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Archivio per il mese di Dicembre 2006


mercoledì 20 Dicembre 2006, 07:30

E-Ultras

La settimana scorsa, nella tifoseria del Toro, si è verificato un episodio che ha fatto scalpore: due ultras si sono recati nel negozio sociale in piazza Castello e, a suon di minacce e ceffoni, si sono fatti consegnare del materiale e se lo sono portato via. Rapina? E’ così per i giornali, ma non per gli ultras stessi, che, parlando di malintesi, hanno cominciato a diffidare più o meno gentilmente chiunque osasse porre la cosa in altro modo; in pratica, sul forum di Toronews i moderatori hanno dovuto cominciare a chiudere buona parte dei thread dove si parlasse dell’episodio, preoccupati di possibili ritorsioni fisiche su loro stessi in caso contrario.

Ora, direte voi, tutto normale: trattandosi di un ambiente dove, diciamo così, la cultura in generale e il rispetto della differenza in particolare non la fanno da padroni, è normale che vi sia una specie di reazione “da branco” tesa non ad affrontare il problema in sè, ma a difendere a forza chi fa parte del gruppo e a minacciare chi non ne fa parte.

Poi succede di leggere su Punto Informatico di oggi un reportage sulle attuali polemiche interne alla comunità Debian (la distribuzione Linux per “duri e puri”): un gruppo di persone ha messo in piedi una raccolta di fondi per stipendiare i due principali gestori del rilascio della distribuzione, e tutti gli altri contributori si son detti: saremo mica i figli della serva? E così, da buona tradizione progressista, hanno iniziato uno sciopero bianco per ottenere uno stipendio anche loro, o perlomeno ottenere che non lo diano agli altri.

La cosa più interessante, comunque, è la reazione a tale articolo: aprendo il forum dei commenti, già alle sette di mattina si trovavano circa duecento post, la maggior parte dei quali pro Debian più o meno con gli stessi slogan che si sentono allo stadio. Insomma, al solito il problema non è la sostanza della discussione, ma il fatto che qualcuno si permetta di menzionare il problema, il che secondo i debianisti, anche se non si stanno a guardare i post fatti solo di slogan, è meritevole di una negazione del problema (“Gobba? Quale gobba?”) seguita da velate minacce.

Che la comunità Debian (o meglio, molti suoi esponenti, senza generalizzare) approcci il mondo esterno con la stessa apertura, la stessa onestà intellettuale e lo stesso rispetto per la diversità che caratterizzano gli ultras dello stadio fa un po’ impressione, ma non è una sorpresa per chi ci ha avuto a che fare. Del resto, giusto ieri ho assistito a una discussione in cui uno dei maggiori esponenti della comunità Linux romana ha accusato un signore, che si era solo permesso di fare qualche obiezione alla proposta di legge Folena sull’open source, di essere un agente segreto delle “major che ammazzano la gente”, al soldo del capitalismo e di sporchi interessi personali.

Certo però che è triste notare come esistano pattern di comportamento umano per cui pensare con la propria testa risulta sempre difficile, ed è più facile nascondersi dietro un marchietto o un colore di qualsiasi genere, per poi aggredire chiunque non vi si riconosca; e ancor più triste che li adottino quelli che, come i sostenitori del software libero, spesso si richiamano a valori morali di alto livello. Purtroppo, di norma sono solo parole.

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martedì 19 Dicembre 2006, 23:42

Vladimir Arthur

Nella vita, tutto si tiene. E così da parecchio tempo mi capita sporadicamente, quando sono in auto, di attaccare Radio Flash il martedì sera (prima, se non erro, era il mercoledì) e di ascoltare la mitica trasmissione Nel segno del Graal.

Come potete immaginare dal nome, è una trasmissione che si occupa di miti e leggende di ogni genere, partendo dai Celti per arrivare agli UFO attraverso i nativi americani, con escursioni spiritual-religiose nei miti della terra, nell’alchimia e nell’animalismo. In pratica, un contenitore di vaccate: nessuna leggenda metropolitana è troppo insensata, nessuna puttanata è troppo incredibile per non venire snocciolata con convinzione ai microfoni della trasmissione.

