengo, sita nella pianura a est di Alessandria. Temo che dialoghi simili avvengano in ogni fabbrica chimica italiana.

P.S. Se pensate che noi a Torino siamo tranquilli, ripensateci: in via Reiss Romoli si trova la Rockwood, una fabbrica di vernici che già per molti anni ha colorato i balconi delle case circostanti un giorno di giallo e un altro giorno di rosso. Basta chiedere notizie agli abitanti

[tags]inquinamento, chimica, industria, alessandria, solvay, siracusa, melilli, taranto, ilva, petrolchimico[/tags]

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giovedì 2 Agosto 2012, 14:22

La movida, Casacci e gli amici del localino

È un po’ che volevo parlare di movida e me ne offre l’occasione un post di Max Casacci, leader dei Subsonica, che attacca frontalmente il “post di Grillo” che confronta la gestione della vita notturna a Parma e a Milano, dopo che il nuovo sindaco di Parma ha deciso di vietare il consumo di alcool fuori dai locali durante la notte, oltre che le bottiglie di vetro.

Casacci fa parte di quell’ambiente culturale che vive in simbiosi con l’amministrazione comunale, e dunque non stupisce l’attacco a Grillo a prescindere, peraltro in perfetto sincrono con una campagna ripresa da tutti i giornali di regime, che evidentemente passano le giornate in conciliabolo per inventarsi un modo di attaccarci: il Corriere fa un articolo con una falsa dichiarazione di Grillo e poi, pescato in castagna, lo cancella; La Stampa fa un articolo che riprende parola per parola il post di Casacci, come fa normalmente per qualsiasi post di qualsiasi blog, no? Casacci ritira persino fuori la storia che il Movimento 5 Stelle avrebbe fatto vincere Cota: e dai, è vecchia! Comunque, perlomeno potrebbe leggere meglio, dato che il “post di Grillo” a cui si riferisce è in realtà il commento del gestore di una web TV milanese.

Il resto del post di Casacci è una difesa a prescindere delle politiche dell’amministrazione torinese sulla vita notturna, la stessa che viene ammannita a chiunque osi protestare per il caos della movida: la città prima era morta e ora è il top per i giovani, i locali garantiscono la sicurezza e fanno girare l’economia, chi si lamenta è solo un vecchio barboso che ha beneficiato della riqualificazione. A meno naturalmente che non si tratti dello stesso Casacci, che nel post rivendica il diritto di tirare le uova in testa alla movida che passa sotto casa sua: vadano a movidare sotto casa di qualcun altro.

Il Movimento 5 Stelle viene dunque accusato di essere perbenista e bacchettone, incapace di cogliere l’esigenza di “noi ggiovani” di passare la notte a far casino. Ora, credo che le esigenze dei giovani ci siano ben chiare, se non altro perché l’età media della nostra lista era di qualche lustro inferiore a quella del PD; e mi piacerebbe ribattere a Casacci che una delle cause vere della movida sempre più aggressiva è il fatto che questa città secondo lui così ben gestita è in cima alle classifiche della disoccupazione giovanile, lasciando ai ragazzi solo molto tempo da riempire, tante frustrazioni e la voglia di sfogarle in qualche modo.

Ad ogni modo, noi crediamo che non si debba scegliere tra vivere o dormire, ma che una civile convivenza richieda regole e lo sforzo tollerante di tutti. In particolare, il provvedimento di Parma – obbligare di notte a consumare l’alcool dentro i locali – vige nelle città di mezza Europa, dove aiuta a contenere il disturbo e l’immondizia; può funzionare o meno, dipende dai costumi del posto, ma non impedisce certo il divertimento.

Del resto, quando si è parlato del problema in Comune, io ho esordito dicendo che chi abita in piazza Vittorio ha diritto al rispetto delle regole in materia di rumore, ma non può certo aspettarsi che alle due di notte sotto casa ci sia la quiete di un quartiere periferico. Ogni città ha le sue aree di vita notturna; se uno abita lì sa cosa si deve aspettare, e un abitante della Rambla di Barcellona che scrivesse al giornale locale per lamentarsi del casino non troverebbe ascolto.

Tuttavia, non è accettabile che certe aree ogni notte diventino terra di nessuno, assediate dalle auto in sosta vietata, piene di gente che grida, vomita, litiga e piscia sui portoni, e lascia immancabilmente un tappeto di immondizia. E allora il Comune dovrebbe fare di più; anche se lo Stato, con le varie liberalizzazioni, gli ha tolto quasi ogni potere, potrebbe agire perlomeno in termini di mobilità (bloccando l’assalto delle auto) e di igiene (basterebbero dei bagni pubblici, che a Torino sono un miraggio).

Basterebbe poi far rispettare i regolamenti in materia di rumore, che sono chiari: i locali non devono generare rumore udibile dall’esterno dopo le 22 (reg. 221 art. 44), e gli eventi rumorosi (es. concerti) possono arrivare fino alle 24 per massimo 12 giorni l’anno (30 in alcuni luoghi particolari) e massimo due sere a settimana (reg. 318 art. 14). La giunta comunale può concedere ulteriori deroghe solo “sulla base di documentate motivazioni di carattere artistico e socioculturale o comunque di interesse pubblico”.

La realtà però è ben diversa, e noi abbiamo analizzato in particolare due casi che ci sono stati segnalati per il pesante disturbo arrecato a chi ci abita vicino: quello della discoteca Rotonda del Valentino, annessa a Torino Esposizioni, e quello del punto estivo L’isola che non c’è alla Pellerina, non certo situati al centro della movida, ma in tranquille zone residenziali. Per la Pellerina, dove non sono state concesse deroghe, i residenti hanno più volte chiamato i vigili, mentre noi abbiamo presentato una interpellanza in circoscrizione e scritto all’assessore, ottenendo una gentile risposta ma scarsi risultati.

La Rotonda del Valentino, invece, ha ricevuto da Fassino una deroga con ammirevole velocità: richiesta il 13 aprile, approvata l’8 maggio. Con tale deroga, Fassino ha concesso a questa discoteca – a fronte del limite da regolamento di 12 o 30 serate (a seconda che per voi Torino Esposizioni sia dentro o fuori il Valentino) fino alle 24, di cui massimo due a settimana – di effettuare 132 serate per sei sere a settimana, praticamente per tutta l’estate, arrivando fino alle tre di notte il martedì e mercoledì e fino alle quattro (!) gli altri giorni. Immaginate il piacere di chi ci abita davanti…

Simili deroghe sono state concesse al Cacao e ad alcune associazioni culturali che gestiscono punti estivi, ma la perla è la motivazione: secondo Fassino la Rotonda del Valentino “rappresenta uno dei più importanti e storici punti di aggregazione socioculturale della Città assicurando al proprio pubblico performances musicali di dj, spettacoli live e cabaret. Tali attività presso la “Rotonda Valentino” garantiscono inoltre un presidio territoriale strategico svolgendo un controllo di sicurezza e tutela urbana. Inoltre per effetto della costante e perdurante attività l’immobile comunale è salvaguardato e correttamente mantenuto.”. Con queste motivazioni, pure casa mia potrebbe essere autorizzata!

