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martedì 25 Maggio 2010, 20:07

Il ballo di Mantova (1)

La mia scarsa attività bloggarola di questi giorni è legata – oltre che alla stanchezza da caldo – a un paio di cose che sto preparando e che posterò tra domani e dopodomani, una delle quali è ovviamente un qualche resoconto della mia gita domenicale a Mantova.

Come anteprima, dunque, ho pensato che sarebbe stato carino lasciarvi con della musica a tema. La Mantovana o il Ballo di Mantova era nel Seicento l’equivalente di uno standard jazz di oggi: un pezzo suonato in ogni occasione e soggetto a infinite variazioni, auliche o popolari, man mano che si aggirava per l’Europa. Si va dalla versione essenziale del tema:

a una magnifica serie di variazioni per clavicembalo:

Se vi sembra di averla già sentita, non vi sbagliate: infatti questa melodia ha attraversato quattro secoli ed è ricomparsa qua e là nelle occasioni più varie, diventando La Moldava di Smetana (che sicuramente vi hanno fatto ascoltare alle medie, mentre tiravate palline al vicino di banco) ma anche l’inno nazionale israeliano.

Ora vorrei capire, secondo i discografici, chi dovrebbe incassare i diritti d’autore…

P.S. So che vi aspettavate comunque anche un video con torme di gente impazzita che urla “SERIE CCCCCCCCCC… SERIE CCCCCCCCC…”, ma state calmi, dovrete aspettare ancora un po’.

[tags]mantova, musica, barocco, ballo, smetana, israele[/tags]

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sabato 22 Maggio 2010, 20:05

Io pago, ma il prodotto resta loro

Oggi pomeriggio ho acceso la mia Playstation 3, che ormai uso molto saltuariamente; in pratica è un lettore blu-ray (ma solo con i blu-ray comprati a prezzi umani durante il mio giro a Londra, dato che in Italia ancora si pensa che i blu-ray siano un buon modo per spennare la gente) più un sistema per giocare ogni tanto a Guitar Hero ed epigoni.

Saranno stati un paio di mesi che non la accendevo in modalità console; e così, dopo aver messo il disco di Rock Band 2, mi sono ritrovato il messaggio che richiedeva di aggiornare il software del gioco, mediante uno scaricamento online… che si è prontamente piantato. Ho allora pensato che il problema fosse il mancato aggiornamento del sistema operativo della PS3, che la Sony ti obbliga a fare di tanto in tanto (una rottura di scatole gratuita e imposta dall’alto), pena il non poterti più collegare a Playstation Network e dunque non poter aggiornare i giochi, giocare in rete o inviare i tuoi punteggi; ho controllato e in effetti, nei due o tre mesi da quando l’avevo usata l’ultima volta, era stato pubblicato un aggiornamento.

Così ho scaricato l’aggiornamento, l’ho lanciato, e stavolta mi sono trovato davanti a una schermata nera con il seguente messaggio (qui una foto dell’equivalente in inglese): in pratica, accettando l’aggiornamento rinunciavo per sempre alla possibilità di installare sulla PS3 Linux o un qualsiasi altro sistema operativo, una delle caratteristiche che all’epoca del lancio era stata presentata come innovativa e qualificante e che mi aveva spinto a scegliere ancora Playstation, nonostante la concorrenza costasse decisamente di meno.

Naturalmente l’aggiornamento “non è obbligatorio”, ma se non lo faccio non posso più entrare in Playstation Network e dunque non posso giocare in rete, aggiornare i giochi, usare il media server, usare blu-ray o giochi che richiedono versioni aggiornate del sistema operativo… in pratica non posso più farci niente.

Ho scoperto che la notizia risale ad alcune settimane fa e che ovviamente ha suscitato parecchie polemiche; qualcuno è pure riuscito a farsi rimborsare parzialmente da Amazon il costo della console, in virtù del valore della funzione rimossa, ma la Sony ha prontamente richiuso le porte.

Che dire? Sono un cliente Sony da molto tempo e ho sempre riconosciuto a questa azienda la sua eccellenza tecnologica, che però si accompagna da sempre a una chiusura mentale davvero inaccettabile, che la porta a spingere formati proprietari e ad adottare comportamenti totalmente irrispettosi degli utenti e delle promesse fattegli al momento dell’acquisto.

