Sky
Vittorio vb Bertola
Affacciato sul Web dal 1995

Lun 20 - 12:26
Ciao, essere umano non identificato!
Italiano English Piemonteis
home
home
home
chi sono
chi sono
guida al sito
guida al sito
novità nel sito
novità nel sito
licenza
licenza
contattami
contattami
blog
near a tree [it]
near a tree [it]
vecchi blog
vecchi blog
personale
documenti
documenti
foto
foto
video
video
musica
musica
attività
net governance
net governance
cons. comunale
cons. comunale
software
software
aiuto
howto
howto
guida a internet
guida a internet
usenet e faq
usenet e faq
il resto
il piemontese
il piemontese
conan
conan
mononoke hime
mononoke hime
software antico
software antico
lavoro
consulenze
consulenze
conferenze
conferenze
job placement
job placement
business angel
business angel
siti e software
siti e software
admin
login
login
your vb
your vb
registrazione
registrazione
venerdì 4 Dicembre 2009, 09:11

Treni pieni, però che fermano nel nulla

Oggi vi racconto un’altra piccola gemma di Trenitalia, dopo le molte già segnalate in queste settimane (potete leggere questo post e il mio articolo nel periodico di Torino a 5 Stelle).

Avevamo già detto della scomodità del fatto che la maggior parte dei ben sette treni alta velocità da Torino a Milano fermassero a Milano Porta Garibaldi anziché a Milano Centrale, rendendo così impossibile qualsiasi coincidenza verso altre direzioni, nonché l’accesso diretto al centro cittadino con una sola linea di metro.

Tuttavia, a causa dei lavori per completare il “manico d’ombrello” – il nuovo raccordo che permette ai treni in uscita da Milano Centrale di reinfilarsi nell’orrido tunnel da 30 km/h che arriva da nord a Porta Garibaldi, e che sarà utilizzato dai nuovi Malpensa Express in partenza finalmente da Centrale e non più da Milano Cadorna – per le due settimane dal 28/12 all’11/1, e poi definitivamente fino all’estate per il solo treno delle 8:40, i treni alta velocità Torino-Milano fermeranno non più a Porta Garibaldi ma nella ridente stazione di… Milano Certosa.

Avete letto bene: non la fermata precedente, Rho Fiera Milano, recentemente costruita a suon di miliardi con due binari su sei dedicati soltanto all’alta velocità, dove si sarebbe almeno potuto prendere la metropolitana diretta in centro o un treno regionale per Centrale, ma Milano Certosa, una stazione di periferia nel mezzo del niente dove non passano neanche i bus.

E di fronte a siffatti colpi di genio, cosa possiamo concludere noi? Che qualcuno deve davvero avercela con il Piemonte… oppure essere molto molto stupido.

P.S. Comunque questo è lo stato in cui viaggia il treno AV Torino-Milano dell’ora di punta mattutina già oggi, prima del cambio di orario:

Invece di sette al giorno potrebbero metterne il doppio e ci guadagnerebbero il doppio, e nelle fasce pendolari probabilmente potrebbero riempirne due o tre di fila; se poi mettessero dei prezzi umani riuscirebbero anche a decongestionare i regionali, che viaggiano nelle stesse condizioni, e a riempirli sempre. Così la ferrovia sarebbe utile, Trenitalia farebbe soldi e tutti saremmo contenti… eccetto forse i dirigenti incapaci, che vanno mandati via per manifesta impossibilità di pensare un servizio ragionevole, e i veri beneficiati della gestione delle ferrovie italiane: i gestori di autostrade e linee aeree e i fabbricanti di automobili. Che ne dite, tutti questi disguidi saranno casuali?

