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domenica 25 Aprile 2010, 18:28

Liberi liberi

Quando mi interrogo su cosa sia la Liberazione per gli italiani della mia generazione, ricordo spesso una discussione al liceo – era la fine degli anni ’80 – in cui, alla richiesta della professoressa di esprimere un pensiero in materia, uno dei miei compagni rispose profondo “liberi liberi siamo noi, però liberi da che cosa, chissà cos’è?” (il disco, all’epoca, era effettivamente appena uscito e in qualche cantina, lo ammetto, ne possiedo ancora il vinile).

Non sottovalutate la risposta; Vasco è il maestro di pensiero perfetto per gli italiani – medio come l’italiano medio – e dunque anche allora ci aveva preso: perché tutti gli italiani al giorno d’oggi si sentono schiavi, ma non è chiaro che cosa li opprima. Una buona metà è convinta che il problema sia Berlusconi e il rischio sia un ritorno strisciante del fascismo, preoccupazione peraltro non campata per aria dato che il fascismo è uno dei modi mentali normali dell’italiano medio. Prova ne è che l’unico modo che questa metà trova per opporsi a questo rischio è fascista, ovvero organizzarsi qua e là per mandar via dal palco a fischi un qualsiasi esponente della parte politica avversa, da Milano a Torino a Roma.

Effettivamente la situazione è confusa a prima vista: non so infatti come interpretare il fatto che RaiTre, la televisione di sinistra, nel giorno della Liberazione festeggi con una intervista-comizio dell’ex leader del fu partito neofascista italiano. Lo faccio notare per chiunque possa pensare che la dirigenza dell’attuale centrosinistra sia antifascista; la verità è che l’attuale centrosinistra persegue le stesse politiche del centrodestra e si trova assolutamente a proprio agio con quelli che teoricamente etichetta come post-fascisti (non che a me piacciano le etichette, del resto mi accodo all’osservazione per cui ha fatto più opposizione Fini in quindici minuti che il PD in quindici anni).

Ma allora da cosa dovremmo liberarci? Beh, le immagini della Digos che porta via a forza il megafono a Piero Ricca, davanti alla sfilata dei potenti di ogni colore (Napolitano in testa) alla Scala di Milano, penso che siano già molto indicative (qui il racconto completo). Non è più questione di tifare destra o tifare sinistra, ma è questione di organizzazione sociale: la piramide o la rete, la gerarchia o l’uguaglianza.

La nuova liberazione dunque, se avverrà, non sarà certo la sostituzione di Berlusconi con un Bersani o analogo personaggio, che magari sarebbe cosmeticamente più rispettoso di noi ma che, nella sostanza, preserverebbe la stessa concezione illiberale e piramidale della società. La nostra liberazione sarà soltanto quando potremo davvero decidere da soli del nostro futuro, uno per uno, senza bisogno di un capo.

[tags]liberazione, festa, repubblica, libertà, vasco rossi, berlusconi, fini, bersani, napolitano, piero ricca, politica[/tags]

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sabato 24 Aprile 2010, 23:50

Gli investimenti della Regione Piemonte

Affittare come spazio pubblicitario l’intero porticato della Stazione Centrale di Milano non costa due lire. Già sarebbe da capire dunque se la scelta della Regione Piemonte ha un ritorno commisurato al costo; comunque sia, una volta che si hanno gli spazi a propria disposizione, che a fine aprile li si usi ancora per pubblicizzare la stagione sciistica grida abbastanza vendetta.

IMAGE_063s.jpg

[tags]regione piemonte, pubblicità, stazione centrale, milano, sprechi[/tags]

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venerdì 23 Aprile 2010, 16:22

Fossi figo

Fossi figo – storica interpretazione di Elio & Le Storie Tese & Gian Luigi Morandi detto Gianni – è un inno di noi giovani vecchi: perché arriva per tutti il momento in cui la foto del documento non ci rassomiglia più. Di solito, questo evento segnala che è giunto il momento di rifare i documenti: e infatti, la mia carta d’identità è scaduta due mesi fa (il giorno dopo averla usata per depositare le liste del Movimento in Tribunale) mentre il mio passaporto scade tra un mesetto, ma va rinnovato subito in vista dell’estate.

