Bull’Italia
Del bullismo si parla ormai dappertutto (e per fortuna). Ieri, però, dopo il famoso caso del disabile picchiato e ripreso su Youtube, un altro caso è arrivato da Torino alle cronache nazionali: quello del ragazzo del Sommeiller – scuola situata a fianco del Politecnico, nel quartiere benissimo della Crocetta – che si uccide per non dover più sopportare le prese in giro dei compagni, incentrate sul suo essere il primo della classe. Oggi, sulla scia, la cronaca locale riporta anche di una ragazza di Ciriè tormentata in tutti i modi dalle compagne.
Io, che sono un illuso, spero che queste situazioni emergano regolarmente da Torino e non da altre città , non perchè a Torino siano più frequenti, ma perchè da noi – l’unica parte culturalmente calvinista d’Italia – c’è ancora un po’ di attenzione per il valore dell’impegno, del lavoro e del rispetto reciproco. Insomma, da noi per queste cose ci si indigna ancora in massa; altrove, non so.
Al di là di questo, è evidente come il cosiddetto bullismo scolastico sia un problema profondo, e soprattutto non legato solo all’età della crescita. Certo, al liceo si è più crudeli e più sfacciati, e – abolita in allegria la sana abitudine di qualche mazzata genitoriale ogni tanto – ormai ci si arriva senza aver imparato le regole di convivenza civile; regole che esistono appunto per aiutare a dominare i più bassi istinti e permettere la convivenza all’interno di una società .
Eppure, considerando in particolare il bullismo contro i secchioni, non si può non notare come esso si verifichi in forme diverse in qualsiasi età . Non è soltanto al liceo che la persona più brava degli altri – in senso strettamente “professionale”, visto che il successo intellettuale si conquista solitamente a prezzo di quello interpersonale, e quindi con ampia e profonda sofferenza – dà fastidio, perchè costringe gli altri a confrontarsi con la propria mediocrità e soprattutto con la propria incapacità di accettarla.
Le università italiane sono piene di ricercatori bravissimi che non trovano spazio e subiscono una guerra continua, perchè mettono troppo in evidenza la mediocrità dei raccomandati. Nell’ufficio fantozziano medio, specie se pubblico, chi lavora sodo viene subito isolato, perchè poi, grazie al suo esempio, si potrebbe pensare di far lavorare anche gli altri. Persino nel calcio, il nostro tipico insegnamento tattico su come affrontare i giocatori più tecnici è quello di spaccargli le caviglie finchè non smettono di giocare. E non parliamo di impresa: in Italia, un imprenditore di successo non è uno che ha conquistato ricchezza grazie a intelligenza e lavoro e in questo processo creando posti di lavoro e benessere anche per altri, ma è uno che deruba e sfrutta il prossimo, su cui la collettività deve rivalersi ad ogni occasione.
E quindi, cosa fanno i migliori, in Italia? Scappano. Per fortuna non tutti scappano come il povero ragazzo di Torino; la maggior parte va a lavorare all’estero, come dipendente o con i prodotti della propria azienda, o perlomeno è ben contenta – a differenza di tutti gli altri – quando la sua mediocre azienda italiana viene svenduta all’ennesima multinazionale.
In Italia, restano solo i bulli; quelli che pensano che tutto si possa ottenere prendendosela con qualcun altro, invece che migliorando faticosamente se stessi. Quelli che fanno i bulli con lo Stato o con i conoscenti per ottenere privilegi e trattamenti di favore; quelli per cui lo Stato dovrebbe farsi bullo con i meritevoli, per dare poi a loro. Quelli che nascono frustrati dai modelli impossibili proposti dalla televisione, e che non hanno mai costruito sufficiente stima di sè per pensare di accettare senza invidia le fortune degli altri, o di potercela fare senza prevaricare gli altri.
Buona fortuna, Italia.