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lunedì 15 Novembre 2010, 19:47

Meno clic e più welfare

Della vicenda di Paola Caruso, giornalista precaria del Corriere della Sera che ha iniziato lo sciopero della fame e della sete per farsi assumere, hanno parlato un po’ tutti in questi giorni. Lei stessa spiega così la sua situazione: “da 7 anni lavoro per il Corriere e dal 2007 sono una co.co.co. annuale… Aspetto da tempo un contratto migliore… La scorsa settimana si è liberato un posto… Ho pensato: “Ecco la mia occasione”. Neanche per sogno. Il posto è andato a un pivello della scuola di giornalismo”. E’ la storia di tanti italiani precari tra i venti e i quarant’anni, e infatti sul momento c’è stata un’ondata di simpatia e di clic su “Mi piace”, e la sua iniziativa è stata promossa da Macchianera e rilanciata dai maggiori blog italiani, da Gilioli a Mantellini. Poi però sono cominciate le critiche – le meglio argomentate che ho trovato sono questa e questa.

Trovo ragionevole quasi tutto quel che è stato detto, da una parte e dall’altra. E’ vero che le aspettative della signora Caruso sono quantomeno irrealistiche: il Corriere della Sera, come tutti i quotidiani cartacei, è in stato di crisi e fa fatica a pagare gli stipendi, figuriamoci a regolarizzare i precari; anche a me magari piacerebbe fare l’astronauta assunto a tempo indeterminato, ma di questi tempi non conosco nessuno che assuma astronauti; e l’argomento per cui “sono in coda da sette anni dunque ora tocca a me” è una cosa che proprio non condivido, dato che molte delle disgrazie italiane derivano proprio dall’idea che non conti il merito ma lo “stare in coda”; concetti come “si è liberato un posto” (indipendentemente da requisiti, mansioni, capacità necessarie ecc.) ricordano più le corti dei feudatari, che fanno e disfanno le fortune dei sudditi, che una società moderna; il fatto di essere rimasti lì fermi per sette anni, invece che trovarsi nuove attività e condizioni migliori da soli, secondo me è un demerito e non un merito; infatti, tanta gente nella stessa situazione ha semplicemente aguzzato l’ingegno e si è sbattuta fino a venirne fuori; ed è pure vero che la gara alla protesta più clamorosa non mi piace, se no finiremo a dare il lavoro a chi grida più forte.

Però… c’è anche il però. Però non si può pensare che una persona che lavora da sette anni, anche non fosse così brillante da meritare un contratto principesco, possa restare all’infinito senza alcuna certezza. E non si può pensare che le difficoltà di un intero settore vengano scaricate soltanto su alcuni, sui più giovani e deboli, mentre magari a fianco c’è la grande firma che prende migliaia di euro al mese ma si rifiuta di adattare il suo pezzo per la versione Web o di leggere i commenti dei lettori perché “da contratto non sta tra le mie mansioni” (pensate voi all’equivalente sul vostro posto di lavoro).

Dunque è sbagliato pensare di affrontare questa questione guardando il caso singolo, ed è invece necessario guardarla a livello di sistema. Per quanto pochi soldi ci siano nella nostra economia, non è accettabile che essi siano distribuiti in maniera totalmente iniqua, garantendo a certe professioni, generazioni e classi delle garanzie che spesso sconfinano nel privilegio, e costringendo gli altri ad accettare qualsiasi trattamento pur di lavorare. Mi spiace che tante persone reagiscano con “zitta e lavora”: certo, in Italia dobbiamo lavorare meglio e di più, dobbiamo rimboccarci le maniche per ricostruire un Paese, ma prima dobbiamo essere sicuri che lo facciano tutti, con equità di trattamento.

Molte proposte secondo me intelligenti circolano da anni: quella di un unico contratto per tutti i lavori di concetto, senza fare figli e figliastri a seconda del settore; quella di abolire la selva di tipologie di contratto (indeterminato, determinato, co.pro, partite IVA che fanno fattura sempre alla stessa azienda…) e averne uno solo, in cui le garanzie sul posto di lavoro aumentano con l’esperienza e la qualifica, ma non sono legate al “salto” da precario ad assunto; quella di un sistema di assistenza a chi perde il lavoro che non dipenda dal tipo di contratto, ma che garantisca un reddito pieno per il tempo necessario a cercare un nuovo lavoro, esaurendosi poi progressivamente per evitare di creare disoccupati di professione; quella di un sistema pensionistico basato finalmente solo sui soldi versati da ognuno, con una integrazione ai minimi finanziata con la fiscalità generale e non con i contributi degli altri lavoratori, e magari anche con un contributo di solidarietà a carico delle pensioni più elevate, specialmente quando, grazie al vecchio sistema retributivo, sono superiori ai contributi effettivamente versati.

Sono idee, sono da elaborare, da verificare… ma almeno sono possibilità per un cambiamento vero. Altrimenti, se stiamo tutti a lamentarci e al contempo stiamo tutti arroccati su ogni briciola di “diritto acquisito”, non succederà mai niente, se non una disperata guerra tra poveri.

[tags]paola caruso, corriere della sera, precariato, giornalismo, economia, welfare, pensioni, contratti, contributi[/tags]

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domenica 14 Novembre 2010, 14:40

Il muro di sabbia, il muro di bit

È un bene che, ogni tanto, si parli ancora di angoli di mondo dimenticati. Se l’Iraq e l’Afghanistan sono ogni giorno sui nostri media – a ricordarci di quanto sia “opportuno” investire un sacco di soldi in armamenti per evitare che i cattivi terroristi ci attacchino -, se della Birmania e del Tibet ci si ricorda soprattutto quando c’è da criticare un po’ la Cina, se del Darfur si parla ogni tanto quando se ne occupa qualche rockstar, il Sahara Occidentale è dimenticato sin dagli anni ’70. Provate a chiedere all’italiano medio qualcosa su questa nazione: se riuscirà a capire dov’è è solo perché il nome è autoesplicativo, ma di lì in poi sarà buio pesto.

Il Sahara Occidentale, con l’eccezione di qualche isoletta qua e là, è secondo le Nazioni Unite l’ultima colonia rimanente sulla faccia della Terra; l’ultimo territorio a non essere mai uscito dal periodo dell’occupazione coloniale. Esso, infatti, fu una colonia spagnola fino a metà anni ’70, quando gli spagnoli se ne andarono precipitosamente; un verdetto della Corte di Giustizia Internazionale respinse le pretese dei vicini Marocco e Mauritania e stabilì che il Sahara Occidentale era un territorio autonomo con diritto all’autodeterminazione, come richiesto dal Fronte Polisario, il locale movimento per l’indipendenza del popolo sahrawi – i berberi del deserto.