Noi abbiamo presentato già due mesi fa una interpellanza, che però… è sparita. Giuro! E’ stata iscritta all’ordine del giorno e rinviata varie volte perché Fassino non si presentava a rispondere, poi di colpo è sparita e nonostante due richieste gli uffici comunali non hanno ancora saputo dirci perché. Pazzesco…

Vi rendete conto da soli che c’è qualcosa di strano, ma cosa? Possiamo solo fare delle ipotesi e osservare alcune coincidenze. Per esempio, L’isola che non c’è è gestita dall’associazione del consigliere della IV circoscrizione Massimiliano Lazzarini della Federazione della Sinistra. La Rotonda del Valentino, invece, è gestita dalla Black & White s.r.l., amministrata dal “sig. Fasano Marco”.

Ora, potrebbe semplicemente essere un caso di omonimia (lo chiedevamo nell’interpellanza), ma ci risulta che un Marco Fasano nel 2007 fosse iscritto e delegato dal PD di Moncalieri al congresso, in rappresentanza della mozione di Fassino. Ci risulta anche che un Marco Fasano sia vicepresidente – anzi no, da due giorni presidente – dell’associazione Amici della Fondazione Cavour, che ha “lo scopo di valorizzare il patrimonio storico, culturale e ambientale dei luoghi cavouriani di Santena”, cosa che fa piuttosto bene dato che sono appena stati stanziati cinque milioni di euro pubblici, di cui oltre un milione del Comune di Torino, per ristrutturare il castello di Santena.

Ma non finisce qui: parliamo dei Murazzi? In commissione, quando se ne parla, si vedono sempre delle fantastiche scenette: ho visto un consigliere del PD mandare affanculo un ex assessore che anni fa aveva preteso il pagamento degli affitti; o un consigliere di SEL insistere all’infinito perché la Città ripulisse con più efficienza la discesa dei Murazzi quando si alluviona, fino a far sbottare il vicesindaco. Perché? Non lo so, presumo solo amore per la vita notturna, però mi tocca riportare il commento fatto a verbale dal consigliere Viale: “ai Murazzi ogni locale ha il suo padrino politico, di destra o di sinistra”.

Certo è che la situazione dei Murazzi è preoccupante, dato che per anni i locali si dimenticavano di pagare i canoni al Comune, accumulando complessivamente 800.000 euro di debiti; dopo l’intervento dell’assessore di cui sopra, adesso gli affitti vengono pagati abbastanza regolarmente, ma in compenso risulta che quasi tutti i dehors siano abusivi e che per essi non venga pagata la tassa di occupazione del suolo pubblico.

Allora, perché a Torino non si riesce a far rispettare nessuna regola a chi gestisce la movida, e perché l’amministrazione comunale la difende a spada tratta, e anzi garantisce un profluvio di contributi grandi e piccoli alle “associazioni culturali” che la organizzano? Io un’idea me la sono fatta. Per questo vorrei dire a Casacci e a tutti gli “artisti della notte torinese” allineati al regime e sempre pronti a difenderlo che non ho nessun rispetto per loro, che conoscono perfettamente questa situazione e ci sguazzano da vent’anni. Almeno ci risparmino gli attacchi pelosi.

[tags]torino, casacci, subsonica, grillo, movida, fassino, rumore, politica, alcool, giovani[/tags]

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martedì 31 Luglio 2012, 16:14

Chiomonte, lo Stato in gabbia

Sabato scorso ancora una volta il popolo No Tav si è riversato sui sentieri tra Giaglione e Chiomonte, attorno al cantiere che non c’è. E’ stata una giornata di festa, alla faccia di uno Stato che in Valsusa è sempre più lontano e sempre più ridicolo.

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Partiamo per le frazioni di Giaglione, in un serpentone lunghissimo di cui non si vede la fine. Dopo un po’, la strada principale è bloccata, come già lo scorso ottobre; e come già allora, nessuno demorde. Basta inoltrarsi nella montagna, seguendo l’antico dedalo di sentierini e muretti a secco che mostrano com’era una volta questa montagna meravigliosa, piena di casette e di coltivazioni povere ma importanti, e com’è adesso, abbandonata dall’incuria degli uomini moderni.

Il sentiero supera un crinale e si fa più stretto, proseguendo a mezza costa verso la val Clarea. Si forma un gigantesco ingorgo di persone, ferme in fila indiana aspettando che il corteo riesca a proseguire. Il serpentone si sfrangia in rivoli che sfruttano ogni varco nel bosco, cercando di arrivare alla meta: il rio in fondo alla valle.

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Laggiù, il punto più difficile: il guado. E’ un’esperienza che resterà nella memoria di molti, perché il passaggio non è agevole; bisogna saltare tra grandi pietroni per poi varcare il fiume in punta di piedi, senza scivolare nell’acqua gelida in cui ci si potrebbe rompere il collo. E’ un grande esempio di solidarietà No Tav; dai giovani col cane fino alle vecchiette, tutti si aiutano a vicenda. Perfetti sconosciuti si sbracciano e si abbracciano per aiutarsi a passare, mentre un gruppo di attivisti si ferma sui vari guadi per un’ora a porgere la mano a tutti quelli che ne hanno bisogno.

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Si risale la montagna, e sono ormai quasi tre ore di marcia: siamo sopra al cantiere. E’ la prima volta che lo vedo da così vicino, e la sensazione è orribile: al posto di quella che era una serie di prati e di boschi c’è ora un’enorme montagna di terra smossa, una devastazione ambientale mostruosa. Ci raccontano che i proprietari sono stati privati di tutto, che la natura è stata svenduta dallo Stato, ogni castagno secolare risarcito con cento euro e via. Dentro, peraltro, non c’è niente; solo mezzi delle forze dell’ordine e qualche vago arnese in un angolino – non certo le attrezzature che servirebbero per fare davvero un lavoro epocale come il Tav.

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Quella che era l’area archeologica della Maddalena, dove ai tempi della Libera Repubblica No Tav si entrava con le pattine e stando attenti a non rovinare l’erba, è diventata un parcheggio per camionette e cingolati: nemmeno i cinghiali si comportano così. Sulla nostra testa continua a girare l’elicottero… tutto a nostre spese, milioni di euro pubblici buttati nel cestino senza un motivo plausibile, per un’opera che via via tutta Europa sta abbandonando, ultima la stessa Francia.

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Eppure, la tristezza per tutto questo spreco e questa devastazione lascia spazio anche alla soddisfazione: quella che viene dal senso di libertà. Sono loro a essersi chiusi da soli dentro il recinto, come animali feroci; noi gli giriamo intorno come vogliamo, sbuchiamo dai cespugli e dagli alberi, siamo in ogni angolo, migliaia di persone che li costringono dentro. Noi siamo in vacanza, a fare una bella passeggiata nei boschi tutti insieme; loro sono fermi sotto il sole a difendere il nulla da un nemico che non c’è, già sapendo che tanto i soldi mancano e l’opera non si farà mai. Anche dal punto di vista politico, nonostante l’informazione al loro servizio, sono loro quelli chiusi nell’angolo.