Oddio, alla fine è anche una liberazione, perché a tutt’oggi non mi capacito come io abbia potuto girare per dieci anni negli aeroporti di mezzo mondo presentando al controllo di frontiera un passaporto con questa foto qui:

fototessera-passaporto-2000.png

Non so esattamente a cosa stessi pensando quando è stato fatto questo scatto – era il maggio del 2000 – ma l’aria da terrorista libico è inequivocabile, con tanto di esibizione del rigoglioso pelazzo. E dunque, stavolta ero determinato a migliorare un po’ la situazione; e questa mattina era dedicata alla doppia richiesta di documenti.

Richiedere la carta d’identità è facile; basta presentarsi all’anagrafe con le foto. Richiedere il passaporto è un altro paio di maniche; servono, oltre alle foto, un versamento di 45 euro in posta e una marca da bollo da 40 euro, più una fotocopia della carta d’identità – che io, non avendola, ho sostituito con la patente. (Le istruzioni sul sito della Polizia dicono di “allegare un documento di riconoscimento valido” alla domanda, ma ho intuito da solo che parlavano di una fotocopia…).

Trovandomi in zona centrale con la mia bici, il giro inizia da Porta Nuova: ci sarà ben una macchinetta che fa le foto, no? Sì, ce ne sono due: la prima è fuori servizio mentre la seconda è accesa, ma non accetta le monete. Riflettendo sul clima di sbaraccamento che regna in Italia, mi tocca girare il centro di Torino. E girare il centro di Torino in questi giorni non è un bel vedere: più ti avvicini a piazza Castello e più incontri torme di gente brada che, agitando oggettistica kitsch di vario genere, si appresta a omaggiare un lenzuolo. Io rispetto comunque la fede religiosa, rispetto di meno i bus in divieto di sosta o al pascolo nella ZTL e i pedoni che camminano in mezzo alla strada; comunque, come direbbero a Genova, son palanche e di questi tempi non è poca cosa.

Tuttavia, non incontro macchinette da alcuna parte; vado fino a Palazzo Nuovo, ma niente. Torno su da corso San Maurizio, trovo un ufficio postale, faccio la mia solita mezz’ora di coda – credo sia prevista dalle condizioni di servizio di Poste Italiane – per pagare il bollettino, che ovviamente compilo io perché “quelli prestampati non li abbiamo”. Da un tabacchino all’angolo dei Giardini Reali, mentre un bus di pellegrini svolta a sinistra col rosso pieno dove è vietato, compro la marca da bollo; ma di macchine fotografiche ancora nemmeno l’ombra.

L’ufficio passaporti è nel commissariato proprio accanto alle Porte Palatine (il muro romano ci passa proprio in mezzo). Si riconosce perché sulla porta ci sono due grandi cartelli, “E’ NECESSARIO ALLEGARE ALLA DOMANDA LA FOTOCOPIA DELLA CARTA D’IDENTITA'” e “L’UFFICIO NON E’ TENUTO A FARE FOTOCOPIE”. Ok, è certamente qui! Ma ovviamente non c’è l’ombra di una cabina fotografica (a cosa potrebbe servire, di fronte all’ufficio che emette i passaporti per Torino e provincia?). Continuo il giro, concludendo con un ottimo tempo una manche di slalom tra i pellegrini davanti al Duomo, e infine sto per rassegnarmi, anche perché comincia a cadere qualche goccia di pioggia. Decido di fare un ultimo tentativo: ci sarà ben la macchinetta all’anagrafe centrale di via della Consolata, no?

Secondo voi? Ma no, a cosa potrebbe servire, di fronte all’anagrafe centrale di Torino? Però la signorina alle informazioni è gentilissima e mi dice che c’è una cabina dall’altro lato, in corso Valdocco angolo via Giulio. Sono duecento metri, ma adesso piove davvero. Arrivo, la cabina c’è, funziona; ma vorrai mica restare per dieci anni con i documenti con la foto di te mezzo bagnato?

Sì, vorrai. Mica ci si arrende per così poco! Fatte le foto, torno all’anagrafe, e devo dire che sono stati efficientissimi: la signorina in cinque minuti mi dota di una carta d’identità nuova fiammante. Solo è rimasta perplessa di fronte all’indicazione “capelli: neri”, squadrandomi per dieci secondi per controllare: cosa avrà voluto dire?