Tuttavia, prima che le cose potessero assestarsi il vicino Marocco invase e si annesse l’intera nazione, compresa una parte prima occupata dai mauritani, dando il via a una guerra civile che si trascinò fino al 1991, quando un armistizio cristallizzò la situazione: il Marocco controlla tutta la costa e le zone economicamente significative (le uniche due industrie sono la pesca e l’estrazione dei fosfati) mentre i sahariani sono relegati nell’interno del Sahara, dietro un muro di sabbia e mine costruito dai marocchini. Di fatto, il governo sahariano in esilio e il suo popolo vivono a Tindouf, una città-campo profughi nel deserto algerino. Gli accordi del 1991 prevedevano un referendum per l’indipendenza, che però i marocchini non hanno mai organizzato, anche perché non si è mai raggiunto l’accordo su chi dovesse votare – se solo i sahariani, o anche le frotte di coloni nel frattempo spediti dal Marocco a stabilirsi nel Sahara Occidentale occupato.

Io mi sono interessato alla questione nel 2007, quando ero nel Board di ICANN; era giunta infatti dai rappresentanti del Fronte Polisario la richiesta di ottenere l’assegnazione del dominio .eh. Il Sahara Occidentale, infatti, è riconosciuto come territorio indipendente e ha il suo bravo codice nella lista ISO 3166-1: dunque qualcuno avrà ben il diritto di usarlo… Appena la cosa venne fuori, subito il governo del Marocco si oppose veementemente: per il Marocco quelle sono terre loro (e il Polisario è un gruppo di terroristi). La richiesta dei sahariani, non a torto, si basava anche su questo: se il Sahara marocchino non è un territorio occupato ma una parte integrante del Marocco, allora non c’era contesa, e il dominio .eh poteva tranquillamente essere attivato per la parte di Sahara controllata dal Polisario.

L’ICANN si è sempre difeso dalle accuse di parzialità su questioni come questa (inevitabilmente caldissime dal punto di vista politico) aggrappandosi appunto alla lista ISO: in altre parole, sono cavoli dell’ISO (che a sua volta si appoggia a definizioni e risoluzioni delle Nazioni Unite) definire cosa sia una nazione o territorio autonomo e cosa no. Dopodiché, ICANN sostanzialmente concede la delegazione al primo che si presenta, purché non sorgano contestazioni a livello locale, nel qual caso gli si dice “parlatevi e venite quando vi siete messi d’accordo”. Dunque, in apparenza non dovevano esserci grandi problemi nel riconoscere un dominio Internet nazionale al “territorio della nazione sahariana”, senza per questo dover prendere posizione su quale territorio effettivamente esso sia.

Eppure, c’erano due piccoli ma fondamentali problemi. Il primo è che il Marocco è un grande alleato degli Stati Uniti, che a loro volta hanno un potere di influenza morale e materiale non trascurabile su ICANN. Il secondo è che la comunità di ICANN è interessata soprattutto alla tranquilla sopravvivenza della rete e degli affari ad essa connessi, e quasi nessuno aveva voglia di infilarsi in casini politici potenzialmente distruttivi solo per i diritti di, letteralmente, “quattro beduini” (come li apostrofò qualcuno). Al Board fu consigliato di rifiutare qualsiasi contatto con i sahariani; io ci parlai lo stesso, insieme a qualche altro più sensibile ai problemi di democrazia e libertà, come il mio collega cileno ex esule a Parigi; presi le loro parti e questo mi costò un cazziatone nientepopodimenoche da Vint Cerf. Alla fine, anche il governo marocchino presentò una richiesta per ottenere il dominio .eh; ICANN ebbe così un valido motivo per rifiutarsi di assegnare il dominio a chicchessia.

Cosa deve fare un popolo per farsi notare dalla CNN? Alla fine, qualche mese fa, dopo trentacinque anni di lotta e vent’anni di silenzio, i sahariani hanno mobilitato ventimila persone, che si sono accampate nel deserto della zona occupata, vicino alla teorica capitale, chiedendo il referendum per l’autodeterminazione. L’esercito marocchino ha sfollato il campo con la violenza. Per un attimo, il mondo si è ricordato della loro esistenza; ma solo per un attimo. Da domani, ritorneranno nascosti nel deserto, dietro il muro di sabbia e di bit.

[tags]sahara occidentale, marocco, colonie, nazioni unite, polisario, icann, domini internet, .eh, stati uniti, geopolitica[/tags]

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sabato 13 Novembre 2010, 12:07

La politica secondo un sindacalista FIOM del PD

Il forum dei tifosi del Toro è omnicomprensivo: si parla di tutto e anche di politica. La sezione politica è frequentata in buona parte da militanti del PD; e così ieri mi sono trovato uno di questi, tesserato PD e sindacalista della FIOM-CGIL, che ha così raccontato le dinamiche interne al suo sindacato, con cui hanno rovesciato il dominio della corrente più agguerrita – la Rete 28 Aprile – sostituendola con una maggioranza più disposta a scendere a patti con Bonanni & C.:

Ah, si è liberato un posto nel direttivo regionale FIOM…Presto sarò all’altezza della tua compagna :mrgreen:
Sono contento, sai quando fai una battaglia politica, come una partita a scacchi, e la vinci ?
Questi hanno chiesto posti, funzionari, posti in segreteria, bisognava piazzare pure la “protetta” di Giorgio Cremaschi proveniente da Roma… Noi siamo andati dal candidato segretario, e gli abbiamo detto:”Un posto in segreteria e un funzionario e chiudiamo l’accordo” “Un posto in segreteria” “Ok”
Poi abbiamo sparso la voce dell’accordo, 28 Aprile si sono incazzati e hanno abboccato, votando contro e tagliandosi le palle. Capolavoro. E sono contento perchè ho avuto un ruolo di primo piano nell’architettura e nell’organizzazione. Sono contento.

Io non ci potevo credere: avrei capito se il sindacalista piddino avesse detto che loro non erano d’accordo con quelli là su questo e quest’altro punto, e allora sono andati dagli incerti e li hanno convinti con la forza delle loro argomentazioni a schierarsi con loro e a cambiare maggioranza… Invece ha detto che il motivo per cui la maggioranza è passata dalla loro parte, in sostanza, è che hanno chiesto solo una poltrona invece di molte! Non che la componente avversaria ragionasse diversamente, ma è stata una gara al ribasso da vero sindacalista: vince chi chiede di meno a chi ha il potere in mano.