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Proseguiamo a mezza costa in mezzo alle bellissime vigne; molti sono tornati indietro per riprendere l’auto a Giaglione, altri hanno ceduto alla stanchezza, ma noi proseguiamo felici. Una signora anziana chiacchiera con un ragazzo di un centro sociale, che le racconta la storia della sua vita (viene da Piacenza, dunque per i giornali sarebbe un mercenario militare anarco-lanciatore di pietre convocato sul posto dalla Spectre). Arriviamo infine a Chiomonte, al ponte della centrale.

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Sul costone c’è l’ennesimo recinto con i tutori dell’ordine ordinatamente chiusi dentro; sul ponte c’è Alberto Perino che saluta tutti e dà una stretta di mano e un abbraccio a chiunque passi di lì, come premio per quattro ore di marcia; e l’essere arrivati in fondo è un gran premio di suo. Di fronte, la Dora è piena dei bagnanti del campeggio No Tav, il terribile “campo paramilitare” di ragazzi in bermuda e famiglie accaldate.

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Risaliamo fino a Chiomonte per tornare poi a Torino. E’ stata una splendida giornata e torniamo tutti a casa stanchi, ma con il morale alto: quest’opera è ormai agli sgoccioli e in gabbia ci sono soltanto loro.

P.S. Il movimento No Tav lancia la quarta edizione di Compra un posto in prima fila, per chi volesse acquistare una quota di proprietà di uno dei terreni teoricamente destinati ad essere invasi dai cantieri del Tav. Anche il Movimento 5 Stelle di Torino e del Piemonte parteciperà all’acquisto. Le quote partono da venti euro, aderite numerosi; contattateci per aderire con noi, oppure visitate i siti No Tav.

[tags]no tav, chiomonte, giaglione, valsusa, manifestazione, stato, polizia[/tags]

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venerdì 27 Luglio 2012, 12:20

Lo schifo dei rifiuti in Sala Rossa

Scusate se sarò un po’ lungo, ma l’arrivo dei rifiuti in Sala Rossa è stato un vero schifo; il punto più basso di un anno di gestione Fassino.

E così, alla fine anche i rifiuti e l’inceneritore, dopo i trasporti e l’aeroporto, sono stati privatizzati. Nonostante il nostro ostruzionismo, svolto in perfetta solitudine e contro tutti i partiti, e dopo una maratona di tre giorni, il consiglio comunale mercoledì sera ha approvato di mettere in vendita il 49% di Amiat – ma non vi inganni la percentuale, col 49% sarà data al privato anche la gestione – e l’80% di TRM (inceneritore).

In campagna elettorale, il centrosinistra aveva promesso l’esatto opposto: nelle linee programmatiche di Fassino, approvate un anno fa, a pagina 15 si legge che “si valuterà l’utilizzo degli asset delle partecipate, tenendo in ogni caso conto di due vincoli: il mantenimento del controllo della società da parte del Comune ed il nuovo quadro politico e normativo determinato dall’esito dei referendum del 12-13 giugno 2011”.

Infatti, un mese fa la delibera era partita dicendo che si sarebbe venduta la minoranza delle due aziende, e solo perché si era obbligati dalla legge dello scorso agosto che di fatto forzava i Comuni a vendere. Su questa ipotesi si è espressa la città, e in particolare le circoscrizioni; poi, all’ultimo momento, è diventata “vendiamo la maggioranza dell’inceneritore perché ci servono soldi”.

Poi, venerdì scorso, la Corte Costituzionale ha ribadito che il referendum aveva abolito l’obbligo di vendere le società comunali, e ha cancellato la legge a cui Fassino si era continuamente riferito; bene, facendo finta di niente, nel giro di una domenica la maggioranza ha presentato un emendamento di venti pagine che riscriveva da capo la delibera, ammettendo almeno la verità: la Città vende queste aziende perché ha bisogno assoluto di soldi.

In commissione, il vicesindaco ci ha fatto il conto della serva: per rientrare nel patto di stabilità il Comune deve incassare entro fine anno 330 milioni di euro. Pensa di prenderne 50 dal 28% dell’aeroporto, 100 dal 49% di GTT, 30 dal 49% di Amiat e dunque dall’inceneritore ne devono entrare almeno 150; per arrivare a questa cifra non basta vendere il 49%, serve vendere l’80%.

Per raggiungere questo obiettivo di brevissimo termine, si vende un’opera pericolosissima, nociva per la salute e per l’ambiente, che aumenterà il tasso di mortalità e di malattia in Torino e cintura; e se ne perde il controllo, dandolo in mano a un privato che avrà come unico obiettivo quello di guadagnarci il più possibile (secondo voi farà per bene la manutenzione programmata?), e impegnandosi per vent’anni a portarvi i rifiuti a qualsiasi costo, nonostante il Parlamento Europeo abbia deliberato qualche mese fa (punto 32) che entro il 2020 dovrà essere introdotto il divieto di incenerire qualsiasi tipo di materiale potenzialmente compostabile o riciclabile, cioè quasi tutti i rifiuti. Anzi, all’ultimo momento, per aumentare ancora un po’ il valore dell’azienda, hanno pensato addirittura di aumentare la durata della concessione a trent’anni – per fortuna questa cosa è saltata!

Tutta l’operazione è stata raffazzonata, con continui e improvvisi cambi di rotta a seconda del momento. Ma almeno, servirà a qualcosa? Certo non ad abbassare la TARSU, dato che il gestore privato dovrà guadagnarci: in delibera è già stata inserita una “remunerazione” del 2,5% sulla raccolta rifiuti, alcuni milioni di euro in più per tutti noi. Ma non servirà nemmeno ad evitare il dissesto della città: magari si tamponano le casse per quest’anno, ma l’anno prossimo? Cosa si venderà, la Mole?

Infatti il consiglio comunale non ha mai discusso sulla motivazione vera di questa operazione, ovvero il fare cassa: non ha mai discusso se pagare il debito sia un dogma incontestabile o se sia possibile andare a rinegoziare il patto con le banche, tagliando una parte dei debiti e spostando gli altri più in là nel tempo. Fassino in aula ha detto che Torino deve mantenersi da sola, a costo di vendere tutto quello che ha, e che non ha senso chiedere al governo centrale di cambiare la politica economica del Paese, salvo poi il giorno dopo andare in piazza davanti alle telecamere a chiedere la modifica della spending review (schizofrenia?). Questa discussione è tabù: non si può fare.

