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giovedì 14 Dicembre 2006, 13:48

Ancora sul Brasile

Da qualche giorno volevo completare il mio racconto del Brasile, parlandovi dell’impressione complessiva che ne ho avuto durante il viaggio a San Paolo.

Va subito detto che il Brasile è una grande nazione, e “grande” descrive bene l’effetto che fa, particolarmente andando a San Paolo – la maggior città del Sud America, con un numero di abitanti non specificato ma compreso tra 10 e 18 milioni, che contarli tutti è un po’ un casino. Tutto è grande, i palazzi, i centri commerciali, le strade, l’inquinamento.

La cultura è molto europea, fin troppo: potete entrare in un centro commerciale – uno qualsiasi delle decine che ci sono, una umile cosetta di vetro e marmi grande tre volte le Gru – e trovarci la Fnac identica a quella di Torino, solo tre volte più grossa; e poi scappare, entrare nel negozietto di dischi di fronte, pensando che finalmente lì troverete qualcosa di non massificato, e trovarvi davanti agli altoparlanti del negozio che mandano Bacco Tabacco di Zucchero. Ah, ma quanti danni ha fatto Zucchero nel mondo… mai quanto Ramazzotti e la Pausini, s’intende.

Il Brasile è un paese dove la gravità è dimezzata rispetto al resto del mondo: lo si vede dai corpi delle donne. Tutti sono belli, persino i brutti, e hanno fisici spaziali; credo facciano un sacco di sport, e poi fa caldo tutto l’anno, insomma si vive all’aperto.

Il Brasile è un paese dove ci si sente a casa per vari motivi, non solo per la cucina – ottima, ed è vero che si mangia molta carne, ma anche molta pasta e un sacco di frutta dalle forme e dai colori improbabili, che richiederebbe, quando la portano in tavola, l’accompagnamento di un manuale di istruzioni per il forestiero. Finalmente, mi son detto guardando i cartelloni sull’autostrada, un altro paese dove quasi tutte le pubblicità hanno dentro un calciatore, o, in subordine, un pilota di Formula Uno! Non è un caso se la compagnia aerea privata nazionale, l’equivalente locale di Air One, si chiama Gol

Ma c’è una cosa che, più di tutte, caratterizza il Brasile. Non sono le belle donne, non sono i centri commerciali, non è lo sport e nemmeno il clima. Se dovessi descrivere il Brasile con una parola, direi che il Brasile è il paese della disorganizzazione.

Già ne avevo avuto esperienze varie: basta studiare capoeira con un mestre brasiliano… Eppure, in questa settimana è successo di tutto; e non parlo solo della disorganizzazione spicciola evidente, i camerieri che vogliono fare i premurosi ma ti rovesciano l’acqua addosso, gli orari di qualsiasi cosa sempre casuali, le code al check-in senza nemmeno le transenne, con la gente disposta a grumo alla bell’e meglio in mezzo alla hall (quello peraltro succede anche a CDG).

Parlo ad esempio dell’incidente che si è verificato a metà settimana: si è rotto l’apparecchio radio che gestisce le comunicazioni da terra agli aerei. Beh, può succedere; peccato che fossero talmente organizzati che, quando si è rotto, la reazione è stata: “Toh, si è rotto! Bisognerà cercarne un altro…” E il vicino ha detto “Eh, sì, magari domani chiamo un riparatore…”. Insomma, per tre giorni tre aeroporti del Sud del Brasile, tra cui San Paolo Congonhas, sono rimasti completamente chiusi perchè si era rotto un pezzo in una radio, con migliaia di persone abbandonate sulle panchine in attesa che qualcuno pensasse a riparare l’oggetto.

Questo è ancora più evidente analizzando la principale meraviglia di San Paolo del Brasile: il traffico. Se non siete mai stati là, non avete mai visto un ingorgo; dopo esserci stati, la coda permanente del sottopasso di Porta Palazzo vi farà sorridere, non ve ne accorgerete nemmeno più.

Vi ho già detto che ho impiegato due ore e mezza dall’albergo all’aeroporto; questo non solo perchè esiste un’unica strada di grande scorrimento in tutta la città, ovviamente sempre bloccata, ma perchè ad essere permanentemente bloccata è l’intera città. Abbiamo chiesto quali erano le ore di punta da evitare negli spostamenti, e ci hanno risposto: “Beh, di notte non c’è tanta coda”. Ogni singola via, dai viali alle viuzze nei quartieri, è permanentemente occupata da una fila di auto ferme col motore acceso (a metà del viaggio, dalla puzza di inquinamento, io stavo per vomitare). In più, la città è cresciuta completamente a caso, senza un vero piano regolatore, per cui anche le strade sono assurde, fanno giri astrusi per districarsi tra le case e i grattacieli; quasi sempre per andare da A a B, anche se sono due punti di grande importanza, sono richieste un paio di inversioni di marcia e una gimcana per stradine a senso unico tra le villette (se in periferia, circondate dal filo spinato per evitare razzie).

La cosa che più colpisce, però, è la flemma: in queste code infinite, di ore e ore, quasi nessuno usa il clacson, se non con un colpetto per indicare la propria esistenza, e assolutamente nessuno viola le regole, ad esempio usando a sproposito le corsie preferenziali degli autobus, passando anche solo col giallo, o girando dove non si può. Lo ammetto, il mio sangue ribolliva quando il taxista che doveva riportarci all’albergo – operazione che richiedeva una inversione a U sul viale – risaliva per altri due isolati la strada per poi invertire e posizionarsi in fondo a cinquecento metri di auto ferme, quando avrebbe potuto evitare la coda semplicemente invertendo due isolati prima, violando però un divieto di svolta a sinistra.

Eppure, tutti stanno tranquillamente fermi per ore, senza lamentarsi. In Italia o nei paesi di lingua spagnola partirebbero lotte al coltello per accaparrarsi la corsia migliore e manovre assurde per guadagnare dieci metri; lì, no. Semplicemente, si aspetta in pace e senza farsi problemi, con la massima serenità.

Certo, in un paese organizzato – considerato che il Brasile nelle sue parti sviluppate non è affatto più povero o meno tecnologicamente avanzato che l’Europa – avrebbero già fatto dieci linee di metro, un treno veloce per l’aeroporto, venti sopraelevate e sottopassi, e insomma risolto un po’ di problemi in qualche modo. Ma ci sarebbe stato da sbattersi: troppa fatica.

Lì, sapete qual è la soluzione? Arrangiarsi: difatti, sul volantino dell’ente del turismo ci si vanta che San Paolo è la città con la seconda più grande flotta di elicotteri al mondo (vedi Vint in arrivo). Insomma, i ricchi vanno in elicottero, e gli altri pazientano: in un certo senso, è organizzazione anche quella.

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Un commento a “Ancora sul Brasile”

  1. BlindWolf:

    Quoto: “Finalmente, mi son detto guardando i cartelloni sull’autostrada, un altro paese dove quasi tutte le pubblicità hanno dentro un calciatore, o, in subordine, un pilota di Formula Uno!”

    Non è che sia un segno di civiltà.

    (In Slovenia al massimo hanno qualche sciatore)

 
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