[tags]trenitalia, alta velocità, tav, torino, milano, treni, ferrovie, orari, pendolari[/tags]

divider
giovedì 3 Dicembre 2009, 17:53

Il prosciutto dell’ideologia

Raramente mi è capitato di trovare un caso da manuale di prosciutto ideologico sugli occhi come quello riportato oggi da La Stampa: la vicenda di un bambino di nove anni che a scuola (elementare) viene regolarmente picchiato da un compagno di classe, rom del vicino campo nomadi, fino a dover andare in ospedale a farsi medicare. Il preside, tuttavia, minimizza e dice che in fondo non è poi così grave, che è meglio lasciar stare, che sono bambinate, che “gli ha fatto solo 24 ore di prognosi”, e che tutto questo potrebbe portare cattiva pubblicità alla scuola e far calare le iscrizioni.

Il preside è un militante del PD, vicepresidente di circoscrizione, 58 anni – dunque, si presume, un sessantottino. E infatti l’articolo butta lì ripetutamente che tutti considerano il preside “troppo buono”, che in quella scuola non si punisce mai nessuno, che le maestre sono in lacrime, forse in preda agli allievi meno gestibili, giunti al punto da organizzare su Facebook l’assassinio del preside – anche questo un gesto minimizzato e non punito in alcun modo. Uno di quegli insegnanti che hanno poco da insegnare, figli di una ideologia che li porta a giustificare le violazioni delle regole e a concepire una educazione fatta soltanto di premi e di libertà.

E un preside che ha molto a cuore l’integrazione dei rom della zona, tanto da difenderli sempre e comunque: questa è l’accusa esplicita dei genitori del bambino picchiato, secondo cui a parti invertite il bimbo italiano sarebbe già stato punito duramente. Leggendo questa affermazione, immagino che il preside abbia pensato: “leghisti!” – ma non so se queste persone lo siano davvero, o siano magari un po’ accecate dall’emozione. Perché magari questi genitori pronti all’accusa hanno sorvolato sul fatto che, come dice il preside, il loro figlioletto continuava a prendere in giro lo zingaro e a insultarlo in modo razzista; del resto, si sa, la famiglia italiana media concepisce una educazione fatta solo di premi e libertà per chi fa parte della famiglia stessa, e di punizioni e vendette per chi dall’esterno osi mettersi in mezzo, sia una famiglia concorrente o un insegnante che pretende il rispetto delle regole da parte del bambino; peggio ancora se la famiglia è di rom.

E la famiglia rom, in tutto questo? Naturalmente minaccia di portare via i figli dalla scuola e denuncia il razzismo che ha subito. Per molti rom, come per molti stranieri furbi e disonesti, qualsiasi cosa dica loro un italiano è razzismo, o può essere strumentalizzato come tale. Vuoi evitare che mandino i bambini ad elemosinare? Sei razzista. Dici una banale verità, cioè che basta girare un campo nomadi per notare molte auto di lusso che nessun italiano normale può permettersi se non rubando? Sei razzista. Anzi, non te lo dicono nemmeno più loro, te lo fanno dire dai presidi buonisti del PD; e non so se questa sia ideologia, una ideologia di una cultura nomade in cui gli stanziali sono per definizione alieni e ostili, o se sia più banalmente furbizia.

Dunque, chi ha ragione? Non è possibile saperlo; non esiste una versione accertata dei fatti, e anche esistesse difficilmente sarebbe riportata su un giornale senza venire stravolta. Anche per quanto riguarda questo blog, le persone in questione potrebbero essere, anzi probabilmente sono, molto diverse da come le abbiamo raccontate, affidandoci a stereotipi e non alla conoscenza diretta. Probabilmente anche questa è una ideologia: l’ideologia per cui una persona, stando seduta in poltrona a digitare su un blog, possa trarre conclusioni sul mondo reale.

[tags]ideologia, torino, nomadi, rom, razzismo, scuola elementare, mirafiori, bullismo, pd, informazione, comunicazione, verità[/tags]

divider
mercoledì 2 Dicembre 2009, 12:34

Furbetti d’Italia

Questo video invece è dedicato al nostro Presidente della Repubblica: un presidente furbetto per un paese di furbetti. Ciò che ha fatto con i suoi rimborsi spese quando era parlamentare europeo non è strettamente illegale (dato che si erano approvati da soli la norma che consentiva di farlo) e per gli standard italiani è anzi considerato… peggio che normale, scontato; per gli standard del resto del mondo è un furto bello e buono ai danni della collettività, e il fatto che sia legale non lo rende meno immorale.