Ma non si è fatta nemmeno una discussione sull’acquirente più probabile, ovvero quella Iren che in teoria è una società pubblica, ma che di fatto è una società privata del PD; e che per Fassino dovrebbe diventare la base di una “multiutility del Nord” che gli permetta di gridare “abbiamo una grande azienda!”. Peccato che Iren in pochi anni abbia accumulato tre miliardi di euro di debiti; i nostri beni comuni, costruiti da generazioni di nostri antenati, vengono inseriti in questa scatola finanziaria e progressivamente spolpati, lasciando alla teoria proprietà, i Comuni, soltanto i conti da pagare. Anche i nostri rifiuti faranno questa fine?

L’ultima nota è per la tristezza del teatrino politico: a un certo punto, in aula, la Lega difendeva i beni comuni mentre il centrosinistra insisteva che era meglio privatizzare. Gli stessi partiti che esultavano per il referendum, con tanto di manifesti sul vento che cambia, ora insistono che il referendum non vale e non diceva quello che diceva. Il PD almeno è coerente, è ormai un partito liberista e amico della finanza; IDV invece non si sa che linea abbia, in aula uno ha addirittura votato a favore – si dice su ordine diretto di Di Pietro, anche se lui smentisce – e uno è scappato per non votare.

Ma il massimo è stato il comportamento di SEL: il lunedì mattina il suo segretario e capogruppo Curto sui giornali chiedeva un rinvio dell’operazione; il lunedì sera in aula SEL ha votato contro il rinvio da noi formalmente proposto. Mercoledì, dopo settimane che dicevano che la loro richiesta fondamentale era che si vendesse solo il 49%, SEL ha votato contro l’emendamento della Lega che lo proponeva. Peraltro mercoledì Curto non si è nemmeno presentato in aula: era già in viaggio per Cuba, ospite del governo di Fidel. SEL fa regolarmente l’opposto di quello che dice: possibile che nessuno dei loro elettori se ne accorga?

Il PDL, poi, era impegnato a chiedere apertamente a Fassino di cacciare SEL e farsi invece appoggiare da loro. Non scherzo: a un certo punto il capogruppo Tronzano ha detto apertamente “Fassino, se lei caccia SEL noi votiamo la delibera”. Che durissima opposizione!

Capite come, in questo scenario di inciuci e manovrine, dei beni comuni importi veramente a pochi; per molti è più importante evitare ad ogni costo di andare tutti a casa l’anno prossimo, come facilmente accadrebbe se la vendita fallisse, per tenere ancora per un po’ le mani sulla città.

[tags]politica, torino, amiat, trm, privatizzazioni, fassino, sel, pdl, pd, referendum, beni comuni[/tags]

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mercoledì 18 Luglio 2012, 16:25

I referendum anticasta sono una bufala

Negli ultimi giorni sta diventando una valanga: molte persone ci chiedono come firmare i “referendum contro la casta”, o addirittura perché il Movimento 5 Stelle non stia raccogliendo le firme. Per questo vorrei chiarire che questi referendum, allo stato attuale delle cose, sono una bufala!

I referendum che circolano, mirati ad abolire gli stipendi d’oro e le prebende dei parlamentari, sono due: uno, del Comitato del Sole, prevede l’abolizione di quasi ogni prerogativa, mentre l’altro, dell’Unione Popolare, in realtà prevede la sola abolizione della diaria ai parlamentari, che è di circa 3000 euro al mese (moltissimo per noi ma poco per loro, rispetto al totale). Questo secondo referendum lascia particolarmente perplessi quando si scopre che i promotori vengono dall’UDC e che il risparmio ottenuto sarebbe di 39 milioni di euro l’anno, a fronte di un costo di 300-400 milioni per svolgere il referendum.

Il motivo per cui questi referendum sono una bufala è presto detto: il referendum abrogativo è regolato da alcuni articoli della legge 352 del 1970. Basta leggerli per scoprire che:

1) non è possibile svolgere un referendum in contemporanea con le elezioni politiche, e se vengono convocate le elezioni politiche le procedure referendarie vengono sospese e rinviate di un anno (art. 34);

2) è vietato depositare le firme di un referendum nell’anno (solare) precedente a quello delle elezioni politiche (art. 31);

3) le firme si potranno eventualmente depositare dal 1 gennaio (art. 32);

4) le firme devono essere depositate entro tre mesi dall’inizio della raccolta (art. 28).

Tutto questo fa sì che le firme raccolte in questo periodo siano nulle e inutilizzabili; il primo giorno possibile per depositare le firme per un referendum è il 1 gennaio 2013, ma in questo caso, per via del punto 4, sarebbero valide soltanto le firme raccolte dopo il 1 ottobre 2012. In tal caso, comunque, il referendum potrebbe svolgersi soltanto nel 2014 o addirittura nel 2015, se le elezioni politiche fossero successive al 1 maggio 2013 (vedi qui). Si fa molto prima a votare alle politiche dell’anno prossimo per i partiti che si impegnano a tagliare gli stipendi!

Ma allora, perché qualcuno si dà la briga di mettere in piedi una campagna del genere, e una volta avvertito del problema (come avvenuto per entrambi i comitati da diversi giorni) continua bellamente la raccolta? Ognuno lo può ipotizzare da solo.

Può benissimo essere semplice ignoranza, leggerezza o cattiva interpretazione della legge (è già successo anche ad altri); ho conosciuto alcuni ragazzi del Comitato del Sole e mi sono sembrati un po’ ingenui e inesperti ma sicuramente ben intenzionati. Quando invece la proposta viene da persone con un lungo curriculum di attivismo nei partiti, credo sia più legittimo pensare male. E allora faccio notare che anche per i referendum sono previsti i rimborsi elettorali, e che in caso di successo il comitato referendario incasserebbe milioni di euro a cui nessuno dei due ha dichiarato di voler rinunciare; senza parlare della quantità di apparizioni televisive e della pubblicità ottenuta dai promotori.

Ma qui a Torino abbiamo anche un’altra esperienza: ricorderete quel Renzo Rabellino che riesce a far eleggere consiglieri qua e là con coalizioni di liste improbabili, come Grilli Parlanti, Lega Padana e Forza Toro. E’ ormai appurato che molte persone che avevano firmato per presentare petizioni contro il canone Rai o contro le strisce blu – persino personaggi famosi come Luciana Littizzetto – avevano ritrovato la propria firma magicamente apposta sotto le liste elettorali di Rabellino (d’altra parte è difficile immaginare migliaia e migliaia di persone che volontariamente corrono ai banchetti per presentare alle elezioni la lista della Lega Padana Piemont). Del resto, a puro titolo ipotetico, non ci vorrebbe molto a ricopiare dati e firme tra due fogli o a stampare un nuovo testo sul retro bianco di un foglio pieno di firme.

E’ per questo che mi permetto di sospettare che tutte queste centinaia di migliaia di italiani che ora corrono a firmare fogli dal primo che passa per “far finire questo schifo dei politici” potrebbero a loro insaputa, l’anno prossimo, presentare alle elezioni politiche le liste di qualche nuovo partito pieno di riciclati!