E il bello è che tutto questo è visto come una cosa normalissima, tanto è vero che quando ho obiettato qualcosa mi hanno dato del “qualunquista” e della “sinistra che non vuole andare al governo e preferisce stare all’opposizione, perché così non si occupano le poltrone e non ci si sporca le mani”… Al contrario, io nel Movimento sono tra quelli che il problema di come andare al governo per cambiare qualcosa se lo pongono; ma se la logica è quella… no grazie!

[tags]politica, pd, cgil, fiom, sindacato, sindacalisti, correnti, poltrone[/tags]

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venerdì 12 Novembre 2010, 16:07

Gli stranieri alle elezioni comunali

Un’altra notizia che ha tenuto banco sulla cronaca locale in settimana è stata quella della ragazza di origine romena che fa da guida turistica alla mostra di Palazzo Reale.

Un signore ha scritto a Specchio dei Tempi dicendo sostanzialmente: “l’altro giorno a Palazzo Reale mi sono trovato una guida romena, possibile che nessun italiano voglia più fare nemmeno questi lavori?”. Era una critica ai “bamboccioni” italiani e non tanto al fatto che fosse stata assunta una guida romena; peccato che una affermazione del genere tradisca un pregiudizio sottile, quello per cui un lavoro – specialmente un lavoro culturale, ma non fa differenza – possa essere fatto da uno straniero soltanto se non c’è nessun italiano che lo vuole fare. L’idea che la ragazza romena potesse essersi presentata ai colloqui e potesse essere risultata più capace e preparata degli aspiranti italiani proprio non aveva sfiorato il lettore.

Naturalmente il dibattito è stato caldo: tanti si sono indignati, tanto che La Stampa ha dovuto bilanciare la questione con una intervista alla ragazza, ma altrettanti hanno sostenuto che aveva ragione il lettore, che gli stranieri non dovrebbero avere un lavoro se prima non è stato rifiutato dagli italiani, che le reazioni alla lettera perplesse o addirittura indignate erano opera dei “soliti sinistrorsi”. C’è un chiaro problema di portafoglio: di fronte alla crisi, ben indottrinati dai media, gli italiani si lanciano nella guerra contro i poveri, anziché in quella contro i loro sfruttatori. Ma non è solo questione di portafoglio: qualche giorno fa parlavo con una signora di una certa età e di ottima posizione sociale, e per dieci minuti mi ha detto che “i non italiani dovrebbero stare a casa loro” e “gli altri Paesi europei sono costretti perché avevano le colonie, ma noi che possiamo dovremmo mandarli via”.

Eppure è chiaro che in una società cosmopolita e globalizzata le frontiere non funzionano più. Io (come già dissi) non sono certo a favore dell’immigrazione incontrollata e sregolata, né di una totale libertà di movimento delle persone (o delle merci), perché a fronte delle differenze globali mi pare una ricetta sicura per il disastro; eppure non posso nemmeno concepire un mondo basato sui nazionalismi e sulle autarchie, come era fino a qualche decennio fa.

Al contrario, io vorrei che Torino fosse un centro di attrazione di persone da tutto il mondo, selezionandole in positivo; accogliendo le persone capaci, aperte e volenterose e respingendo quelle che non si integrano o che delinquono. La strada per la convivenza civile, infatti, è l’uguaglianza di trattamento: chi vive qui deve rispettare le regole e pagare le tasse torinesi, e deve essere trattato allo stesso modo indipendentemente dall’origine.

Per questo trovo molto giusto che – come da norma europea – tutti i cittadini europei con residenza a Torino possano votare alle prossime elezioni comunali. E’ facile, ma richiede un’azione da parte loro: devono registrarsi presso l’ufficio elettorale del Comune, inviando una richiesta via fax con copia di un documento o presentandosi di persona. I romeni costituiscono ormai una fetta importante della nostra città, non solo numericamente, ma anche culturalmente; fatevi un giro al mercato coperto di corso Racconigi se non ci credete. Sarebbe bello se la guida romena, così come molti suoi connazionali, partecipassero attivamente anche alla vita politica della città in cui vivono: sarebbe un segnale di quanto ormai si ritengano non “immigrati romeni”, ma “torinesi romeni”.

[tags]torino, elezioni comunali, immigrazione, romania, razzismo, pregiudizi, discriminazione, guida turistica, palazzo reale, la stampa, nazionalismo, globalizzazione[/tags]

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giovedì 11 Novembre 2010, 13:07

A cosa serve il treno

La vicenda di Arenaways, operatore ferroviario privato che si è messo in testa di competere con Trenitalia per i treni tra Torino e Milano (ma anche per le tratte Torino-Alessandria e Alessandria-Milano), è arrivata in cima alla stampa locale solo recentemente – ma per chi segue da vicino il mondo dei trasporti si trascina ormai da anni.

Riassumendo, Arenaways vorrebbe offrire un servizio che sta a metà tra i regionali e l’alta velocità: al prezzo di 17 euro sola andata (contro i 9,55 del regionale e i 32 dell’AV) si viaggia in un tempo uguale (anzi persino un po’ superiore) a quello del regionale, ma su carrozze pulite, confortevoli, accessibili, col posto garantito e una serie di servizi aggiuntivi utili a chi viaggia per lavoro (dalla panetteria al wi-fi).

Da settembre dovevano partire due corse al giorno (partenza da Torino Porta Susa alle 7:22 e ritorno da Milano Porta Garibaldi alle 19:40; partenza da Milano Porta Garibaldi alle 7:04 e ritorno da Torino Porta Susa alle 18:14), che sono poi state rinviate di settimana in settimana, tra crescenti polemiche per i continui ostacoli burocratici, fino a fissare il nuovo avvio a lunedì prossimo.

Peccato che ieri l’apposito ufficio del Ministero dei Trasporti abbia comunicato che ad Arenaways sarà vietato effettuare qualsiasi fermata intermedia tra Torino e Milano, in quanto ciò costituirebbe una forma di concorrenza con i treni regionali di Trenitalia, che sono sussidiati dalla Regione Piemonte; dunque Trenitalia andrebbe immediatamente a chiedere dei soldi alla Regione Piemonte per indennizzarla della perdita di clienti; e la Regione Piemonte non vuole pagare.

Ciò deriva dal fatto che la concorrenza è permessa sui servizi ferroviari a media-lunga percorrenza, mentre sui servizi locali vige il monopolio di ciascuna regione, che tramite un bando internazionale affida il servizio a un operatore ferroviario; casualmente vince sempre o Trenitalia, o una joint venture tra Trenitalia e la Regione in questione. Dunque Arenaways faccia pure il Torino-Milano diretto, ma non fermi a Novara, Vercelli o Santhià, perché questo costituirebbe un danno per la Regione Piemonte e il suo monopolio; e chi se ne frega se invece ne vengono danneggiati l’azienda privata e soprattutto i suoi potenziali clienti.