A me sembra sempre un po’ ipocrita puntare il dito sugli altri, tra l’altro in maniere mediaticamente manipolabili, quando non conosco praticamente alcun italiano, me compreso, che non sia mai almeno una volta uscito da un negozio senza scontrino o non abbia mai pagato l’idraulico in nero; anche perché a forza di puntare il dito su tutto indistintamente si finisce per perdere il senso della misura, e per condannare allo stesso modo chi ruba una mela per fame e chi ruba i miliardi sugli appalti, o persino per non condannare chi ruba i miliardi sugli appalti perché tanto “tutti rubano” (le mele).

In questo caso però, ci si chiede che bisogno di mele debba avere Napolitano, e perché, nelle alte posizioni istituzionali che ha sempre occupato, non abbia ritenuto di dover dare l’esempio anche su queste relativamente piccole cose, perdipiù non avendo nemmeno il coraggio di sostenere la responsabilità delle proprie scelte davanti a un giornalista.

[tags]napolitano, presidente, repubblica, rimborsi spese, parlamento europeo, onestà, legalità[/tags]

divider
martedì 1 Dicembre 2009, 23:49

Discorso tipico dello schiavo

È tutto il giorno che non mi viene in mente nulla da bloggare… poi ho trovato questo bel discorso di Silvano Agosti: forse sono ovvietà, o forse non ci avevate mai pensato.

P.S. Sempre in tema di verità poco ortodosse, vi ricordo domani (mercoledì) sera la conferenza di Eugenio Benetazzo.

[tags]silvano agosti, libertà, schiavitù, società, lavoro[/tags]

divider
lunedì 30 Novembre 2009, 23:13

Sliding doors

Ieri mattina, in una delle tante riunioni politiche, ho fatto una cosa che non avevo mai fatto. La politica per natura accalora, e varie volte mi sono arrabbiato, alle volte pure troppo. Nell’arrabbiatura, ho detto e scritto cose esagerate, talvolta ingiuste, per cui ho poi chiesto scusa quando ce n’è stata occasione. Una sola volta, giunti verso l’una di notte, me ne sono andato senza che la riunione fosse finita, un po’ per disperazione, un po’ per sopraggiunto limite psicofisico. Ma non mi era mai successo di prendere e andarmene sbattendo la porta dopo una sola ora di discussione.

Non posso ovviamente raccontare i dettagli di quel che è successo, ma in una domenica che per l’ennesima volta – otto domeniche in tre mesi, se non ho contato male – doveva essere totalmente dedicata a una riunione politica (capite che di fronte a questo anche un’ora e mezza spesa a chiacchierare “contestando” nel gelo davanti allo stadio abbia un discreto appeal), me ne sono invece andato a consegnare i volantini al banchetto del No Berlusconi Day, poi sono tornato a casa, ho mangiato, ho letto, ho dormito, mi sono preparato per andare a Milano. Proprio mentre dovevo assolutamente uscire per non perdere il treno delle 17, su cui mi aspettava Elena, è squillato il telefono.

Dall’altra parte, una persona mi ha detto: “Noi il documento l’abbiamo finito. Tu allora cosa fai, lo firmi o molli tutto?”.

Ho avuto una frazione di secondo per decidere. Che fare? Da una parte il motivo per cui me ne ero andato era serio: comportamenti che io reputo inaccettabili, il rischio che anche questo movimento perda la sua via, che si trasformi nell’ennesimo partitino sinistrorso centrato attorno al capetto di turno, che rinneghi tutte le sue promesse di una democrazia diversa; e la paura di prestare la mia faccia, la mia eventuale credibilità, per un progetto che si riveli poi l’ennesima fregatura. Dall’altra, la constatazione che il nemico comunque è quelli là, è la casta, è il Berlusconi di destra o di sinistra di turno, e che continuando a dividerci non arriveremo mai da nessuna parte.