[tags]referendum, elezioni, politica, unione popolare, comitato del sole, casta, stipendi[/tags]

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venerdì 13 Luglio 2012, 08:57

Quelli che odiano le bici

Come tanti torinesi, mi capita abbastanza spesso di percorrere in bici via Lagrange e via Accademia delle Scienze: da quando sono diventate pedonali, è l’unico attraversamento nord-sud del centro che non ti abbandoni tra le auto e i tram. Da qualche tempo, davanti al Museo Egizio, l’immancabile cantiere ha invaso gran parte della strada, per cui è necessario andare piano e fare attenzione alle persone.

Da qualche giorno, però, il cantiere si è allargato ulteriormente e all’inizio del tratto in questione è apparso questo:

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Ora, io posso anche essere d’accordo sul fatto che le bici in un passaggio pedonale così stretto siano problematiche; come in altre parti della città, e persino in alcune “piste ciclabili promiscue” (così è, secondo il Comune, il mezzo metro di marciapiede di via Sacchi davanti a Porta Nuova), si può mettere un cartello che imponga la bici a mano.

Qui, però, siamo a un livello di odio per la bicicletta che merita un’accurata analisi (anche in senso clinico). In un solo punto ci sono ben cinque cartelli di divieto alle biciclette, peraltro di tre tipi diversi di cui uno solo regolare. Ma il massimo è il disegnino sulla fascia superiore, che, in uno stile naif che ricorda le incisioni rupestri preistoriche della val Camonica, raffigura una sequenza di piccoli omini e donnine che festosi si tengono per mano, fin che non vengono assaliti dal cattivo e gigantesco mostro-ciclista, rosso di rabbia e di sangue, che li arrota con crudeltà sparandoli via come birilli.

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In attesa di capire come continuerà il ciclo pittorico – mi aspetto che dietro aggiungano la scena in cui il ciclista si nutre della carne dei pedoni, seguita da quella in cui gli omini con le lance infilzano il ciclista e lo cuociono a fuoco lento per vendetta – ho scritto una interrogazione per sapere perché il Comune abbia imposto il divieto di circolazione per le bici e disegnato un simile cartello, che peraltro credo abbia lo stesso identico effetto della richiesta di bici a mano, dato che, a quanto mi risulta, se la bici viene portata e non usata si diventa equiparati ai pedoni.

Certo che questo episodio ribadisce la sensazione che da tempo abbiamo, cioé che a Torino, a parte molte belle parole, si costruiscano piste ciclabili alla bell’e meglio solo per evitare che le bici disturbino le auto in strada, per poi vietare le bici quando si lamentano i pedoni, senza nemmeno preoccuparsi di prevedere un percorso alternativo, dando la netta sensazione che il ciclista sia soltanto un fastidio per tutti.

Nel frattempo, ha fatto scalpore – sta circolando persino sui giornali – la mia annotazione su Facebook relativa al costo delle riparazioni delle biciclette del ToBike dopo l’assalto di un gruppo di dementi che hanno tagliato le gomme a 267 bici. Eppure già da tempo i giornali avevano scritto che il prezzo delle riparazioni era di 30.000 euro; io mi sono limitato a fare una divisione e a scrivere la cifra per bicicletta, ovvero 112 euro. Capisco che i giornali abbiano spesso problemi con la matematica, ma non ci voleva molto…

L’azienda che gestisce “chiavi in mano” il ToBike è la Comunicare srl, che gestisce il bike sharing in molti altri comuni italiani; ha giustificato la cifra con la necessità di cambiare non solo le gomme ma spesso anche i raggi, di provare le bici una ad una, di utilizzare materiali antiforatura e più resistenti della media visto l’elevato utilizzo delle bici, e soprattutto di rimettere in piedi il servizio il più in fretta possibile, mobilitando quindici persone. Il costo è a carico loro e non erano assicurati, dunque per il momento sono fatti loro.

Tuttavia, il prezzo pare comunque elevato; tramite i nostri contatti, noi abbiamo trovato una persona che fa le riparazioni per uno degli altri comuni serviti da questa società, che ci ha assicurato che con 25 euro gli cambia direttamente la ruota. Verificheremo il contratto, e se dovessimo vedere un tentativo di scaricare la cifra sulle casse pubbliche chiederemo conto delle spese; abbiamo comunque già presentato da diversi giorni una interrogazione e attendiamo una spiegazione scritta.

Ah, ovviamente vi chiederete: ma i costi non li pagheranno gli autori del gesto? E’ tutto da verificare; anche costituendosi parte civile per poter chiedere i danni, resta il fatto che gli autori sono stati individuati da un video relativo a una sola delle decine di stazioni del ToBike danneggiate; non ci sono prove che siano loro gli autori di tutti gli altri danni. O le si trovano, o credo che questi se la caveranno con qualche centinaio di euro al massimo…

[tags]bici, mobilità, tobike, danni, cartelli[/tags]

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martedì 10 Luglio 2012, 10:05

Mi manifesto, contro la corruzione

Venerdì scorso, al Palazzo di Giustizia di Torino, si è concluso il processo per l’episodio di tentata corruzione all’Amiat di cui fu vittima Raphael Rossi, a cui fu offerta una mazzetta per non ostacolare l’acquisto di un macchinario del costo di 4,5 milioni di euro che non serviva sostanzialmente a nulla.

Io, con tanti altri cittadini, ho risposto all’appello per essere presente davanti al tribunale prima dell’udienza per una singolare e colorata manifestazione.

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Il problema della corruzione, difatti, è che almeno in Italia è considerata un problema minore. Lo testimonia anche l’esito del processo: nonostante gli eventi siano stati provati, i responsabili dell’azienda che doveva vendere il macchinario sono stati condannati a pene abbastanza lievi, con la condizionale, che andranno senz’altro in prescrizione prima dell’appello (alcune delle accuse si sono già prescritte). I politici e i dirigenti pubblici coinvolti nel processo sono stati assolti, tranne l’ex presidente Amiat Giordano, del PDCI, che aveva già patteggiato una condanna a un anno. Alla fine, non pagherà nessuno.

La corruzione costa alla collettività italiana l’astronomica cifra di 60 miliardi di euro l’anno, una cifra che potrebbe risolvere molti dei nostri problemi economici, ma le istituzioni recuperano solo alcune decine di milioni di euro l’anno. Del resto, la risposta delle istituzioni alla vicenda Amiat è stata sconcertante: invece di essere premiato, Rossi è stato praticamente costretto ad andare via da Torino per poter lavorare. La Città non si è mai costituita parte civile, mentre l’ha fatto l’Amiat, dopo due anni di insistenze e pressioni pubbliche. Nonostante le mozioni del consiglio comunale, la Città non ha nemmeno aiutato Rossi con le spese legali, né promosso la visibilità del processo.

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Per questo venerdì eravamo lì davanti: per ribadire che la corruzione va denunciata e combattuta, e che serve un cambio radicale di rotta su questo tema. Raphael ha costituito l’associazione dei Signori Rossi, che ha iniziato a portare avanti iniziative sul tema. Serve però una presa di coscienza di tutti, perché solo una sorveglianza collettiva può cambiare le cose.