Io d’ora in poi ci penserò quattro volte, prima di ricomprare Sony; ma episodi come questo dimostrano una volta di più che il controllo dei sistemi operativi e delle macchine da parte dei grandi produttori è un problema politico non da poco, andando a impattare come minimo sui diritti del consumatore, e non di rado anche su diritti civili come la privacy e la possibilità di libera espressione. Per non parlare del diritto di proprietà: che senso ha che io compri un apparecchio elettronico per centinaia di euro di spesa, e nonostante questo non sia libero di scegliere che sistema operativo farci girare, e anzi sia obbligato a farvi accedere via rete il produttore, che maneggia sul mio hard disk come gli pare e senza trasparenza e se non accetto mi impedisce di usare l’apparecchio che ho regolarmente acquistato?

Insomma, la Sony non dovrebbe poter fare questo senza confrontarsi con una autorità di regolamentazione pubblica e con qualcuno che rappresenti i suoi clienti; il fatto che le grandi corporation facciano un po’ quello che gli pare, senza garanzie di alcun tipo per chi usa i loro prodotti, è un problema ancora da risolvere.

[tags]sony, playstation, linux, libertà, diritti, consumatori, proprietà, internet governance[/tags]

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venerdì 21 Maggio 2010, 18:09

La zona rossa

Se in questa settimana non vi è ancora capitato di vedere le immagini di un gruppetto di studenti dell’Onda che entra al Salone del Libro, cerca di arrivare alla sala dove Giancarlo Caselli presenta un suo libro, i cui proventi vanno a favore di Libera e dell’azione antimafia di don Ciotti, e viene respinta con abbondante e gratuita violenza dalla polizia, con tanto di caccia al ragazzino isolato tra gli stand, vi consiglio di dedicarci dieci minuti.

Naturalmente si potrebbe partire con le generalizzazioni: e “polizia fascista polizia assassina” di qua, e “studenti fancazzisti andate a lavorare” di là. Non è questo l’interessante; a me interessa soprattutto notare una situazione che mi ha molto ricordato i racconti letti sul ’68, e forse più ancora sul ’77.

Caselli e don Ciotti sono due simboli del bene e della sinistra, giusto? Lo sono almeno per quelle persone che identificano il bene con la sinistra e non ammettono su questo discussioni; persone come Michele Dalai, editore del libro suddetto, che su La Stampa si scandalizza per l’accaduto e pianta un pippone moralista contro i giovani contestatori. Si tratta di persone talmente convinte di essere il bene, di essere nel giusto, che non riescono a concepire di poter subire una contestazione e che tale contestazione possa avere una qualsiasi ragione non dico condivisibile, non dico comprensibile, ma anche solo degna di qualcosa di più che una risposta scandalizzata.

Persone che non riescono ad accorgersi di essere invece chiuse in una torre d’avorio, in una sala pagata coi soldi degli operai e della fu classe media di cui loro non hanno mai fatto parte, dentro una ex fabbrica che la famiglia Agnelli si tolse dal groppone grazie al provvido aiuto di abbondanti fondi pubblici da loro destinati, promosse, presentate e montate in prima pagina dal giornale della famiglia suddetta, in una fiera organizzata e presieduta da un piduista (Rolando Picchioni, tessera P2 numero 2095) sempre grazie ad abbondanti fondi pubblici, protette dai manganelli della polizia al loro servizio, a presentare il libro di un “giovane uomo di legge”, tal Carlo Dalla Chiesa; uno che si è assolutamente fatto da sè, come potete leggere sul blog di suo padre, che si vanta di aver visto l’editore del libro del figlio quando stava in culla “all’Elba nel ’73”, cosa peraltro non strana dato che anche l’editore lo è in quanto “figlio di”, e precisamente dell’altro editore Alessandro Dalai, da cui lo divide profondamente la scelta della corrente PD in cui militare.

