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Archivio per il giorno 3 Dicembre 2006


domenica 3 Dicembre 2006, 20:56

CenToro

Non temete, non me ne sono dimenticato: oggi il Toro compie cento anni.

Per me è una ricorrenza strana, visto che non posso esserci: sono dall’altra parte del mondo. Mi sono però portato fin qui la mia sciarpa granata, per poter festeggiare almeno un po’. La esibirò tra poco nella riunione, e poi in questi giorni, nel torneo di calcio organizzato come attività sociale per i partecipanti al meeting.

Credo di aver scritto varie volte che cos’ha di speciale il Toro. Non è soltanto il simbolo dell’attaccamento a una città e a una tradizione gloriosa, la fiera parte di una identità che, lungi dall’essere aggressiva verso le altre, permette a chi ne è parte di non perdersi, di non dimenticare mai che cosa è e da dove viene. E’ il simbolo di un valore, della lotta contro le difficoltà e le avversità della vita, dei successi (pochi e sudati) e delle sconfitte (tante e talvolta immeritate) che ognuno di noi incontra nella propria esistenza, senza per questo mai arrendersi. E’ un invito alla grinta e alla pazienza, alla forza d’animo e alla dedizione, di chi non si vergogna di non aver mai avuto le cose facili, nè se ne lamenta, ma piuttosto si rimbocca le maniche e continua a provare, migliorandosi centimetro dopo centimetro.

E’ anche un insieme di emozioni forti e di coincidenze incredibili come solo quelle reali sanno essere, come a provare che c’è certamente qualcosa di intrigante nel modo in cui le infinite possibilità dell’esistente si realizzano. Del resto, il granata come colore guerriero di Torino e la basilica di Superga nacquero insieme dal sangue prezioso del 1706; di lì in poi, la magia bianca e quella nera – che, in lotta perpetua, pervadono il sottosuolo della nostra città – hanno fatto il resto.

Insomma, se volete capire esattamente cosa sono cent’anni di Toro, nella storia collettiva di un popolo e di una città, vi consiglio di scorrere con calma questo thread di Toronews: cent’anni di tifosi, di giocatori, di storie, di vita, raccontati per immagini. Buon compleanno, Toro.

La maglia dello scudetto
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domenica 3 Dicembre 2006, 20:47

Impressioni di San Paolo

Il primo impatto con San Paolo è stato devastante. Ok, una buona responsabilità ce l’ha l’Air France, che non solo non è riuscita a recuperare nulla dell’ora abbondante di ritardo con cui siamo partiti, ma è anzi pure peggiorata, atterrando con un’ora e mezza di ritardo senza nessuna ragione apparente, cosa mai vista per un volo intercontinentale; e, ciliegina, siamo pure stati fermi per quasi venti minuti sulla pista dell’aeroporto di Guarulhos, in attesa che si liberasse un gate a cui farci attraccare. Quando sono sceso dall’aereo l’ho guardato bene da fuori per controllare che ci fosse scritto “Air France”; a giudicare dalla puntualità, mi sarei aspettato di vederci scritto Trenitalia.

Naturalmente, dopo questi venti minuti di sequestro gratuito a cento metri dall’arrivo – che direi responsabilità dei brasiliani – è seguita la coda infinita alla dogana; nonostante non facciano praticamente alcun controllo, le dogane brasiliane avevano aperto per 250 persone ben due sportelli, di cui uno permanentemente occupato da membri dell’equipaggio, famiglie con bambini e altri passeggeri prioritari ma di complicato trattamento.

Recuperati i bagagli e usciti dall’aeroporto – ed erano già le nove e mezza, cioè mezzanotte e mezza nella mia testa – l’organizzazione brasiliana ha colpito ancora: contrariamente a quel che ci era stato detto e che avviene normalmente per i convegni internazionali, non c’era alcun tipo di accoglienza, neanche un cartello scritto a penna. Identificato a fatica il banco dei taxi dove avremmo dovuto trovare il passaggio prepagato, ho scoperto che delle quattro impiegate nullafacenti tre non parlavano una parola d’inglese, mentre la quarta conosceva quel tanto necessario a dare ordini; e a dirmi che, non importa se io stavo in un altro albergo, lei aveva l’ordine di farmi portare all’hotel del convegno. E così, sono stato caricato su un taxi che per quarantacinque minuti mi ha scarrozzato fino alla sede del meeting, dove sono sceso, entrato nella hall con tutti gli onori, fatto dietrofront e preso un altro taxi (stavolta a mie spese) fino al mio albergo, cinque chilometri più in là.