Per esempio stasera, nei cinque minuti che ho ascoltato, dopo un pippone animalista a favore del vegetarianesimo ci si è concentrati su un presunto complotto tecnologico di non meglio precisati “militari”, che avrebbero sviluppato la tecnologia per far respirare l’uomo nell’acqua, e l’avrebbero anche sperimentata sospendendo per mesi sott’acqua una gabbia di conigli protetti dall’apposita membrana (e qui, giù pippone parentetico contro il maltrattamento subito da questi poveri animali); ma poi, di queste tecnologie fantastiche di cui tutti parlavano dieci o quindici anni fa non s’è più saputo nulla perchè c’è sempre più censura. E però, bisogna ringraziare questi “militari” perchè stanno costruendo in segreto il mondo del futuro su Marte, realizzando una colonia dove non ci saranno conflitti, perchè loro avranno nel frattempo eliminato tutte le religioni, primo tra tutti il cattolicesimo, religione triste che celebra la violenza nella morte del proprio Dio (e giù altro pippone animalista parentetico sulla strage di agnelli per Natale, che poi sarebbe per Pasqua ma ‘ste feste sono un po’ tutte uguali).

Insomma, a parte l’ottima musica celtica (che a me piace molto), questa trasmissione sembra un po’ una puntata di Zelig, però involontaria; non si capisce bene perchè una radio di sinistra dura come Flash la ospiti, se non forse per l’anticlericalismo spinto.

Tuttavia, non vi ho ancora spiegato perchè tutto si tiene: ebbene, la trasmissione è realizzata da Rosalba Nattero e Giancarlo Barbadoro, promotori della associazione Grotta di Merlino, con apposito negozio sotto i portici di piazza Statuto (ma anche attività in mezzo mondo e vari progetti collaterali, tra cui un portale per i viaggi nel tempo…); due dei più famosi kook della storia della rete.

Chi è vecchio di Internet (.mau. in particolare) ricorderà infatti il primo grande flame della storia della Usenet italiana; stiamo parlando degli anni tra il 1993 e il 1995, quando it.* nemmeno esisteva e l’unico newsgroup italiano era soc.culture.italian. Fu proprio su quel gruppo che loro cominciarono a postare ogni genere di puttanat… pardon, verità segreta, provocando la reazione dei partecipanti e quindi le controaccuse di censura paramilitar-governativ-poterifortica, in un rissone talmente storico che la gente lo ricorda ancora dieci anni dopo.

Ammirando quindi la pervicacia con cui ammorbano ogni possibile strumento di telecomunicazione, trovo rassicurante che ciò che dieci anni fa era stato respinto a gran voce da Internet ora vada a finire sulla branca torinese di Radio Popolare: vuol dire che la sinistra bertinottiana è disperatamente alla ricerca di nuovi miti da affiancare a quello di Vladimir Ulianov, e che Re Artù è appena stato assoldato alla bisogna.

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martedì 19 Dicembre 2006, 18:22

Video

Ho scoperto che c’è ancora qualcuno che non conosce il classico molvano Elektronik Supersonik (raccomando di cliccare su “more” nel box di destra e leggere attentamente il testo).

Non ridete, che i nostri video degli anni ’80 erano proprio così; il nostro inglese, invece, è così ancora oggi.

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lunedì 18 Dicembre 2006, 23:57

La bella vita

Vorrei postare una breve cronaca della mia giornata di oggi.

Ore 5:00, sveglia. Ore 5:25, esco di casa dopo essermi lavato e messo vestito e cravatta. Ore 5:40, parcheggio davanti alla stazione Madonna di Campagna – dopo un paio di giri, trovo posto sotto la sopraelevata. Ore 5:43, la signora addormentata della biglietteria mi vende un tagliando di sola andata per tre euro. Ore 5:47, nel sotterraneo della stazione arriva il trenino (un rudere segnato dai graffiti). Ore 6:03, dopo sedici minuti per cinque chilometri scarsi il treno arriva in aeroporto.

Ore 6:10, fatto check-in, salgo per cappuccino al bar. Ore 6:20, mi metto in coda ai controlli di sicurezza del piano superiore, visto che la fila del piano inferiore arriva fino alla strada, attraversando tutta la hall di Caselle. Ore 6:40, dopo varie mezze risse, tentativi di scavalcamento e vecchietti imbranati, passo il metal detector e comincio a correre verso il gate (il volo in teoria decollava alle 6:50). Ore 6:45, sono in coda al gate, coda che scorre lentamente. Ore 6:50, passato il gate, sono in coda in piedi sulle scale per aspettare il secondo bus. Ore 7:00, siamo sull’aereo, che accende i motori.