E’ questa la zona rossa dell’Italia di oggi: l’area protetta militarmente – con la forza pubblica, con l’occupazione dei media, con le auto blu e i giochi di partito, con l’uso comodo delle casse pubbliche – in cui vive l’establishment della sinistra italiana, sempre più solo, sempre più isolato, sempre più lontano dal mondo e sempre più sorpreso – anzi no, indignato – ogni volta che qualcuno osa indicare col dito la sua nudità.

Le accuse mosse da Caselli agli studenti dell’Onda, viste da fuori, sembrano davvero poco sostenibili, tanto è vero che Dalai si guarda bene dal menzionarle. Gli studenti sono stati accusati di “concorso morale” negli scontri per il G8 Universitario – altro evento da zona rossa militare costruito solo per l’orgoglio dei gerarchi della città, di cui feci al tempo un ampio reportage con tanto di foto – non per aver partecipato agli scontri stessi (cosa che andrebbe giustamente punita), ma semplicemente per avere organizzato o fatto parte del corteo.

Eppure la loro protesta scenografica ma pacifica, secondo Dalai, non ha diritto di esistere, anzi deve essere sconfitta da una silenziosa “marcia dei 400” – in realtà è stata bloccata a manganellate dalla Digos e poi dalla Celere in assetto anti-sommossa, ma anche questo Dalai non lo dice, parlando eufemisticamente di “contatto” – che, con il chiaro parallelismo con la marcia dei quarantamila, dimostra l’ormai totale riconversione mentale della dirigenza PD al ruolo del padrone d’antan, com’era l’Avvocato: un caso da manuale di invidia del pene quarant’anni troppo tardi.

E allora, che possiamo concludere? Noi che su Facebook siamo fan dei bulloni addosso a Luciano Lama non possiamo che solidarizzare con gli studenti; di cui non ci sta simpatica l’attitudine da centro sociale, ma che rappresentano la vita che reclama il suo spazio sociale, di fronte a questa congrega di anime morte che pretende di essere sempre nel giusto per diritto divino e di occupare per sempre il centro della scena con il proprio inutile bla bla.

Tanto, di bulloni ormai (e per fortuna) ne volano pochi; volano però le schede con la croce sul simbolo della Lega. La sinistra nelle piazze dovrebbe starci, non dovrebbe temerle esattamente o peggio di come le teme la destra; che girare per strada sia più facile per Borghezio che per Caselli dovrebbe farli riflettere. E invece no; e allora, che dire? Buon Formentini a tutti vent’anni fa, buon Cota a tutti al giorno d’oggi; buon Renzo Bossi a tutti fra vent’an… vabbe’, scusate, vado a vomitare.

[tags]sinistra, caselli, dalla chiesa, dalai, libera, don ciotti, salone del libro, picchioni, torino, pd, lega, borghezio, formentini, cota, bossi, intellettuali, luciano lama, marcia dei quarantamila, invidia del pene[/tags]

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giovedì 20 Maggio 2010, 19:28

Facile come farsi il tè

Non dovrebbe essere difficile andare allo stadio, no? Nemmeno in trasferta, specialmente se l’occasione è quella di fare una bella gita fuori porta in una magnifica città d’arte come Mantova, e già che ci siamo, ecco, passare un attimo dallo stadio a dirimere due faccende, così tra vecchi amici.

Sono infatti quasi quattro anni che il Toro non gioca a Mantova, e per la precisione dalla finale di andata dei playoff di serie B del 2005-2006. Il Toro passò subito in vantaggio, subendo poi quattro-gol-quattro in modo abbastanza incredibile (due colpi di testa e due rigori) e riuscendo solo ad accorciare sul 4-2. Il Mantova era convinto di avere la serie A in tasca, tanto è vero che quella sera fecero festa grande, e che prima dell’inizio della partita di ritorno a Torino, in uno stadio Delle Alpi gremito da quasi 70.000 persone, si distinsero per sfottò e provocazioni, a partire dal loro presidente Lori – industrialotto del posto e prototipo del parvenu – che venne a fare l’aeroplanino sotto le tribune.