Non era una scelta facile, ma in un attimo ho ingoiato il mio orgoglio, ho accettato di firmare un documento che non mi hanno nemmeno fatto leggere, scritto da una persona di cui non mi posso fidare, pur di non dar vita all’ennesima spaccatura, all’ennesima divisione.

Ho passato dieci minuti al telefono dettando i miei dati, e poi sono uscito, tardissimo. Ho corso a perdifiato fino alla metropolitana, ho aspettato il giusto, ho preso il treno, sono uscito a XVIII Dicembre sempre correndo. Avevo già il biglietto, dunque ho attraversato la vecchia stazione al volo, ho timbrato di striscio senza nemmeno fermarmi, e nonostante fossi ormai stanco, svuotato e a rischio crollo ho continuato a correre sotto la pioggia e mi sono infilato nel sotterraneo. Ho cominciato a scendere i gradini del binario 4 di corsa e giunto a metà scala ho sentito il fischio del capotreno che dava il via alla partenza del treno per Milano. Ho sentito le porte chiudersi mentre facevo i gradini a due a due, e mi sono affacciato sul binario giusto in tempo per vedermelo lì, davanti al mio naso, il capotreno nella sua divisa verde, mentre metteva il piede sul predellino per rientrare attraverso l’unica porta rimasta aperta del treno ormai in partenza.

Ho fatto un salto e ho mezzo travolto pure lui, infilandomi tra le porte scorrevoli un attimo prima che si chiudessero, su quel regionale strapieno di poveri pendolari pigiati in ogni angolo. Di treni al volo ne ho presi a decine, ma nessuno mai al volo come questo, proprio all’ultimo secondo utile.

Peccato che nessuno di noi abbia davvero di idea di dove, e per quanto ancora, ci porterà questo treno.

[tags]politica, beppe grillo, 5 stelle, treni, scelte, futuro[/tags]

divider
domenica 29 Novembre 2009, 18:44

Yatta!

Per fortuna che c’è Internet: e così, molto prima che ne venga fatto un adattamento italiano, è possibile vedere il film dal vivo di Yattaman, uscito nei cinema giapponesi nella primavera di quest’anno e in DVD da poche settimane. Grazie, file sharing! Grazie, fansubbing! Questa è la canzone del Trio Drombo (qui una delle esecuzioni originali) in tutto il suo splendore: soltanto dei giapponesi potevano riprodurre dal vivo gli ambienti, i costumi e le movenze di un cartone animato con tale maniacale precisione.

P.S. Uno si chiede quanto poco ne dovessero capire di giapponese i traduttori italiani della prima ondata di fine anni ’70 (generalmente adattati a partire da una precedente versione inglese) per italianizzare Doronjo in Dronio anziché “drongio” come effettivamente si legge. Del resto, con Lupin ci siamo tenuti per anni Fujiko pronunciato come se fosse un nome francese…

[tags]anime, cartoni animati, giappone, yattaman, cinema[/tags]

divider
sabato 28 Novembre 2009, 23:53

Storia di una B sfatta

Quella di oggi pomeriggio non era una partita seria e lo dovevamo capire subito da tanti piccoli indizi: per esempio il fatto che il più che condivisibile striscione esposto in apertura dalla Maratona, “Società inesistente gestione improvvisata la nostra pazienza è terminata”, fosse scritto a spray su due righe più un pezzo aggiunto a destra perché l’ultima parola non ci stava. Oppure dal fatto che, all’annuncio delle formazioni, misteriosamente era sparito Sereni; in porta andava la riserva Alex Calderoni e in panchina non il solito terzo Gomis, ma tal Danilo Tunno di cui lo speaker non aveva nemmeno la foto da mostrare sul tabellone. E anche il Crotone non è una squadra seria, il principale striscione che campeggia nel settore ospiti dice “Nasty Boys Falchera”.