Tutto contento intasco la mia carta d’identità nuova fiammante; peccato che fuori ormai diluvi. Ma cosa importa, le foto ormai sono fatte; bagnato per bagnato, finiamola qui. Torno dunque fino alle Porte Palatine, dove ci sono otto persone in coda per avere il modulo, e a fianco due sportelli vuoti dove le impiegate attendono che arrivi qualcuno. Questo sì che è un vero ufficio pubblico, mica quel bel corridoio pulito e pieno di computer dell’anagrafe, dove allo sportello ci sono persino i pulsanti per esprimere la soddisfazione sul servizio (grazie Brunetta, comunque la prima volta che li ho visti ero all’aeroporto di Pechino).

La poliziotta però è gentile, alla fine mi accetta persino due foto di dimensione diversa tra loro (le macchinette ti fanno un foglio con una ventina di foto, di cui solo 4 a dimensione utile per i documenti). La patente però non le piace, io le spiego che ho una carta d’identità valida solo da un quarto d’ora, e mi fa addirittura la fotocopia (ma non sarà peculato?). Prende il tutto, mi restituisce il vecchio passaporto dopo aver tagliato la copertina, e poi mi dice che posso passare per vedere se è pronto quello nuovo… tra 40 giorni.

Vorrei dirle che in Mozambico ci avrebbero messo meno, e magari sarebbero riusciti pure a inserire nel sistema un mio indirizzo di e-mail a cui avvertirmi della conclusione della pratica, ma sarei stato ingeneroso. Speriamo solo che siano puntuali, perché poi potrei dover ancora fare un visto.

Nel frattempo, vado a festeggiare; manco a dirlo, il mio pizza al taglio preferito è pieno di pellegrini che mostrano lo sprint di una Seicento in salita; parlano una roba che sembra russo, ma a un ascolto più attento è probabilmente una sottomarca del veneto. In tre, una famiglia, ci mettono cinque minuti a ordinare tre pezzi di pizza, mentre, intrappolato dietro in coda, il pubblico degli uffici sabaudi li vorrebbe accoppare. Quando la signora chiama per l’ennesima volta la figlia (si chiama Katia, visto il volume ora lo sanno fino in piazza Solferino) per chiederle se vuole proprio la pizza con le verdure o se non preferirebbe piuttosto la margherita, che prima era una al prosciutto ma aveva già cambiato idea quattro volte, Katia si ferma e guarda il vuoto. Non sappiamo se stia avendo una visione, ma dopo un tempo infinitamente lungo Katia conferma le verdure. E’ in quel momento che alla signora cade di mano il portafoglio, e tutte le monetine rotolano per terra. San Cottolengo, aiutali tu.

Ma io ho poco da parlare; son qui che rimiro tra le mie mani le mie nuove, bellissime foto del documento. Ho scelto lo scatto migliore; degli altri due, nel primo sembrava che avessi sniffato qualcosa di pesante, mentre nel secondo evidentemente stavo ancora pensando a Katia. E così, ecco la mia foto del 2010: a metà tra un Tanaus più pettinato e un serial killer romagnolo interpretato da Andrea Roncato. Spero che invecchi in fretta.

fototessera-ci-2010.png

[tags]torino, documenti, polizia, passaporto, pellegrini, sindone, foto, elio e le storie tese[/tags]

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giovedì 22 Aprile 2010, 14:57

Casa pidiello

La trasmissione in diretta streaming, sul sito del Corriere, della direzione nazionale del PDL, quella in cui Berlusconi e Fini si dovevano chiarire, resterà un evento degno di nota per vari motivi (nonostante le scaramucce politiche dentro il governo abbiano anche lo scopo, più o meno pianificato, di distrarre gli italiani dal disastro della loro economia). Intanto, non mi era mai capitato di vedere trasmessa in diretta una riunione di partito di questo livello; per carità, può darsi che le trasmetta anche il PD, ma una riunione di direzione del PD dev’essere emozionante come la Corazzata Potemkin, dunque se le trasmettono siamo lieti di non doverle guardare.