Alla fine, in una serata epica, fu 3-1 e promozione del Toro, nonostante il terzo rigore per il Mantova, che oltretutto in campionato era giunto a sette punti di ritardo dal Toro e aveva perso entrambi gli scontri diretti. Comunque, non sapendo perdere, i mantovani se la legarono al dito, accusando l’arbitro e parlando di complotti per favorire la promozione del Toro (si sa, una squadra notoriamente amata dai poteri forti).

E siccome quella sconfitta costituisce gli unici quindici minuti di gloria del Mantova negli ultimi quarant’anni, i mantovani hanno passato gli ultimi quattro anni a rosicare, al punto che quando il Toro l’anno scorso retrocesse in serie B il mitico presidente Lori si mise personalmente alla guida di un corteo festante per le vie della città, mentre tal concessionario Filippini Auto comprò una pagina sul giornalino del posto per sfottere Cairo.

Dopo tanta sportività, si torna a Mantova in un momento delicato per entrambe le squadre: il Toro con una vittoria conquisterebbe matematicamente i playoff per la promozione (ma anche con un pareggio, purché il Crotone non vinca in casa del Cittadella) mentre il Mantova è in zona playout e ha bisogno di punti per non finire in serie C – ammesso che non fallisca, perché nel frattempo il mitico Lori è sull’orlo della bancarotta e non paga gli stipendi da mesi (come peraltro tre quarti delle squadre di serie B; tuttavia Lori non paga nemmeno i suoi operai, e questo è decisamente più grave).

Entrambe le squadre, calcisticamente parlando, fanno schifo al cazzo (perdonate il termine tecnico); non sarà una bella partita, ma non è questo che conta. Conta che sugli spalti ci sarà tanta amichevole rivalità e voglia di scambiarsi gesti di simpatia: per esempio, vari tifosi granata hanno espresso l’intenzione di utilizzare la trasferta anche per provare qualche nuova auto dal concessionario Filippini Auto. In realtà, non dovrebbe succedere nulla di serio, come non successe nulla di serio all’andata (anche se raccontano di incroci tra un pullman di mantovani e il pullman dei tifosi granata di Pesaro, visto che l’autostrada è la stessa). Ma è chiaro che la situazione è speciale.

Per questo motivo, le autorità avevano preso la decisione di limitare la vendita dei biglietti a uno per persona vietando inoltre il cambio di nominativo dopo l’acquisto; significa in sostanza che ognuno deve presentarsi di persona a comprare il proprio, garantendo dunque la schedatura completa e infallibile degli acquirenti (si sa che i tifosi vanno criminalizzati a prescindere).

Lunedì mattina allora sono andato a comprare il mio; i biglietti sono in vendita soltanto “offline” e soltanto nei negozi convenzionati TicketOne (una decina a Torino, ma per chi abita fuori può voler dire molti chilometri di strada). Il primo punto vendita non teneva più il servizio, ma mi ha girato a un secondo… che mi ha detto che la vendita era stata appena sospesa. Sono andato per conferma fino al CTS di via Montebello, che non solo per vendermi il biglietto voleva che facessi la loro tessera da 5 euro (si sa che i tifosi vanno spremuti a prescindere), ma mi ha poi confermato che la vendita era stata bloccata e la trasferta vietata.

Infatti, con 700 biglietti ospiti già venduti, lunedì mattina il questore di Mantova si è svegliato e ha detto: ma ci sarà casino, chiudiamo il settore ospiti! In queste situazioni, chi ha già il biglietto viene (previo sbattimento) rimborsato; peccato che molte persone avessero già anche comprato i biglietti del treno o prenotato i pullman, e chi viene da molto lontano anche l’albergo… in questo caso, peggio per loro: soldi buttati senza preavviso.

Ovviamente è partita un’ondata di proteste, e nel frattempo, a settore ospiti chiuso, i tifosi del Toro hanno cominciato a comprare biglietti per gli altri settori dello stadio, quelli dei mantovani. A quel punto, resosi conto che il problema non era evitabile, martedì mattina la questura di Mantova ha cambiato di nuovo idea: trasferta permessa, ma i biglietti del settore ospiti devono essere venduti solo in Piemonte (come se i tifosi del Toro fossero tutti a Torino), mentre tutti gli altri settori solo in Lombardia.