[tags]corruzione, amiat, torino, raphael rossi, processo[/tags]

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mercoledì 4 Luglio 2012, 10:40

Variante 200, la variante che uccide

Di storie incredibili, in un anno in Comune, ne ho viste tante: ma quella che vedete nel video le batte tutte. E’ la storia di una azienda mandata in fallimento dalle scelte urbanistiche e dalla lentezza dell’amministrazione comunale, e più precisamente dalla famosa Variante 200, proprio quella che viene continuamente sbandierata come un meraviglioso progetto di rinnovamento e sviluppo di Torino.

Ho conosciuto Roberto Padoan, il patron di Scubatica, alcuni mesi fa: lui si è rivolto a tutte le forze politiche e autorità cittadine, io sono stato l’unico a rispondere. Mi ha raccontato la storia che sentite nel video: quella di un imprenditore con un progetto innovativo che si indebita per centinaia di migliaia di euro per portarlo avanti, comprando una vecchia fabbrichetta meccanica e investendo sui prodotti.

Tutto va bene fin che non arriva il Comune a dirgli di punto in bianco che, per favorire l’accesso al nuovo quartiere della Variante 200 che devono costruire oltre il suo stabilimento, hanno deciso di allargare la futura via Regaldi rispetto a quanto previsto dal piano regolatore sin dal primo Novecento, nonché di costruire l’immancabile rotonda all’angolo con via Pacini, e dunque gli portano via un bel pezzo di fabbrica.

Senza la fabbrica in cui farli, però, non si possono realizzare i nuovi prodotti; e dunque bisogna fermare tutto e trovare una nuova sede, che però costa, come costa traslocare macchinari di stampaggio alti quattro metri e pesanti tonnellate. Se prima non si vende la sede attuale, non ci sono i soldi per spostarsi; altro credito ovviamente non te ne fa nessuno; ma chi comprerà una fabbrica dimezzata?

Qui entra in gioco il Comune, che suggerisce la seguente soluzione: la Città rende il terreno edificabile per un bel palazzo di otto piani, così gli immobiliaristi lo comprano e Scubatica ha i soldi per spostarsi. Peccato che, nonostante le promesse, nessuno compri, o comunque vengano fatte offerte a prezzo stracciato, insufficiente a pagare anche solo le spese di trasloco.

Il motivo ufficiale è che “il mercato è in crisi”, ma mettetevi nei panni di chi vive di speculazioni immobiliari: Scubatica non può portare avanti il proprio business plan, ma deve continuare a pagare costi, stipendi, mutui per l’acquisto della sede ora inutile; con l’attività ridotta, conseguente alla mancata espansione, non ce la può fare. La vicenda burocratica si trascina per due, tre anni; ogni volta il Comune minaccia l’arrivo imminente delle ruspe – questione di settimane – ma poi c’è sempre un motivo per cui tutto resta fermo. A forza di perdite, Scubatica non può che fallire; e dunque perché darsi la briga di comprare ora, quando si può comprare a metà prezzo tra pochi mesi dal curatore fallimentare?

La cosa pazzesca è che il Comune dovrebbe fare gli interessi di tutti; di chi costruisce, ma anche di chi già si è insediato lì; progettando una trasformazione come questa, dovrebbe comunque difendere chi ci si trova in mezzo. Difatti per prima cosa abbiamo chiesto che l’assessore Curti facesse il proprio lavoro di “moral suasion”; in risposta a una nostra interpellanza, l’assessore aveva detto che tutto andava bene e che le offerte di acquisto del terreno stavano partendo. Abbiamo sollecitato ancora, in questi mesi, e non è successo nulla.

Infatti, quando si tratta di fare una variante al piano regolatore – operazione che, per legge, può essere fatta soltanto nel pubblico interesse, e non per l’interesse di privati – gli operatori immobiliari diventano “partner” che aiutano la “trasformazione urbana”; quando si tratta dei diritti dei cittadini, diventano privati a cui l’amministrazione non può imporre nulla, per colpa naturalmente del “mercato”.

E però, tramite lo strumento urbanistico del “piano particolareggiato”, l’amministrazione può invece imporre a Scubatica e agli altri proprietari di realizzare il progetto della variante, costruendosi da soli i palazzi se necessario, oppure espropriargli i terreni a basso prezzo e in più addebitargli i costi della demolizione e della bonifica dei loro edifici!

In nome dell’ennesima speculazione venduta come grande progetto per il bene di tutti, il Comune considera l’azienda come una vittima collaterale; addirittura, Padoan racconta come i tecnici comunali gli abbiano detto che è colpa sua, che quando si è insediato lì ha effettuato un “incauto acquisto”, perché avrebbe dovuto immaginare che il Comune due anni dopo magari avrebbe voluto allargare la strada…

La Variante 200, al momento, è un morto che parla; Torino è già piena di decine di migliaia di nuovi alloggi vuoti e invendibili – a cui peraltro Fassino, dopo aver spremuto le famiglie e le aziende fino al massimo delle aliquote, ha appena concesso agevolazioni sull’IMU – e anche chi doveva investire in quell’area ora non è più così certo di volerlo fare. La seconda linea di metropolitana è fumo negli occhi, lo Stato ha già negato persino il primo timido finanziamento per le due fermate dal passante ferroviario al San Giovanni Bosco. Vedremo se e quando partiranno dei lavori, ma nel frattempo ci sono già le prime vittime: le persone di Scubatica, messe in mezzo a una strada.

P.S. Per chi fosse interessato, giovedì 19 luglio alle 21 in via Lessona 1/E faremo una serata a tema sull’urbanistica di Torino, spiegando come funziona il piano regolatore e dove sono previste le prossime colate di cemento. Non mancate!

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venerdì 29 Giugno 2012, 10:40

Come il Comune spende i nostri soldi

Ieri il Comune ha approvato il bilancio; ora, finalmente, è pubblico. Non è questione da poco, perché, fosse per me, avrei già pubblicato da settimane la bozza di bilancio con tanto di relazione, e avrei chiesto a tutti dei commenti. Non si può, mi hanno detto i legali. Come non si può, ho risposto io: non possiamo dire ai cittadini come il sindaco pensa di spendere i loro soldi? No, non possiamo finché non è approvato. Pazzesco.

Per prima cosa vorrei riassumere alcuni punti salienti sui bilanci dei settori che seguo io. Il bilancio della viabilità è piuttosto magro, e si sono trovati 7.800.000 euro, qualcosa in più dell’anno scorso, per la manutenzione ordinaria e straordinaria delle strade e dei marciapiedi, rinunciando invece alla riqualificazione urbana; può sembrare molto ma quattro anni fa il budget era quasi il quadruplo, dunque la situazione non migliorerà di molto. In compenso partiranno i lavori dell’argine del Po al Fioccardo, dove le case in passato sono finite sott’acqua. Quello del verde non è tanto meglio; il budget per la manutenzione dei parchi è di 3.100.000 euro, -54% rispetto al 2009. Peggio ancora sarà col verde “spicciolo” gestito dalle circoscrizioni: aspettatevi sempre più savane.