Ma veniamo a oggi: prima Gianfranco ha esposto tutte le sue accuse a Silvio, dicendo quel che pensano quasi tutti gli italiani, a partire dalla distruzione sistematica della giustizia per parargli il sedere dai suoi processi; dopodiché Silvio ha preso la parola a sorpresa e attaccato Gianfranco, e per qualche secondo si è verificata in diretta una scena leggendaria, con Berlusconi sul palco che accusa e Fini che si alza, solo in mezzo alla platea, e da sotto il palco gli punta il dito contro, tutti e due palesemente fuori di sé e incazzati a livello personale.

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Ecco, lì si è capito che la lite va oltre; non è politica, non è mediatica, è semplicemente lo scazzo continuo tra due ex consorti che non si sopportano più. Silvio rimprovera Gianfranco in tono paternalistico, “Gianfranco, te l’ho spiegato cento volte che io non parlo col direttore del Giornale”, “facciamo le riunioni, ma tu alle riunioni non partecipi, non sei venuto nemmeno in piazza San Giovanni”, e Gianfranco in modo passivo-aggressivo che platealmente, davanti alle telecamere, fa gesti tipo “che cavolo dici”, “buona questa”, e persino “mavalaaaa”. Ci mancava poco che cominciassero a rinfacciarsi a vicenda di quando Gianfranco non stirava bene le camicie di Silvio e quando Silvio usciva la sera lasciando Gianfranco solo in casa davanti alla TV; e, se ci fossero stati lì i piatti del pranzo, indubbiamente qualcuno di essi sarebbe anche volato. Una lite matrimoniale in diretta!

(Fantastici anche quelli che da dietro riprendevano col cellulare – e sono deputati! – ma soprattutto uno: due poltrone più in là rispetto a Fini che urla, Lamberto Dini che, refrattario a tutto e tutti, se la dorme della grossa con la testa appoggiata su una mano.)

Fa persino bella figura Scajola (no dico, Scajola) che li invita a non mandare i figli a litigare tra loro in TV, quelli che vogliono più bene al papà contro quelli che vogliono più bene alla mamma, che poi a qualcuno viene il dubbio che anche nel PDL si litighi come dei bambini. Ma vedete, facendo anch’io politica ho capito una cosa: che l’elemento umano è importantissimo. Che tutti fanno appelli a spersonalizzare, a discutere di idee, a non formare gruppetti di amici e a non compilare liste di nemici, a non dividersi per gelosie e a non portarsi rancore, ma poi la verità dei fatti, dal Consiglio dei Ministri al consiglio di quartiere, è che la politica – se è fatta per passione, anziché per professione o per interesse – attrae anche e soprattutto chi ha un ego sviluppato.

E allora, a me la lite senza quartiere tra Gianfranco e Silvio fa sinceramente simpatia: non solo perché mi ricorda scazzi furibondi vissuti direttamente, ma perché evidenzia come puoi passare le giornate a nuotare nel tuo deposito pieno di dobloni e a passare in rassegna tutte le veline della TV italiana, ma essere comunque infelice e furioso perché un Gianfranco qualsiasi non ti ama più.

[tags]pdl, politica, fini, berlusconi, lite, matrimonio[/tags]

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mercoledì 21 Aprile 2010, 18:58

Andava a Rogoredo

Supponete di trovarvi in mano un abbonamento giornaliero ai mezzi di Milano, con un appuntamento che è finito prima del previsto, una giornata tutto sommato scarica d’impegni, un bellissimo sole e un cielo blu da anticipo d’estate che impone di non chiudersi al buio. Che fare?

Se di Torino conosco ormai quasi ogni anfratto, di Milano ci sono ancora ampie zone totalmente ignote; e a questo si somma il fatto che Milano è urbanisticamente più interessante di Torino, essendo cresciuta, per usare un francesismo, alla cazzo di cane. Io e una bici, qui, faremmo il dottor Livingstone per anni; ma non divaghiamo. Dunque, ho imbracciato la mia libertà da tre euro e sono uscito dalla metro a Rogoredo.