L’avviso compare sul sito del Toro, molti vanno subito a fare il biglietto; fanno la coda, pagano, escono dal negozio (in questo caso la Fnac di via Roma), leggono bene il biglietto e… gli hanno dato il biglietto non per la curva Cisa, quella degli ospiti, ma per la curva Te, quella degli ultrà mantovani. Infatti TicketOne si è sbagliata e, pare, ha implementato le disposizioni al contrario: settore ospiti in vendita in Lombardia e altri settori in vendita in Piemonte. E il bello è che, essendo i biglietti per disposizioni dell’autorità uno a testa e non trasferibili, chi ha avuto questo biglietto non può nè rivenderlo nè cambiarlo con un altro…

Dopo qualche ora l’errore nel sistema di vendita viene corretto e centinaia di tifosi in attesa (tra cui io, che sono andato al Sassofono di corso Francia, gentilissimi) possono comprarsi il biglietto giusto; ma la frittata è fatta. Inoltre restano tutti i tifosi granata di fuori Piemonte; alcuni hanno mandato per fax copie dei documenti ad amici a Torino, dato che alcuni punti vendita alla fine accettano anche le fotocopie per interposta persona; altri continuano a comprare posti in mezzo ai mantovani. Ma anche in Piemonte non si capisce bene che fare; ad Asti fanno i biglietti del settore ospiti, invece a Novara non vendono niente; c’è gente che sta girando per le autostrade del nordovest pur di trovare un biglietto.

Insomma i tifosi del Toro, dopo aver perso giorni per fare il biglietto, andranno a Mantova sparpagliati per lo stadio, a rischio di scaramucce, a causa dell’approssimazione e delle scelte discutibili di chi gestisce l’ordine pubblico. Ma se ci dovessero essere incidenti, sicuramente si dirà che la colpa è degli esagitati tifosi di Torino… Converrete che per seguire il calcio ci va una certa perseveranza; e che non c’è da stupirsi se, a fronte di tutte queste difficoltà, negli stadi si trovano sempre più ultrà e sempre meno famiglie.

[tags]calcio, serie b, toro, mantova, trasferta, ordine pubblico, ultras[/tags]

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mercoledì 19 Maggio 2010, 08:11

Blu Apple

Scrivo qui un avviso utile agli utenti MacBook Pro: mi capita ogni tanto, riaprendo il portatile dopo averlo lasciato in freeze, che lo schermo abbia una strana tinta bluastra, come se le finestre e le icone fossero state lavate in acqua troppo calda. E’ chiaramente una questione di “profilo colore” dello schermo, con regolazioni del contrasto e della luminosità modificate in modo assurdo, ma non sapevo come risolverla.

Oggi mi sono stancato e dopo un po’ di ricerca ho trovato questo post che spiega la soluzione: è effettivamente un bug del sistema video (documentato dal 2006 e che la Apple non ha ancora risolto…) e si può risolvere, quando si presenta, semplicemente resettando il display premendo Ctrl + Shift + Eject (il pulsante di espulsione CD in alto a destra). In alternativa si può eseguire il seguente comando da terminale, tutto su una riga senza spazi:

/System/Library/Frameworks/ApplicationServices.framework/Versions/A/Frameworks/CoreGraphics.framework/Versions/A/Resources/DMProxy

In attesa che la Apple si svegli e sistemi il problema (saranno troppo occupati a impedire l’uso di Flash sugli iPhone, peraltro non una cattiva idea visto che Flash è la principale fonte di rallentamenti, piantamenti e pubblicità invasiva durante la navigazione), spero che la dritta possa essere utile a qualcun altro…

[tags]apple, macbook, schermo, bug, flash, iphone[/tags]

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martedì 18 Maggio 2010, 15:19

Oscurata RaiNews24

Oggi alla Rai è il giorno del grande salto: non solo Rai2 passa sul digitale terrestre per una decina di milioni di persone – Lombardia, Piemonte orientale ed Emilia occidentale – ma con l’occasione cambiano i loghi dei canali e in parte anche l’offerta. E però, zitti zitti, c’è anche una inquietante novità: è sparita RaiNews (ex RaiNews24).

