Il comune senso della spudoratezza (2)
Non c’è nulla di particolare, nella notizia della quattordicenne che, cercando di conquistare un compagno, gli invia il filmato del proprio corpo nudo fatto col telefonino nel bagno della scuola; al che lui, come tipicamente accade, se ne vanta con gli amici e sparge copie a destra e a manca finchè l’intera scuola non possiede il filmato e non comincia a prendersi gioco della malcapitata. (Certo, lui dice che il filmato gli è stato rubato via Bluetooth, ma la credibilità della scusa è piuttosto bassa, per quanto Bluetooth sia attualmente usato nei modi più insicuri possibili.)
Si tratta di storie sempre più frequenti, che in buona misura rientrano in quelle ingenuità che si fanno durante l’adolescenza; non c’è poi nulla di così grave.
A me, però, colpisce quella che è una evidente perdita del senso collettivo del pudore. In particolare col sesso, a partire dal fatto che ormai milioni di italiani, compresi bambini e vecchi, vanno in giro esibendo il disegnino stilizzato di due che si inchiappettano, come se fosse terribilmente cool.
Il senso del pudore, invece, è una delle cose che da sempre distinguono gli adulti dai bambini – i quali godono moltissimo nello svestirsi appena possibile – e gli esseri umani dagli animali. E’ chiaramente una sovrastruttura culturale, ma è anche una conseguenza dei valori aggiuntivi, puramente intellettuali, che l’umanità attribuisce al rapporto sessuale e al contatto fisico, rispetto alla pura funzione biologica e meccanica della riproduzione; e alla necessità degli umani, in quanto animali sociali, di vivere in coppia ed in gruppo. Se fosse soltanto questione di propagare i propri geni, non ci sarebbe da far tante storie; invece, il fatto di giungere al contatto fisico ed all’esibizione reciproca del corpo solo dopo un lungo ed incerto rito di corteggiamento costituisce un piacere aggiuntivo, inventato per appagare non soltanto le terminazioni nervose del nostro corpo, ma anche le misteriose contorsioni del nostro cervello.
E’ questa la cosa più preoccupante della fine del senso del pudore: il corpo nudo diventa un oggetto come gli altri, a cui ci si assuefa per sovraesposizione e che si può dare per scontato, perdendo quindi di fascino e di valore; e che si può usare come un qualsiasi strumento, ad esempio per fare carriera in televisione. La libertà finalmente conquistata dalle regole opprimenti, piene di inibizioni, che la società aveva in merito fino a quarant’anni fa, finisce per fagocitare l’oggetto stesso della liberazione: e proprio quando siamo perfettamente liberi di fare del nostro corpo ciò che vogliamo, alle volte non sappiamo più a che cosa serve e lo sprechiamo, come se non fosse qualcosa di meravigliosamente speciale.