Infatti dopo venti minuti era già 0-2, due papere due gol: prima Zoboli che si butta pur di tenere in campo il pallone e smarcare così l’attaccante avversario in area, e poi un gollonzo storico, un rinvio di Calderoni che poteva essere tirato ovunque tranne che lì, sulla faccia del crotonese che gli correva intorno, con la palla che rimbalza e torna indietro rotolando beffardamente dentro la porta. E’ già chiaro come andrà a finire, tanto che ci affrettiamo a togliere gli striscioni dalla Primavera, anche se qualcuno ha legato la parte centrale con un nastro di recupero mal messo che non si vuol togliere e dunque io sono responsabile di uno degli ammainastriscione più lenti della storia, roba che se i tifosi avversari non fossero stati impegnati a festeggiare ci avrebbero gridato “oh issa! oh issa!”; si è risolto solo quando ho chiesto aiuto e fatto intervenire i muscoli bruti di Giovannino Capo Ultrà. E per tutto questo non ho nemmeno visto il gol di Bianchi – credo che sia la prima volta che mi perdo un gol del Toro allo stadio.

Il resto della partita può riassumersi nel risultato del mio tentativo di fare una foto al campo a inizio secondo tempo, disturbato dagli umori dei miei compagni di tifo:

tokr.jpg

Per fortuna che, scesi per protesta fino alla fossa del primo anello, non abbiamo visto più niente (la nota visibilità zero delle parti basse dell’Olimpico); comunque non ci sarebbe stato niente da vedere. Ci si salva con la voglia di ridere istericamente tipica dei disperati, mentre la Maratona a un certo punto intona a piena voce un “Forza ragazze” e un “Fuori le tette, tirate fuori le tette” che sono satira calcistica di altissimo livello. E così, alla fine cosa volete che si faccia? Usciamo, e decidiamo di andare a constestare.

Ma nemmeno questa contestazione è una cosa seria. Saremo un centinaio al massimo, molti vecchietti, un po’ di volti cruciali della Primavera, della Maratona boh. Ci sono una cinquantina tra poliziotti e carabinieri fermi in attesa davanti al cancello del garage, il posto dove di solito escono i giocatori. A un certo punto, dopo mezz’oretta, c’è un po’ di animazione: fanno disporre i tutori dell’ordine in fila, allargati a ventaglio, per separare la “folla” dal pezzo di strada dove devono uscire i veicoli.

Vediamo chi esce: è il pullman del Crotone. La contestazione erompe in un meritato applauso. Dal pullman salutano ed esultano neanche avessero vinto la Champions League, fanno cinquanta metri, poi, appena finita la fila di poliziotti, inchiodano e aprono la porta. Attimo di perplessità: scenderà qualcuno? Si sono incazzati? Sta per scattare una rissa? No, si riapre il cancello dello stadio e di corsa escono due ragazzi con la tuta sociale del Crotone. Tra gli applausi dei tifosi del Toro, corrono a gambe levate per salire sul pullman che li aspetta: si erano dimenticati due giocatori negli spogliatoi. Ma vi pare una cosa seria perdere contro questi qua? “Ah già, ma oggi c’era anche Pino, sai il cugino tuo che ogni tanto viene a fare il portiere… ehi ragazzi, qualcuno ha visto Pino?”

Dopodiché, l’attesa si fa lunga, e veniamo a sapere cosa è forse successo. Gira voce che Sereni si sia picchiato ancora una volta con il team manager Ienca, negli spogliatoi, poco prima di entrare in campo: ecco perché ha giocato Calderoni, e pare che il terzo portiere sia stato richiamato al volo via telefono (magari hanno cercato quello che abitava più vicino allo stadio…). Si ricorda che stando ai racconti degli ultrà Aimo Diana, oggi uno dei più molli, durante un confronto coi tifosi al casello di Mestre (di ritorno da Trieste qualche settimana fa) disse “Siete tifosi di merda, se vogliamo vi mandiamo in C”, e ci si chiede cosa volesse dire. Si ha notizia anche di un ridicolo comunicato stampa del Toro, che dice che l’allenatore Colantuono non interverrà in conferenza stampa “perché ha mal di testa”, provando definitivamente che la Cairese FC è una società di buffoni.