Accendendo il televisore, infatti, dove prima c’era RaiNews compare ora Rai4; su Sky, al canale 506 – tra una CNN e una BBC World – compare un nuovo canale di sport, RaiSport2 (effettivamente sulle reti Rai c’era un po’ poco sport: domenica pomeriggio in contemporanea trasmettevano su Rai1 il gran premio di Monaco, su Rai2 il campionato di calcio e su Rai3 il Giro d’Italia).

Subito si è scatenata la polemica: giornalisti in sciopero, interrogazioni parlamentari e così via. Infatti, nell’epoca del Minzolini, RaiNews è rimasta l’isola marginale dell’informazione non allineata; diretta dall’ex TG3 Corradino Mineo, è stata ad esempio l’unica rete che ha trasmesso la manifestazione del popolo viola.

Naturalmente la Rai ha risposto che è stato tutto un equivoco; che sul digitale terrestre RaiNews è stata spostata per migliorarne la ricezione e basta risintonizzare i canali (sarà tipo la ventesima volta che bisogna risintonizzare i canali negli ultimi due anni). E sul satellite? Lì non c’è alcuna spiegazione plausibile, ma comunque secondo la Rai è colpa di Sky che ha incrociato i flussi per far notare quanto la Rai faccia casino.

Anche io, più che un grande piano di censura berlusconiana, penso a tre tecnici scazzati di Saxa Rubra che non avevano voglia di fare le cose per bene e che hanno gestito la migrazione in maniera superficiale, magari sapendo che nell’attuale situazione Rai, dovendo scontentare qualcuno, Mineo è chiaramente il vaso di coccio. E’ interessante anche notare come – con la crescita dell’offerta – anche in TV, come già su Internet, il problema non sia tanto il riuscire a trasmettere ma il venire indicizzati in posizioni visibili all’interno del “portale” di accesso, sia esso la numerazione sul telecomando o il risultato di un motore di ricerca. Sta di fatto che nessuno trova più RaiNews.

[tags]rai, rainews, digitale terrestre, sky, mineo, minzolini, censura[/tags]

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lunedì 17 Maggio 2010, 17:46

Dio è morto

La morte per cancro di Ronnie James Dio – aveva già 67 anni – segna davvero la fine di un’epoca delle nostre vite, almeno per chi da ragazzo è stato almeno un po’ metallaro. Dio era la voce epica per eccellenza, che cantasse le leggende fantasy dei Rainbow o i classici dei Black Sabbath; e anche la sua carriera solista non era stata da meno (Holy Diver è un disco magnifico che capita regolarmente nelle mie playlist).

Forse non aveva un grande physique du role, già stempiato all’epoca classica, ma i suoi completini chiodo + jeans e i suoi brani duri ma essenziali, rivisti ora, dimostrano quanta poca distanza ci fosse tra l’hard rock dell’epoca classica e i rocker alla Springsteen. Lui, in più, era noto per aver reso popolare il gesto delle corna, ereditato da una nonna italiana e trasformato nel simbolo dell’heavy metal.

I forum, le piattaforme, i siti di musica sono zeppi di commenti e condoglianze; noi lo ricordiamo con il suo inno spaccastadio (è arrivato persino a Zelig) e con il buffo video di Rainbow in the Dark, con l’assolo dell’allora ventenne Vivian Campbell; e, appropriatamente, con un Long Live Rock’n’Roll degli anni con Blackmore. E poi pensiamo con orrore che, se è morto Dio, potrebbe morire persino Ozzy Osbourne.

[tags]musica, hard rock, metal, dio, rainbow, black sabbath[/tags]

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domenica 16 Maggio 2010, 19:12

Una serata coi Jethro Tull

Sì, sono ancora vivi. Smarcato il punto, vorrei comunque raccontare qualcos’altro sulla veloce gita di venerdì sera a Genova, con i biglietti comprati mesi fa – poco prima che si esaurissero – per l’inizialmente unica data italiana del tour dei Jethro Tull (ora ne hanno aggiunte altre a metà luglio).

