Esistono spesso, nelle grandi città , degli angoli di vecchia campagna dimenticati dal tempo, rimasti ai margini della metropoli; vecchi borghi contadini di un pugno di case e cascine, con le vie strette e tortuose, le case basse, gli orti e i cortili sterrati, fuori dal tempo moderno. A Torino c’è Villaretto e c’è Bertolla, un posto che mi ha ricordato intensamente quel villaggio di contadini cinesi nei campi alla periferia di Shanghai che avevo visitato poco più di un anno fa.
Stamattina siamo andati a Bertolla e c’è un’altra cosa che mi ha ricordato Shanghai: se appena si esce dal borgo e si va in mezzo ai prati, dovunque si rivolga lo sguardo c’è una gru che sta costruendo qualcosa. A sud c’è il canale dell’AEM e poi il Po, ma a ovest, a nord e a est si vedono solo, vicine e lontane, enormi gru che tirano su palazzi, fino all’orizzonte.
Che cosa succede? Per i torinesi, Bertolla era il borgo dei lavandai; e infatti, basta piantare un palo in terra perché venga su l’acqua della falda, e il verde è rigoglioso anche perché viene sommerso ad ogni alluvione del Po e della Stura. Eppure qualche anno fa, di concerto tra autorità di bacino, Regione e Comune, sono stati rimossi i vincoli idrogeologici che impedivano di costruire nella zona, in cambio della sopraelevazione di un paio di metri degli argini.
E si è cominciato a dare i permessi per palazzi di quattro piani più sottotetto, ovvero alti e grossi il doppio delle altre case della zona, situati a poche decine di metri dal canale AEM (che, essendo artificiale, non prevede fasce di rispetto perchè teoricamente controllabile con le paratie… ma se il Po in cui sbocca è in piena, hai voglia ad aprire le paratie). E ora si pensa a una variante che permetterebbe di costruire 27 palazzi per circa cinquemila nuovi abitanti, piazzandoli nei vari pezzetti di campo ancora non costruiti, in cambio di un triangolo di prato che peraltro già oggi esiste.
Oggi ho assistito a un dialogo tra sordi, tra gli abitanti e i tecnici del Comune. Gli abitanti chiedono che senso abbia espandere la città fino a soffocare il loro borgo, rivendicano di aver scelto di vivere lì proprio per stare come in campagna, sottolineano che a Torino non c’è necessità di case, e comunque che, argine o non argine, una volta ogni dieci anni la zona si allaga e tutto questo nuovo cemento certo non aiuterà . I tecnici del Comune ribadiscono che in base al piano regolatore i proprietari dei terreni hanno il diritto di edificare, che alla fine ci sarà un ampio parco, che se il vincolo idrogeologico è stato tolto vuol dire che non ci sono rischi.
C’è un punto su cui proprio non ci si capisce: il cittadino si aspetta che il Comune decida se in quel punto lì servono o non servono altre case, che le blocchi se sono brutte o semplicemente inutili. Ma lo Stato italiano (al grido di “siamo un paese libero”) non la pensa così; a prevalere è il diritto di proprietà privata di ogni proprietario di terreno, del quale fa parte anche la cubatura che egli potrebbe costruire in base al piano regolatore. Sta alla libera scelta del proprietario, e non del Comune, se costruire oppure no; come ha detto un consigliere comunale, “altrimenti sarebbe una dittatura dello Stato”.
Se a un certo punto (nel nostro caso a metà anni ’90) la Città approva un piano regolatore che prevede di poter costruire tot metri cubi su quel terreno, non si può praticamente più tornare indietro; sottrarre cubatura, ancorché non costruita, è equiparabile a un esproprio che va adeguatamente compensato dalle casse pubbliche. Si potrebbe fare un nuovo piano regolatore con cubature più basse, ma nella decina d’anni che servono per approvarlo tutti i proprietari, non essendo fessi, cominciano a costruire di corsa.
E’ qui che il dialogo tra sordi si fa più assurdo: perché per il Comune, in fondo, Bertolla è solo l’ultimo di una lunga lista di borghi rurali che negli ultimi centocinquant’anni sono stati inglobati dentro Torino, assediati dai palazzoni e infine rasi al suolo e ricostruiti “moderni”. Anzi, questi abitanti per alcuni consiglieri erano pure pretenziosi: perché tu, che ti sei comprato la bella casetta con l’orto a 2500 euro al metro quadro in un angolo di paradiso, dovresti condizionare la crescita della città ? Perchè gli altri torinesi che vivono in mezzo ai palazzoni dovrebbero tirar fuori dei soldi o rinunciare ad entrate per ridurre le cubature attorno a casa tua, per preservare il tuo borgo?
In effetti, il Comune continua a ricevere petizioni “no palazzi” assolutamente sacrosante, ma firmate in gran parte da persone che hanno votato allegramente un sindaco che ha come punto di programma la trasformazione urbanistica come motore dello sviluppo di Torino – far girare soldi costruendo palazzi al posto di fabbriche e prati – salvo poi indignarsi quando la cementificazione arriva sotto casa loro; ma non si può salvare l’albero se non ci si preoccupa sin dal principio, culturalmente e politicamente, di sostenere la conservazione della foresta.
Nel caso di Bertolla, però, siamo veramente alla via Gluck; a persone che dicono apertamente “stop al consumo di territorio” contro un Comune che parla solo di diritti edificatori e oneri di urbanizzazione; all’incapacità collettiva di difendere i pochi ambiti non troppo devastati dalla crescita continua della città . Solo che, in più, Torino non è Shanghai, e non si capisce davvero di che crescita dovremmo parlare.
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