La motivazione è pretestuosa per molti motivi. Per prima cosa, se queste fermate intermedie sono illegali, non si capisce perché allora vengano svolte quotidianamente da un certo numero di intercity di Trenitalia, anch’essi classificati come treni in regime di concorrenza: a questo punto dovrebbero vietare anche quelli.

Ma soprattutto, il servizio regionale Torino-Milano è per Trenitalia una miniera d’oro: facendo viaggiare treni vecchi, sporchi e assolutamente insufficienti rispetto alla domanda – tanto che nelle ore di punta è normale avere l’intero treno pieno di gente in piedi per buona parte del percorso – lucra pesantemente sui pendolari piemontesi, rifiutandosi allo stesso tempo da anni di mettere più treni con scuse varie (una volta era “la linea è satura, serve l’alta velocità”, poi l’alta velocità è arrivata e il servizio regionale invece di migliorare è anche peggiorato). L’argomento per cui due treni da tre vagoni al giorno provocherebbero un danno a Trenitalia non sta in piedi; al massimo, ridurrebbero di un pochino i suoi profitti.

Ancora più agghiacciante è la posizione della Regione Piemonte, che invece di festeggiare perché finalmente i piemontesi potrebbero avere una alternativa in più (liberi poi di usufruirne o meno) a costo zero per il pubblico, e di difendere questa possibilità, fa di tutto per impedirne lo sviluppo. La stessa Regione che (con giunte di ambo i colori) non è mai stata in grado di ottenere da Trenitalia un servizio decente, né di bloccare a febbraio un insensato aumento del 20% del prezzo, ora si schiera con Trenitalia e contro gli interessi dei piemontesi.

A vedere come la politica faccia di tutto perché il servizio ferroviario tra Torino e Milano faccia schifo (mettiamoci anche i treni alta velocità rari e carissimi) davvero ci si chiede se l’obiettivo ultimo non sia favorire l’autostrada dell’amico gruppo Gavio, coi suoi bravi autogrill di Benetton… sarà mica a quello che servono i treni?

[tags]piemonte, trenitalia, arenaways, regione, treno, autostrada, ferrovia, concorrenza[/tags]

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mercoledì 10 Novembre 2010, 09:21

Primarie del Movimento 5 Stelle di Torino – secondo turno

Stamattina leggerete sui giornali della nostra conferenza stampa di ieri mattina, in cui abbiamo presentato ufficialmente il processo delle primarie del Movimento 5 Stelle Torino. Vorrei dunque chiarire a tutti cosa succederà adesso.

Domenica il gruppo ha selezionato tre candidati: Viviana Ferrero, Antonino Iaria e un certo Vittorio Bertola che già conoscete. Nelle prossime due o tre settimane i candidati si confronteranno in pubblico; in particolare, sabato 20 sera e domenica 21 pomeriggio si svolgeranno due dibattiti all’americana, a cui siete invitati a partecipare. Il voto avverrà in data da definire, verso fine mese, e potranno votare tutti i residenti a Torino che siano già iscritti o che si iscrivano in questi giorni sul sito nazionale del Movimento 5 Stelle. Per iscriversi è necessario compilare un modulo con i propri dati e allegare (dopo la registrazione) la scansione di un documento d’identità, in modo da controllare la veridicità dei dati ed evitare voti farlocchi (vogliono un JPG di massimo 150 kB, dunque non esagerate con la risoluzione della scansione).

Chi prenderà più voti online farà il candidato sindaco: Grillo ci ha chiesto di eliminare il voto pesato di cui avevamo discusso nelle scorse settimane, e noi abbiamo accondisceso con piacere – in particolare io, essendo quello che sosteneva sin dal mese di giugno l’idea delle primarie online aperte a tutti i cittadini. Dunque, ora la scelta è completamente nelle vostre mani, come è giusto che sia.

Chiudo allegando la parafrasi del discorso che ho fatto ieri durante la conferenza stampa, quando mi hanno chiesto di spiegare perché mi candido e quale sia la mia visione per il futuro di Torino. Spero che vi piaccia.

Mi candido per mettere le mie capacità e la mia esperienza internazionale al servizio della mia città, pensando di poter essere un buon sindaco per ringiovanire e rilanciare Torino.

Torino è una città economicamente in crisi: è la città più indebitata d’Italia pro capite (quasi 6000 euro per abitante) e anche l’economia privata sta svanendo – chiudono non solo le fabbriche ma anche gli uffici, e per trovare un lavoro stabile si deve spesso emigrare a Milano o all’estero. Finora questa situazione è stata nascosta sotto il tappeto delle Olimpiadi, dei grandi eventi, dei comunicati trionfali; Chiamparino sta vivacchiando e rimandando i problemi per arrivare a scadenza. Chiunque si troverà ad amministrare il Comune si troverà di fronte a una situazione drammatica, sia dentro che fuori dalle casse comunali.

Io credo che la città abbia le risorse e i valori per aprire una nuova stagione e uscire dalla crisi, a patto che si verifichi un cambiamento profondo, generazionale. Né il centrosinistra né il centrodestra sono capaci di questo; sono privi di idee, legati alle clientele e ai salotti, e ragionano con modelli di sviluppo ottocenteschi – la grande fabbrica, la grande infrastruttura. Ma nel ventunesimo secolo, nell’Occidente sviluppato, la ricchezza può derivare solo dalle idee, dai servizi, dalle produzioni immateriali e sociali.

Dunque a Torino servono due cose: innovazione e meritocrazia. L’innovazione è necessaria perché le nostre aziende offrano prodotti che a qualcuno interessa comprare; la meritocrazia, attraendo a Torino i migliori giovani cervelli d’Italia e del mondo e affidando la città a persone capaci anziché agli amici dei salotti, permette alle idee intelligenti di emergere e venire realizzate.

In questo modo si può riportare a Torino lo sviluppo; ma uno sviluppo nuovo, che non miri all’incremento della produzione di beni materiali, ma alla solidarietà, alla qualità della vita, a un nuovo senso di comunità, a un benessere durevole per tutti. L’obiettivo della politica non deve essere l’arricchimento di pochi, ma la felicità di tutti. Noi saremmo contenti se potessimo amministrare questa città con questo obiettivo: quello di rendere ogni torinese innanzi tutto un po’ più felice.

[tags]movimento 5 stelle, beppe grillo, torino, elezioni comunali, primarie, candidati sindaco, bertola, ferrero, iaria[/tags]

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martedì 9 Novembre 2010, 20:06

C’è chi dice no

Purtroppo le discussioni relative agli ultimi post sono state troppo tranquille, e allora vi lascio con una questione su cui generalmente le persone si dividono.