Aspettiamo il pullman del Toro, siamo sempre di meno: diciamo una trentina in tutto. La manganellataria quasi di fronte a me è una signora panzuta e ciociara, che ben presto si mette a scambiare lazzi con i due tifosi di fronte a lei, maneggiando il manganello per gioco; noi scherziamo e ridiamo, ci rendiamo conto da soli che non è una cosa seria. Sono le sette meno un quarto, la partita è finita da un’ora e mezza e vorremmo andare via, quando finalmente le cose si muovono: prima parte la polizia, poi noi all’inseguimento. Un minuto di corsa selvaggia per scoprire il pullman del Toro piantato lì come un toro in mezzo a via Filadelfia, le luci accese, pronto a caricare la folla.

La strada viene bloccata dal residuo gruppetto di tifosi, i più accesi si piazzano in mezzo alla via e cominciano a gridare qualche coro offensivo. Il digo Poncharello (pardon, il dirigente della Digos da sempre responsabile dei rapporti con la tifoseria granata) urla “Ragazzi, dobbiamo far passare il pullman, state attenti, il primo che tira una pietra me lo porto in ufficio, passa la notte alle Vallette!” Lì capiamo che è un diversivo. Infatti, il toro ingrana la retromarcia e si dimostra vacca, esce piano piano dall’altra parte. Buffoni senza palle, non vengono nemmeno a prendersi le doverose manate sulle portiere e i sapidi sputi che toccano per contratto ai giocatori in una situazione del genere. Sono pagati anche per questo!

Naturalmente, adesso il copione è già scritto: tutte le colpe saranno scaricate sull’allenatore che verrà probabilmente esonerato, in modo da permettere ai giocatori di continuare a fare quel che vogliono, per poi finire in discoteca e uscire da essa con la camicia spermata alla moda della bella Rosina. Cairo continuerà a gestire la Cairese come ha sempre fatto, spendendo il minimo possibile e come sempre con incompetenza, presunzione e improvvisazione. Prima o poi i nostri pedatori imbroccheranno tre partite di fila e ciò provocherà una ripresa di torinite, che purtroppo è una malattia incurabile, salvo poi doversi rimangiare il fegato all’ennesimo ritorno all’inconcludenza. E via così all’infinito, finché non ci libereremo di Cairo.

[tags]toro, crotone, calcio, serie b, ultras, tifosi, spogliatoio[/tags]

divider
venerdì 27 Novembre 2009, 19:20

Sicurezza di altissimo livello

Oggi vorrei esprimere pubblicamente la mia condivisione per il manifesto per il wi-fi libero pubblicato sul blog di Gilioli e firmato inizialmente da un centinaio di persone. Alcuni sono amici che vedo spesso, altri sono persone che non conosco personalmente ma che stimo, altri ancora sono politici in cerca di visibilità o bloggherz-vip con l’obiettivo di tirarsela un po’ per fare i fighi, ma la causa è buona e gli perdoniamo pure questa, anzi toh, ringrazio pure la Bresso per aver firmato, anche se posso immaginare chi è stato che ha firmato per lei.

Il motivo per cui da noi ci si inventa qualsiasi cosa pur di fermare la diffusione di Internet è ovvio e già lo sapete: il nostro regime è basato sul controllo dell’informazione e Internet è l’unico media difficile, se non impossibile, da controllare. Anni fa la scusa era combattere il file sharing e con esso l’avanzata del comunismo, poi ci furono le annate in cui andava alla grande la lotta al terrorismo, quindi diventò la repressione dei pericolosi pedofili nerd internettari che violentavano i bimbi a forza di ondate di bit, e più recentemente è diventato il dramma di quella ragazza che ha messo una volta la sua foto su Facebook e da allora è piena di uomini che la baccagliano (nessuno ha capito bene il dramma, ma basta mettere una musichetta inquietante sotto il servizio e il messaggio è passato).