Non tutte le leggende del rock invecchiano bene; andando a vedere questo genere di concerto, c’è sempre il rischio di grandi delusioni. E c’è anche un rischio più sottile: quello di trovarsi di fronte non a un concerto ma a una messa, ossia alla stanca riproposizione di un rosario di grandi classici con quarant’anni sulle spalle, suonati secondo il canone e senza più voglia nè energia, soltanto per dare il contentino ai fan in cambio di un biglietto dal prezzo spropositato (ogni riferimento al tour di reunion dei Kiss, martedì prossimo a Milano, è puramente casuale).

La classe si dimostra sul lungo periodo; c’è chi già dopo i primi due dischi ha esaurito le idee (qualcuno ha resistito più di dieci secondi al nuovo singolo di Ligabue?) e chi continua onestamente sulla via già tracciata ma dimostrando l’assoluta mancanza di senso del ridicolo, insistendo attorno ai sessant’anni a sfoggiare vestitini di pelle aderente, chiome fluenti e acuti impossibili in versione ormai afona, cercando di negare il passaggio del tempo (a questo proposito il punto più basso degli ultimi anni è stato raggiunto quando Joe Lynn Turner ha accusato David Coverdale di cantare in playback ai concerti dei Whitesnake, al che Coverdale ha risposto ironizzando sul fatto che Turner si esibisce con una splendida parrucca; ma anche l’idea di rimettere in piedi i Rainbow sostituendo Ritchie Blackmore con lo scarsissimo figlio Jürgen Blackmore, scopo tour in paesi musicalmente gonzi tipo Russia Grecia e Albania, non era male).

I Jethro Tull si sono salvati da tutto questo, perché non hanno mai smesso di suonare e perché hanno avuto il coraggio di cambiare continuamente stile, attraversando blues, hard rock, prog rock, folk rock, new wave elettronica, AOR, jazz/fusion, world music e altro ancora, senza mai perdere la passione. Di fatto, ormai da tempo l’anima del gruppo è ridotta al leader carismatico Ian Anderson e al suo fido chitarrista Martin Barre, che hanno scelto di ridurre al minimo la produzione di nuovo materiale per puntare su una intensa attività dal vivo. Nonostante questo, il concerto è tutt’altro che un “greatest hits” degli anni d’oro; in scaletta ci sono comunque anche brani recenti e altri tratti dai periodi meno conosciuti, ma non per questo meno interessanti – talvolta sono belle scoperte per gli stessi fan.

Il risultato sono quasi due ore di musica, intervallate da una pausa centrale di venti minuti. Si parte alle 21:20 (guai a chi arriva troppo in ritardo…) in modo intimo, con brani quasi acustici; per primo, ripescato dall’oblio, Dun Ringill da Stormwatch, che si rivela un opener fantastico per creare l’atmosfera; e poi due classici deliziosi come Life Is A Long Song e Jack-in-the-Green. Il concerto si scalda passando al blues-rock di Nothing Is Easy e A New Day Yesterday, due pezzi che a tutt’oggi è impossibile ascoltare senza essere trascinati dal ritmo, per poi virare sul rock secco di Cross Eyed Mary e Songs From The Wood; questa è la parte che non convince appieno, perché Cross Eyed Mary è un classico del rock tirato (memorabile anche la cover che ne fecero gli Iron Maiden del periodo d’oro) e a quell’età non è facile averla nelle corde, e perché Songs From The Wood è talmente complessa che rifarla bene dal vivo è umanamente quasi impossibile. Prima dell’intervallo si ritorna ad una atmosfera più intima, con un pezzo nuovo – Hare and the Wine Cup – che non sfigura affatto; poi arriva un vero gioiello, una versione di Bouree in parte fedele all’originale e in parte del tutto nuova, piena di colori e cambi di atmosfera, davvero bellissima.