Stasera ero al mio Lidl di fiducia (questa settimana offre, anche se a caro prezzo, paste di mandorla prodotte in quel di Militello in Val di Catania, dove sono stato ormai sette anni fa e prima o poi tornerò) ed ero in coda alla cassa – ora di punta e coda un po’ lunga, sia nella mia cassa che in quella a fianco. A un certo punto arriva un signore con in mano quattro o cinque cose, passa fischiettando accanto alla parte finale della coda, prova ad infilarsi in quella a fianco, lo guardano male, allora arriva da me – che sono ormai proprio all’inizio del nastro – e dice: “scusa posso passare?”.

In genere in questi casi non faccio mai opposizione: in fondo chi se ne frega, perché litigare. Ma questa volta no, un po’ perché in mano aveva una mezza spesa, e un po’ perché insomma, mi sono stufato di una cultura in cui si cerca sempre l’eccezione alla regola purché sia a proprio vantaggio. E ho detto “no scusa, fai la coda come gli altri”.

Al che il tizio, scazzato, è andato via e si è infilato nell’altra coda, dove sono stati meno assertivi… o più gentili?

Avesse avuto un solo oggetto in mano, l’avrei fatto passare; fosse stata una signora anziana, l’avrei fatta passare. In questo caso, no. Voi cosa avreste fatto?

[tags]lidl, supermercato, cassa, coda, regole[/tags]

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lunedì 8 Novembre 2010, 15:52

In risposta agli attacchi personali

Riassunto: Questo lunghissimo post, in risposta a una serie di attacchi sulla mia bacheca Facebook, espone i recenti avvenimenti all’interno del Movimento 5 Stelle di Torino e spiega come, a mio parere, un gruppo organizzato di persone, di ideologia di estrema sinistra, stia cercando di bloccare il Movimento cittadino visto che non può prenderne il controllo. In conclusione, commenti personali. Non si parla di politica ma di tristi beghe di cortile che avrei fatto volentieri a meno sia di vivere che di raccontare. Leggete solo se vi interessa proprio l’argomento o se per caso vi è venuto il dubbio che io sia un criminale assassino; da domani si parla d’altro.

Ho scritto, riscritto, triscritto e quadriscritto questo post, dopo essere stato tirato per i capelli in mezzo a una rissa da cortile scatenata ad arte da un gruppetto di persone contro il Movimento 5 Stelle; è un post lunghissimo, perché vuole essere esaustivo; non parla di niente di utile al mondo; e se però vi fa schifo il fango in politica, è meglio per voi se non leggete.

Già, perché la lotta nel fango, per chi vuole distruggere, è una carta vincente per definizione: appena qualcuno la gioca, le persone normali si schifano e non stanno nemmeno più a capire chi ha ragione e chi ha torto – se ne vanno e basta. E’ dunque l’arma perfetta per chiunque voglia eliminare un nemico: basta trovare, come diceva Lenin, degli “utili idioti” da mandare avanti a fare il lavoro sporco (non ridete, è un termine tecnico che identificava gli infiltrati sovietici nelle democrazie occidentali, nell’alta opinione in cui erano tenuti dai loro capi).

Questa tattica politica da manuale di marxismo-leninismo non è peraltro sorprendente, dato che l’ideologo di questo gruppetto (meglio, l’unico che sappia mettere insieme un discorso in maniera intellettualmente presentabile) è un bibliotecario di Palazzo Nuovo che, a protezione della privacy, indicheremo parzialmente con le iniziali: un certo Alberto B., anzi no, facciamo A. Baracco.

Dunque, A. Baracco, pur non ammettendolo mai apertamente, tenta da anni di introdurre nel Movimento il marxismo-leninismo in salsa maoista, ad esempio proponendo l’adozione del “centralismo democratico”, parlando dei cittadini come masse da educare o dedicando interi mesi alla discussione de “Il Metodo” (guarda caso è il titolo del secondo capitolo di Questioni del leninismo, opera maestra di un certo Josif Stalin). Chi segue questo blog lo sa, perché ne ho già parlato in passato. A riprova della sua ortodossia, A. Baracco non appare mai, mandando avanti in riunione e sul web tutta una serie di altre persone; apparirà soltanto quando gli avversari saranno stati screditati.

La storia completa dietro a quello che sta accadendo inizia due anni e mezzo fa (in particolare, l’astio contro di me risale a quando il gruppetto organizzato che ora si lamenta non riuscì a far votare A. Baracco come candidato a presidente della Provincia, e fui scelto io), ma ci vorrebbero venti pagine per raccontarla, e sarebbe più deprimente che altro. Vorrei dunque spiegare solo gli ultimi avvenimenti, dal mio punto di osservazione, e solo perché il gruppetto dei leninisti a cinque stelle (quasi tutti peraltro inconsapevoli di esserlo) sta riempiendo la rete di resoconti parziali.

Il percorso verso le elezioni comunali avanzava a velocità di lumaca, gestito inizialmente dal gruppetto di cui sopra (nel seguito lo chiameremo ossequiosamente il comitato centrale; include persone come T. Errichelli, H. Nevola, E. Cardillo – nessuno li conosce, ma vedrete questi nomi in abbondanza sulla mia bacheca Facebook…). Era un percorso assolutamente non trasparente: non c’era un sito, si discuteva su una mailing list di Google privata e non accessibile al pubblico, le riunioni non erano mai pubblicizzate e la partecipazione media era di dieci persone, di cui otto erano il comitato centrale.

Quando si sollevava il problema della scarsa legittimità e trasparenza di un simile processo, le risposte di A. Baracco erano invariabilmente due: la prima era “sto mettendo in piedi un forum che sarà pronto a brevissimo”, la seconda era “le riunioni sono aperte a tutti”. Chi ha letto la Guida Galattica per Autostoppisti si ricorderà dell’inizio, in cui la casa del protagonista viene distrutta per costruire una superstrada e alle sue rimostranze viene risposto che il progetto era pubblicamente consultabile da nove mesi, in uno scantinato privo di luce e senza scala di accesso, “in fondo a un casellario chiuso a chiave che si trovava in un gabinetto inservibile sulla cui porta era stato affisso il cartello Attenti al leopardo: ecco, era esattamente quel genere di trasparenza lì.