Il vero massacro, però, è sul welfare: credo che questa tabellina dica tutto.


2011 2012 Variazione % sul tot.
Stranieri e nomadi 4.229.312 4.291.577 1,5% 5,1%
Anziani e famiglie 37.689.973 29.581.872 -21,5% 34,9%
Adulti in difficoltà 6.864.354 6.925.343 0,9% 8,2%
Minori 22.607.373 18.737.517 -17,1% 22,1%
Disabili 27.186.539 25.243.076 -7,1% 29,8%
Altro 498.994 25.500    
TOTALE 99.076.545 84.804.885 -14,4%
di cui



Fondi comunali 41.172.897 40.176.639 -2,4%  
Fondi esterni
57.903.648 44.628.246 -22,9%  

Oltre il 20% in meno sugli anziani, quasi il 20% in meno sui minori, il 7% in meno sui disabili: e poi Fassino ha la faccia di dire che “non è stato tagliato nulla”. In verità nelle scorse settimane sono stati approvati una serie di provvedimenti che penalizzano fortemente chi ha bisogno di assistenza, con aumenti di tariffe, restrizioni dei requisiti per avere assistenza, tagli dei servizi e delle sovvenzioni. E sul fatto che l’unico capitolo in crescita sia “stranieri e nomadi” molti avranno da obiettare…

Vorrei anche poter pubblicare le quattro pagine fittissime di enti e associazioni (per una buona metà parrocchie ed enti religiosi) che ricevono contributi comunali per gestire progetti di assistenza, per un totale nel 2011 di 4.195.000 euro; in mezzo ci sono molti progetti che conosco e che sono ottimi, ma in tanti altri casi non ho veramente idea di cosa venga fatto con i nostri soldi, magari la rete ce lo saprebbe dire.

A questo punto però vorrei condividere un’altra cosa che colpisce: a fronte di questa situazione drammatica, la presenza nella spesa comunale di moltissime voci di entità che a una persona normale sembra abnorme, per progetti tutto sommato non particolarmente fondamentali (quasi tutti peraltro legati al cemento). Qualche settimana fa ci fu una polemica per il milione di euro destinato al Filadelfia, ma scorrendo il programma delle opere pubbliche e le relazioni al bilancio, anche solo nei miei settori, si scoprono spese come queste:

260.000 euro ad agenzie interinali per attività di ricollocazione dei lavoratori
19.000.000 di euro per la realizzazione di un Energy Center nell’area ex Westinghouse (via Borsellino)
2.915.000 euro per lavori di messa in sicurezza delle OGR
4.971.000 euro per la ristrutturazione del castello di Santena
1.084.000 euro per risistemare il piazzale della basilica di Superga
3.000.000 di euro per “attività di riqualificazione dell’area dello scalo Vanchiglia non meglio precisate
500.000 euro per la manutenzione dei segnali stradali
514.000 euro per la sistemazione dell’area verde di via Assisi
1.347.000 euro per la risistemazione dell’area di via Sesia / via Montanaro
1.084.000 euro per la sistemazione viabile e pedonale di via Ghedini
600.000 euro per un sottopasso pedonale che colleghi piazza Valdo Fusi al museo delle Scienze
660.000 euro per la navigabilità del Po
749.000 euro per 950 metri di pista ciclabile su via Anselmetti (stradone largo e dritto in mezzo alle fabbriche)
200.000 euro per il ripristino di scorci panoramici sulla strada dei colli (panoramica di Superga)
2.226.000 euro per nuove passerelle al Parco Dora
1.220.000 euro per il Parco Stura a Lungo Stura Lazio (una bella passeggiata tra le baracche?)
172.000 euro per le spese di funzionamento dell’ATO Rifiuti (fondamentale organo burocratico di cui tutti apprezzano l’esistenza)
6.500.000 euro per il restauro del mastio della Cittadella
1.000.000 euro (nel 2013) per la manutenzione straordinaria della chiesa di Santa Croce
2.300.000 euro per la manutenzione straordinaria della palestra e del cortile della cascina Marchesa
500.000 euro per la manutenzione straordinaria e bonifica edifici via Revello 3 e 5 (ma lo sanno cosa c’è a quell’indirizzo?)

Sono sicuro che ognuno di questi progetti ha un motivo e una logica che magari dal titolo non emergono, ma questi soldi non potrebbero essere meglio spesi? La verità purtroppo è che il bilancio di un Comune non funziona come il nostro portafoglio, e non si può pensare così facilmente di prendere soldi da una parte per metterli da un’altra; in particolare, prendere i soldi destinati a un investimento, o derivanti da entrate straordinarie e non ripetibili come la vendita di un immobile, e destinarli alla spesa corrente (welfare, stipendi… quel che volete), è una pessima pratica amministrativa, perché l’anno prossimo poi questi soldi non ci saranno più, mentre la spesa sarà di nuovo da pagare. In passato lo si è fatto, ma ormai la Corte dei Conti è prontissima a sanzionare questo comportamento.

Un’altra osservazione è che tutte le spese meno prioritarie derivano tipicamente da finanziamenti esterni e vincolati; se l’Europa ti dà dei soldi per il Parco Dora, tu non puoi prenderli e spenderli per altro. E’ però vero che anche i soldi europei, nazionali e regionali sono alla fine soldi nostri, quindi bisognerebbe se mai chiedersi come spendono i soldi questi enti più grossi; la sensazione è che più si va in alto e più i soldi, disponibili in quantità sempre maggiori, vengano buttati con generosità. Idem per le fondazioni bancarie: è vero che l’Energy Center lo pagano (oltre all’Europa) San Paolo e CRT, ma non nascondiamoci dietro a un dito, le fondazioni sono legate alla politica a doppio filo e le loro politiche di investimento sono concordate.

Comunque, la coperta è corta e che di soldi ce ne sono pochi, specialmente se non si mette in discussione la priorità (sia locale che nazionale) che dice che prima si pagano i debiti alle banche e poi, se avanza qualcosa, si fa tutto il resto. E quando si tratta di scegliere cosa fare del poco che c’è viene il difficile.

Si scontrano infatti due considerazioni opposte. Se parli con un disabile, un anziano, un malato, un genitore con bambino al nido, ti dice: cosa c’è di più prioritario di me? Piuttosto eliminate la cultura, lo sport, le opere pubbliche, non fate le piste ciclabili e non tagliate l’erba nei prati, ma mettete i soldi sui servizi che mi sono necessari per avere una vita decente. Chi potrebbe sostenere il contrario?