Come residuo degli anni in cui andava di moda la lotta al terrorismo, siamo l’unico paese occidentale in cui è necessario mostrare un documento di identità per collegarsi ad un wi-fi. A meno che, naturalmente, non abbiate presso il vostro vicino casa un router wi-fi di Alice di Telecom Italia, in cui la rete wi-fi viene preconfigurata con una password non modificabile, generata con un algoritmo che da mesi varie persone sostengono di avere craccato. Ecco, lì potrete collegarvi e fare tutto ciò che volete scaricando poi le colpe sul vostro vicino; oppure potete contare sul fatto che, secondo una voce che gira da tempo, la maggior parte delle reti wi-fi degli autogrill italiani dispone di un account di amministrazione dalla password ovvia, così come le reti wireless di istituti, università, centri di ricerca (i lettori affezionati ricorderanno l’unico mio post che abbia mai cancellato in vita mia).

Del resto, le falle di sicurezza sono generalmente di tipo umano, non tecnologico; e sono sicuro che presentandomi in un Internet café fingendo di non parlare italiano, di essere un turista e di non avere con me un documento avrei ottime chance di ottenere tranquillamente un PC, scrivendo dei dati personali a caso su un foglio di carta o non dandoli proprio.

Al di là di queste piccole pecche pratiche, resta comunque la considerazione di fondo: riempire di burocrazia ciò che dovrebbe essere facile e immediato – collegarsi a Internet ovunque e comunque – ha solo l’effetto di mantenere l’Italia in uno stato arretrato.

[tags]wi-fi, sicurezza, connettività, internet, password, pisanu, libertà[/tags]

divider
giovedì 26 Novembre 2009, 17:17

Il resto del pianeta

I bambini di oggi, almeno nelle città, spesso nascono e crescono in maniera iperprotetta. Passano il tempo tra un impegno e l’altro, scarrozzati in auto di qua e di là, tra una scuola, una palestra e un corso di qualche cos’altro. Quando non sono in giro, sono chiusi in casa davanti a un computer o a una console. E se sono in giro, sono sempre sotto controllo tramite il telefonino, tranne quando lo usano per scaricare suonerie o per giocare. Sono, insomma, sempre chiusi e isolati dall’ambiente circostante, che viene considerato come una fonte di pericolo, piena di rischi, di malintenzionati e di brutte avventure.

C’è, però, un momento in cui il bambino esce dal ciclo casa-scuola-playstation: il momento del viaggio. Un viaggio di una certa lunghezza, fuori città, costringe bambini e ragazzi ad accorgersi dell’esterno. In auto, infatti, non c’è molto da fare; e sono ben poche le famiglie in cui un viaggio diventa una occasione per una lunga conversazione. Mentre il papà guida e la mamma ascolta la radio, privi dell’elettronica e dell’abbondanza di ammennicoli che caratterizza molte camerette, sul sedile posteriore i bambini non possono fare altro che guardarsi attorno e scoprire il mondo; vedere la campagna, la montagna, gli animali, il paesaggio, il cielo.

Ma forse è meglio dire “c’era”. Non solo perché cellulare e playstation portatile già da anni colpiscono anche in auto, ma perché in questi giorni ho visto partire le campagne pubblicitarie dell’ultimo ritrovato da ammiraglia familiare: lo schermino sul retro dei sedili anteriori, che permette ai giovani virgulti di rincoglionirsi davanti a un DVD o a un giochino anche durante l’ora di viaggio verso le piste da sci o la casa al mare.

5008videopack-512.jpg

Suppongo che sia un passo avanti necessario, per crescere generazioni di persone con il terrore di qualsiasi contatto con la terra, la paura delle malattie più fantasiose e l’intima convinzione che la verdura cresca nei sotterranei del supermercato, direttamente in cassetta; certi che l’habitat naturale di un cane sia un appartamento al terzo piano. Persone per cui la parte di pianeta non urbanizzato sia soltanto un fastidioso elemento di ritardo tra Milano, Milano Marittima e Courmayeur, o altri posti che, pur trovandosi fuori dalle metropoli, dispongano di condomini di almeno cinque piani e di una strada principale rigorosamente intasata di auto; un “resto del pianeta” da attraversare sempre più velocemente e sempre più indifferentemente, avendo come massimo momento di interesse l’acquisto di una rustichella all’autogrill.