Dopo le ferie, e più ancora di ritorno da Woodstock 5 Stelle con il relativo entusiasmo, molti di noi pensarono che fosse il caso di dare una accelerata alla questione: per esempio, di fronte alla dichiarazione di intenti di aprire le discussioni sul forum del gruppo regionale, il forum che da sei mesi doveva essere installato ma non lo era mai apparve immediatamente. All’epoca comunque pensavamo ancora che il comitato centrale fosse in buona fede, solo incapace di lavorare in concreto; e allora ci demmo da fare noi a pubblicizzare le riunioni e allargare la partecipazione.

La pubblicizzazione fu resa difficile dal fatto che il comitato centrale aveva delegato qualsiasi comunicazione con l’esterno a un gruppo stampa che io ribattezzai “ufficio stampa senza toner”, perché non comunicava mai niente; era fatto da una persona che voleva lavorare e due membri del comitato centrale che non facevano assolutamente nulla se non bloccare le comunicazioni per inerzia (alla fine cominciammo a comunicare quando l’unica persona cominciò a fregarsene e agire in solitario).

Quando si trattò di decidere il candidato sindaco, il comitato centrale propose una votazione interna al gruppetto di partecipanti alla riunione; io proposi le primarie pubbliche aperte a tutti i cittadini. Il gruppo regionale, volendo mediare, propose la soluzione intermedia che fu poi adottata, col voto contrario, in blocco, del comitato centrale (votano praticamente sempre in blocco, spesso alzando le mani all’unisono: è davvero impressionante).

Nelle riunioni successive, il comitato centrale partecipò a tutte le votazioni che decisero le regole delle primarie che ora contestano, finendo regolarmente in minoranza su tutto. L’unica votazione su cui furono d’accordo, tanto che fu fatta all’unanimità, fu quella di restringere il diritto di voto a una lista di una cinquantina di attivisti riconosciuti, loro compresi, visto che aumentava il loro peso specifico; bloccarono tuttavia la riunione per un’ora finché, per sfinimento, non ottennero l’aggiunta alla lista dell’unico loro membro che mancava, H. Nevola.

Quest’ultima mancava dalla lista perché lei stessa aveva dichiarato mesi prima di non voler più partecipare; ricomparve magicamente dal nulla la sera di quella riunione, e di lì in poi cominciò a presidiare costantemente il forum, giorno e notte. Qualsiasi persona non del comitato scrivesse qualcosa di sgradito sul forum veniva subito attaccata da H. Nevola (ha postato oltre duecento messaggi in quindici giorni), se necessario seguita da messaggi di supporto di E. Cardillo e T. Errichelli.

Sul forum si creò un clima di terrore per cui molti non osavano più scrivere niente; in teoria c’erano dei moderatori, a cui però l’amministratore unico del forum (A. Baracco) non aveva dato sufficienti poteri, che erano stati nominati in gran parte dal comitato centrale, e che non agivano quasi mai (uno mi scrisse addirittura che gli attacchi personali erano permessi). Quel che si scriveva nella parte organizzativa del forum erano soprattutto attacchi personali verso il gruppo regionale e verso di me.

Resta da spiegare perché si decise di restringere la votazione agli attivi: ciò accadde dopo una riunione in cui si presentarono circa 40 persone nuove. La maggior parte erano cittadini volenterosi, ma tra gli intervenuti ci furono anche un ex consigliere comunale della Margherita e poi una certa Alessandra Corino, che fino a prima dell’estate era tesserata e coordinatrice dei giovani PD di Nichelino, e il suo fidanzato Carlo Ferreri (sono altri due nomi che vedrete molto in questi giorni).

Fu la serata in cui si votò che non sarebbe stato permesso di candidarsi a chi aveva avuto in passato tessere di partito; gli ex tesserati avrebbero potuto partecipare e contribuire e magari candidarsi in futuro, ma per queste elezioni ritenemmo che fosse giusto evitare di candidarli. Sia lì, sia nei giorni successivi si scatenò sul forum una lunga polemica per portarci a rivedere questa decisione, discussione di cui i due ex piddini succitati furono i protagonisti.

Di lì in poi, il comitato centrale cominciò a mettersi di traverso per cercare di bloccare i lavori; il motivo ufficiale fu la decisione, presa con un voto a larga maggioranza e con i soli membri del comitato centrale contrari, di votare i candidati sindaco a voto segreto invece che a voto palese. A parte la questione di principio – tutte le istituzioni usano il voto segreto quando si vota sulle persone, tanto che, in politica, esso è definito come un diritto umano dalla Dichiarazione Universale dei Diritti dell’Uomo, articolo 21 comma 3, e dall’articolo 48 della nostra Costituzione – la decisione poneva un problema molto concreto: come può un gruppo organizzato controllare la fedeltà al capo dei propri membri se il voto non è palese? E come può sperare di influenzare il voto degli altri tramite pressioni psicologiche sul forum se poi gli altri hanno la protezione della segretezza del voto? Il voto palese era strumentale per aumentare significativamente le chance di successo di A. Baracco (che naturalmente non era ancora uscito allo scoperto, lasciando andare avanti come candidato di prova l’ingenuo S. Arduino) e dunque bisognava ottenerlo ad ogni costo; e poi è un argomento su cui è facile fare populismo e infiammare le folle.

Si arriva così alla riunione di giovedì 28 ottobre, quando in teoria bisognava decidere le ultime questioni pratiche per poter effettuare la prima fase delle primarie il 7 novembre, come deciso (anche col voto del comitato centrale) alcune riunioni prima. In apertura, la riunione fu immediatamente interrotta da T. Errichelli, che richiese a gran voce di ridiscutere la “violazione dei principi del movimento” avvenuta con l’adozione a larga maggioranza del voto segreto.

L’intera riunione fu deragliata; durante di essa, tra l’altro, Davide Bono raccontò che qualche settimana prima il comitato centrale era venuto in segreto da lui in ufficio, chiedendo addirittura l’espulsione dal Movimento per me e per un altro attivista, Agostino Formichella – guarda caso, le due persone con il miglior risultato elettorale alle regionali, dunque i due potenziali ostacoli più ostici per l’elezione di A. Baracco. Ovviamente Davide si era rifiutato e allora il comitato centrale gli aveva promesso vendetta, in ossequio a “o sei con noi o sei contro di noi” (altro tipico motto dei rivoluzionari di sinistra).