Prima ho fatto un giro per la stazione, che già di suo è urbanisticamente interessante; la classica stazione strategicamente concepita all’incrocio tra la ferrovia e una grande via di comunicazione (la via Emilia) e finita in un budello quando (e qui avvenne addirittura negli anni ’20) il fu passaggio a livello venne trasformato per ovvie esigenze in un cavalcavia con lunghe rampe. Se a Torino il fenomeno provocò la trasformazione dell’attuale via Giachino in un angolo depresso, a Milano l’operazione tagliò fuori dal mondo sia la stazione che il quartiere; e davanti alla stazione giace un’antica casa cantoniera ormai fuori posto.

Ma il vero obiettivo era l’altro lato: la fu campagna. Già solo capire come uscire dalla stazione verso Rogoredo non è facile; soltanto uno dei due sottopassi lo permette. Lo scenario da quel lato, però, è fantastico; un mix di vecchio troppo abbandonato e nuovo che era meglio abbandonare.

Da un lato c’è una cascina bellissima, di quelle che cent’anni fa davano lavoro e senso a questi borghi periferici, ora completamente abbandonata, fatiscente e murata, tranne che per qualche pertugio da cui emergono tendine rosa e qualche zingaro; e la via dietro – una di quelle vie prive di significato che residuano dal massacro costruttorio del Novecento – si chiama suggestivamente via Orwell. Dall’altro lato c’è un mostro, un enorme e modernissimo cubo grigio pieno di parabole sul tetto, atterrato sulla campagna (già acciaieria, a dire il vero) con la grazia di un elefante americano; è la nuova sede di Sky, e la via dietro si chiama appropriatamente via Monte Penice, dal nome dell’altura su cui stazionano le antenne televisive che sin dai primordi gloriosamente servono mezzo Nord Italia.

Tra le due c’è la via di Rogoredo, e se appena le case nascondono il mostro grigio non sembra nemmeno male, una fila di palazzine e negozi da un lato (anche una bella villona liberty) e un parchetto dall’altro, con tanto di monumento ai caduti stranamente sacrificato in un angolo (ma perché proprio lì?).

Io però ero lì per vedere il resto: il famoso quartiere Santa Giulia, il vanto del Duemila milanese. Un progetto immobiliare senza precedenti, gigantesco, costituito da decine e decine di palazzi eleganti di dieci piani l’uno, a due passi dalla stazione e dalle autostrade.

Intanto, è tutto un cantiere; e io già un paio di volte nella mia vita mi sono trasferito in mezzo a quartieri-cantiere, e ci sono abituato, ma lo stesso non fa un bell’effetto. Camminando per via Monte Penice si scorge solo un unico resto dell’acciaieria che prima occupava l’area, un magnifico edificio rotondo abbandonato tra le erbacce.

E’ quando si arriva in fondo che si vede cos’è questo quartiere: ci si trova di fronte a un’infilata a perdita d’occhio di case color panna e grigio, di quell’architettura a sbalzo – pieni e vuoti, sporgenze e rientranze – che va tanto di moda in questi anni. Uno le vede e pensa che nessuno possa aver costruito un’orrendità del genere; sembrano case progettate da Mangoni per scherzo, per prendere per il culo l’architettura moderna, e invece no, le ha progettate Norman Foster (più probabilmente, Foster dall’alto dei suoi 75 anni ha tirato tre righe e messo la firma, e poi hanno passato il tutto a un geometra di Lissone).

Arrivo all’angolo della via e scopro che si chiama via del Futurismo: ecco, anche questo è un nome perfettamente azzeccato. E’ proprio il futuro come se lo aspettavano negli anni ’30, come lo dipingeva Fritz Lang in Metropolis; un’idea di modernità vecchia di 80 anni. Perché nel resto del mondo parlano di case ecologiche, di integrazione con l’ambiente, e noi no: la modernità sono dei cubi di cemento bianchi e grigi di 10 piani.

Giro per il quartiere non capacitandomi di come qualcuno abbia potuto concepire una roba del genere; immensa, orrenda e desolatamente vuota. E’ talmente brutta che dopo un po’ stordisce, i sensi si intontiscono e si genera una specie di sindrome di Stoccolma architettonica per cui ti costringi a fartela piacere… Arrivo in via Cassinari, che parrebbe voler essere una passeggiata pedonale circondata da negozi – perlomeno, ricorda i disegni delle “new cities” con la gente che passeggia sopra, mamma e bambino mano nella mano, e le auto nascoste sotto, che si facevano nelle utopie degli anni ’60. Qui ci sono gli unici lavori in corso – pubblici, di operai che sistemano l’arredo del centro della via. Cantieri aperti e semiabbandonati ce n’è parecchi, privati che lavorano apparentemente nessuno.

