E-Ultras
La settimana scorsa, nella tifoseria del Toro, si è verificato un episodio che ha fatto scalpore: due ultras si sono recati nel negozio sociale in piazza Castello e, a suon di minacce e ceffoni, si sono fatti consegnare del materiale e se lo sono portato via. Rapina? E’ così per i giornali, ma non per gli ultras stessi, che, parlando di malintesi, hanno cominciato a diffidare più o meno gentilmente chiunque osasse porre la cosa in altro modo; in pratica, sul forum di Toronews i moderatori hanno dovuto cominciare a chiudere buona parte dei thread dove si parlasse dell’episodio, preoccupati di possibili ritorsioni fisiche su loro stessi in caso contrario.
Ora, direte voi, tutto normale: trattandosi di un ambiente dove, diciamo così, la cultura in generale e il rispetto della differenza in particolare non la fanno da padroni, è normale che vi sia una specie di reazione “da branco” tesa non ad affrontare il problema in sè, ma a difendere a forza chi fa parte del gruppo e a minacciare chi non ne fa parte.
Poi succede di leggere su Punto Informatico di oggi un reportage sulle attuali polemiche interne alla comunità Debian (la distribuzione Linux per “duri e puri”): un gruppo di persone ha messo in piedi una raccolta di fondi per stipendiare i due principali gestori del rilascio della distribuzione, e tutti gli altri contributori si son detti: saremo mica i figli della serva? E così, da buona tradizione progressista, hanno iniziato uno sciopero bianco per ottenere uno stipendio anche loro, o perlomeno ottenere che non lo diano agli altri.
La cosa più interessante, comunque, è la reazione a tale articolo: aprendo il forum dei commenti, già alle sette di mattina si trovavano circa duecento post, la maggior parte dei quali pro Debian più o meno con gli stessi slogan che si sentono allo stadio. Insomma, al solito il problema non è la sostanza della discussione, ma il fatto che qualcuno si permetta di menzionare il problema, il che secondo i debianisti, anche se non si stanno a guardare i post fatti solo di slogan, è meritevole di una negazione del problema (“Gobba? Quale gobba?”) seguita da velate minacce.
Che la comunità Debian (o meglio, molti suoi esponenti, senza generalizzare) approcci il mondo esterno con la stessa apertura, la stessa onestà intellettuale e lo stesso rispetto per la diversità che caratterizzano gli ultras dello stadio fa un po’ impressione, ma non è una sorpresa per chi ci ha avuto a che fare. Del resto, giusto ieri ho assistito a una discussione in cui uno dei maggiori esponenti della comunità Linux romana ha accusato un signore, che si era solo permesso di fare qualche obiezione alla proposta di legge Folena sull’open source, di essere un agente segreto delle “major che ammazzano la gente”, al soldo del capitalismo e di sporchi interessi personali.
Certo però che è triste notare come esistano pattern di comportamento umano per cui pensare con la propria testa risulta sempre difficile, ed è più facile nascondersi dietro un marchietto o un colore di qualsiasi genere, per poi aggredire chiunque non vi si riconosca; e ancor più triste che li adottino quelli che, come i sostenitori del software libero, spesso si richiamano a valori morali di alto livello. Purtroppo, di norma sono solo parole.