Più volte cercammo di riportare la discussione all’ordine del giorno e più volte questo fu impedito, con continue tattiche dilatorie a cui si unirono i due ex piddini già citati. Alla fine si riuscì a mettere in votazione la seguente mozione: “L’assemblea ritiene che adottando il voto segreto siano stati violati i principi del Movimento”. Per evitare il voto, in cui sarebbe sicuramente finito in minoranza, A. Baracco si alzò e boicottò la votazione, uscendo di corsa dalla sala con uno scatto da centometrista, e cercando di far finire la riunione sul posto; la mozione fu votata e ovviamente respinta, ma il verbale stava venendo scritto da E. Cardillo, H. Nevola e A. Corino (ingenui noi ad accettare che lo facessero loro) che sostennero che la mozione non era valida e la riunione era da considerarsi già chiusa. Fu l’ultima goccia: lì capimmo che continuando in quella situazione il Movimento non sarebbe mai riuscito a presentarsi alle elezioni comunali di Torino, perché qualsiasi questione sarebbe diventata un pretesto per bloccare i lavori, mentre il forum sarebbe rimasto inutilizzabile.

Era chiaro che qualcosa andava fatto; anche se si supponesse che quanto sopra non sia vero, che non ci sia una strategia ideologica ben congegnata ma solo una diversità di visioni politiche, resta una palese impossibilità di vivere insieme produttivamente, il cui unico risultato sarebbe l’immobilità e il fallimento del Movimento a Torino.

Ora, va ribadito che nessuno può espellere nessun altro dal Movimento 5 Stelle; non funziona così. Chiunque è libero di partecipare e di proporre a Beppe Grillo una lista civica per farsi certificare (finché questo non avviene, però, non può usare nome e simbolo; questo è il motivo per cui il sito regionale può usare nome e simbolo, ma l’attuale sito del comitato centrale, che loro stanno linkando in ogni dove, è assolutamente abusivo). E’ Grillo che decide, di volta in volta, quale gruppo rappresenta il Movimento in ogni città. Ne deriva che ogni gruppo può decidere liberamente con chi lavorare; se due gruppi si presentano separatamente, sarà poi Grillo a scegliere quale adottare.

Per questo motivo, nessuno ha espulso nessuno, ma semplicemente 30 attivi (la maggioranza assoluta) hanno votato la chiusura del forum gestito da A. Baracco e hanno deciso di continuare i lavori autonomamente. Una decina sono quelli rimasti col comitato centrale (la rimanente decina erano persone che erano state inserite in lista per attività svolte nei mesi precedenti ma che alla fine, anche visto il clima, avevano deciso di non partecipare proprio, e non hanno sposato nessuno dei due gruppi). Beppe Grillo e il suo staff hanno valutato la situazione e hanno deciso di certificare come unica lista per Torino quella gestita dal gruppo di maggioranza, che è dunque l’unica autorizzata d’ora in poi a presentarsi come Movimento 5 Stelle di Torino.

In sostanza, c’è un gruppo che comprende tutte le persone che si sono sbattute in questi anni, che è riconosciuto da Grillo e in continuo contatto con lui, e che vuole fare le elezioni comunali per portare avanti il programma del Movimento; e un gruppo di persone semisconosciute (il comitato centrale non ha nemmeno partecipato alle elezioni regionali: con l’eccezione di S. Arduino, tutti gli altri non hanno raccolto una firma o affisso un manifesto che sia uno) che le vuole fare solo se il candidato sindaco è un loro uomo.

Questo secondo gruppo, guidato dal comitato centrale, raccoglie anche gli ex piddini – che da noi non troverebbero spazio – e varie persone inconsapevoli che sono state ingannate dai racconti fiammeggianti. La disinformazione urlata all’infinito infatti è un’altra tattica politica ben nota; e le lamentele sulla trasparenza e sull’apertura del gruppo degli attivisti sono davvero fuori luogo, da parte di persone che hanno sempre fatto di tutto per evitare che la partecipazione si allargasse nel tempo e hanno sempre combattuto l’idea della democrazia in rete aperta a tutti.

Dopodiché, noi siamo andati avanti seguendo le decisioni che avevano preso anche loro; le stesse date, gli stessi metodi. Abbiamo dovuto mantenere riservata agli attivi la sola cartella organizzativa (tutte le altre sono aperte in lettura e scrittura) e segreto il luogo della riunione del primo turno delle primarie, perché martedì scorso S. Arduino si è presentato nell’ufficio del gruppo regionale urlando e insultando, bloccando il lavoro (lavoro e non divertimento, retribuito dai cittadini per fare altro e non per discutere di aspirazioni a fare il sindaco) dello staff di Bono per parecchio tempo: avete visto i toni di queste persone, non potevamo pensare di esaminare i candidati col rischio piuttosto concreto che qualcuno si presentasse in massa a bloccare strumentalmente i lavori. Anche i candidati discussi ieri sono tutti quelli che si sono fatti avanti entro la scadenza concordata, il 28 ottobre, con la sola eccezione di S. Arduino visto quanto sopra. E nonostante le accuse sparse a piene mani (“sappiamo già chi vincerà”, “fanno tutto per far candidare un collaboratore di Bono”) non c’erano collaboratori di Bono tra i candidati e i risultati sono stati abbastanza imprevisti.

Vorrei aggiungere ancora qualche riflessione sui commenti che ho letto in queste ore. Il primo è relativo alle gare di purezza: vedo tantissime persone pronte a fare le pulci al Movimento in maniera veramente dettagliata. Lo prendo come un complimento: da noi si pretende coerenza e trasparenza assoluta. Lo prendo un po’ meno come un complimento, e un po’ più come un attacco al Movimento, quando ciò è fatto in maniera distruttiva, spesso in presenza e con l’appoggio interessato di tesserati di altri partiti (ieri sul profilo di Bono, a dire “bravi” al comitato centrale, c’erano tesserati dell’IDV, tesserati del PD, persino la coordinatrice regionale di Per il Bene Comune <- sì, è un partito e odia Grillo). I principi sono importanti, ma di là, nei partiti, c'è gente che stupra la democrazia ogni giorno, che ruba, che è d'accordo coi mafiosi, che manipola la stampa, che favoreggia gli amici. Ma tu del Movimento, ah! quella volta hai fatto una riunione e non hai messo subito un verbale dettagliatissimo, parola per parola, accessibile a tutti! Ok, noi dobbiamo essere meglio degli altri, ma attenzione a non cadere nel tranello per cui se non si può essere perfetti meglio non far nulla; per non parlare del fatto che cercare di sconfiggere un avversario cento volte più forte di te raccontandogli in anticipo "per trasparenza" tutte le tue mosse è una strategia estremamente pura ma estremamente inefficace. Insomma, occhio a non distruggere la credibilità pubblica del Movimento, per mancanze di un paio di ordini di grandezza inferiori al bene che si sta facendo, o peggio per ambizioni personali frustrate. Le critiche anche pubbliche sono legittime e anzi importanti, ma se sono fatte in buona fede sono misurate e costruttive, accompagnate da proposte e soluzioni invece che da insulti e minacce. Se qualcuno invece critica in maniera distruttiva, come stanno facendo questi adesso, vuol dire che in realtà del Movimento non gli importa nulla, gli importa solo della possibilità di usare il Movimento a proprio vantaggio; e se non ci riesce, preferisce distruggere tutto che permettere al Movimento di candidare altre persone. Se ciò è fatto in buona fede, è un comportamento da bambini; se è fatto in cattiva fede, è ancora peggio; in ogni caso, non ci si può dichiarare attivisti del Movimento e poi cercare di demolirlo in pubblico. Probabilmente, per persone che non hanno contribuito più di tanto alla durissima costruzione della popolarità del Movimento in Piemonte, alle giornate al freddo per strada e al convincimento uno a uno degli elettori, l’idea di distruggerlo non è un problema: meglio che il giocattolo venga distrutto piuttosto che lasciar giocare qualcun altro. Peccato che questo non sia un giocattolo, ma sia per molti versi l’ultima speranza che la nostra città e il nostro Paese hanno per uscire dalla melma, dalla mediocrità, dalle collusioni, dalla devastazione ambientale, morale ed economica.