La via, in sé, è una desolazione: è bianca e baciata dal sole, ma non c’è un negozio aperto. Anzi, non c’è un negozio, se si eccettua un piccolo bar a un angolo; la via è una infinita serie di spazi commerciali completamente vuoti, in alcuni casi già punteggiati di cartelli “vendesi” e “affittasi”, in altri coperti da cartelli pietosi quanto poco credibili, come “prossima apertura gelateria artigianale” – sbirci dentro e non hanno manco intonacato i locali, ci sono i mattoni nudi. I campanelli non mentono, così come le serrande ancora nuove di pacca e mai tirate su, e parlano di palazzi che viaggiano dal mezzo vuoto al completamente vuoto (spesso c’è un solo campanello con sopra un cognome in un intero palazzo di dieci piani, chissà come dev’essere vivere così: alienante o divertente?). Su un palazzo parlano di spazi in vendita “a partire da 3200 euro al metro quadro”, giusto due lirette, di questi tempi: chissà come mai non c’è l’assalto.

Il luogo non è completamente deserto, anzi le vie laterali sono piene di auto parcheggiate (o non hanno ancora consegnato i box, o la gente non aveva più i soldi per comprarli). Per strada incrocio comunque due o tre persone che paiono del posto; il bastardo che è in me vorrebbe schernirle, “signora, s’è fatta fregare dalla pubblicità dei palazzinari, mi condolgo”, ma mi avrebbe probabilmente risposto con un cazzotto nei denti, e comunque non avrei avuto veramente cuore di farlo; al massimo avrei porto una spalla su cui piangere.

In tutta questa meraviglia mi colpisce una cosa: non ho visto un giardinetto, una piazza, un centro pubblico, un campo di pallone, qualcosa che possa dare un’idea di umanità convivente e non solo di palazzi pretenziosi. Per carità, in Italia in genere i servizi arrivano dieci anni dopo le abitazioni, ma Santa Giulia sembra uno di quei posti dove, per giusto contrappasso, bisognerebbe mandare a vivere gli architetti che li hanno progettati, in modo che possano espiare. Forse migliorerà col tempo, ma per ora è un quartiere fantasma di quelli ammazzati dalla crisi immobiliare, e che rischiano di restare così per lustri (non ridete, anche a Torino ce n’è, per quanto non su questa scala). Nel frattempo, mi sono allontanato piano piano, cercando di non far rumore, andando all’indietro con gli occhi bene aperti come in un film dell’orrore.

[tags]milano, rogoredo, sky, santa giulia, città, urbanistica, architettura, futuro, speculazioni immobiliari[/tags]

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martedì 20 Aprile 2010, 19:55

La sorpresa

Stasera la spesa discount mi è capitata a Milano, all’LD di via Negroli. E stavolta la spesa interessante era davanti a me: una signora sui quarant’anni, piccolina, dall’aria abbastanza milanese, che si è avvicinata e ha messo sul nastro una sola cosa: un pacco di polenta. E converrete con me che una donna che acquista solo un pacco di polenta, presumibilmente per sfamare i propri figli coi mezzi di una volta, è un buon equivalente di un uomo che acquista solo un pintone di vino.

La cassiera stava trattando il cliente davanti a lei, chiedendo “sacchètti?” con lo stesso accento con cui gli Elii vent’anni fa chiedevano “Facchètti?”. In quel momento la signora sguscia accanto a me (e ci vuole una certa abilità) e si fionda alla cassa a fianco, in disuso, dove non trova ciò che cerca. Si rifionda in coda, sgusciando di nuovo, e poi lo sguardo le si illumina: su un piccolo ripiano di ferro proprio accanto alla cassiera, vede i Kinder Sorpresa, incartonati in confezione sconto da tre.

Per qualche strano motivo, aspetta che la cassiera sia girata dall’altra parte: e poi furtivamente, come non volesse farsi vedere, ne prende uno e lo mette sul nastro. E poi un altro. E poi un altro ancora, e poi ancora, ancora. Ne mette sette, sette confezioni di cartone da tre ovetti, due euro e trentacinque centesimi l’una. Sul nastro, tutti colorati squadrati e paralleli, fanno l’effetto di un parcheggio di camion in miniatura, sull’asfalto nero di un autogrill.

