L’Italia del manganello
Non conosco in dettaglio la situazione dei cinesi a Milano; certamente non dubito che i commercianti cinesi compiano numerose infrazioni al codice della strada, e specificatamente a quelle norme di microgestione da paese socialpaternalista, tipo “i taxisti non possono usare il taxi per andare a fare la spesa” (davvero!) o appunto “è vietato il trasporto di merce all’ingrosso in veicoli ad uso privato”.
Allo stesso tempo, faccio fatica a non credere a ciò che raccontano oggi i cinesi stessi su tutti i giornali, cioè che molti ghisa milanesi, col beneplacito o perlomeno entrambi gli occhi chiusi da parte dei propri capi, abbiano preso a considerare via Paolo Sarpi come territorio di caccia: vado, faccio qualche multa, poi propongo la transazione… mi dai metà della multa in contanti, io me li intasco e ti straccio la multa. Tanto, i cinesi sono un popolo abituato ad obbedire all’autorità senza fiatare; quando mai si metteranno a denunciare, e nel caso chi li starebbe ad ascoltare?
Questo detto, ammettiamo pure che i cinesi abbiano torto, e che – pur chiaramente non ammazzando nessuno, a differenza di altri tipi di immigrazione e di relativi “lavori”, tipo il lavavetri o il mendicante, su cui i vigili urbani si guardano bene dall’intervenire a scanso di rogne – svolgano le proprie attività in modi non pienamente compatibili con le decine di migliaia di leggi e normative di questo Paese.
In questo caso, la prima considerazione che viene in mente è che “integrazione” non significa “questa è casa nostra quindi fate quello che diciamo noi”; vuol dire che le abitudini e le regole della comunità ospitante si modificano e si adattano per incorporare i nuovi arrivati, mentre essi accettano i valori fondamentali di chi li accoglie. Se quindi non è accettabile che una cinese che arriva qui cerchi di abortire dopo aver saputo che il nascituro è una femmina, non è nemmeno accettabile che i commercianti cinesi non possano lavorare come fanno da sempre in tutto il mondo, e chi se ne frega se il commercio all’ingrosso nel centro storico disturba il traffico.
Il problema maggiore è invece il modo in cui i nostri governi nazionali e locali, di qualsiasi colore, rispondono alle istanze di gruppi sociali minoritari e diversi: sempre, invariabilmente, con il manganello. Vale per i cinesi, ma valeva prima per gli ultras, e prima ancora per i no tav. Indipendentemente dalla validità o meno della causa o del tipo di comportamento che si rivendica, lo Stato italiano non dialoga più: reprime.
Ho il sospetto che questo derivi in buona misura dalla situazione di regime agli sgoccioli in cui vive la politica italiana: un regno dell’incompetenza e del privilegio che non parla più con il popolo, ma solo con se stesso. Al popolo, arrivano soltanto smaccati tentativi di autopromozione di questo o quel politico, editti di vario genere, proposte demagogiche; e poi, se manifesta disagio o dissenso, subito il manganello. Sparito il quale, lo Stato si ritira e tutto torna come prima, anzi peggio di prima, incancrenendo sempre di più.
La domanda, allora, è quanto tutto questo possa ancora durare.