Ore 8:15, siamo atterrati e giunti al parcheggio sulla pista, ma non arriva il bus. Ore 8:30, un altro bus ci scarica all’aerostazione di Fiumicino; ore 8:40, sono alla stazione dei treni, dove il primo treno in partenza viene soppresso. Dalle 8:40 alle 9:10, ogni cinque minuti il ritardo del prossimo treno aumenta di cinque minuti, e non si vede nulla all’orizzonte. Le piattaforme sono stracolme di gente infuriata, io nel frattempo, per caso, incrocio Fiorello Cortiana. Ore 9:15, pigiati sul treno partiamo; ore 9:45, scendiamo a Trastevere, compriamo i biglietti e attendiamo l’8.

Ore 10, io e Fiorello chiacchieriamo amabilmente pigiati sull’8; scendiamo al capolinea e andiamo a piedi al Servizio Studi del Senato, dove recupero una copia di un volume edito da loro di cui, a mia insaputa, ho scritto l’introduzione. Ore 11:10, lascio Fiorello a un paio di commissioni e vado a piedi fino in Largo Chigi; ore 11:20, arriva un 63 che assomiglia in realtà a un carro bestiame. Grazie a un percorso tortuoso per le vie di Roma (vabbe’, a Roma non esistono percorsi non tortuosi) alle 11:50 arrivo in via Isonzo, al Ministero dell’Innovazione.

Ore 11:55, sono il primo in arrivo; ore 12:15, inizia la riunione col sottosegretario Magnolfi più staff, Rodotà, Cortiana e Joy Marino. Ore 14:20, la riunione termina, saluti e auguri; ore 14:30, ci incamminiamo a piedi; ore 14:50, arrivo alla stazione Termini, faccio il biglietto alle macchinette e saluto Fiorello che va in aeroporto.

Ore 15:00, mangio un terrificante panino da Mr. Panino Chef Express (evitatelo); ore 15:10, per rifarmi vado al Conad del sotterraneo e mi compro biscotti e aranciata; ore 15:20, mi siedo sull’Eurostrazio per Milano; ore 15:30, il treno parte.

Crollo a dormire fino a Firenze, poi lavoro col portatile (sono state un paio d’ore molto produttive, va detto). Ore 20:10, con dieci minuti di ritardo il treno arriva a Milano Centrale, e così mi tocca la solita corsa nel sottopassaggio anteriore, con tanto di sgomitate per riuscire a timbrare in mezzo alla gente lì ferma a guardare il cielo; ore 20:14, salgo sull’interregionale per Torino, strapieno di pendolari novaresi; ore 20:15, il treno parte.

Ore 20:55, arriviamo a Novara e il treno si svuota di colpo; siamo solo più io, le mie domande, la mia stanchezza e la voglia di parlare con qualcuno, un amico qualsiasi, che però non ho sottomano. Ore 22:00, scendo dal treno a Porta Susa; mi serve un biglietto del bus, ma l’edicola e il tabaccaio sono entrambi chiusi; la metro è sbarrata (alle 22?!?); cerco le monetine per comprare il biglietto al parchimetro, ma non le ho giuste. In quel momento arriva il 72 barrato, e mando tutti a stendere; attraverso alla spericolata e lo prendo al volo (di sera, a Torino, molte linee si aspettano tra i venti e i trenta minuti). Ore 22:25, scendo in corso Potenza e arrivo finalmente, 17 ore dopo averla lasciata, alla mia auto; ore 22:40, parcheggio in garage.

Salgo, ceno con due uova strapazzate e una scatoletta di sgombro sott’olio, e qualcuno dei biscotti. Dopo aver mangiato, va un po’ meglio.

Mi collego, e trovo un paio di persone gentili, di quelle che mi vogliono bene, con cui sfogarmi un po’. E poi bloggo, perchè tutte le cose che faccio mi aprono sicuramente molte porte e mi fanno conoscere tante persone e tante faccende interessanti, ma richiedono anche non pochi sacrifici.