La cassa giudica diciassètte euro netti, manco a farlo apposta. La signora paga, infila la scorta nella borsetta e se ne va. Era chiaramente lì per quello, era chiaramente in territorio nemico, ma lo sconto (immagino che altrove costino di più) valeva il viaggio: contando la lira, ma facendo la felicità di un bimbo collezionista di sorpresine.

[tags]spesa, crisi, società, discount, ld, polenta, kinder, ferrero, sorpresine, elio e le storie tese, facchetti[/tags]

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lunedì 19 Aprile 2010, 16:24

Forza maggiore

“Buongiorno, mi dica…”
“Mi dica un corno! E’ un’ora che sto qui in coda, non potreste mettere più persone?”
“Ci scusi, sa, da tre giorni siamo in piena emergenza, tutti i voli sono bloccati…”
“Come bloccati?”
“Ma sì, non ha visto il telegiornale, il giornale, qualcosa? Tutti i voli in Europa sono sospesi fino a nuovo ordine…”
“Ma io devo andare a Londra, ho un appuntamento domani. Guardi qui… volo A Z…”
“Purtroppo i voli sono sospesi per via della nube di cenere che ricopre l’Europa, non possiamo proprio volare in queste condizioni.”
“Ma come non potete volare! Ma se fuori c’è il sole! Dove sta questa cenere?”
“Guardi non si vede ma c’è, è fine fine fine…”
“Ma mi prendete per il culo? Io domani ho una riunione a Londra, devo essere lì! Siete sempre i soliti, maledetta Alitalia… mai che lavoriate…”
“Ma non si permetta! Non è colpa nostra, sono bloccati i voli di tutte le compagnie, è un caso di forza maggiore, l’eruzione di un vulcano in Islanda…”
“L’eruzione di un vulcano in Islanda? E sticazzi! A me chemmefrega dell’Islanda, io il biglietto ce l’ho con voi…”
“No guardi, noi possiamo solo metterla su un altro aereo per domani, ammesso che domani i voli partano e che ci sia posto, entrambe cose improbabili…”
“Sì ho capito ma il mio appuntamento è importante, signorina, sono sicuro che qualche aereo parte, c’è di sicuro qualche VIP che deve andare a Londra… tipo Beckham, se arriva lui lo fate volare sicuramente…”
“No guardi”
“Ma sì, come se non vi conoscessi, l’Italia funziona così… guardi l’appuntamento è importante, io posso darle 50 euro, 100 euro… se mi mette gentilmente in lista per partire oggi…”
“Ma la ringrazio molto, ma veramente non parte niente, non c’è niente da fare…”
“Ma io ci perdo un affare di miliardi! Mi-liar-di!! E io i danni a chi li chiedo?”
(sospirando) “Eh, li chieda all’Islanda…”
“Sarebbe da fare, ma non lo sa che l’Islanda è fallita l’anno scorso? Fallita! Non hanno più nemmeno gli occhi per piangere!”
“Appunto, ci stanno ripagando in cenere…”
“E noi mandiamogli i carri armati! Che li paghiamo a fare se no?”
(ridendo) “Ma su, che scherza?”
“Non scherzo mica!! Qui l’economia è un disastro, proprio ieri dicevano che la crisi durerà ancora sei-sette anni, capisce! Sette anni! E io che sono uno dei pochi che si sbatte per questo Paese, adesso sono qui bloccato! A Londra c’avevo l’appuntamento con un cinese per un affare che poteva risollevare la mia azienda…”
“Davvero?”
“Sì, un import di souvenir! Milioni di modellini del Duomo fatti in Cina, li importi in Italia, ci scrivi sopra MADE IN MILANO… li vendi ai russi… anche a qualche italiano… sono multiuso…”
“Ma signore, ma guardi che tanto, anche il cinese, a Londra mica ci arriva… è tutto bloccato…”
“Lo dice lei! Guardi che i cinesi corrono, corrono! Mica come gli italiani… a proposito, ma almeno mi pagate l’albergo?”
“No ci dispiace, è una causa di forza maggiore, lei non ha diritto a compensazioni. Non è colpa nostra se non si viaggia, è semplicemente che non si può!”
“Non si può, non si può… come è possibile che non si possa? Il solito scandalo all’italiana! Se non mi fate arrivare a Londra entro stasera vi denuncio! Guardi che chiamo l’avvocato…”
“E lo chiami l’avvocato, così vede cosa le dice…”
“Eh, adesso che ci penso, era andato a puttane nel Baltico… dice che è ancora là?”

