Parentesi
Tra parentesi, ieri mattina ero ancora nella mia casa in montagna; ho congedato gli amici, ho dato una pulita e una sistemata, ho chiuso tutto e sono venuto via.
La discesa dal colle di Joux verso Saint Vincent è uno dei percorsi più suggestivi di tutta la Val d’Aosta, con ampi tornanti spalancati sul vuoto della valle, e panorami mozzafiato; nonostante l’abbia già fatta decine di volte, mi emoziona lo stesso. Quasi sempre, però, la si fa col sole, la musica a tutto volume e il motore allegro, respirando l’aria dal finestrino e godendo della vista.
Ieri, però, c’era brutto tempo, e la montagna era avvolta dalle nuvole e da un’acquerugiola diffusa che non sapevi dire fosse pioggia o semplice umidità scivolata via dal bosco. Era bellissimo lo stesso, perchè da ogni anfratto di roccia si levavano batuffoli di fumo bianco, e si vedevano in trasparenza diversi strati verticali di nuvole sfilacciate. Sembrava la Scozia, in quelle mattine fredde e bagnate che ti accolgono nelle Highlands; e mi accompagnava con uguale stupore, ma anche con un po’ di prudenza.
Se non che, giunto a due terzi della discesa, all’improvviso mi sono trovato tre o quattro macchine ferme in coda coi lampeggianti accesi, subito prima di una piega a destra verso l’interno della montagna. Io venivo giù davvero piano, e mi sono fermato senza problemi; poi sono sceso per capire cosa succedesse.
Fuori c’erano un paio di persone, un signore che parlava animatamente al cellulare, e una mamma con bambine sedute sul guard-rail; eppure, non si vedeva nulla di strano. Dietro di me si è fermato un furgone guidato da un marocchino, che è sceso e mi ha chiesto, “Incidente?”. Io gli ho risposto che ero appena arrivato, e nel frattempo sono arrivati e scesi altri, e insieme abbiamo fatto quei venti metri in discesa per arrivare alla curva e guardare.
Dietro la curva c’erano due macchine incidentate ma nemmeno troppo. Quella ferma ordinatamente nella sua corsia in salita, più in fondo nella scena, era una utilitaria blu elettrico, tipo una Yaris, vuota, con la parte davanti discretamente sbrecciata dal lato dell’interno strada. Più vicino a me, invece, c’era una Punto verde vecchio modello, con il davanti anch’esso mal ridotto, e un po’ di traverso, diciamo a quarantacinque gradi verso la corsia opposta, ferma bloccando la strada. Dal mio lato, al posto di guida, c’era seduto un signore calvo, con la corona di capelli bianca e grigia, riverso con la testa sul volante; ci siamo avvicinati leggermente, giusto il necessario per capire che il signore era, come dire… morto.
Nel senso che c’era un bel segno circolare sul parabrezza in corrispondenza della sua testa, e una serie di altre tracce che preferirei non descrivere nel dettaglio. E difatti ci siamo guardati un po’ tutti, finchè una signora non ha detto: “Ma il signore è…?”. “E'”, gli ha risposto un altro; nessuno se l’è sentita di pronunciare la parola.
Ho già visto dei morti, ma era la prima volta che vedevo una persona morire fuori da un letto, in un modo del genere. Ecco, la cosa è stata sorprendentemente… difficile. Non mi sono nemmeno avvicinato più di tanto, sono tornato indietro, e mi sono reso conto di essere sostanzialmente inutile, visto come ero scosso. Peraltro, c’era già parecchia gente in giro; il signore al cellulare ci ha detto che stavano venendo su i carabinieri e anche un’ambulanza, caso mai ci fosse qualcosa da tentare; la donna e le bambine nel frattempo erano salite, in lacrime, su un fuoristrada fermo in fila, dove una signora cercava di confortarle un po’.
E così, abbiamo fatto dietrofront e abbiamo risalito le nuvole, per un giro di venti chilometri di curve che rappresentava l’unica alternativa alla strada bloccata. Ho sperimentato la strada del colle Tzecore, che conoscevo solo sulla carta; e salendo, e salendo, non ero molto in pace con me stesso, e così la strada ha cominciato a restringersi e la nuvola a soffocarmi.
Alla fine, non vedevo nulla; ma proprio nulla, nel senso che era difficile distinguere tra la strada, il prato e la scarpata, con una visibilità di pochissimi metri e la pioggia incessante. Al colle, il nulla ha abbracciato tutta la macchina, mentre l’amministrazione comunale di Challand-Saint-Anselme mi ha regalato un beffardo doppio segnale di pericolo: “Strada sprovvista di protezioni a valle” e “Ostacoli laterali invisibili”; lì ho avuto veramente paura e ho seriamente pensato di tornare indietro, se non fosse che, quando sei salito fino in cima e ti sei perso nella nebbia, qualsiasi strada tu prenda ti condurrà a una discesa pericolosa. Su un tornante più giù, qualcuno aveva messo un jersey di cemento e ci aveva scritto su con una bomboletta nera, “OCCHIO!”. E a metà strada ho incrociato l’immancabile mandria di mucche che saliva in senso opposto; essendo la strada larga come una macchina e una mucca, mi sono fermato e ho aspettato che passassero tutte. Era mezzogiorno, ma avrebbe potuto essere un momento qualsiasi nel bel mezzo del pianeta Solaris.
Sono riemerso al mondo – ma sempre sotto il cielo grigio e la pioggia cattiva – e poi, imboccando l’autostrada, ho sentito il giornale radio regionale segnalare che la strada del colle di Joux era interrotta per un incidente “dalle conseguenze ancora ignote”.
A Torino, non pioveva più e non faceva nemmeno freddo.
Chiusa parentesi.