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domenica 17 Dicembre 2006, 02:10

Lezioni del sabato sera

“Kids, you tried your best and you failed miserably. The lesson is, never try.” (Homer Simpson)

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sabato 16 Dicembre 2006, 11:54

Fenomenologia di Monia Lacisaglia

La fine dell’anno si avvicina, si tirano le somme, e io recupero vari argomenti di cui è tanto che volevo parlare, ma non ho mai avuto tempo: parliamo quindi del fenomeno radiofonico dell’anno, almeno da noi a Torino.

Il suddetto fenomeno si chiama Monia Lacisaglia ed emette dalle frequenze di Radio Flash, inizialmente nel corso della trasmissione Senza Filtro, che, con la partecipazione di Vito Miccolis (percussionista, cabarettista e idolo delle ragazzine), Federico Bianco (cantante parademenziale e idolo dei maschi barbuti) e Capitan Freedom (navigatore radiofonico di lungo corso), a colpi di musica, stupidaggini e cabaret ha fatto esplodere gli ascolti della radio nella primavera-estate di quest’anno: si parlava di cinquantamila radioascoltatori, che su un’area da un milione e mezzo di abitanti non è poco.

Monia è a Radio Flash in qualità di stagista, come studente di (credo) Scienze della Comunicazione; è entrata nello studio per osservare, e poi qualcuno dei suddetti genialoidi ha provato a mandarla in onda. Quindi, è come uno qualsiasi di noi spedito all’improvviso in uno studio con un microfono in mano. Non sa la dizione, non sa parlare, non sa cantare, non sa ballare, non conosce la musica, ma nemmeno le notizie. Conduceva una improbabile rubrica denominata Sagra Simultanea, in cui le facevano leggere informazioni sulla sagra del bombolone speziato o del peperone triste, e lei regolarmente sbagliava, s’incartava, non capiva nulla, e poi scoppiava a ridere senza più riuscire a smettere.

Ecco, ridere è l’unica cosa che fa bene. Ride annunciando i programmi, ride presentando gli sponsor, ride nelle pause e ride sopra l’attacco dei brani musicali, senza mai riuscire a infilare più di tre parole di fila o a finire una frase. E quindi, è simpaticissima: un grande successo, come si deduce dalla quantità strabordante di messaggini baccaglioni che il popolo di Radio Flash di sesso maschile, pur senza averla mai nemmeno vista in faccia, riversa in trasmissione.

A un certo punto, comunque, Monia ottenne anche il suo hit personale: Applausi per Monia, quattro minuti di hip hop sulla base di Fabri Fibra dedicati al racconto della sua vita, che divennero il tormentone dell’estate di Flash.

Nel corso dell’anno, poi, Monia è un po’ sparita, visto che Lo Sapio (il personaggio principale di Miccolis) & Bianco sono volati sulle frequenze nazionali della Rai. Ogni tanto però riappare, come ieri, quando le hanno fatto un gioco di parole su certe attività “moniacali” e lei, in diretta, ha passato mezzo minuto buono a farselo ridire per due o tre volte, senza riuscire a capirlo, e poi concludendo: “Ah! Credevo che ci fosse uno spazio, e che si parlasse di una dea indiana, la dea Kàli!”. E poi ha cominciato a ridere.

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venerdì 15 Dicembre 2006, 08:26

Nuovi concetti

Una perla di innovazione dal Giappone. Non l’ho trovata io, me l’hanno segnalata!

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giovedì 14 Dicembre 2006, 16:48

Metti un sito

Metti che tu voglia cambiare cellulare prima della fine dell’anno, e stia valutando di passare dalla tradizionale Nokia a uno dei marchi alternativi già provati con successo da vari amici, ad esempio SonyEricsson.

Dovendo quindi ipotizzare un modello tra i seicento milioni di modelli di ciascun produttore, tutti rigorosamente identificati da sigle alfanumeriche indistinguibili l’una dall’altra un po’ come i titoli dei cartoni animati Mediaset, ti rechi sul sito del produttore e cerchi il classico sistemino di ricerca per caratteristiche.

Non c’è.