[tags]terra, campagna, bambini, televisione, educazione, natura[/tags]

divider
martedì 24 Novembre 2009, 18:20

Acqua pubblica o acqua privata

Quella per l’acqua pubblica è una battaglia che Grillo porta avanti da anni, e prima di lui già molti altri; dunque in questi giorni sono stato bersagliato da messaggi di indignazione per l’approvazione in Parlamento della legge che permette la privatizzazione del servizio idrico. Al di là dell’ovvia considerazione che l’acqua è un bene vitale e dunque è vitale anche che esso sia gestito nel pubblico interesse anziché come una merce qualsiasi, là dove la privatizzazione è stata fatta le bollette sono andate alle stelle.

Del resto, non vi sfuggirà che al momento quella dell’acqua è l’unica bolletta di cui la maggior parte di noi nemmeno si accorge, al punto che viene emessa al condominio e divisa in maniera presunta, in base agli abitanti degli alloggi, perché le cifre in ballo sono talmente piccole che non vale la pena di installare contatori individuali. Qualcuno deve essersi chiesto: tanto la gente non smetterà comunque di comprare l’acqua, dunque perché non ne facciamo salire il prezzo per intascarci la differenza?

La vicenda è interessante anche perché tocca una questione fondamentale, quella della divisione di ruoli tra pubblico e privato. Molti di coloro che difendono l’acqua pubblica intendono tale difesa nel senso più rigido possibile: secondo loro, l’intero servizio idrico deve essere gestito da una società al 100% pubblica. Io, in linea di massima, non sono d’accordo; specialmente in Italia, è evidente a tutti come molti dei servizi affidati a società pubbliche siano gestiti al minimo indispensabile, se non lasciati allo sfascio, e i casi virtuosi rappresentino una eccezione. E’ utopistico pensare che questo possa cambiare facilmente, per via della mentalità italica per cui ciò che è di tutti non è di nessuno o al massimo è in uso privato alla persona o al partito che lo amministra.

La questione dunque non è se privatizzare o nazionalizzare; la questione è che il pubblico ha un ruolo irrinunciabile rispetto alle risorse fondamentali, quello di indirizzo e controllo. Il fatto che l’azienda che offre il servizio sia pubblica o privata dovrebbe essere irrilevante, perché lo Stato dovrebbe porre regole a garanzia degli interessi della collettività e dovrebbe garantirne il rispetto. All’interno di quelle regole, è poi giusto che un privato cerchi di massimizzare l’efficienza economica e dunque creare benessere, posti di lavoro, buon uso delle risorse: e questo vale anche per l’acqua, dato che la principale fonte di sprechi sono i nostri acquedotti pieni di falle che nessuno ha interesse a tappare.

Come al solito, il vero problema dell’Italia è la svendita dello Stato; la trasformazione dei politici in servi degli interessi economici privati, e l’abolizione per mancanza di risorse del sistema giudiziario. In queste condizioni, tutto il discorso che abbiamo appena fatto va a farsi benedire: perché alle teoriche efficienze del privato si sostituiranno gli arbitrii, le speculazioni e lo sfruttamento per interesse privato di antichi investimenti collettivi, lasciati nelle mani dei soliti amici degli amici; come è già successo per Alitalia, per Telecom, per le autostrade. A questo punto, meglio il servizio pubblico, che poi in molte città, compresa Torino, non è affatto male.

[tags]pubblico, privato, privatizzazione, nazionalizzazione, acqua, servizi[/tags]

divider
 
Creative Commons License
Questo sito è (C) 1995-2025 di Vittorio Bertola - Informativa privacy e cookie
Alcuni diritti riservati secondo la licenza Creative Commons Attribuzione - Non Commerciale - Condividi allo stesso modo
Attribution Noncommercial Sharealike