Manuale d’amore 2
Dev’essere la settimana buona: ieri sera, complice la solita catena di coincidenze, mi sono ritrovato di nuovo al cinema Ideal a vedere Manuale d’amore 2: un film a episodi che vorrebbe narrare vari tipi di vicende sentimentali ed erotiche.
Pur non avendo visto il primo film, sono entrato in sala completamente prevenuto, temendo una porcata mielosa condita da volgarità gratuite e battute idiote. Il primo dei quattro episodi, peraltro, ha confermato i miei timori: racconta di un canotto di plastica (interpretato da Monica Bellucci) che, in qualità di infermiera fisioterapista in camice bianco, come in un qualsiasi film porno fa sesso con il bellone di turno ricoverato in ospedale (tal Stramazzo, Scamorzo, Schiamaccio, un nome così); come sottostoria teoricamente comica, c’è un vicino di letto tarro che fa sesso in ospedale con svariate puttane. In più, tutti i maschi indossano le regolamentari magliettine coi numerini, con le scritte in inglese più improbabili, con le lettere a rovescio eccetera, mentre le tipe hanno i pantaloni a vita bassa e la maggior quantità di carne possibile in esposizione; insomma, un numero di Men’s Health animato.
Eppure, il secondo episodio – una fiera denuncia sociale sul tema della fecondazione artificiale, con una coppia costretta ad espatriare a Barcellona e in più, per contratto pubblicitario con la locale municipalità , a visitare tutti i maggiori monumenti del luogo in due minuti grazie a una spider a nolo – già si salva; si salverebbe ancor di più se ci avessero messo un attore al posto di Fabio Volo, ma immagino che anche Volo sia compreso nel suddetto contratto pubblicitario.
Invece, il terzo episodio è proprio bello: narra di due omosessuali del Sud che, tra sofferenze, tormenti e contrasti familiari, devono andare a sposarsi in un posto a caso (Barcellona). I due sono interpretati da Sergio Rubini e Antonio Albanese, e sticazzi: fanno tutto loro e la differenza col resto del cast si vede. Complimenti.
L’ultimo episodio vede una ragazza di un posto a caso (Barcellona), interpretata dall’insensatamente gnocca attrice spagnola Elsa Pataky, venire in Italia alla ricerca del padre e nel frattempo innamorarsi di Carlo Verdone, signore di mezza età che, come chiunque trasgredisca la regola non scritta di non mettersi con le ragazzine, verrà duramente punito in tutti i modi. Senza infamia e senza lode, nel senso che Verdone fa le sue solite faccette buffe, l’altra fa vedere culo e tette, e il cartellino è timbrato.
Dimenticavo di dire che nel film, come narratore, c’è anche Claudio Bisio, che ha partecipato a due condizioni: che non mettessero il suo volto sul manifesto (non si sa mai), e che ci fosse almeno una scena in cui si slingua la Bellucci.
Insomma: questo film vi piacerebbe certo di più se foste appassionati di Grande Fratello e di magliettine coi numeri, ma sotto sotto potrebbe persino essere una operazione per parlare di temi complicati (come l’omosessualità e la fecondazione artificiale) ai suddetti appassionati. Per cui, sospendo il giudizio, e nel frattempo le due ore di film sono passate mediamente in modo piacevole, che alla fine è quel che conta.