C’è però un magnifico comparatore di modelli a tecnologia avanzata (in Flash o in AJAX, non ho guardato), che ti permette di ottenere il dettaglio delle caratteristiche trascinando l’immaginina del cellulare in una casella. (Si sa, i cellulari si scelgono in base all’estetica – peccato peraltro che SonyEricsson adotti la politica della Fiat degli anni ’80, ossia tutti i modelli siano dei rettangoli squadrati e tagliati con l’accetta, rigorosamente uguali uno all’altro.)

Purtroppo, questo mostro tecnologico è talmente pesante che, per realizzare i fantasmagorici effetti di cross-fading, drag & drop e ingrandimento interattivo, il mio portatile – che pure ha un anno d’età – comincia ad addormentarsi per venti secondi dopo qualsiasi azione, e mi costringe presto ad abbandonare l’idea, il sito e la marca di cellulari suddetta.

Certo, sul nuovo superfico portatile Apple da 4000 euro del marchettaro milanese che ha disegnato il sito, il tutto funziona sicuramente a meraviglia. Ma io vorrei che mi presentassero il suddetto marchettaro, in modo da impalarlo prima io, e poi consegnarlo al suo amministratore delegato insieme a un resoconto dettagliato delle vendite che gli ha fatto perdere.

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giovedì 14 Dicembre 2006, 15:10

ICbaccaglio

In ICQ, complice anche una mia vecchia e sdolcinata descrizione amorosa risalente a tutt’altri momenti della mia vita, mi succede mediamente una volta al giorno di essere abbordato da qualche gentile signorina dell’Est Europa in cerca di marito italiano; e quindi, ho sviluppato lunga esperienza su autopresentazioni di vario genere. Questa, però, non mi era mai capitata: che razza di primo messaggio è, “конецформыначалоформыsaluto” ??

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giovedì 14 Dicembre 2006, 13:48

Ancora sul Brasile

Da qualche giorno volevo completare il mio racconto del Brasile, parlandovi dell’impressione complessiva che ne ho avuto durante il viaggio a San Paolo.

Va subito detto che il Brasile è una grande nazione, e “grande” descrive bene l’effetto che fa, particolarmente andando a San Paolo – la maggior città del Sud America, con un numero di abitanti non specificato ma compreso tra 10 e 18 milioni, che contarli tutti è un po’ un casino. Tutto è grande, i palazzi, i centri commerciali, le strade, l’inquinamento.

La cultura è molto europea, fin troppo: potete entrare in un centro commerciale – uno qualsiasi delle decine che ci sono, una umile cosetta di vetro e marmi grande tre volte le Gru – e trovarci la Fnac identica a quella di Torino, solo tre volte più grossa; e poi scappare, entrare nel negozietto di dischi di fronte, pensando che finalmente lì troverete qualcosa di non massificato, e trovarvi davanti agli altoparlanti del negozio che mandano Bacco Tabacco di Zucchero. Ah, ma quanti danni ha fatto Zucchero nel mondo… mai quanto Ramazzotti e la Pausini, s’intende.

Il Brasile è un paese dove la gravità è dimezzata rispetto al resto del mondo: lo si vede dai corpi delle donne. Tutti sono belli, persino i brutti, e hanno fisici spaziali; credo facciano un sacco di sport, e poi fa caldo tutto l’anno, insomma si vive all’aperto.

Il Brasile è un paese dove ci si sente a casa per vari motivi, non solo per la cucina – ottima, ed è vero che si mangia molta carne, ma anche molta pasta e un sacco di frutta dalle forme e dai colori improbabili, che richiederebbe, quando la portano in tavola, l’accompagnamento di un manuale di istruzioni per il forestiero. Finalmente, mi son detto guardando i cartelloni sull’autostrada, un altro paese dove quasi tutte le pubblicità hanno dentro un calciatore, o, in subordine, un pilota di Formula Uno! Non è un caso se la compagnia aerea privata nazionale, l’equivalente locale di Air One, si chiama Gol

Ma c’è una cosa che, più di tutte, caratterizza il Brasile. Non sono le belle donne, non sono i centri commerciali, non è lo sport e nemmeno il clima. Se dovessi descrivere il Brasile con una parola, direi che il Brasile è il paese della disorganizzazione.