Sarebbe tanto facile per me fare come hanno fatto altri (pochi per fortuna, temevo di più): tirarsi indietro, non metterci la faccia, cercare di apparire equidistanti perché magari poi si rimedia qualche voto anche di là; alla fine, queste cose purtroppo pagano, perché l’Italia è un Paese di pavidi e di “armiamoci e partite”.

Invece, io ci voglio mettere la faccia e difendo le decisioni che il gruppo ha preso, persino quelle che non ho inizialmente condiviso. Forse mi costerà la candidatura a sindaco, perché (come avvenuto ieri) appena aprirò bocca su Facebook o dal vivo mi troverò una claque organizzata di dieci persone a fischiare e insultare, prontamente seguiti da tesserati di un po’ tutti i partiti; ma non importa, qualcun altro farà il candidato al posto mio; e non importa, perché la mia coscienza vale più di una candidatura. Del resto, se mai facessi il sindaco mi troverei di fronte la ndrangheta degli appalti, figuratevi se mi spaventano quattro borghesi col culo al caldo che non hanno niente di meglio da fare che divertirsi giocando a Risiko su Facebook con le nostre vite, mentre fuori è pieno di gente che muore di fame, e noi già siamo soli e accerchiati dal sistema. Mi fa incazzare, questo sì, ma che ci volete fare: è l’Italia di oggi.

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sabato 6 Novembre 2010, 19:09

Primarie del Movimento 5 Stelle di Torino – primo turno

Mi spiace dover fare l’annuncio così, all’ultimo momento; la data era fissata da un paio di settimane, ma sono state probabilmente le due settimane più convulse nella storia del Movimento cittadino e ancora ieri sera era tutto in discussione. Domani alle 15, comunque, si svolgerà il primo round delle primarie per la scelta del candidato sindaco di Torino del Movimento 5 Stelle, quello riservato agli attivisti; secondo il metodo di cui vi avevo parlato nell’ultimo aggiornamento, i candidati saranno ridotti a tre e saranno espresse le preferenze finali del gruppo.

Le persone che hanno dato la propria disponibilità e che soddisfano i requisiti già decisi sono cinque; non sono poi così tante, anche perché fare il candidato sindaco implica lasciare quasi interamente le proprie attività professionali e dedicarsi solo a questo da qui fino al prossimo maggio, senza contare la concreta chance di venire poi eletti in consiglio comunale (il che comporterebbe un impegno quasi a tempo pieno per circa mille euro al mese per 11 mensilità, ad agosto niente). Se nella carica di consigliere si potrà poi eventualmente ruotare (anche se ci sono pro e contro a questa idea), durante la campagna elettorale questo non sarà possibile, e il candidato dovrà garantire la massima presenza: di qui l’impossibilità di offrirsi per molte persone anche di valore.

Comunque, la riunione di domani sarà fisicamente ristretta agli attivi, ma per permettere trasparenza e partecipazione stiamo preparando uno streaming web, che sarà disponibile in questa pagina (pazientate, di solito la riunione inizia un po’ in ritardo). Durante la riunione ognuno dei cinque volontari sfilerà singolarmente davanti al gruppo e sarà sottoposto a domande, in parte uguali per tutti, in parte diverse. Se volete, potete inviare le vostre domande per i candidati all’indirizzo movimentocinquestelle.torino@gmail.com; a inizio riunione i presenti selezioneranno le migliori.

Dopo questa prima fase, partirà l’organizzazione della seconda – le primarie dei cittadini. I tre candidati finali saranno presentati e discussi sia in rete che di persona, e sarà possibile registrarsi su un sito per poi, tendenzialmente verso fine mese, votare il proprio preferito tra i tre. Quel che ancora non sappiamo è se ci sarà un sito ad hoc o se il tutto si svolgerà sulla piattaforma nazionale di Beppe Grillo, e quindi come si farà in pratica a partecipare; speriamo di potervelo dire a breve. Nel frattempo, nonostante il brevissimo preavviso, speriamo domani di avere una buona audience collegata via streaming.

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venerdì 5 Novembre 2010, 14:59

Dalla cripta a 5 stelle

No, non temete, non vuol dire che siamo tutti morti e nemmeno che siamo chiusi in cantina. In realtà, dopo mesi di vicende inenarrabili che comprendono il viaggio di alcune cassette da Biella a Torino e ritorno e tentativi di loro lettura con almeno quattro apparati diversi, sono finalmente riuscito a montare e pubblicare due video relativi al comizio di Beppe Grillo a Novara una settimana prima delle scorse elezioni regionali.

Il primo inizia con una presentazione over the top del sottoscritto fatta direttamente da Grillo che sul momento mi imbarazzò (piacevolmente) non poco – tanto che quando mi diede il microfono ero senza parole – e poi contiene il mio discorso dell’epoca; e mi ha fatto piacere ritrovarlo, perché è proprio l’entusiasmo e la speranza di quei giorni che stiamo cercando di risvegliare, in vista del prossimo ciclo elettorale; e perché ogni promessa è debito, dunque dopo aver chiesto personalmente il voto è il caso di mantenere personalmente l’impegno.

Il secondo, invece, contiene gli ultimi due minuti del comizio di Beppe, quelli in cui spiega cosa vuol fare il Movimento 5 Stelle e perché votarlo: fa sempre bene ricordarlo e in più diverte.

P.S. I ringraziamenti vanno ai Grilli Biellesi (Alessandro Lumia e Lorenzo D’Amelio) per le riprese e per il trasporto delle cassette, e ad Alberto Airola per aver mobilitato un intero studio per riuscire a convertirle in file.

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