Ora, ecco la prima impressione di San Paolo: in pratica, sono trenta chilometri lineari di cemento addossati a una placida fogna. Difatti, usciti dall’aeroporto e percorsa (ovviamente ad alta velocità) l’autostrada Ayrton Senna, ci si ritrova improvvisamente su di un lungofiume superstradale a tre corsie, tutte in un senso, mentre le tre corsie per il senso opposto sono dall’altra parte del fiume. Il fiume, però, è un rigagnolo putrido e piatto, dalle anse troppo regolari per essere naturali, che piano piano s’allarga.

Tutto questo va avanti per trenta chilometri buoni, in cui da un lato non si lascia mai l’acqua, mentre dall’altro scorrono via, in modo piuttosto lasco, casette, favelas, cementifici, megachurrascherie illuminatissime, concessionari di SUV, grattacieli con alberghi, centri commerciali, e soprattutto un sacco di grandi tabelloni pubblicitari, principalmente concentrati su telefonini, motociclette e schermi al plasma. Il paesaggio non è nè brullo nè piatto, ci sono continuamente collinette e avvallamenti, con alberi un po’ dappertutto; ma perplime un po’ questa sequenza di edifici (rigorosamente in cemento, al massimo con un po’ di ferro se sono vecchi, o un po’ di vetro se sono nuovi) in cui peraltro spuntano marchi noti di mezzo mondo: a un certo punto, con il Carrefour da una parte e Leroy Merlin dall’altra, mi sembrava di stare a Moncalieri.

La cosa che colpisce, però, non è solo il traffico spericolato (non si capisce da che parte si guidi, visto che in teoria si guida a destra ma il mio taxi, fisso sulla corsia di sinistra a 90 all’ora, era costantemente superato a destra da giganteschi camion di rumenta industriale). Si nota il fatto che le auto sono più grosse del dovuto, con tanti pickup e SUV che paiono adusi a fare a sportellate in fuga, e soprattutto che buoni due terzi di esse, senza esagerare, hanno i vetri oscurati, in modo che i criminali in attesa non possano capire cosa c’è dentro. Appena partiti, in due taxi su due, l’autista ha chiuso la sicura delle porte, e non l’ha riaperta finchè non siamo stati sotto il portico dell’albergo…

L’effetto di questa immensa, infinita sequenza di curvette indistinguibili, edifici riccamente sberluccicanti ed edifici poverissimi in cancrena, tutti mescolati, è totalmente alienante, disumano: non è un posto in cui un essere umano possa vivere. C’è solo un altro luogo al mondo che mi ha offerto le stesse prospettive e le stesse sensazioni: Los Angeles. Vi assicuro che non è un complimento.

San Paolo dalla finestra del mio albergo
San Paolo vista dalla finestra della mia stanza d’albergo.
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domenica 3 Dicembre 2006, 20:41

Ma anche no, eh

Dunque, ero già piuttosto annoiato dall’aver dovuto subire mezz’ora buona di coda per i controlli di sicurezza a CDG, che sommati agli inevitabili venti minuti a piedi da un terminale all’altro avevano succhiato via quasi tutto il mio tempo di coincidenza; e poi siamo pure partiti con oltre un’ora di ritardo, dopo una serie di annunci contrastanti, pare per aspettare un passeggero il cui volo in ingresso era ritardato (roba da Alitalia).

Però Air France poco dopo ha realizzato veramente un colpo grosso, quando, durante il decollo, ci ha presentato la sua grande innovazione tecnologica sulla flotta di lungo raggio: oltre alla classica telecamera di prora che riprende il cielo e te lo fa vedere, nello schermino a venti centimetri dal naso di ogni passeggero è improvvisamente comparsa l’immagine di una telecamera posta sotto l’aereo, che riprendeva il suolo dalla verticale, man mano che si allontanava.

Come prevedibile, visto che la visione verticale del suolo è proprio quella che scatena vertigini e paure varie, il risultato è stato devastante: per ogni passeggero che guardava divertito ce n’erano almeno tre che cercavano disperatamente di spegnere lo schermo, distoglievano lo sguardo, o si aggrappavano alla poltrona cercando di non vomitare. Geniale!

Infine, per completare il tutto, il filmone trasmesso per i passeggeri era La maledizione della seconda luna (o La maledizione della seconda prima luna, o La seconda maledizione della prima luna, o comunque si declini il sequel di un titolo del genere): praticamente, due ore di vascelli che precipitnaufragano in pezzi nell’Oceano Atlantico. Tranquillizzante!

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