Già ne avevo avuto esperienze varie: basta studiare capoeira con un mestre brasiliano… Eppure, in questa settimana è successo di tutto; e non parlo solo della disorganizzazione spicciola evidente, i camerieri che vogliono fare i premurosi ma ti rovesciano l’acqua addosso, gli orari di qualsiasi cosa sempre casuali, le code al check-in senza nemmeno le transenne, con la gente disposta a grumo alla bell’e meglio in mezzo alla hall (quello peraltro succede anche a CDG).

Parlo ad esempio dell’incidente che si è verificato a metà settimana: si è rotto l’apparecchio radio che gestisce le comunicazioni da terra agli aerei. Beh, può succedere; peccato che fossero talmente organizzati che, quando si è rotto, la reazione è stata: “Toh, si è rotto! Bisognerà cercarne un altro…” E il vicino ha detto “Eh, sì, magari domani chiamo un riparatore…”. Insomma, per tre giorni tre aeroporti del Sud del Brasile, tra cui San Paolo Congonhas, sono rimasti completamente chiusi perchè si era rotto un pezzo in una radio, con migliaia di persone abbandonate sulle panchine in attesa che qualcuno pensasse a riparare l’oggetto.

Questo è ancora più evidente analizzando la principale meraviglia di San Paolo del Brasile: il traffico. Se non siete mai stati là, non avete mai visto un ingorgo; dopo esserci stati, la coda permanente del sottopasso di Porta Palazzo vi farà sorridere, non ve ne accorgerete nemmeno più.

Vi ho già detto che ho impiegato due ore e mezza dall’albergo all’aeroporto; questo non solo perchè esiste un’unica strada di grande scorrimento in tutta la città, ovviamente sempre bloccata, ma perchè ad essere permanentemente bloccata è l’intera città. Abbiamo chiesto quali erano le ore di punta da evitare negli spostamenti, e ci hanno risposto: “Beh, di notte non c’è tanta coda”. Ogni singola via, dai viali alle viuzze nei quartieri, è permanentemente occupata da una fila di auto ferme col motore acceso (a metà del viaggio, dalla puzza di inquinamento, io stavo per vomitare). In più, la città è cresciuta completamente a caso, senza un vero piano regolatore, per cui anche le strade sono assurde, fanno giri astrusi per districarsi tra le case e i grattacieli; quasi sempre per andare da A a B, anche se sono due punti di grande importanza, sono richieste un paio di inversioni di marcia e una gimcana per stradine a senso unico tra le villette (se in periferia, circondate dal filo spinato per evitare razzie).

La cosa che più colpisce, però, è la flemma: in queste code infinite, di ore e ore, quasi nessuno usa il clacson, se non con un colpetto per indicare la propria esistenza, e assolutamente nessuno viola le regole, ad esempio usando a sproposito le corsie preferenziali degli autobus, passando anche solo col giallo, o girando dove non si può. Lo ammetto, il mio sangue ribolliva quando il taxista che doveva riportarci all’albergo – operazione che richiedeva una inversione a U sul viale – risaliva per altri due isolati la strada per poi invertire e posizionarsi in fondo a cinquecento metri di auto ferme, quando avrebbe potuto evitare la coda semplicemente invertendo due isolati prima, violando però un divieto di svolta a sinistra.

Eppure, tutti stanno tranquillamente fermi per ore, senza lamentarsi. In Italia o nei paesi di lingua spagnola partirebbero lotte al coltello per accaparrarsi la corsia migliore e manovre assurde per guadagnare dieci metri; lì, no. Semplicemente, si aspetta in pace e senza farsi problemi, con la massima serenità.

Certo, in un paese organizzato – considerato che il Brasile nelle sue parti sviluppate non è affatto più povero o meno tecnologicamente avanzato che l’Europa – avrebbero già fatto dieci linee di metro, un treno veloce per l’aeroporto, venti sopraelevate e sottopassi, e insomma risolto un po’ di problemi in qualche modo. Ma ci sarebbe stato da sbattersi: troppa fatica.

Lì, sapete qual è la soluzione? Arrangiarsi: difatti, sul volantino dell’ente del turismo ci si vanta che San Paolo è la città con la seconda più grande flotta di elicotteri al mondo (vedi Vint in arrivo). Insomma, i ricchi vanno in elicottero, e gli altri pazientano: in un certo senso, è organizzazione anche quella.

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