[tags]aerei, trasporti, economia, alitalia, islanda, eruzione, forza maggiore[/tags]

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sabato 17 Aprile 2010, 18:19

Streaming

Domani la terza riunione del Movimento 5 Stelle Piemonte – dalle 10 fino al pomeriggio – sarà trasmessa in streaming, con la possibilità di commentarla in diretta (e, tramite i commenti, sollevare questioni a chi è là).

Vorrei complimentarmi con il mio stesso gruppo, perché questa è la miglior risposta alle osservazioni che io ho fatto sul mio blog giorni fa. Pur conservando la mia diversa opinione sulle scelte effettuate dal Movimento in materia di organizzazione interna e di procedure di selezione dello staff, è evidente la buona fede del gruppo, che ha messo in piedi uno sforzo organizzativo importante per tenere subito fede alle promesse di trasparenza effettuate in campagna elettorale.

Spero adesso in una buona partecipazione di pubblico, per provare che davvero c’è un interesse non soltanto di principio, ma fattivo, all’esercizio della democrazia partecipativa.

[tags]movimento 5 stelle, trasparenza, democrazia partecipativa[/tags]

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venerdì 16 Aprile 2010, 14:04

Il pintone

Stamattina ero in coda, alla cassa del mio Lidl di fiducia, e stavo sistemando sul nastro le mie “crepes pomodoro e mozzarella” (sofficini) marca Taverna Giuseppe (non loderò mai abbastanza la legge sulla proprietà intellettuale che almeno per ora fa scadere i brevetti dopo vent’anni: non sono un esperto, ma sospetto che sia questo il motivo per cui da qualche anno tutta una serie di prodotti innovativi degli anni ’80, dai sofficini alle gocciole, sono disponibili precisi identici anche in versione sottomarca).

E’ stato in quel momento che ho notato dietro di me un signore un po’ anziano e un po’ malmesso mettere sul nastro una cosa sola: un enorme pintone di vino da due lire, di quello che costa come l’acqua e ti chiedi che cosa diavolo ci mettano dentro.

Mi ha fatto tristezza e il primo pensiero è stato quello di inglobarlo nella spesa e dirgli “offro io”. Poi però ci ho ripensato: forse il risultato sarebbe stato soltanto quello di aumentare la quantità di vino disponibile al signore. Poi ci ho ripensato ancora, che spesso quella considerazione lì si fa per nascondersi il punto vero, quello di non voler essere generosi, magari soltanto per innata diffidenza verso gli altri. E poi… a quel punto stavo già pagando e sono stato preso dall’applicazione degli elementi di logistica della spesa (allego foto della sistemazione finale).

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Ma poi, magari era semplicemente una persona come tutti, che a mezzogiorno aveva ospiti e si era accorto di aver finito il vino. Chi siamo noi per giudicare dalle apparenze?

[tags]lidl, supermercato, spesa, vino[/tags]

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giovedì 15 Aprile 2010, 19:51

Buchi neri

Oggi ho scritto e riscritto un post per almeno cinque volte, senza venire a capo di niente. E così, incrociando in giro su Facebook un superclassico come questo dei Soundgarden, ho deciso che esprimeva bene il concetto.

Anche se, per i meno esperti, segnalo che il definitivo video della fine del mondo risale al successivo album; è molto adatto come musica di sottofondo per un eventuale dittatore che debba trovarsi a premere in successione una serie di pulsanti che facciano esplodere una bomba termonucleare l’uno.

Mi sarebbe piaciuto vedere il singolo del disco successivo, ma sfortunatamente, dopo Blow Up The Outside World, il gruppo si è sciolto. Chissà come mai!

[tags]musica, soundgarden, video, buchi neri, fine del mondo, bomba atomica, apocalisse[/tags]

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