Dall’altra parte, però, c’è una grande quantità di cittadini che non usufruisce del welfare, e che dice: io pago le tasse, allora cosa ricevo in cambio? Se tutto viene speso per assistere la fascia più debole della società, e se nel frattempo i trasporti non funzionano, le strade sono piene di buche, i giardini diventano savane e gli impianti sportivi sono a pezzi, chi me lo fa fare di vivere e pagare le tasse a Torino? Effettivamente nessuna città può sopravvivere se la parte economicamente produttiva si ferma e sparisce, anche per mancanza di infrastrutture fisiche, organizzative, culturali; l’assistenza tramite le tasse è possibile solo se c’è qualcosa in attivo da tassare.

Compenetrare queste due visioni è molto difficile, e, secondo me, non può nemmeno essere fatto arbitrariamente da chi amministra (anche se le priorità di Fassino, alla luce di quanto sopra, mi sembrano piuttosto discutibili). Dovrebbe essere la stessa cittadinanza a scegliere dove mettere i propri soldi, almeno a grandi linee. Di qui la proposta del bilancio partecipativo e la richiesta di maggiore trasparenza, tramite una mozione che chiedeva di pubblicare da subito almeno i dati di sintesi del bilancio. Mozione bocciata, anche se l’assessore Passoni ha dato disponibilità a discutere il tema.

Ma non è nelle corde di questa politica; chi vive nel sistema rappresentativo si sente autorizzato a spendere i soldi di tutti come se fossero propri. Ed è proprio da qui che nascono i guai.

[tags]torino, bilancio, fassino, politica, spese, comune[/tags]

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lunedì 18 Giugno 2012, 11:55

La giustizia a Torino e il Palazzo del Lavoro

Per chi, come noi, sostiene da tempo la lotta dei cittadini di via Ventimiglia e del comitato SalvaItalia61 contro la trasformazione del Palazzo del Lavoro in un centro commerciale (nel video vedete una nostra piccola manifestazione dello scorso dicembre e tutte le ragioni della protesta), venerdì è stata una grande giornata: una sentenza del TAR Piemonte ha completamente annullato le delibere di consiglio comunale che approvavano la variante al piano regolatore che permetteva il progetto, riazzerando tutto.

E’ meno bello, però, scoprire esattamente perché il TAR Piemonte ha considerato illegittimo il progetto. E’ perché si tratta di un monumento nazionale, opera del grande architetto Pier Luigi Nervi costruita per celebrare il centenario dell’Unità d’Italia, e come tale meritevole di rispetto e tutela e magari di un uso pubblico, per qualcuno dei tanti servizi utili al quartiere? No, assolutamente, anzi la vendita del palazzo dal Demanio e dal Comune ai nuovi proprietari – la società Pentagramma, ovvero Gefim, uno dei maggiori immobiliaristi privati torinesi, e Fintecna, impero delle partecipazioni statali – è stata considerata legittima.

E’ perché il terreno sotto il palazzo è inquinato? No, perchè è vero che il terreno è pieno di metalli pesanti e residui industriali pericolosi per la salute – si dice che nella prima metà del Novecento fosse usato come discarica per le lavorazioni del Lingotto – ma siccome il Comune ha modificato la destinazione del terreno in commerciale, e siccome i limiti di legge per l’inquinamento delle aree commerciali sono molto più alti di quelli per le aree verdi e residenziali, il terreno del palazzo non è legalmente inquinato; anche se lo stesso identico terreno un metro più in là, oltre la recinzione, dentro il parco di Italia ’61 e nel giardinetto dell’asilo nido Il Laghetto, è invece legalmente inquinato, dato che si applicano i limiti di legge più bassi; ma quelli sono terreni comunali e dunque la bonifica è a nostro carico.

E’ perché il nuovo insediamento attrarrà ulteriore traffico in una zona già completamente intasata, con code di chilometri alla Rotonda Maroncelli e su via Ventimiglia nelle ore di punta, danneggiando ulteriormente la salute dei residenti con l’inquinamento? No, anche se non ci sono i soldi per fare sistemazioni viabili più complesse di un paio di rotonde e corsie di uscita, quello non è un problema.

E’ perché un centro commerciale in quel palazzo ucciderebbe tutti i negozi del quartiere nel raggio di diversi isolati? Un po’ sì, ma per i piccoli negozi non si sarebbe certo scomodato il TAR.

Infatti, il motivo per cui il TAR Piemonte ha bloccato tutto è il ricorso della società 8 Gallery Immobiliare, che gestisce l’omonimo centro commerciale promosso dalla Fiat e poi rigirato nel vortice delle finanziarie immobiliari; ovviamente l’8 Gallery sarebbe danneggiata dalla concorrenza di un altro centro commerciale in zona, e dunque hanno fatto ricorso e hanno vinto.

Sicuramente, se quelli di 8 Gallery hanno vinto, avevano ragione; eppure il commento di corridoio più frequente è che “solo la Fiat poteva vincere un ricorso al TAR contro il Comune”. Già, perché i ricorsi al TAR Piemonte da parte di cittadini e comitati contro la cementificazione del territorio e la svendita dei beni comuni si sprecano; e però, tutti questi ricorsi sono generalmente respinti, e vince regolarmente il Comune. L’ultima è l’ordinanza, uscita anch’essa venerdì, con cui il TAR Piemonte boccia il ricorso del comitato referendario dell’acqua pubblica contro la svendita di GTT, Amiat e TRM, con la motivazione per cui i cittadini non avrebbero il diritto di contestare per vie legali il modo in cui il Comune vende la proprietà di tutti, anche nel caso in cui tale modo fosse eventualmente illegale o irregolare.

Sicuramente, se i cittadini hanno perso, avevano torto; eppure si nota come, quando i cittadini hanno la forza di appellarsi al Consiglio di Stato, lasciando Torino e andando a Roma, le cose non di rado cambiano. Per esempio, il ricorso contro la speculazione immobiliare sull’area ex Fiat Isvor di corso Dante, anch’essa in mano a Gefim, è stato bocciato a Torino, ma a Roma il Consiglio di Stato ha invece subito concesso una sospensiva (siamo in attesa della sentenza).

Non sfuggirà ai lettori attenti che pochi mesi fa il presidente del TAR Piemonte Franco Bianchi è stato indagato perché, secondo l’accusa, si sarebbe messo d’accordo col segretario generale del Comune di Torino nella gestione Chiamparino, Adolfo Repice: Bianchi avrebbe aggiustato le sentenze del TAR in favore della segreteria comunale, e Repice in cambio avrebbe provveduto a una raccomandazione per far entrare il figlio di Bianchi in Rai come regista televisivo. L’inchiesta è in corso, vedremo come finirà; nel frattempo Bianchi è andato a casa con una lauta pensione, a nostre spese (non si sa se suo figlio sia poi entrato in Rai, a nostre spese; Saccà nega).

E dunque non si può che concludere che a Torino, oltre a fare un bel repulisti della politica, sarebbe proprio il caso di buttare un occhio anche sulla magistratura.

[tags]magistratura, tar piemonte, 8 gallery, palazzo del lavoro, torino, cittadini, politica[/tags]

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