Dopo l’intervallo è anche meglio; l’inizio è rinascimentale, poi un altro pezzo nuovo, e poi arriva un superclassico come My God, rifatto per intero con grandissimo impatto. Persino quel polpettone melassoso di Budapest (è del periodo in cui andavano di moda i Dire Straits e purtroppo si sente) scivola via senza danno, ma si fanno perdonare perché, dritto sul finale di Budapest e senza un respiro in mezzo, Barre attacca il riff di Aqualung. E’ il delirio; viene giù la sala letteralmente, nel senso che da tutto il palazzetto centinaia di persone si alzano e corrono sotto il palco, causando l’alzata in piedi di tutto il parterre, e addirittura c’è un’invasione di palco, un tizio nudo dalla cintola in su che si arrampica e saluta la platea tutto eccitato prima di venire portato via di peso, robe che non si vedevano dagli anni ’80 insomma. Anche Aqualung è impeccabile, trascina la folla fino a che non finisce, poi la band saluta e se ne va. Il pubblico vuole il bis, e quando si intravede nel buio il tastierista che entra e si siede al piano, che cosa potrà mai attaccare? Ovviamente Locomotive Breath, per chiudere in bellezza.

Valeva decisamente la pena di vederli, anche perché la forma era notevole; la voce di Anderson c’era (da vent’anni ha problemi di voce e non sempre è al meglio) e l’esecuzione è stata impeccabile, nonostante la grande complessità tecnica dei pezzi dei Jethro Tull. Insomma, è stato persino meglio della serata che vidi a Torino ormai sette anni fa… e non capiterà certo più la scena del concerto interrotto da un tizio dell’organizzazione che sale sul palco senza preavviso e, con un accento genovese fortissimo, legge al microfono un pomposo discorso scritto con cui assegnano a Ian Anderson il notissimo premio Mandolino Genovese 2010, davanti a un Anderson basito che non sa se ridere, incazzarsi o chiamare la sicurezza.

Ah, l’approccio a Genova in auto è stato devastante come al solito (treni del ritorno a tarda sera non ce n’erano), ma il luogo del concerto – il PalaVaillant all’interno del centro commerciale della Fiumara, a Sampierdarena – non è male, anche se l’acustica è un po’ da cubo di cemento; io avevo preso la fila più bassa della tribuna est (una gradinata con seggiolini), non vicino al palco ma centrale e rialzata rispetto al parterre di gente seduta, dunque si vedeva e si sentiva comunque bene, perdipiù a prezzo ragionevole (32 euro se ben ricordo). Molto apprezzata però l’idea del parcheggio multipiano del centro commerciale aperto fino alle 3 di notte e dunque utilizzabile per il concerto. Ci mettessero anche una freccia per spiegarti come arrivarci non sarebbe male, io ci sono capitato per caso girando per le viuzze.

Setlist completa: Dun Ringill, Beggar’s Farm, Life is a Long Song, Jack-in-the-Green, Eurology, Nothing is easy, A New Day Yesterday, Songs From the Wood, Cross-eyed Mary, Hare and the Wine Cup, Bouree; intervallo; Past Times with Good Company, A Change of Horses, My God, Budapest, Aqualung; bis, Locomotive Breath.

[tags]concerto, musica, jethro tull, genova, palavaillant, kiss, iron maiden, rainbow[/tags]

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venerdì 14 Maggio 2010, 12:12

Mi raccomando

La raccomandata da me inviata dall’ufficio postale di via Marsigli, nel pomeriggio del 5 maggio, a Vodafone N.V. (la filiale di Vodafone che incassa i miliardi degli italiani ma paga le tasse in Olanda, tutto ciò nell’indifferenza generale del nostro ministero dell’Economia dato che c’è la libera concorrenza europea ecc. ecc.), casella postale 190, Ivrea, è stata ricevuta (timbro e firma) già il 6 maggio: ottimo.

Peccato che la ricevuta di ritorno, quando già davo la spedizione per persa, mi sia arrivata solo stamattina: 8 giorni per fare 40 km. Considerato che ho pagato il disturbo cinque euro e trentacinque centesimi, ossia quasi quello che avrei speso di treno o di bus per portarla di persona e tornare indietro, non mi sembra un gran livello di servizio.

[tags]poste italiane, raccomandate, vodafone, ivrea, tasse[/tags]

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giovedì 13 Maggio 2010, 12:33

Sfide informatiche impossibili

“Per inserire una vocale accentata digitare la vocale seguita dall’apostrofo (es.: ala’ dei sardi invece di alà dei sardi).” (dal sito dell’Agenzia delle Entrate)

[tags]informatica, lettere accentate, programmatori avanzati[/tags]

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